Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

domenica 12 febbraio 2017

Le montagne russe della liturgia: sono state recentemente proposte 14 “migliorie” alla messa tradizionale.

Non ho tempo per commentare come si dovrebbe quanto riportato dall'articolo che pubblico di seguito nella nostra traduzione da New Liturgical Movement. Lascio dunque gli approfondimenti alla discussione. I link richiamati dal testo vanno ad una serie di articoli che ci offriranno altrettanto materiale per approfondire. Il nostro traduttore è già all'opera. Ma credo che più che pubblicarli, converrà che io ne faccia una sintesi ragionata, magari approfondendo ulteriormente quanto elaborato anche di recente sui rischi di una ulteriore manomissione della Liturgia [qui - quiqui]. 
Più di una volta abbiamo parlato con raccapriccio della possibile ibridazione del Rito Romano usus antiquior come uno degli aspetti (l'ipotesi del mutuo arricchimento dei due riti) della cosiddetta 'Riforma della riforma', che negli intenti di Benedetto XVI era auspicabile per rimediare al fatto che la riforma liturgica postconciliare è andata oltre i legittimi e tradizionali confini che il concilio stesso aveva stabilito poiché, pur enunciando i principi in modo preciso “la loro forza normativa vien fortemente attenuata dalle non poche e sempre generiche eccezioni previste… A tali eccezioni, infatti, va ricondotta la rozza situazione di anarchia liturgica ch’è sotto gli occhi di tutti e sta quotidianamente ingigantendosi” (Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II: un Discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento (Av), 2009, p 140.)

Le montagne russe della liturgia: sono state recentemente proposte 14 “migliorie” alla messa usus antiquior
Peter Kwasniewski, 6 febbraio 2017

Quando uno crede di essere finalmente sceso dal treno sovraffollato e traballante o – per usare un’altra metafora – dalla barca scossa dalle tempeste del cambiamento liturgico, ecco che una persona dalla mentalità impeccabilmente riformista se ne esce proponendo di scatenare la forza della Sacrosantum Concilium sull’usus antiquior, o di ritornare al 1965, o di rappezzare un ibrido tra forma ordinaria e forma straordinaria, o altre mostruosità del genere. Sono così tanti gli argomenti di questo tipo che sono stati presi in esame e su cui ci si è affrontati, ci si è scontrati, si è riflettuto e si è tornato a riflettere, che si potrebbe pensare tranquillamente di essere entrati in un periodo di profondo scetticismo sulla necessità di modificare elementi che sono quasi sempre migliori di quanto pensiamo. Mano a mano che ci si familiarizza con la messa latina tradizionale, che si entra nella sua struttura, nelle sue preghiere, cerimonie e tradizioni, si arriva a considerare che queste ultime siano assolutamente appropriate.

Sul Catholic World Report del 31 gennaio, Fr. Peter Stravinskas ha pubblicato l’articolo “How the Ordinary Form of the Mass Can Enrich the Extraordinary Form.” [“Come la forma ordinaria della messa può arricchire la forma straordinaria”]. Esaminando le quattordici proposte, non ho potuto fare a meno di notare che quasi tutte erano state l’argomento di articoli sulla nuova messa in latino, nei quali le stesse cose che l’autore di questo articolo esalta venivano criticate. Per via della complessità dell’argomento e poiché non c’è bisogno di riscrivere quanto è già stato scritto, il presente articolo farà amplio uso di link ad articoli contrari alle tesi di Fr. Stravinskas. Un punto di partenza potrebbe essere costituito da: “Could the Traditional Latin Mass Be Improved—And Should It Even Be Attempted?” [“La messa latina tradizionale può essere migliorata? Ed è legittimo provare a farlo?”].

Prima di entrare nel merito delle 14 proposte, devo dire che apprezzo l’onestà di Fr. Stravinskas nell’ammettere che la Novus Ordo non ha quasi nulla a che fare con quanto i Padri Conciliari descrivevano nella Sacrosantum Concilium, anche se sappiamo che Bugnini e compagnia hanno piazzato qua e là nel documento tante scappatoie che consentirebbero di farvi entrare una carovana di camion. Ma andiamo al sodo.

1. Adozione del lezionario rivisto

Non è esattamente chiaro perché un lezionario “esteso” implichi un lezionario pluriennale, a parte il lezionario rivisto che già abbiamo. Le letture feriali esistevano già nel rito occidentale e potrebbero essere riprese senza modifiche sostanziali al modello esistente. Come ho spiegato in Resurgent in the Midst of Crisis, le letture delle festività dei santi avrebbero potuto essere ampliate senza difficoltà (per esempio, per Sant’Antonio d’Egitto si sarebbe potuto scegliere letture e un vangelo che rispecchiassero adeguatamente la sua vita e la sua testimonianza che è ancora viva nella Chiesa di oggi: San Paolo per quanto riguarda la sua battaglia contro la carne, etc., e il vangelo che dice: “Vendi tutto e dallo ai poveri” in riferimento alla sua conversione).

Ma a parte tutto questo, l’adozione di un lezionario pluriennale che non abbia niente in comune coi suoi precedenti romani storici sarebbe semplicemente un disastro. Per gli argomenti contro i suoi contenuti e la sua struttura, vedi “A Tale of Two Lectionaries: Qualitative vs. Quantitive Analysis” [“La storia di due lezionari: analisi qualitativa contro analisi quantitativa”] e i riferimenti ivi presenti.

2. Incorporazione di formulari della messa aggiuntivi

L’aggiunta di “materiale storico eucologico” al messale è stata fatta in modo estremamente inorganico, poiché i vari comitati di esperti archeologizzanti si sono riuniti più che altro per dibattere sulle loro preferenze testuali e su tutte le reliquie del passato che hanno riesumato, alcune delle quali erano sicuramente in perfetto stato, senza però per questo meritare di essere trapiantate tout court grazie a un fiat esecutivo. All’interno di questo “arricchimento” vi era anche una quantità ingente di espunzioni e di riscritture progressive: in altre parole, una distorsione della lex orandi, come è stato approfonditamente documentato da Lauren Pristas. Mi riferisco al metodo del copia e incolla con le forbici nel “fare liturgia”, senza alcuna attenzione per la qualità del materiale, di cui ho parlato nelle mie lezioni “The Spirit of the Liturgy in the Words and Actions of Our Lady” [“Lo spirito della liturgia nelle parole e negli atti di Nostra Signora”] e “A Tradition Both ‘Venerable’ and ‘Defective” [“Una tradizione tanto ‘venerabile’ quanto ‘carente’”], e in un articolo in cui offro due esempi concreti: “The New Rite Prefaces for Advent” [“I prefazi del nuovo rito per l’Avvento”].

3. Aumentare lo spazio della solennità

Anche se mi trovo d’accordo con Fr. Stravinskas sul fatto che la messa cantata dovrebbe essere la norma o perlomeno più frequente, specialmente la domenica e nelle festività (vedi “The Problem of the Dominant Low Mass and the Rare High Mass” [“Il problema dell’alta frequenza della messa ordinaria e la rarità della messa solenne”]), Fr. Kocik ha sollevato la questione delle potenziali falle del nuovo modello misto della solennità progressiva qui; Ben Yanke ha aggiunto una dose di realismo qui e Fr. David Friel varie considerazioni eccellenti qui.

4. Eliminare le recitazioni doppie

Fr. Stravinskas presenta delle obiezioni contro il fatto che nella messa solenne il sacerdote sia tenuto a ripetere un certo numero di testi che vengono cantati da altri ministri. È vero che alcune famiglie monastiche hanno omesso la loro recitazione e che sembra che tutto sia proceduto nel migliore dei modi. Tuttavia, rimane ben poco chiaro se ci sia realmente una richiesta o un desiderio in tal senso da parte del clero secolare o dei fedeli. Per un’argomentazione contro questa proposta, vedi: “Is It Fitting for the Priest to Recite All the Texts of the Mass?” [“Si addice al sacerdote recitare tutti i testi della messa?”].

5. Reintroduzione della processione dell’offertorio e della preghiera dei fedeli

La “processione dell’offertorio”, così com’è stata concepita dal Concilio, presenta ben poche somiglianze con qualsiasi precedente occidentale: si tratta di una creazione fantasiosa basata vagamente sull’abitudine della gente di portare il pane e il vino all’altare prima che il servizio cominci (vedi l’articolo di Paul Bradshaw “Gregory Dix and the Offertory Procession.” [“Gregory Dix e la processione dell’offertorio”]). La sua forma attuale sembra non essere altro che un’altra scusa per dare compiti liturgici ai laici, un po’ come la WPA per i disoccupati all’epoca della Depressione.

Per quanto riguarda invece gli argomenti contrari alla preghiera dei fedeli (o intercessioni generali), vedi: “The Distracting Prayer of the Faithful,” [“Le distrazioni generate dalla preghiera dei fedeli”], cui Fr. Fiel ha aggiunto un altro punto qui. Sì, le si potrebbe migliorare, ma perché? Quasi tutto ciò per cui preghiamo abitualmente è contenuto nelle preghiere del Canone Romano e in varie altre preghiere della messa.

6. Riordinare il rito conclusivo

Se la messa viene concepita come offerta del Santo Sacrificio, è più appropriato dire Ite, missa est quando l’offerta liturgica è completa, vale a dire dopo la post-comunione. La benedizione dei fedeli è un’aggiunta – altamente gradita, come anche l’ultimo vangelo. Dopo che il popolo dei fedeli risponde Deo gratias, il sacerdote si volge per pregare l’ultima preghiera privata, il Placeat tibi, che consente alla congregazione di avere un po’ di tempo a disposizione per inginocchiarsi preparandosi alla benedizione del sacerdote. (Nota al margine: mi sono abituato a valorizzare l’atto di inginocchiarsi per la benedizione finale, che mi ha indotto a considerare la benedizione del sacerdote qualcosa di speciale, allo stesso modo in cui il rito tradizionale della benedizione dell’acqua santa insegna a considerare questo sacramentale qualcosa di ben più importante rispetto a una frettolosa pseudo-benedizione tratta dal Libro delle benedizioni). Il fatto che certe cose siano “aggiuntive” non implica che debbano essere espunte, come lo stesso padre ammette.

7. Spostare la “fractio” dal Libera nos all’Agnus Dei 

Qui, ancora una volta, i riformatori si sono spinti ben al di là del mandato del Concilio, perturbando una consuetudine molto antica per ragioni cui non si riesce ad attribuire bontà alcuna. L’Agnus Dei è un’aggiunta posteriore all’Ordinario della Messa (sicuramente molto degna) operata da Papa San Sergio I alla fine del VII secolo; la frazione del pane, invece è antica e universale come la messa stessa. La consacrazione separata del pane e del vino, anch’essa un elemento antico e universale di tutti i riti cristiani storici, rappresenta lo spargimento del Sangue di Cristo, vale a dire la separazione del Suo Sangue dal Suo Corpo, e pertanto la Sua Morte. La frazione rituale del pane, in cui essi sono riuniti, rappresenta la Resurrezione.

In conformità con l’antica tradizione della Chiesa occidentale, fino a questo momento il sacerdote si rivolge nella preghiera a Dio Padre, a partire dal Prefazio fino alla fine del Libera nos. (Un’esigua manciata di Secreta viene rivolta al Figlio: si tratta però – eccetto una – di tarde aggiunte; nella maggioranza delle messe, il sacerdote parla al Padre dall’inizio dell’offertorio, se si eccettua la preghiera Suscipe Sancta Trinitas.) Solo dopo la frazione del pane, che rappresenta la Resurrezione, egli recita e il coro canta l’Agnus Dei rivolgendosi al Figlio, all’Agnello di Dio che San Giovanni vede nella corte celeste, acclamato dagli angeli e dai santi: “L’Agnello che è stato sacrificato è degno di ricevere il potere, la divinità, la saggezza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione”. E solo dopo tutto ciò il celebrante invita i fedeli alla pace del Cristo Risorto, dopo l’inizio del rito della pace. (L’aggiunta di “sempre” alla formula che il celebrante rivolge al popolo, “Che la pace del Signore sia sempre con voi”, che appare solo qui, enfatizza la visione di Cristo nel contesto dell’eternità.)

Lo spostamento moderno della frazione del pane al momento dell’Agnus Dei ha trasformato uno dei momenti più cruciali della messa in qualcosa di secondario che normalmente non viene nemmeno notato dalla congregazione che è troppo affaccendata a scambiarsi il segno della pace.

8. Rendere chiaro il fatto che l’omelia è una parte reale della sacra liturgia

O piuttosto: lasciateci chiarire che l’omelia non fa parte della liturgia. Per favore! È persino possibile affidarla a quanti sono stati ordinati per l’ufficio della predicazione, senza attribuirle uno status all’interno del culto pubblico della Chiesa, che viene realizzato da Cristo, Capo della Chiesa, in unione coi Suoi membri. Vedi il punto tre di questo articolo.

9. Mantenere integro il Sanctus

Al contrario, uno dei momenti più belli del rito antico è quando il coro, che canta un Sanctus polifonico, può fare una pausa prima del primo Osanna, come se gridasse per acclamare il Re che viene, inginocchiarsi in silenzio, adorare il Santo Sacramento elevato e poi ricominciare con queste parole estremamente appropriate: “Benedetto Colui che viene nel Nome del Signore”, con un Osanna finale al Figlio di Davide, esaltato nelle altezze, nella Sua Carne e nel Suo Sangue glorificati, ora presenti sul santo altare. (Nota dell’editore: E possiamo anche supporre tranquillamente che l’intero corpus delle opere come questa sparirà, poiché nessuno vorrà aspettare sei minuti per l’inizio del Canone.)

10. Adottare le rubriche della forma ordinaria per il rito della comunione

Nei riti storici occidentali, è sempre il celebrante a cantare le Preghiere del Signore, tanto nell’ufficio divino come nella messa, nella sua qualità di ministro dell’Alto Sacerdote e di rappresentante del popolo. Che questa sia una tradizione antica si può dedurre dalla forma del canto gregoriano, in cui il tono si abbassa al momento dell’“Et ne nos inducas in tentationem” (in linea col tono specificamente sacerdotale utilizzato in tutte le altre parti con “Per omnia saecula saeculorum”), cui il popolo risponde, “Sed libera nos a malo”. Ciò fa parte dell’ossatura del rito, così per dire.

La recitazione ad alta voce del resto delle preghiere, invece, aggiunge solo verbosità. Tutti sanno per che cosa sta pregando il sacerdote e possono unirsi in un intenso silenzio. Quel breve silenzio dopo la Preghiera del Signore viene molto apprezzato dall’assemblea, poiché indica il passaggio dalla venerazione dell’Agnello alla Sua condivisione nella Santa Comunione.

11. Disporsi in direzione del popolo quando ci si rivolge al popolo; in direzione di Dio quando si parla a Dio 

En passant, io difendo l’abitudine di leggere le letture versus Deum in quest’articolo: “In Defense of Preserving Readings in Latin” [“In difesa della preservazione delle letture in latino”].

12. Unificare i calendari della forma ordinaria e di quella straordinaria

Fr. Stravinskas ritiene che la festività di Cristo Re debba essere l’ultima domenica dell’anno liturgico. I cattolici tradizionalisti non sono d’accordo. Io sono sicuramente d’accordo con l’aggiunta di alcuni dei santi più recenti al calendario liturgico del 1962, ma nel complesso il calendario della forma ordinaria è un disastro (perdita dell’ottava di Pentecoste, perdita dei giorni appropriati per l’Epifania e per l’Ascensione, perdita del periodo epifanico, perdita del periodo di Settuagesima, e così via) che deve essere stracciato, prendendo come norma il calendario della forma straordinaria e aggiungendovi con attenzione santi regionali o recenti. (Nota dell’editore: La drastica mutilazione del ciclo temporale ha rimosso dal Rito Romano quasi tutti i suoi elementi caratteristicamente romani, come ho spiegato nell’articolo “The Octave of Pentecost: A Proposal for Mutual Enrichment” [“L’ottava di Pentecoste: una proposta di mutuo arricchimento”]. Si tratta di uno degli esempi più notevoli di come i riformatori siano andati ben al di là del mandato del Vaticano II.)

13. Modificare le rubriche

Fr. Stravinskas ripete l’appello a rimuovere “ripetizioni inutili”. Ma vi sono molte ragioni per non ridurre o rimuovere le ripetizioni, la più importante delle quali è il fatto che non sono affatto inutili. Vedi questa comparazione tra il rosario e la messa. Una parte curiosa della nostra mentalità moderna impone l’eliminazione di tutto quanto non sia immediatamente ed evidentemente utile. Se dovessimo darle sempre ascolto, dovremmo asportare le tonsille e l’appendice a tutti. Più seriamente, dovremmo invece ampliare la nostra nozione di quanto è utile cercando di capire cosa è nobile e adeguato.

14. Rinominare le due parti principali della messa

Fr. Stravinskas presenta argomenti contro la vecchia suddivisione della messa, mai modificata fino a quando i rivoluzionari degli anni Sessanta sono entrati in azione. Per una confutazione di tali argomenti, vedi: “Why ‘Mass of Catechumens’ Makes Better Sense Than ‘Liturgy of the Word’” [“Perché ha più senso parlare di ‘Messa dei Catecumeni’ che di ‘Liturgia della Parola’”].

Ad ogni modo, è bizzarro che un autore invochi la denuncia di “gusto antiquario” a proposito della conservazione dell’espressione “Liturgia dei Catecumeni” (che il realtà non è mai andata in disuso, per cui non si può parlare di una riesumazione antiquaria nel suo caso) e allo stesso tempo sostenga lo stesso tipo di gusto antiquario contro il quale Pio XII ('archeologismo liturgico', nella Mediator Dei - ndT) aveva realmente messo in guardia, contestando l’antica venerabilità di elementi obsoleti come la processione dell’offertorio o la preghiera dei fedeli.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

18 commenti:

Cesare Baronio ha detto...

L'errore che sta alla base di questa iniziativa è lo stesso nel quale caddero i novatori - anche i ben intenzionati tra essi - che misero mano alla riforma della Messa cattolica durante e dopo il Concilio, e cioè voler considerare la Liturgia come un corpus sul quale si possano apportare arbitrariamente modifiche. Toccare la Messa come si trattasse di un oggetto composto di più parti relativamente indipendenti, di modo che lo spostamento e l'assemblamento in altra maniera dia un risultato identico: come spostare libri su uno scaffale, togliendo i doppi ed affiancando i rimanenti secondo un criterio alfabetico, cronologico, tematico.

Ma la liturgia è un corpo vivo, e come tale non è possibile amputare un braccio con la giustificazione che due sarebbero ripetitivi, né aggiungere delle gambe affermando che così correrà più veloce. Non è possibile sopprimere quattro dita di una mano, affermando che cinque non servono. Non si possono sposare gli occhi sul petto o le orecchie sulla schiena. A meno che non si voglia farne un mostro, una chimera artificiale che ricorda i grilli di certe miniature medieval.

Quel che si è fatto alla Messa tridentina deformandola nel Novus Ordo fu deplorevole, e dopo più di quarant'anni dovrebbe esser chiaro quanto grave sia stato quell'approccio da laboratorio. Ora si cerca di riproporre un altro monstrum, che se può apparire per alcuni versi meno raccapricciante, rimane pur sempre una creatura degna del romanzo di Mary Shelley.

Questo progetto si dovrebbe poi affiancare a quello ancor più doloso di inventare un'altra Messa - ammesso che possa ancora esser definita tale - che consenta di esser usata sia per la celebrazione del culto cattolico, sia per quello anglicano e luterano, che negano la Messa e ne rifiutano i dogmi.

Teniamoci stretta la Messa tridentina, che già con le Rubriche del 1962 era stata manomessa dai medesimi autori delle riforme successive, ma che non aveva perduto la propria connotazione specifica. Almeno finché ce lo lasceranno fare: girano voci che a breve anche il Motu Proprio verrà abolito o ridimensionato, per non esser d'intralcio al dialogo ecumenico ed all'instaurazione della confederazione cristiana fortemente voluta da Bergoglio.

Anonimo ha detto...

Una parte curiosa della nostra mentalità moderna impone l’eliminazione di tutto quanto non sia immediatamente ed evidentemente utile. Se dovessimo darle sempre ascolto, dovremmo asportare le tonsille e l’appendice a tutti.
Una certa parlamentare la fece per davvero questa proposta. All'età di 7 anni, togliere a tutti, a tappeto, le tonsille e l’appendice. E, già che ci si trovava, togliere anche l'imene alle femminucce.

Francesco ha detto...

Bellissimo pezzo nel quale vengono criticate tendenze a modifiche rubricali volte a rendere il rito antico più simile a quello nuovo che sono purtroppo tutt'altro che rare. Condivido ogni sillaba.

Anonimo ha detto...

Grazie di quest'opera preziosissima di traduzione.
purtroppo non sono pochi, anche nell'ambito dei sedicenti cultori e promotori del rito antico, quelli che propongono o già applicano molte di queste varianti, che ad oggi costituiscono dei veri e propri abusi, ma che vengono presentate come dei ragionevoli adattamenti volti a favorire la partecipazione dei fedeli e a rendere il VO il più possibile simile al NO, nel rispetto delle direttive di Sacrosanctum Concilium.
Questi guastatori si presentano spesso come il "volto presentabile", moderato ed equilibrato, della tradizione, e trovano buona sponda nelle curie ostili al VO, che vedono in loro i soggetti sui cui puntare per un depotenziamento di quel rito che, alemno per ora, non sono in alcuni casi in grado di vietare del tutto. Così è a questi amanti della via di mezzo che viene spesso affidata la gestione delle celebrazioni VO "ufficiali" delle diocesi. Non di rado i suddetti moderati svolgono una attività di attacco più o meno duro ed efficace contro quanti invece intendono preservare proprio quelle specificità del VO che lo rendono più 'ostico', diverso rispetto al NO, e che vedono proprio in tali specificità un elemento di attrazione in più. Questi ultimi vengono dai primi tacciati di estremismo, di rubricismo, di antiquarismo ed estetismo, di legalismo e soprattutto di ostilità al Concilio, come se le direttive di una costituzione pastorale emanata ormai cinquant'anni fa, in un contesto liturigico che orami nulla ha più a vedere con quello attuale, e dopo decenni di evidente fallimento delle linee di cambiamento allora prospettate, potessero ancor oggi doversi considerare vincolanti. (dove sono i frutti del recupero della preghiera dei fedeli o della restaurazione della processione offertoriale e del segno della pace?).
Queste varianti abusive sono state favorite in ogni modo dai vescovi ostili al MP nel triennio di applicazione ad experimentum dello stesso, e la istruzione Univesae Ecclesiae è stata emanata proprio per ribadire che molti di essi non possono essere recepiti (quando ancora la Commissione ED faceva seriamente il proprio lavoro invece di avallare i divieti episcopali di celebrazioni come ultimamente sta avvenendo). Cacciate dalla porta, queste proproste di varianti ora tornano dalla finestra .
In fine: con l'aria che tira, è da pazzi pensare di toccare la liturgia, sia che si pensi a varianti nel VO, che va piuttosto custodito "come un tesoro prezioso" e protetto dai mille pericoli che corre (l'ultima parte del provvedimento di istituzione della commissione di revisione di Liturgia Auth. parla di rivedere le modalità del decentramento liturgico a livello diocesano, e penso sia chiarissimo che mira almeno anche a ridare ai vescovi famelici il potere anche ufficiale di dire no al VO a piacimento), sia che si pensi al "fantasma che si aggira per la Chiesa" rappresentato dalla "riforma della riforma": che sarebbe la famosa via di mezzo , nè carne nè pesce, disamata sia dai veri amanti del VO, che lo amano così come è , e pensano che la vera sfida oggi è riscoprire tutte le sue potenzialità (in moltissimi luoghi siamo ancora molto lontani da questo, ci limitiamo a qualche assaggio domenicale di Messa), sia dagli estimatori del NO, che non accetteranno mai, come si è già visto, anche solo il ritorno della celebrazione ad deum (e ai gangli del potere sono purtroppo ancora molti). Chi la farebbe la riforma della riforma? Il S. Padre con mons. Rohche e con Kasper? Direi che è evidente che questa rappresenterebbe solo un'occasione a chi mira al perfezionamento del disastro già in atto.
f. M. des Anges

Anonimo ha detto...

segue:

Per tornare alle proposte di modifiche del Vo, nella mia Diocesi la Messa 'ufficiale' in VO è da decenni celebrata secondo quello stile: Preghiere ai piedi dell'altare dialogate, oremus alla sede, secreta e per ipsum clara voce, gradazione ad libitum del celebrante delle parti cantate e di quelle lette e dell'uso dell incenso, letture solo in italiano, mai cantate e tutte verso il popolo dal medesimo ambone, comunione distrubuita da un ministro straordinario che va anche la purificazione dei vasi, pater cantato da tutti, gloria, credo e ite intonati dalla schola, fervide esortazioni del celebrante - in privato- a preferire il NO e starsene in parrocchia. Risultato: nel migliore dei casi un ponte per i noefiti che scoprono il VO e poi vanno a cercarselo nella sua forma reale altrove (spesso a FSSPX, nel peggiore la creazione di una comunità autoreferenziale e sterile che va alla Messa come a un museo della domenica, e che si taglia fuori sia dalla sua parrocchia sia dalle comunità che hanno la vera Messa Vo, per isolarsi in una riserva indiana dotata di rito proprio funzionale alla neutralizzazione di ogni contaminazione del resto della diocesi. In ogni caso la creazione di un ibrido liturgico che non esiste in natura. Nel frattempo i cosiddetti moderati, che ambiscono al monopolio (che chiamano talora coordinamento regionale e nazionale) del VO contribuiscono a far montare nei confronti dei promotori del VO così come è scritto l'ostilità del clero modernista, aumentandone le difficoltà di azione.
Ecco perchè queste proposte di variazioni vanno tempestivamente combattute, fornendo argomenti logici e razionali, come è fatto in questo articolo.
E grazie a che si è sobbarcato l'onere della traduzione!

f. Marie des Anges

Anonimo ha detto...

Qualcuno potrebbe spiegare meglio perché la frazione del pane rappresenterebbe la Risurrezione di Gesù? Da quali testi è desumibile? Grazie.

marius ha detto...

Grazie di cuore a Marie del Anges per aver sollevato una questione che mi sta tanto a cuore e che più volte ho introdotto pure anch'io nei commenti.

Il mito della creatività tipicamente conciliare del NO purtroppo sta intaccando anche il VO, soltanto che i più non se ne avvedono, in quanto non possono conoscerne le rubriche.
In pratica la gente si fida del clero ritenendo che faccia le cose giuste, o alla meglio lo scusano affermando che la fedeltà al rito è da considerarsi in divenire perché, date le difficoltà da esso imposte rispetto a quello in volgare, non si può pretendere che tutto sia perfetto, per cui bisogna lasciare il tempo per imparare, maturare, perfezionarsi ecc.
Non ci si avvede che dietro a certe scelte non c'è solo il limite umano ma una ben precisa mentalità, quella appunto che considera la creatività un valore supremo.
Spiace dirlo, ma certe confusioni sono state introdotte dal SP stesso, che permette la proclamazione delle letture in lingua volgare versus populum nella Messa letta, cosicché alcuni estendono questo uso anche alla Messa cantata.

Stamattina, per esempio, ho assistito ad un'altra variante: il diacono ha cantato l'epistola in latino versus populum.
Insomma chi più ne ha più ne metta...
Qualche tempo fa ho perfino dovuto litigare duramente con un prete che si ostinava a recitare ad alta voce la parte centrale del Canone, quella della Consacrazione, poiché convinto che il racconto della Passione è giusto che venga proclamato pubblicamente (sic). Solo le mie severe minacce di ricorrere non presso il suo vescovo ma direttamente a Roma lo hanno fatto desistere.

Quindi se è vero che qualcuno sta tramando per trasformare il VO, è altrettanto vero ma ben più preoccupante il fatto che ciò avviene già nella pratica.
Una volta mi scandalizzavo degli abusi liturgici del NO. Da tempo ho smesso, ormai convinto che l'abuso è connaturale al rito riformato stesso. La cosa non mi interessa più.
Ora bisogna però preoccuparsi seriamente che venga mantenuto intatto il tesoro del rito tradizionale.

E già che ci sono, vorrei aggiungere quanto sia auspicabile che il rito antico venga davvero curato in tutti i dettagli, perché secondo me il primo abuso liturgico, la madre di tutti gli abusi liturgici, è la trasandatezza e la sciatteria nel pronunciare i testi latini e nell'esecuzione dei gesti, nonché dei canti.

Anonimo ha detto...

Se può interessare, nel contesto della SS Messa secondo il VO in provincia di Vicenza, il Pater Noster viene recitato interamente dal Sacerdote con i fedeli: può essere considerato corretto?

Alessandro ha detto...

Dalla Bolla di S.PioV sulla Messa da lui redatta:
"Nessuno dunque e in nessun modo si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo nostro documento(...)Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo."
Bergoglio è avvisato.
E anche noi

marius ha detto...

"il Pater Noster viene recitato interamente dal Sacerdote con i fedeli: può essere considerato corretto?"

Certo che no.
Basta consultare il Messale,
oppure anche soltanto il messalino
o, per chi non lo possiede, il pdf di unavox

Pietro C. ha detto...

Un link relativo all'edizione di libri liturgici tradizionali:

http://traditioliturgica.blogspot.it/2017/02/la-grafica-estetica-nei-libri-liturgici.html

Grazie per la lettura.

Anonimo ha detto...

Per tanti il mettere le mani sul rito antico è una fissazione, una vera e propria ossessione. Ma se a loro il rito antico non interessa perché ampiamente soddisfatti da quello novo, perché si preoccupano tanti di "migliorarlo"? Chi ama il rito antico lo ama proprio per come esso è. Chi ama il rito antico lo fa perché sa che non ha bisogno di nessuna miglioria. L'unica "riforma" che serve è quella della partecipazione a tale rito antico. E' evidente che oggi non è una scelta felice prender messa recitandosi il rosario. Questo poteva andare bene decenni fa quando molti non sapevano leggere. Ma oggi coi messalini bilingue il miglior modo di partecipare alla messa antica è seguire il rito sul proprio messalino, con raccoglimento e devozione, sapendo che si compie la rinnovazione incruenta del Sacrificio del Calvario; sapendo, come insegna Pio XII nella sua enciclica liturgica, che bisogna offrire noi stessi in unione alla Vittima divina. Che poi tali concetti liturgici sono bene espressi pure nei documenti del concilio Vaticano II (proprio così: il concilio per tanti versi problematico, su questo argomento è meravigliosamente chiaro e ripropone integralmente l'insegnamento precedente del già ricordato Pio XII): "i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma (...), comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi" (SC 48).

I progressisti quindi la finiscano una volta per tutte di pensare a metter le mani sul rito antico. Lo hanno già fatto negli anni Cinquanta del Novecento, ed han fatto un piccolo pasticcio e piccoli orrori. Lo han rifatto una decina d'anni dopo ed han fatto grandi pasticci e grandi orrori. Si mettano l'animo in pace: non sono titolati a occuparsi di rito antico, perché non sono motivati dal rispettare ma dal distruggere.
don Fernando

Ave Maria ! ha detto...

Dio La benedica Don Fernando , chi L'ha ispirata a intervenire San Michele Arcangelo ?
Parole sante ! Credo che molti fedeli non conoscano l'esistenza di questi messalini bilingue , bisognerebbe informare di piu' .
Personalmente li ho scoperti a Torino , in occasione dell'Ostensione della Sindone , perche' il Sacerdote del nostro gruppo ha celebrato la Messa in latino in una Parrocchia in cui il Parroco , lungimirante , aveva gia' adottato questi messalini e di volta in volta li metteva a disposizione sia dei parrocchiani sia dei fedeli occasionali .
Io ne ho uno festivo del 1960 , stampato ad Alba dalla Pia Societa' San Paolo e con il nulla osta del Beato Alberione , ne vorrei acquistare uno quotidiano mi puo' indirizzare in proposito ?
Grazie

mic ha detto...

(proprio così: il concilio per tanti versi problematico, su questo argomento è meravigliosamente chiaro e ripropone integralmente l'insegnamento precedente del già ricordato Pio XII)

Tranne dove la Sacrosanctum Concilium si discosta dalla Mediator Dei, in un punto cruciale...

Malanimino Scalcinati ha detto...

Il commentatore delle 16.40 ha evidentemente avuto maggiore fortuna di me a Torino. Dove era quella chiesa? Io sono stato di recente, tornando un pomeriggio da una vacanza in Valle di Susa, in una chiesa moderna quasi sulla tangenziale dove avevo letto che si celebrava il Vetus ordo, ma ho trovato appunto tutto il peggio delle storture stile '50-65. Tutta la Messa dialogata comprese le parti proprie dei ministranti, epistola letta da un fedele, graduale e alleluia in italiano , vangelo in italiano e tutto questo verso il popolo, parti di ordinario cantate in una Messa letta , pater recitato da tutti... L'organo che suona in continuazione durante la consacrazione... non ho trovato strano che praticamente non ci fossero fedeli...In più le sole persone presenti dal primo banco continunavano a guatarmi..una impressione di gruppetto chiuso e non troppo ospitale... Me ne sono andato dopo il canone e ho pensato che per fare una Messa così tanto vale andare alla messa bugniniana!

marius ha detto...

@ Malanimino Scalcinati

"L'organo che suona in continuazione durante la consacrazione..."
Mal vezzo piuttosto diffuso, e quando non c'è l'organo è un canto, magari a squarciagola.
E che diamine! bisogna pur riempire il silenzio, che mette a disagio il neofita col rischio che, scioccato, poveretto non torni più...

Quanto è vero quello che Lei dice!
Uno passa dal NO al VO con una nostalgia di silenzio, raccoglimento, senso del sacro...
e si ritrova ai piedi della scala.

Riguardo a Torino avevo già sentito cronache simili. Pare che questi abusi siano pianificati ad alto livello per "rieducare" i fedeli agli intendimenti conciliari.
Concordo che in quei casi, se non si vuol fare combattiva opera missionaria di "controriforma", meglio lasciarli nel loro brodo.

F. Marie des Anges ha detto...

@ Marius
Confermo che a Torino questi abusi si verificano spesso.
La celebrazione ufficiale della diocesi è (per usare le parole di una anziana signorina che la frequantava nei primi anni e poi se ne è andata a causa di essi), "tuta 'na pulenta".

Anonimo ha detto...

Alle ore 21:00 di oggi 14.02.2017 su Radio Maria e' in programma la rubrica " Chiesa e Liturgia " condotta da Mons.Nicola Bux .
Se qualcuno vuole porre domande in merito alla Liturgia puo' intervenire in diretta .