Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 19 febbraio 2017

L’apertura al peccato di ‘Amoris Laetitia’ prefigurata dalla ‘Pastorale di Cambrai’ del 2003

Tra gli approfondimenti sull'esortazione pastorale più discussa della storia, oggi leggiamo questi pensieri di Paolo Pasqualucci che, oltre a rivelare prodromi interessanti del problema, ci aiutano ad approfondire. E il materiale, avuto riguardo all'AL, non manca... (Vedi archivio articoli)

Perché l’Esortazione Amoris Laetitia di Papa Francesco “sull’amore nella famiglia” ha destato tanta agitazione e scandalo, spingendo ben quattro cardinali ad avanzare cinque mesi fa cinque (finora inevase) richieste di chiarimenti (Dubia), coinvolgenti pesantemente l’ortodossia dottrinale del documento pontificio?
Perché, nel suo cap. VIII, ai parr. 300-305, si concede (secondo l’interpretazione dei vescovi argentini, approvata dal Papa stesso in una lettera con l’ormai famoso no hay otras interpretaciones) la “possibilità di accostarsi alla Santa Comunione fuori delle condizioni di Familiaris Consortio n. 84”, come recita il Dubbio n. 1.
‘Mbè, tutto qui?  si chiedono i media, in genere pieni di lodi sperticate per la “misericordia” a 360° di Papa Francesco. Che vogliono questi quattro cardinali, persone anziane e a riposo, che niente capiscono, sempre secondo i media, delle esigenze di vita della coppia moderna?  Che c’importa di quello che ha detto in un vecchio documento pastorale un Papa ormai defunto da dodici anni?  Il fatto è che i media che contano non sembrano aver mai spiegato chiaramente i termini della questione, che è di una gravità eccezionale, per la Chiesa cattolica.

1. L’Esortazione Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II.  Andiamo a leggere il n. 84 di FC, Esortazione del 22 novembre 1981 dedicata ai compiti della famiglia cristiana nel mondo odierno. Dopo aver lamentato la piaga del divorzio e affermato che la Chiesa “non può abbandonare a se stessi coloro che, già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale, hanno cercato di passare a nuove nozze”, ragion per cui erano caldamente esortati i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutassero i divorziati “procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa”; dopo questa caritatevole premessa il Papa ribadiva, come suo dovere, la dottrina perenne della Chiesa:
“La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza. La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati.  Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”. 
Infatti, postillo, la prassi della Chiesa, fondata sulla Scrittura, risale a san Paolo, il quale, per divina rivelazione, ci ha ammonito che chi si comunica in peccato mortale compie sacrilegio nei confronti del Corpo di Cristo, aggiungendo quindi peccato a peccato.
“Perciò chiunque mangia questo pane o beve il calice del Signore indegnamente sarà reo del corpo e del sangue del Signore.  Ognuno dunque esamini prima se stesso e così mangi di quel pane e beva del calice; perché chi mangia e beve senza discernere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”(1 Cr 11, 27-29).
L’ esortazione di Giovanni Paolo II così continuava:
“C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”.
Questo il secondo motivo, sussidiario al primo, per il quale non si poteva assolutamente concedere l’Eucaristia ai divorziati risposati conviventi more uxorio.

Cosa dovevano fare allora costoro per esser in regola con l’insegnamento della Chiesa?  E quindi, per potersi accostare all’Eucaristia? Dovevano ricevere l’assoluzione penitenziale che poteva esser data
“solo a quelli che, pentiti di aver violato [divorziando e risposandosi] il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”. 
In aggiunta, il Papa proibiva coerentemente
“per qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto, a favore dei divorziati che si risposano, cerimonie di qualsiasi genere. Queste, infatti, darebbero l’impressione della celebrazione di nuove nozze sacramentali valide e indurrebbero conseguentemente in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto”.[1]
Ma non è crudele imporre alla coppia di vivere come “fratello e sorella”, accusano i nemici della nostra religione?  No, perché l’ardua prova si può sostenere validamente con l’affidarsi interamente a Nostro Signore, con le preghiere quotidiane ma soprattutto con una fede generosa e totale nell’aiuto indispensabile e decisivo che ci viene dalla sua Grazia rigeneratrice. E il premio per chi vince queste ardue battaglie contro se stesso è incommensurabile, è la vita eterna. Si deve anche ricordare il grande beneficio che, soprattutto sul piano morale, si riverserebbe sui figli, da un’unione irregolare sanata dalla castità dei genitori.

2. Gli articoli 300-305 di Amoris Laetitia concedono la possibilità di aggirare la dottrina perenne. Ora, negli articoli citati di AL, in particolare nella famigerata nota n. 351 dell’art. 305, sembra che effettivamente le “condizioni” richieste da FC 84, sulla base dell’insegnamento perenne della Chiesa, vengano aggirate. Recita, infatti, il testo, subito dopo aver ridotto la portata assoluta della legge naturale, cosa di per sé molto grave e del tutto inaccettabile in un documento pontificio:
“A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”. Tale aiuto, proseguiva la citata nota n. 351 “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti [inclusa quindi l’Eucaristia]. Per questo, ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura etc.”.[2]
Riesce difficile al senso comune concepire una situazione “oggettiva” di peccato (p.e. la convivenza more uxorio di un divorziato risposatosi civilmente) che consenta a chi l’ha provocata e la mantiene di vivere ugualmente “in Grazia di Dio” a causa del suo modo di “amare”, di vivere in generale la sua situazione; o comprendere come essa non sia situazione di peccato anche “soggettivamente”, come se il responsabile di tale situazione, un cattolico, non sapesse il significato di quello che ha fatto e sta facendo.  E nemmeno appare chiaro che cosa voglia dire ipotizzare l’esistenza di una colpevolezza soggettiva però “non piena” e quindi (si suppone) parziale.  Si tratta di nozioni vaghe, indeterminate, adattabili ad ogni caso concreto che si presenti. Che sarebbe poi quello menzionato dalla nota, dal suo incipit: “In certi casi…”. Ovvero:  data una situazione di colpevolezza oggettiva ma non soggettiva o non piena dal punto di vista soggettivo, si può ammettere che “in certi casi” chi si trovi in tale situazione potrebbe essere “accompagnato” nel suo “cammino” di inserimento nella Chiesa “anche con l’aiuto dei Sacramenti”. E quindi anche con la partecipazione all’Eucaristia. Potrebbe, dice Papa Francesco.  Ma l’uso del condizionale non occulta il fatto che qui si stabilisce un principio applicabile ogni volta che si verifichino “certi casi”, principio che ha dunque portata generale:  d’ora in poi è possibile ai divorziati risposati conviventi more uxorio e quindi peccatori in stato costante e consapevole di peccato mortale (costituito da adulterio, concubinato, pubblico scandalo, fornicazione, per chiamare le cose con il loro impietoso nome cristiano), accostarsi “al Corpo del Signore” pur restando in tutti questi loro peccati, da nessuno dei quali intendono emendarsi.

Che un Romano Pontefice conceda una tale apertura al peccato, è il caso di dire, contravvenendo in modo clamoroso al suo dovere, stabilito da Nostro Signore in persona, di “confermare nella fede i suoi fratelli” mediante la custodia attiva del Deposito della Fede, è cosa talmente grave ed incredibile, che i quattro cardinali, sorretti sicuramente dall’appoggio silenzioso di altri cardinali e di vescovi, si sono ritenuti giustamente in dovere di chiedere al Papa, nella forma tradizionale e rispettosa ma ufficiale del Dubium, se è proprio vero che l’art. 305 e la correlata nota n. 351 permettono di violare di fatto la dottrina di sempre della Chiesa, ribadita in ultimo da FC 84.

La violazione consiste nel permettere caso per caso ciò che è espressamente proibito, da san Paolo in poi, cioè dalla fondazione stessa della Chiesa, sotto pena di condanna alla dannazione eterna. L’eccezione alla norma vigente ammessa da Amoris Laetitia costituisce dunque una vera e propria apertura al peccato e da parte di un Papa!

Gli altri quattro Dubia ricavano, con stringente logica, le conseguenze che si devono trarre dal principio anomalo ed eversore introdotto dal documento bergogliano. E cioè se esistono ancora, per l’etica cattolica, norme morali assolute, che non si possono in alcun modo violare, come per l’appunto la proibizione di comunicarsi in peccato mortale;  se ancora esiste una condizione oggettiva di peccato mortale, dopo le confuse distinzioni di AL fra l’oggettivo, il soggettivo e il meno pieno; se le disposizioni interne, della coscienza del soggetto, possono render irrilevante la sua situazione oggettiva di peccato grave, visto che esse potrebbero consentire al penitente di comunicarsi pur restando sempre in peccato grave; se, tutto ciò considerato, si deve adesso ammettere che la coscienza individuale possa svolgere una funzione creativa nell’ambito della morale, cosa contraria al fondamento stesso dell’etica cristiana, che riposa sulla divina Rivelazione mantenuta e insegnata dalla Chiesa, non sul sentire, individuale ed erratico, della nostra coscienza.

Non approfondirò qui il discorso sui quattro Dubia.  Cercherò, invece, di dimostrare quanto sia falsa quella che sembra esser un’opinione diffusasi nei media, aver cioè l’intervento irrituale del Pontefice permesso la sanatoria di tante situazioni di coniugi “cosiddetti irregolari” che soffrivano in silenzio, di fronte all’incomprensione del loro caso umano da parte dell’autorità ecclesiastica, che sbarrava loro l’accesso alla Comunione. Falsa, quest’opinione perché la prassi perversa della Comunione ai divorziati risposati conviventi more uxorio è nella Chiesa post-conciliare in vigore da più di trent’anni: le concessioni di Papa Francesco sono solo servite a legittimarla, in spregio alla dottrina cattolica di sempre, in aperta offesa alla Verità  Rivelata.

3. La pastorale di Cambrai, distruttrice del matrimonio cattolico. Ciò risulta dall’episodio sconcertante della “Pastorale di Cambrai” che riporto da un articolo dell’Abbé Claude Barthe, apparso sull’autorevole trimestrale cattolico francese Catholica, nell’autunno del 2003.[3] Quasi quattordici anni fa, ma sembra oggi;  anzi, è il nostro sinistro oggi, già pervicacemente presente ieri.

L’ala “liberale” del cattolicesimo francese era da tempo impegnata, esordisce esordisce l’Abbé Barthe, a modificare la prassi della Chiesa “au sujet du ‘remariage’ des divorcés”. Si trattava appunto di stabilire per loro un processo di “accompagnamento”, ai fini di un loro graduale inserimento nella Chiesa, attuato con il giusto “discernimento”. L’ala “liberale” aveva comunque messo da tempo in cantiere una vera e propria offensiva contro il matrimonio, in particolare con un libro, mai condannato sottolinea il P. Barthe, di un vescovo a riposo, mons. Armand Le Bourgeois, intitolato Chrétiens divorcés remariés, DDB, 1990.  Vi si contestava che i divorziati “risposati” si trovassero in uno “stato di peccato”. Questo vescovo fedifrago enumerava alcune condizioni per l’ammissione alla Comunione (una certa durata nella vita della coppia, la cura dei figli avuti nel precedente matrimonio etc.).  Dava, inoltre, dei consigli, “risultanti da una prassi già stabilita”, per organizzare una cerimonia riservata nell’occasione del “risposarsi” civile dei divorziati: lettura della Bibbia, intenzione di preghiera, animazione da parte di un prete amico. Non si trattava di una cerimonia nel senso abituale del termine. Mons. Le Bourgeois rivelava che questa “pastorale” era già praticata in una ventina di diocesi in Francia, Belgio, Canada, Stati Uniti.

Come si è visto, Giovanni Paolo II, già nel 1981, proibiva espressamente cerimonie del genere (vedi supra). Dovevano essere nell’aria già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso. Comunque sia, il P. Barthe ci informa che la Commissione per la famiglia dell’episcopato francese, in un documento del 1992 concernente Les Divorcés remariés, insinuava in modo “sapientemente velato” la possibilità di queste cerimonie, con le dovute precauzioni. Circa “l’accesso dei divorziati risposati all’Eucaristia”, esso continuava a praticarsi in modo discreto e spesso veniva inserito come desideratum da parte di certi gruppi di fedeli in molteplici sinodi diocesani francesi negli anni Ottanta e Novanta, tra rivendicazioni concernenti il diaconato, il sacerdozio femminile e l’ordinazione di uomini sposati. Al sinodo di Nancy del 1990 si ebbe l’audace dichiarazione secondo la quale: “il concubinato è tappa nell’amore, l’ultima essendo il matrimonio”, mentre a livello internazionale questo tipo di rivendicazione era notoriamente sostenuto dai “teologi constestatari”.

Con questi precedenti, si è giunti al documento pubblicato dall’arcivescovo di Cambrai, mons. Garnier, un atto “particolarmente grave”, sottolinea l’Autore, perché documento ufficiale di un vescovo e perché in completa (e aperta) controtendenza rispetto all’indirizzo impresso in questo campo da Giovanni Paolo II, ancora regnante, la cui “restaurazione” dei valori del matrimonio e della famiglia era vista con favore dal clero giovane (sempre secondo il P. Barthe).  Il documento di mons. Garnier “intaccava la dottrina della Chiesa sui Sacramenti”. Esso era l’espressione del mutamento di strategia del movimento progressista nella Chiesa: abbandonata ogni pretesa “sociale”, ci si concentrava sul promuovere, a livello dei costumi, una sorta di “democrazia nella Chiesa”, democrazia “delle mentalità”, tutte improntate agli pseudovalori dell’ultramodernità, da far trionfare ovviamente nella Chiesa. Artefici di questa strategia i numerosi organi oggi esistenti nella Chiesa-istituzione, dai consigli diocesani a quelli delle conferenze episcopali, ai media cattolici etc.

La pastorale di Cambrai si basava ampiamente sul ”vissuto” emergente dai “gruppi di riflessione” presenti in discreto numero nella vita ordinaria della Chiesa, dopo il Concilio.  Dava istruzioni dettagliate su come organizzare senza dar nell’occhio la cerimonia per il “remariage”dei divorziati risposatisi, escludendovi (in teoria) quelle forme che potevano richiamare la vera cerimonia nuziale in chiesa, a cominciare dallo scambio degli anelli.

Si occupava poi della Comunione ai divorziati risposati, lasciando capire, alla fine, che accostarvisi dipendeva dalla loro coscienza. Una proposizione, ricordo, del tutto contraria all’etica e alla fede cattolica, la quale, secondo i Dubia, sembra potersi ricavare anche da Amoris Laetitia (vedi supra). Ecco il passo significativo del documento di Cambrai:
“Nonostante la fondata pretesa della Chiesa [in contrario], persone divorziate risposate vengono a fare la Comunione. È un fatto.  Nella maggioranza dei casi il celebrante non li conosce.  Se li conosce, gli sembra odioso respingerli pubblicamente.  In questo caso, il migliore atteggiamento pastorale consiste nello spiegar loro fraternamente, in quanto possibile, il significato e la posta in gioco da parte della Chiesa e nell’invitarli modestamente a porsi in coscienza un certo numero di questioni:  ‘Detesto forse il mio ex-coniuge?  Come ho vissuto la procedura [di separazione] della giustizia civile?  In tutta verità o no?  Rispetto con fedeltà la corresponsione degli alimenti e la custodia dei bambini?  Ho smesso di servirmi di loro per ottenere informazioni su cosa succede presso colui o colei da cui mi sono separata/o?...’ Sarà sempre opportuno metterli in contatto con qualche membro della commissione diocesana sulla Pastorale familiare.  È sempre “in Chiesa”che si discerne meglio, in tutta carità e verità”.
Testi come questo, rileva giustamente il P. Barthe, “sovvertono in modo indiretto il sacramento del matrimonio”. Si spiegano solo tenendo presente il grande “rilassamento disciplinare” che pervade l’ambiente ecclesiale. Ci sono sacerdoti che affidano l’incarico di “animatore pastorale” a persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare, e costoro, in questo loro incarico, non solo ricevono la Comunione ma anche la distribuiscono. Tra le signore che insegnano il catechismo ve ne sono diverse  di questo tipo, ed è noto che, in certe parrocchie, esse sono in maggioranza non praticanti. Il lassismo si nota anche dall’impunità con la quale si possono diffondere pastorali come quella di Cambrai. In effetti, osservo, Giovanni Paolo II ha difeso sì con energia la dottrina del matrimonio e della famiglia, ma quanto a punire i lassismi e le gravi deviazioni dottrinali presenti in queste “pastorali”, che cosa ha fatto?

L’Abbé Barthe conclude il suo breve ma illuminante articolo con acute riflessioni sull’infragilirsi (fragilisation) del matrimonio attuale già nella mentalità dei futuri sposi, che spesso si dimostrano “oggettivamente incapaci di assumere le responsabilità del matrimonio, incapacità accresciuta anche dal fenomeno della coabitazione senza responsabilità che spesso lo precede”. Più spesso candidati al divorzio anziché al matrimonio.
Paolo  Pasqualucci, venerdì 17 febbrario 2017 - Fonte
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1. Giovanni Paolo II, Esortazione Familiaris Consortio sui compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi, www.vatican.va, pp. 71-72 di 76.  
2. Papa Francesco, Amoris Laetitia, esortazione apostolica sull’amore nella famiglia, introd. di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, San Paolo, 2016, pp. 264-5.   Il concetto espresso nella nota n. 351 era anticipato nella nota n. 336.  
3. Claude Barthe, La pastorale de Cambrai, ‘Catholica’, Automne 2003, n. 81, pp. 100-106.

22 commenti:

Marisa ha detto...

Un papa imbroglione.

Prelati imbroglioni.

Fedeli ignorantoni.

Alessandro P ha detto...

A che serve fare encicliche in difesa del matrimonio e della famiglia se poi non si fa nulla contro quei Pastori che le disattendono approvando ciò che in quelle encicliche viene riprovato?
"Il mondo non sarà distrutto da coloro che operano per il male ma da quelli che resteranno a guardare senza fare nulla" (Einstein).
L'attuale situazione di anarchia dottrinale non è altro che conseguenza della famigerata scelta attuata a partire dal Concilio di non condannare piú l'errore.
Il tempo darà sempre più ragione a mons.Lefebvre che quasi da solo si oppose a questa autodemolizione della Chiesa.
Confidiamo e preghiamo per Burke

Luisa ha detto...


Qui viene citato un documento di un vescovo francese ma con una piccola ricerca si potrebbe ritrovare l`equivalente in Germania, Belgio, Svizzera ( prassi comune dalle mie parti, tollerata anche se non sempre verbalizzata), America latina e Stati Uniti, ecc.
In effetti i testi, gli interventi, le prassi, di vescovi, parroci e comunità che da decenni aprono la Comunione a coppie in situazione irregolare sono legioni, una realtà che oggi esce allo scoperto ed è rivendicata come un progresso, un passo misericordioso verso coppie in difficoltà…, in questo sostenuta da un documento papale ed è questo che è gravissimo, in questo consiste la novità, oggi abbiamo un papa che con un suo documento legittima e incoraggia una prassi contraria all `etica, alla fede cattolica.

"La violazione consiste nel permettere caso per caso ciò che è espressamente proibito, da san Paolo in poi, cioè dalla fondazione stessa della Chiesa, sotto pena di condanna alla dannazione eterna. L’eccezione alla norma vigente ammessa da Amoris Laetitia costituisce dunque una vera e propria apertura al peccato e da parte di un Papa!norme morali assolute,"

Ma forse questo papa non ha la stessa concezione del peccato, per lui non ci sono norme morali assolute, lui che quando era a Baires dava la comunione ai divorziati risposati non fa che applicare a livello universale quel che già faceva nella sua diocesi, per poterlo fare, con astuzia, ha introdotto quella confusione voluta che permette di dire che non esiste "una condizione oggettiva di peccato" che "le disposizioni interne, della coscienza del soggetto, possono render irrilevante la sua situazione oggettiva di peccato grave".

Ci voleva un papa che faccia del "sentire, individuale ed erratico, della nostra coscienza" il criterio per ricevere o no la Comunione.
Ebbene questo papa è arrivato.

Anonimo ha detto...

GPII ha condannato ma cosa ha fatto per punire? Già il nocciolo sta qui,poco a poco il gioco è stato fatto, tenendo buoni a parole e introducendo in pratica... Comunque se non ha punito ha premiato TUTTE le religioni pagane a Assisi alla faccia di Gesù che dice "chi non crede in Me si danna". Da aggiornare Gesù...

Anonimo ha detto...

C'è un modo, oltre alla preghiera, in cui noi Cattolici possiamo arginare questa aberrazione satanica?!

Anonimo ha detto...

https://benedettoxviblog.wordpress.com/2017/02/15/la-lettera-di-benedetto-xvi-alla-compagnia-di-gesu/

flora ha detto...

Una cosa certa è l'uso delle parole come armi. Chiamando le situazioni irregolari e contro la morale famiglie FERITE già si è nel campo minato della battaglia a colpi di persuasione occulta (e mica tanto). Semmai ci sono bambini feriti, figli feriti. Non chiamiamo famiglie ferite quelle composte, scomposte e ricomposte perché hanno seguito la suggestione del detto "Tamaresco" Va dove ti porta il cuore!

C'e' un modo ... ha detto...

Farci santi , come Egli e' Santo .
Non arriveremo mai e poi mai al punto dellla sufficienza, eppure dobbiamo riprovare e riprovare , progredire continuamente .

tralcio ha detto...

Per anonimo delle 9.47

Il modo c'è: chiedere al Padre la grazia di essere santi, ognuno nel proprio modo particolare (non ci sono due santi uguali, ma tutti sono stati testimoni di Cristo vivendo questo o quel martirio nel mondo).

Soltanto la santità rende capaci di amare il nemico, porgere l'altra guancia, fare due miglia con chi ti chiede di farne uno, dare la tunica e anche il mantello... Soltanto la santità può renderci capaci di fare del bene a chi ci perseguita.

Chi è il santo? Uno che dal mondo vive separato. Non ne segue la logica. Non quella della legge del taglione, ma nemmeno un semplicistico "fare i bravi", cercando di obbedire senza creare troppi problemi, eticamente corretti e accomodanti per andare d'accordo con tutti.

Questo non è da cristiani: Gesù non si è incarnato e non è finito in croce perché noi si fosse "bravi" agli occhi del mondo, ricevendone approvazione e ammirazione.
Al contrario la santità, che è tutta orientata a Dio, riceve la gelosia del mondo provocando anche il martirio. Di sicuro i santi in vita sono stati tutti combattuti e scomodi.

La non opposizione che Gesù chiede di praticare verso i malvagi non è un'assenza di presa di distanza o una mancanza di detestazione per il peccato, bensì la raccomandazione di non opporsi con mezzi militari, facendo loro la guerra come suggerirebbero la carne e il mondo.

Al santo in realtà è chiesto altro, la perfezione del Padre. Nel cristianesimo non c'è svendita, non c'è bassa qualità, non c'è "media ponderata", non c'è la sintesi tra tesi e antitesi... No: è chiesto il massimo, nell'umiltà dei santi, senza pretendere nulla, confidando solo nel Signore, nella Sua verità, nel Suo metodo, senza scorciatoie.
A ricavare trenta denari dalla svendita di Gesù è Giuda, che non è propriamente un santo...

La misericordia di Dio può incontrare la nostra miseria nel punto più basso della parabola umana, là dove si rotola o si cola per gravità, trascinati in basso dalla materia, senza neppure più una volontà propria, con lo spirito morto... Oppure la si può incontrare in cima alla salita, dove ci ha condotto l'ascesi, vincendo la gravità, con uno spirito vivo.
In entrambi i casi sono luoghi di croce: in basso è l'inganno del mondo a presentare il conto dei peccati commessi credendoli piacevoli; in alto è l'odio del mondo per i santi di Cristo, che perseguita i martiri.

La misericordia di Dio è balsamo per le ferite della croce di chi rinuncia a se stesso per vivere da santo. La giustizia di Dio è per gli orgogliosi, che vorrebbero meriti dai propri sforzi, nel bene come nel male... Oggi ci sono i santi mondani, coperti di applausi e gli umiliati al fondo della valle, il cui soccorso vorrebbe dirli nel "giusto" dei loro errori.
Qui più che la santità si può trovare il peccato contro lo Spirito Santo... Un dramma.

Il santo non si oppone al malvagio con i suoi strumenti. Bisogna stare cuore a cuore, bocca a bocca con la Verità, amando e adorando il Signore. Se il mondo e il suo principe saranno gelosi fino a perseguitare i testimoni di Gesù, beh, una croce così è una grazia, del Cielo.

Luisa ha detto...

Dalla lettera che Benedetto XVI scrisse nel 2008 alla Compagnia di Gesù:

"Perché ciò avvenga è indispensabile, come già ricordava l’amato Giovanni Paolo II ai partecipanti alla 34a Congregazione Generale, che la vita dei membri della Compagnia di Gesù, come pure la loro ricerca dottrinale, siano sempre animate da un vero spirito di fede e di comunione in “docile sintonia con le indicazioni del Magistero” (Insegnamenti, vol. I, pp. 25-32).
Auspico vivamente che la presente Congregazione riaffermi con chiarezza l’autentico carisma del Fondatore per incoraggiare tutti i Gesuiti a promuovere la vera e sana dottrina cattolica"



"E, proprio per offrire all’intera Compagnia di Gesù un chiaro orientamento che sia sostegno per una generosa e fedele dedizione apostolica, potrebbe risultare quanto mai utile che la Congregazione Generale riaffermi, nello spirito di sant’Ignazio, la propria totale adesione alla dottrina cattolica, in particolare su punti nevralgici oggi fortemente attaccati dalla cultura secolare, come, ad esempio, il rapporto fra Cristo e le religioni, taluni aspetti della teologia della liberazione e vari punti della morale sessuale, soprattutto per quel che riguarda l’indissolubilità del matrimonio e la pastorale delle persone omosessuali.

Luisa ha detto...


"LA STRATEGIA DEL RAGNO. COME GESTISCE IL POTERE IN CURIA, E ALTROVE, IL PONTEFICE ORA REGNANTE."

Marco Tosatti


http://www.marcotosatti.com/2017/02/19/la-strategia-del-ragno-come-gestisce-il-potere-in-curia-e-altrove-il-pontefice-ora-regnante/

Anonimo ha detto...



"La riforma della Curia? Una Curia parallela"
di Marco Tosatti


http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-riforma-della-curia-una-curia-parallela-19009.htm

irina ha detto...

Deduco: molti chierici, da tempo, non credono più.
E le apparizioni della Santa Vergine? In quale considerazione sono state tenute tutte le Sue parole? La devozione, il rito, sono stati usati come paravento per il trasporto dalla Chiesa alla chiesa 2:0?
Comincio a pensare che molti libri di grande successo intorno a magie,stranezze in ambienti religiosi, abbiano avuto, qui e là ,la realtà come ispiratrice, se non proprio fedelmente riportata nella trama fantastica.

tralcio ha detto...

Il segno della croce è il segno che contraddistingue la santità di Dio.
Identifica la perfezione di identificazione del santo con il modello.
Abbracciare la croce è un doloroso rinnegamento di sé, per seguire Dio.
Ogni sconto a questa logica scomodissima per il mondo ci separa da Dio.
Perciò solo in Gesù (= Dio salva) c'è salvezza da questa separazione.
Solo in Cristo realmente presente c'è comunione con il Suo sacrificio crocifisso.
L'adorazione del Signore-eucaristia è tutt'altro da un simbolo in una mensa.
L'iperdulia per Maria ne venera i titoli (Immacolata e Assunta) della corredenzione.
I santi sono umili imitatori di questi Cuori Immacolati, per unirsi a gloria del Padre.
Santificare il nome del Padre è l'azione degli umili, i timorati di Dio.
Dio non sarà cattolico, ma si è manifestato "cattolicamente", confessato come tale.
La Chiesa cattolica dice(va) la verità del segno e del sacramento, con Maria e con i santi.
La logica di una schiavitù d'amore e di una perfezione nella santità è molto esigente.
Una logica in cui si insegna a Gesù come si fa per evitare la croce, è a buon mercato.
Gesù per questo disse a Pietro "vade retro..." mentre chiamava amico Giuda, il traditore.
Gesù rivela Dio-amore misericordioso verso ogni misero, ma giusto verso il Padre.
La verità brilla di una purezza totale, irriducibile, indisponibile a versioni di comodo.
Preghiamo il Signore per chi perseguita e confonde la fede umile dei semplici.
Soprattutto preghiamo il Signore di confermarci (altro sacramento) nell'umiltà della fede.
Se c'è orgoglio, persino le virtù di un uomo rischiamo di non abitare il paradiso.
Se c'è umiltà, anche qualche vizio di un uomo può evitare di abitare l'inferno.
E' l'unica "riforma" che ha davvero senso: cercare nell'umiltà la perfezione del Padre santo e non lamentarci con orgoglio delle false dottrine che non fuggono il peccato.
In fondo Gesù (nel vangelo) Maria e i santi (in varie circostanze) ci avevano avvisati.
Adesso che ci siamo, la denuncia deve lasciare il posto per la preghiera per i persecutori.
L'offerta della croce (che fa male, tanto più quanto amo la verità) è il "minimo sindacale".
La testimonianza al modo dei santi, con Maria, deve venire dall'umiltà e non dall'orgoglio.
La fiducia e la confidenza in Dio devono starci nel cuore più delle ragioni nella testa.
Non manca molto alle ceneri, inizio di quaresima: la testa è per la cenere che ci umilia, non per le ragioni che ci inorgogliscono. Se c'è chi apostata, noi fidiamoci di più di Gesù!

Anonimo ha detto...

Per Tralcio:
quindi un Santo non avrebbe mai combattuto a Lepanto?

Avanti ! ha detto...

LO SCOPO DELLA NOSTRA VITA È LA DEIFICAZIONE, PER GRAZIA. NIENTE DI MENO

http://www.iltimone.org/34463,News.html

tralcio ha detto...

gentile anonimo delle 18.57

Se fossi vissuto nel 1571 (forse) avrei provato a rispondere diversamente.
Comunque, malgrado il coraggio e le preghiere che permisero la vittoria di Lepanto, oggi la cristianità europea è svanita senza neppur bisogno degli ottomani... bastano le nostre mani.
La civiltà dei diritti civili (divorzio, aborto, eutanasia, gender) e dei centri commerciali, ben descritta anche nel post recentemente pubblicato che parla della cultura generale in quel di Padova, sta accogliendo ciò che combattemmo, mentre dimentica ciò per cui si combatté.
Chi pensa ancora alla battaglia navale come soluzione farebbe bene a sintonizzarsi sul 2017.

Anonimo ha detto...

Per Tralcio:
Quindi possiamo solo aspettare, se saremo noi a vederlo, il miracolo o, se è l'ora, la Parusia dandoci nell'attesa all'ascetismo ed alla contemplazione di Nostro Signore?
Ossia questa è l'ora della testimonianza della Fede come i SS. Martiri con i leoni?
Non pensi che voglia fare dell'umorismo, parlo sul serio.
La ringrazio, se ritiene di voler rispondere.

boldie ha detto...

Battaglie navali no, ma altre battaglie sì! Le scuole parentali, il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, il Popolo della Famiglia, le veglie delle Sentinelle in Piedi, le Marce per la Vita, i Family Day, e tanto altro ancora... Anche se qualche volta dobbiamo un po' "turarci il naso" per qualcuna di tali iniziative, siccome stiamo finendo in un abisso, prima dello schianto definitivo dobbiamo giocare il tutto per tutto per salvare il salvabile qui in terra, e salvare anime per il Cielo - fosse anche solo una.

Sacerdos quidam ha detto...

L’apertura al peccato di ‘Amoris Laetitia’ è stata ancor prima prefigurata dalla ‘Pastorale del Vaticano II’ del 1965.
Vorrei qui sottolineare ancora una volta il problema fondamentale che è alla base di tutto il disastro postconciliare ed attuale: il rinnegamento operato 'ufficialmente' dagli uomini del Vaticano II nei confronti di molti punti della dottrina costante ed universale della Chiesa.

Con questo rinnegamento, la dottrina cattolica è stata dichiarata modificabile a seconda del momento storico e delle circostanze. E se la dottrina in campo dogmatico poteva cambiare, ne conseguiva che anche quella in campo morale avrebbe potuto seguire la stessa sorte. Era solo questione di tempo, di opportunità e di 'sensibilità' del Sommo Pontefice di turno.

Una volta accettati i cambiamenti dottrinali portati dal Vaticano II nel campo dell'ecumenismo, della libertà religiosa e laicità degli Stati, e nel Primato papale di giurisdizione, la frana sarebbe divenuta inarrestabile, instaurando una specie di letale 'effetto domino' su tutto il corpo dottrinale cattolico, morale compresa.

Quindi i blandi tentativi di arrestare l'inarrestabile, operati in alcuni casi dai Papi 'conciliari', oltre ad essere appunto blandi erano destinati in partenza ad essere inefficaci.
La Rivoluzione del Vaticano II prosegue oggi più impetuosa e con meno tentennamenti e meno scrupoli, vista l'assenza totale di remore di Papa Bergoglio. Ma si tratta sempre della stessa Rivoluzione.

tralcio ha detto...

Premesso che il mio parere vale poco, la risposta di boldie è nello stile giusto.
Per il resto vale il vangelo di oggi, in particolare il finale.
E' molto attuale la domanda dei discepoli, ancor più lo è la risposta di Gesù.
Che non è priva di "azione": il malato guarisce dal suo male!

Anonimo ha detto...

Dal meditare e dal riflettere nasce la stima dei tuoi atti .
Padre Pio da Pietrelcina

Ogni disobbedienza a Dio genera male , a noi e intorno a noi , ammala i tralci della vite .