Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 26 gennaio 2023

Dalla sostanza alla relazione, la teologia personale di J. Ratzinger

Nel pubblicare [qui] lo stralcio significativo da uno dei testi (“Il significato della comunione”) raccolti nel libro postumo di Joseph Ratzinger presentato qui, ci ripromettevamo di approfondire le osservazioni preliminari già espresse. È intervenuto l'auspicato contributo di Paolo Pasqualucci che riprendo di seguito.

Dalla sostanza alla relazione, 
la teologia personale di J. Ratzinger

Bene ha fatto il commentatore a ricordare che nel 1910 il neokantiano Ernst Cassirer scrisse un'importante monografia: "Concetto della sostanza e concetto della funzione. Ricerche sulle questioni fondamentali della teoria della conoscenza". Egli prendeva atto del fatto che il concetto della sostanza non si dimostrava più valido agli occhi dei Fisici e veniva sostituito da quello di "funzione", di origine matematica.
Senza entrare nel dettaglio, data la complessità del tema, faccio quest'ovvia considerazione. Con la scoperta dell'atomo e poi delle particelle si è affermato un atomismo radicale, possiamo dire, che, agli occhi di molti, ha messo in crisi il concetto della sostanza, di origine aristotelica (sostanza-accidenti/interno che costituisce l'essenza della cosa, esterno nel quale appaiono le sue caratteristiche qualità). Questo concetto spiega perfettamente ai nostri occhi il miracolo della transustanziazione. E anche il nesso essere-apparire tipico del nostro stesso essere.

Ma se la realtà fisica è composta di particelle, allora la "sostanza" degli enti dov'è? Si dissolve, in apparenza. Il mondo delle particelle ha le sue leggi, p.e. quelle che regolano la "funzione d'onda" con la quale si descrive la luce, ma sarebbe regolato dal caso, su scala universale.
Dal "caso" non può venir nulla, insegnava Aristotele, il mondo in cui tutto è a caso resterebbe sempre nel caos. Insomma: se è il caso a governare il mondo delle particelle (quanti elementari di energia) diventate atomi e molecole e infine corpi, animali, esseri umani etc, non si capisce come mai tutto questo mondo riveli l'ordine eccezionale che ben conosciamo, visto che appunto la natura non avrebbe alcuno scopo, agirebbe sempre rimescolando le particelle a caso. La crescita non potrebbe avere forma alcuna. Né potrebbe terminare come se avesse appunto il compito di fermarsi quando l'individuo (insetto, pianta, etc.) è compiuto.
E per dirla in breve: eliminando il concetto di sostanza, ciò per cui l'ente è ciò che è e non altro, viene a cadere anche quello dell'agir per un fine, e in pratica la realtà, anche quella fisica, diventa incomprensibile.
La "relazione" di cui parla Ratzinger non è poi lo stesso della "funzione" di Cassirer, ne è una derivazione o nuova e forse meno rigorosa formulazione.
Si vede comunque che Ratzinger non trovava argomenti contro la "relazione" al posto della "sostanza" e si arrendeva a quest'aspetto del pensiero contemporaneo. Il concetto (moderno) di "relazione" credo l'abbia applicato anche al dogma trinitario. Tale concetto viene inteso in modo errato: la relazione presuppone gli enti della relazione stessa, con la loro individualità; non può essa stessa sostituirvisi, altrimenti diventa relazione di nulla.

Ratzinger ha applicato il concetto moderno di persona al dogma trinitario, cercando quindi di fondarlo sul concetto della "relazione"

Si è inserito in un movimento teologico "novatore" che datava da tempo e che non accettava più il concetto boeziano di persona come "sostanza individuale di natura razionale", di evidente derivazione aristotelica e adottato da san Tommaso.

Cito da Walter Kasper (proprio lui), "Le Dieu des chrétiens", cerf, 1996, traduzione francese di un testo tedesco del 1982 : "Secondo Ratzinger il concetto di persona 'esprime di per sé l'idea del dialogo e Dio come essere del dialogo. Significa Dio come l'Essere che vive nella parola e che sussiste nella parola, come Io, Tu e Noi'. Non sono né la sostanza [per gli antichi], né il soggetto [per i moderni] a costituire l'elemento ultimo bensì la relazione come categoria originale della realtà. Certo, l'affermazione : le persone sono delle relazioni, è in prima istanza un'affermazione sulla Trinità divina, ma se ne hanno conseguenze decisive anche per l'uomo in quanto immagine e somiglianza di Dio. [Per questa prospettiva] l'uomo non è un essere-in-sé (sostanza) autarchica, né un esser-per-sé (soggetto) individuale, autonomo, bensì un essere a partire da Dio e per Dio e [quindi] a partire dall'altro e per l'altro. Vive in modo umano solo nella relazione IO-Tu-NOI. È [pertanto] l'amore che si mostra come significato del suo essere" (op. cit., pp. 419-420. K. cita varie opere di Ratzinger in nota).

Dunque: La Divina monotriade non è l'Essere perfettissimo sussistente in atto, l'IO sono di biblica memoria; è invece relazione. Non appunto la consustanzialità ab aeterno delle Tre persone dell'unico Dio ma il loro esser-in-relazione. Che si articola nel Verbo, cioè nella Parola, intesa nel suo significato di Dialogo esaltante l'amore divino reciprocamente.
L'esser dell'uomo non potrà che esser, a sua volta, in relazione, di tutti con tutti e quindi "dialogo", ecumenismo e così via. L'esser in relazione dell'uomo, come soggetto, imita l'esser in relazione delle Tre persone divine. La relazione e il dialogo sono ora la sostanza, l'essenza. Siamo nel pieno stravolgimento non solo della teologia tradizionale ma anche di categorie logiche essenziali. Eliminando la categoria logico-teologica della sostanza, allora risulta priva di senso la nozione della "consustanzialità" di Cristo nostro Signore con il Padre e con la nostra umana natura, tranne che nel peccato (451, Calcedonia).
Questi sono i fondamenti della "teologia" di Ratzinger. Anche senza aver studiato queste cose, si capisce che l'affermazione "Dio è relazione" è priva di senso.

Una ulteriore riflessione sul passo di Ratzinger.
La sua tesi è: poiché la scienza ha dimostrato (avrebbe dimostrato, ma lasciamo perdere) che la realtà non si può più spiegare in termini di sostanza ma solo in termini di "relazione" allora la teologia deve adeguarsi. Egli sembra fare una specie di calco: se la realtà sensibile è relazione, allora anche la Monotriade deve esser concepita come relazione. Ossia, la qualità della relazione tra le tre Persone divine diventa il concetto essenziale per rappresentarsi la S.ma Trinità. E questa "relazione" lo è di un "dialogo", struttura che l'uomo deve riprodurre nella sua esistenza, se vuole essere conforme allo "Amor di Dio": base teologica dell'ecumensimo conciliare.

Egli dice in conclusione "relatio subsistens", questo dobbiamo dire a proposito della Monotriade. Ora, questa formula è rivoluzionaria rispetto alla teologia tradizionale. Perché? Perché la "sussistenza", il sub-sistere, sin dalla definizione di Boezio era considerata implicita nella nozione stessa di Persona in quanto sostanza, non in quanto "relazione" - in quanto "sostanza individuale di natura razionale". Quindi, la persona "sussiste" solo in quanto sia sostanza e sostanza razionale individuale. Perciò, "persona subsistens" in quanto "substantia subsistens". Se invece ora vengo a dire "relatio subsistens" anche in relazione all'essere della divina Monotriade, fabbrico un concetto completamente nuovo che crea una confusione enorme perché eliminando la sostanza fa della sola relazione l'essenza stessa della S.ma Trinità.
Ma questo non è ammissibile e non solo perché non avrebbe più senso il principio (dogmatico) della consustanzialità (del Figlio con il Padre e con l'uomo, eccetto il peccato) ma anche perché la relazione lo è di che cosa? Proprio come concetto, essa non può sussistere da sola: presuppone l'essere (individuato come sostanza individua e razionale) di ciò che costituisce la relazione, dei suoi termini. Quello di Ratzinger non è qui un uso oculato del pensiero moderno per meglio intendere il dogma, è una resa a discrezione a questo stesso pensiero, portatore di una visione che tende al nichilismo. (Paolo Pasqualucci)

37 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono questi farlocchi fondamenti teologici che fanno dire a Ratzinger in “Introduzione al cristianesimo”:
"Se tuttavia nel nostro testo si afferma ancora che Gesù ha operato la redenzione col suo sangue (Eb. 9, 12), questo sangue non va inteso come un dono materiale, come un mezzo espiativo da misurarsi quantitativamente, bensì come la pura concretizzazione di quell’amore che ci viene additato come spinto fino all’estremo (Gv. 13, 1) [...] Stando così le cose, l’essenza del culto cristiano non sta nell’offerta di cose, e nemmeno in una certa qual loro distruzione, come dal secolo XVI in poi si può leggere sempre più insistentemente nei trattati teorici concernenti il sacrificio della messa, ove si afferma che proprio in questo modo bisogna riconoscere la suprema autorità di Dio sull’universo. Tutti gli sforzi fatti dal pensiero in questo senso sono ormai stati decisamente superati dall’avvento di Cristo, e dall’interpretazione che ce ne dà la Bibbia. Il culto cristiano si concretizza nell’assoluta dedizione dell’amore, quale poteva estrinsecarsi unicamente in colui, nel quale l’amore stesso di Dio si era fatto amore umano; e si esplica nella nuova forma di funzione vicaria [sostituzione] inclusa in questo amore: nel fatto che egli si è incaricato di rappresentarci e noi ci lasciamo impersonare da lui. Esso comporta pure che noi ci decidiamo una buona volta ad accantonare i nostri conati di auto-giustificazione".

Dunque ecco l'eresia ratzingeriana: sulla Croce, Cristo non ha offerto realmente il suo corpo e il suo sangue, e neanche la sua vita temporale, Egli ha offerto solo il suo «io» e la sua «persona» o il suo amore! E, così, la religione dell’espiazione si ritrova disintegrata nella religione del puro amore...
A.M.

Anonimo ha detto...

Espiazione vicaria

Dalla scuola di Anselmo di Aosta (e, in origine, dalla concezione agostiniana del peccato originale ereditario) è pervenuta al Cattolicesimo romano una comprensione della Crocifissione come pagamento di una punizione, un "riscatto" che Cristo soffrì al posto del genere umano, costretto alla schiavitù al male per virtù del peccato originale.

L'Ortodossia ha una visione assai differente della sofferenza di Cristo e della sua morte sulla Croce: queste ebbero come fine la sconfitta del diavolo e la distruzione del suo potere, la morte (in questo caso, l'unico "riscatto" è quello pagato alla tomba). L'umanità partecipa al riscatto dal diavolo e dalla morte attraverso la padronanza sulle passioni: le sofferenze salvatrici di Cristo vengono così inserite in una cornice di preghiera, pubblica e privata, digiuno (rinnegamento di sé) e obbedienza volontaria, di cui il monachesimo è l'espressione più evidente.

La visione occidentale dell'espiazione vicaria portò a notevoli mutamenti di percorso, con l'introduzione di elementi quali la punizione ecclesiastica dei peccati, le opere supererogatorie, e tutta la cornice giuridica del Purgatorio (q.v.).

Tutto l'edificio teologico del peccato originale e dell'espiazione vicaria (con la sua assoluta necessità di una soddisfazione infinita per un'offesa, e la sua concezione tutto sommato mondana e passionale di giustizia, quasi riconducibile alla vendetta) mette in serio dubbio la bontà di Dio. Può anche essere visto come un pericoloso sintomo di ritorno al paganesimo, con la necessità dell'Incarnazione pari alla Necessità che regolava gli atti degli dèi.
www.ortodossiatorino.net

Questo è uno stralcio pubblicato dalla Parrocchia ortodossa di Torino che evidenzia anche se male le profonde differenze tra noi e gli scismatici su questo punto così essenziale per la fede. Il documento elenca 99 differenze. Vale la pena veramente di leggersi la Mortalium Animos.

Anonimo ha detto...

Senza (l' intelligenza della) sostanza non c' è nemmeno la creazione (partecipatio entis); ma già era tutto accaduto nella filosofia moderna, da Spinoza (Dio, non più incausato ma "causa sui) a Hegel (Dio immanente alla storia). La teologia cattolica, temerariamente tentata da percorsi alternativi al tomismo, invece di trovare chissà quali "tesori", si è condannata a ripercorrere, con un secolo buono di ritardo, goffamente e tristemente quella medesima strada (che era logicamente caduta, come sappiamo, nell' ateismo). Il paradosso è che, nel Novecento quelle filosofie anti-metafisiche si stavano esaurendo, mentre il tomismo godeva di ottima salute ( Garrigou-Lagrange, Vanni-Rovighi, Gilson, Fabro, Tyn e diversi altri, anche in attività!), ma nel mondo cattolico qualcosa "andò storto" e a questa formidabile forza intellettuale fu preferito quell' antico errore; come fu possibile?

Anonimo ha detto...

Mi permetto di segnalare un testo che meriterebbe maggiore attenzione.
Si tratta di https://www.amazon.it/metafisica-percorso-speculativo-pedagogico-tomistico/dp/8846512324/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&crid=2QOGSE75YBM3G&keywords=Christian+Ferraro&qid=1674744107&sprefix=christian+ferraro%2Caps%2C114&sr=8-1

È un testo nello stesso tempo accessibile e molto profondo di un allievo di Padre Fabro. Contiene un’ottima trattazione dei maggiori temi della Metafisica classica in una prospettiva tomistica e fabriana. Andrebbe diffuso e letto il più possibile.

Unam Sanctam ha detto...

Il documento ne elenca 99, ma molte sono semplici differenze di costume, che convivevano già prima dello scisma. Le differenze fondamentale, in sè, sono poche, ma sostanziali, perchè determinano due modi completamente diversi di fare teologia: la speculazionr intellettuale vs. la contrmplazione esicasta, il magistero vs. la tradizione, etc.

Anonimo ha detto...


Sostanza e relazione nel dogma trinitario, ancora su Ratzinger.

Ratzingter tratta del tema, in forma più accessibile al pubblico di media cultura quali noi siamo, nel suo celebre "Introduzione al Cristianesimo", tr. it. Queriniana, dal 1969 in poi, studiato per decenni nei Seminari. Lo tratta al cap. V, pp. 121-146, "La fede nel Dio uno e trino". Il discorso a mio avviso non è chiarissimo: non sembra accettare le concezioni tradizionali e ne vuole uscire utilizzando categorie del pensiero moderno, fisica inclusa. In sé la cosa non è illecita (utilizzare categorie scientifico-filosofiche) bisogna vedere come viene fatta. Carica il discorso sul concetto di relazione.
Un passo che a mio avviso indica la via tortuosa nella quale ad un certo punto si immette è il seguente:
"[Sta parlando del concetto di persona, affiorata, nota, "durante lo sforzo d'interpretare la figura di Gesù di Nazareth", però non precisa che fu Boezio a fissarne il concetto, in polemica con l'eretico Eutiche, padre del monofisismo]. "In primo luogo era chiaro che Dio, considerato in via assoluta, è soltanto Uno, per cui non esiste una pluralità di principi divini. Una volta assodato questo, risulta ovviamente altrettanto chiaro che l'unità sta sul piano della sostanza; conseguentemente, la trinità di cui pur bisogna parlare, non va senz'altro cercata sullo stesso identico piano. Deve quindi trovarsi situata su un piano diverso, su quello della relazione, del "relativo"" (op. cit, p. 138).
È qui a mio avviso che il discorso si intorbida. Ora, andando a rivedere i manuali dogmatici di un tempo, si vede che nel dogma trinitario sono sempre state incluse "le relazioni delle Persone tra di loro" (B. Bartmann, Précis de théologie dogmatique, tr. fr., Salvator, 1951, vol. I, par. 55-57, pp. 238-245). Si tratta di un concetto complesso, applicato alla realtà della S.ma Trinità.
Ma, per quanto riguarda Ratzinger, la cosa assolutamente nuova e singolare è il suo tentativo di sostituire il concetto della relazione a quello della sostanza, facendo delle "relazione" l'elemento portanto della Monotriade.
Ora, nel passo appena citato, il concetto di sostanza si applicherebbe solo all'idea di Dio unico, unitario in se stesso; per giungere al Dio trinitario bisognerebbe invece porsi su un altro piano, quello della relazione, al di fuori del concetto della sostanza. Ma con questa separazione dell'un concetto dall'altro non viene a cadere l'impianto stesso del concetto della divina Monotriade? INfatti, Ratzinger sembra volerci dire che il concetto della sostanza è inapplicabile a quello della Trinità. E allora, per l'appunto, che cosa diventa "la consustanzialità del Figlio al Padre", lo "Io e il Padre siamo uno", del Vangelo di Giovanni? L'esser-in-relazione, da solo, non può fondare nessuna unità.
PP

Anonimo ha detto...

"La figliolanza divina di Gesù, secondo la fede ecclesiale, non poggia sul fatto che Gesù non abbia alcun padre terreno; la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano. Infatti, la figliolanza divina, di cui parla la fede, non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell'eternità di Dio: Dio è sempre Padre, Figlio e Spirito; il concepimento di Gesù non significa che nasce un nuovo Dio-Figlio, ma che Dio, in quanto Figlio nell'uomo-Gesù, attrae a sé la creatura uomo tanto da essere lui stesso uomo."

https://notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13113:2017-12-24-21-15-41&catid=459&Itemid=101

Anonimo ha detto...

Ammesso ma non concesso che la scienza moderna abbia dimostrato che la sostanza sia "una struttura di relazioni", come si può applicare tutto ciò a Dio senza cadere in una forma di panteismo?

Anonimo ha detto...

Un sacerdote spiegò l Unità e la Trinità di Dio facendo il segno di croce. Così, forse sbagliando, intesi la spiegazione: il sacerdote è uno, tocca la fronte /testa/parte nobile /Padre, tocca il petto/cuore/amore/Figlio, tocca le spalle/braccia /azione/Spirito Santo. Considerando che Dio è immenso, onnisciente, onnipotente, immensa, onnisciente, onnipotente è laSua parte nobile, immenso, onnisciente, onnipotente è il Suo cuore, immensa, onnisciente, onnipotente è laSua azione.

Anonimo ha detto...

Personalmente detesto queste speculazioni, delle quali non comprendo nulla, non avendo - grazie al Cielo - la 'preparazione' per comprenderle. Intuisco, tuttavia, dagli stralci qui riportati, come gli scritti di Ratzinger siano pericolosi, lontani dalla sana Dottrina Cattolica, la quale è da tutti comprensibile, sia pure, a volte, con un piccolo sforzo. Lo Spirito Santo, coi Suoi sette Santi Doni, viene mirabilmente in nostro aiuto. Buona meditazione della 'Imitazione di Cristo' !

tralcio ha detto...

Scrivere pagine e pagine per commentare un riquadro di dieci righe decontestualizzate è una scorrettezza. Sarebbe come dire, prendendo un passo a caso del vangelo, che Gesù (il Logos incarnato) fosse "impreciso", "confuso" o addirittura "pericoloso". Ma per favore...
Nel vangelo odierno è detto che Gesù usava le parabole più delle definizioni teo-logiche.
Ratzinger, ad esempio nel riquadro qui riportato in fotografia, parla di come la modernità abbia smarrito il concetto di sostanza inseguendo la scienza (atomi e molecole), per poi paradossalmente scoprire che anche la grammatica del creato dice la stessa Volontà di Dio.
Che poi per essere in relazione ci voglia una sostanza è un'ovvietà.
Ma un Dio Padre per forza di cose è in relazione con i figli.
Nella parabola del "figliol prodigo" è tutto molto chiaro.
Un figlio ragiona come se il padre fosse morto e si fa dare la parte dell'eredità.
Esce e vive come cavolo gli pare, finendo in miseria.
La miseria lo purifica e ritorna in sé, ricordando la vita nella casa del padre.
Torna a casa pentito, ma trova il padre che lo accoglie festoso, correndogli incontro.
L'altro fratello, in casa, si adonta della festa, perché per lui stare già lì non è gioia.
Quante relazioni ci sono in gioco in queste tre "sostanze"?
Le tre "sostanze" (padre, figlio di casa e figlio di ritorno) si dicono in tali relazioni?
O si dicono solo nella loro sostanza?
Per favore, lasciamo stare Ratzinger... Che nel riquadro non dice eresie, ma verità!

Anonimo ha detto...


# Tralcio, ratzingeriano di ferro, nonostante l'evidenza...

Il parallelo con la parabola del Figliol Prodigo appare fuori contesto.
Il testo di Ratzinger riportato nel riquadro non è fuori contesto. Ratzinger vi riassume quanto detto da lui in modo più ampio ma sostanzialmente identico in diversi suoi scritti anteriori.
Ho infatti citato il cap. V del suo famoso 'Introduzione al cristianesimo'. Il testo di Kasper da me riportato rimanda in nota, oltre alla 'Introduzione al cristianesimo', ad un altro suo di Ratzinger saggio: 'Zum Personverstaendnis in der Thelogie'[Per la comprensione della persona nella teologia].
Prima di accusare gli altri di scorrettezza bisognerebbe forse farsi un piccolo esame di coscienza.
Nessuno ce l'ha con Ratzinger. Ma, come ha detto e ripetuto san Paolo, dobbiamo essere sempre fedeli al Deposito della verità rivelata, e cercare di esserlo anche quando tanti e troppi pastori vi si dimostrino infedeli.
La discussione sul giusto concetto della S.ma Trinità è difficile. Ma qui non si cercano cose nuove, si cerca solo di difendere la tradizionale autentica dottrina, deformata da troppi -ismi di innovatori di tutti i tipi. Ora, la visione di Ratzinger sembra in funzione del "dialogo", dell'ecumenismo, porta fatalmente ad oscurare i Novissimi, si incentra sul "Dio è amore" dimenticando tutto il resto, a cominciare dal giusto Giudizio che graverà su di noi appena morti. Questa visione ha riaperto la porta al cristianesimo sentimentale, latitudinario, caramelloso dei modernisti d'un tempo.
In ogni caso, non è su di essa che possiamo fondarci per cercare di resistere alla tempesta.
PP

tralcio ha detto...

Ringrazio per la cortese risposta.

Resta il fatto che un capolavoro come Spe salvi non sia stato compreso.

Per cui ci sta anche il resto...

Anonimo ha detto...

Dio non ha creato l uomo per socializzare. Era perfettissimo per conto suo. Forse, sul piano umano, può aiutare a comprendere la figura dell eremita. Figura oggi vagheggiata solo da chi ha compreso.

Anonimo ha detto...

Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell'altra in Paradiso.
Quindi in un certo modo per relazionarci a Lui. Senza smettere di essere Perfettissimo.
Solo che noi siamo duri di comprendonio per effetto del peccato originale.
La Madonna, voluta da Dio esente da questo, ha semplicemente detto sì per essere madre di Dio!
Ma pensa... Addirittura sceglie una creatura umana per madre e poi si incarna in un uomo!
Sicuramente questo non è banalizzabile in un "socializzare": ma relazione lo è!!!

Anonimo ha detto...

Ma quella donna è prima di tutto Maria (sostanza), esistente grazie a un atto creativo (relazione), certamente, ma Gesù s' incarna in lei, non in quell' atto creativo.

Anonimo ha detto...

Ha detto sì: è relazione. Allora il Verbo (Dio) si incarna in lei (donna-sostanza).
Non li si può separare. Senza il fiat non c'era il resto. E Dio (Dio!) l'ha atteso da lei!

Anonimo ha detto...

Faccio un paragone forse un po' forte: il feto per alcuni non è PERSONA, ma un GRUMO DI CELLULE. In questo caso la madre sostanza-persona sarebbe autorizzata a liberarsi di questa sostanza-non-persona senza doversi macchiare di omicidio. Se non che il grumo-di-cellule contiene già in sé tutto il necessario per diventare persona.
Tra le sostanze c'è già relazione, la stessa che proseguirà tutta la vita tra madre e figlio. Ma in un caso la non-relazione (il ritenere il grumo una non-persona) autorizza l'interruzione del processo dinamico del concepito che diventa persona.
Chi separa (il diritto, la legge) forza clamorosamente la realtà (e la conoscenza), fino a chiamare con un altro nome (ovattato, spendibile) la soppressione di una vita e la tragica circostanza che a volerlo ed autorizzarlo sia la stessa madre!
Capite l'obbrobrio al quale può arrivare il separare sostanza e relazione?
Anche le esse-esse agivano giustificate dagli ordini: è la banalità del male.
In Dio, che non è banale ed è Massimamente Bene, relazione e sostanza non sono separabili!
Nessuno meglio di una mamma (non intontita dalle Emma Bonino) lo può sapere.

Anonimo ha detto...


# Un "capolavoro" come Spe Salvi non è stato compreso?

Questione di punti di vista. A me sembra quell'Enciclica un capolavoro di ambiguità in alcuni concetti essenziali.
Sembra approvare la teoria di de Lubac, che viene lodato, sulla salvezza comunitaria che sarebbe propria del Cristianesimo e che nessuno avrebbe capito bene come de Lubac. Cosa significhi salvezza comune o comunitaria resta del tutto incomprensibile, in base agli esempi portati nel testo. Inoltre, si accuserebbe di "egoismo" il cattolico che si preoccupasse solo della sua salvezza individuale. Ma il vero cattolico non è quello che prega anche per gli altri, per i peccatori, per i suoi nemici personali etc? Cosa ci sarebbe di "egoistico" nell'opera della propria santificazione individuale quando non la si può conseguire se non si ama il prossimo come se stessi, per amor di Dio?
Inoltre, quell'enciclica oscura alquanto i Novissimi. Sembra mettere il ricco Epulone della famosa parabola al Purgatorio quando tutta la Tradizione l'ha sempre messo all'Inferno. Sembra anche intendere che il giudizio dopo la morte è anch'esso un luogo di speranza. Come possa esserlo, un giudizio senza possibilità di difesa, inappellabile e che vale in eterno, non si capisce. E l'eternità delle pene infernali viene forse da Ratzinger ribadita assieme alla divisione finale del mondo il Eletti e Reprobi, sparita dalla predicazione della Chiesa sin dal Concilio e presso alcuni forse anche prima? Spe salvi sembra voler eliminare il "timor di Dio".
Certo, c'è la critica al relativismo del mondo moderno, alla crisi dei valori dominante. Ma questa critica, che valore ha da un punto di vista cattolico, se poi non è inquadrata nella prospettiva trascendente, salvifica in senso escatologico, tipica del vero Cristianesimo? Questa critica alla presente dissoluzione dei valori resta valida ma solo sul piano umano. È una critica che hanno fatto e fanno anche intellettuali laici. Anzi, a mio avviso, la critica alla dissoluzione dei valori fatta da Augusto Del Noce negli anni Settanta è più profonda di quella di Ratzinger. Tanto per nominare un filosofo cattolico, peraltro sempre tenuto ai margini.
Il fatto è che poi le oscurità e lacune teologiche di Ratzinger scompaiono, agli occhi di molti, nel gran calderone del "Dio è amore", una formulazione che tende a risolvere il cattolicesimo nel sentimento della bontà di Dio che tutti perdonerebbe senza (forse) mandare all'Inferno nessuno. E chi ci andrebbe all'Inferno, allora? Solo i grandi peccatori: siamo ritornati al paganesimo, che contemplava un luogo di eterna dannazione (il Tartaro) per i grandi, inespiabili crimini.
Ma quelli che insistono ad innalzare Ratzinger ad autentico Defensor Fidei, l'hanno letta la sua "Introduzione al Cristianesimo"? Un testo che per decenni è stato imposto nei Seminari, accessibile a tutti.
Se non l'hanno letto, allora stiamo sempre a discutere senza la necessaria documentazione.
PP

Anonimo ha detto...

Sembra che qualcuno fatichi a capire che Ratzinger non parlava di sostanza E di relazione.
Ratzinger NEGAVA la sostanza, SOSTITUENDOLA con la relazione.
Ciò è teologicamente inaccettabile e può condurre a derive filosofico-teologiche aberranti.
Certo che esiste la relazione, ma, contrariamente al pensiero ratzingeriano, esiste ANCHE la sostanza.
Inoltre senza sostanza non può esistere alcuna relazione.

Anonimo ha detto...


Riflettiamo bene sul passo di Ratzinger riportato da Mic.

La sua tesi è: poiché la scienza ha dimostrato (avrebbe dimostrato, ma lasciamo perdere) che la realtà non si può più spiegare in termini di sostanza ma solo in termini di "relazione" allora la teologia deve adeguarsi. Egli sembra fare una specie di calco: se la realtà sensibile è relazione, allora anche la Monotriade deve esser concepita come relazione. Ossia, la qualità della relazione tra le tre Persone divine diventa il concetto essenziale per rappresentarsi la S.ma Trinità. E questa "relazione" lo è di un "dialogo", struttura che l'uomo deve riprodurre nella sua esistenza, se vuole essere conforme allo "Amor di Dio": base teologica dell'ecumensimo conciliare.

Egli dice in conclusione "relatio subsistens", questo dobbiamo dire a proposito della Monotriade. Ora, questa formula è rivoluzionaria rispertto alla teologia tradizionale. Perché? Perché la "sussistenza", il sub-sistere, sin dalla definizione di Boezio era considerata implicita nella nozione stessa di Persona in quanto sostanza, non in quanto "relazione" - in quanto "sostanza individuale di natura razionale". Quindi, la persona "sussiste" solo in quanto sia sostanza e sostanza razionale individuale. Perciò, "persona subsistens" in quanto "substantia subsistens".
Se invece ora vengo a dire "relatio subsistens" anche in relazione all'essere della divina Monotriade, fabbrico un concetto completamente nuovo che crea una confusione enorme perché eliminando la sostanza fa della sola relazione l'essenza stessa della S.ma Trinità.
Ma questo non è ammissibile e non solo perché non avrebbe più senso il principio (dogmatico) della consustanzialità (del Figlio con il Padre e con l'uomo, eccetto il peccato) ma anche perché la relazione lo è di che cosa? Proprio come concetto, essa non può sussistere da sola: presuppone l'essere (individuato come sostanza individua e razionale) di ciò che costituisce la relazione, dei suoi termini.
Quello di Ratzinger non è qui un uso oculato del pensiero moderno per meglio intendere il dogma, è una resa a discrezione a questo stesso pensiero, portatore di una visione che tende al nichilismo.
PP

Anonimo ha detto...

Mi dispiace, ma il diritto dell' embrione non deriva in alcun modo da una relazione, bensì dal suo essere sostanza distinta dalla madre (hanno due forme sostanziali, ovvero anime: una per ciascuno)

Anonimo ha detto...

A mio avviso la parola più indicata per indicare questi scambi tra esseri razionali è rapporto, parola che riecheggia matematica, che non è un opinione, statistica e numero.

Anonimo ha detto...


Le relazioni e le persone divine secondo la teologia dogmatica accettata dalla Chiesa sino al Vaticano II. Cito dal Manuale di teologia dogmatica (Grundriss der Dogmatik) di Ludwig Ott, tr. fr., Salvador, 1955, pp. 105-108.

Concetto di relazione.
Con il termine di relazione si intende il rapporto di una cosa con un'altra (respectus unius ad alterum - S.Th., I, 28, 3). Alla nozione di relazione appartengono tre elementi: 1. il soggetto (subiectum). 2. il termine (terminus). 3. il fondamento (fundamentum) della relazione. L'essenza della relazione consiste nel rapporto con l'altro (esse relativi est ad aliud se habere - S.Th, I, 28, 2). Si distinguono delle relazioni reali e logiche, reciproche ed unilaterali. Tra il soggetto e il termine di una relazione esiste un'opposizione relativa.

Le nozioni di ipostasi e persona.
Il magistero ecclesiastico impiega per spiegare il dogma trinitario i termini filosofici : essenza, natura, sostanza, ipostasi e persona. Vedi il cap. Firmiter del IV Conc. Later (1215): Tres quidem personae, sed una essentia, substantia seu natura simplex omnino. I termini essenza, natura e sostanza designano l'essenza fisica di Dio comune alle tre persone, ossia l'insieme delle perfezioni divine essenziali. L'ipostasi è una sostanza individuale, completa, esistente totalmente per se stessa (substantia singularis completa tota in se, ovvero substantia incommunicabilis). La persona è una ipostasi razionale (hypostasis rationalis). A Boezio si deve la definizione classica (De duabus naturis, III): Persona est naturae rationalis individua [=incommunicabilis] substantia. L'ipostasi e la natura si comportano tra loro in modo tale che l'ipostasi è il supporto della natura e il soggetto ultimo di tutto l'essere e di ogni attività (principium quod), mentre la natura è il principio in virtù del quale l'ipostasi esiste e agisce (principium quo).

IL rapporto delle relazioni con le persone.
Le tre relazioni opposte l'una all'altra di paternità, filiazione e di spirazione passiva [dello Spirito Santo] sono le tre ipostasi o persone divine. La paternità costituisce la persona del Padre, la filiazione costituisce la persona del Figlio, la spirazione passiva la persona dello Spirito Santo.
Alla nozione di persona appartengono la sostanzialità e l'incomunicabilità (perseità = l'esser per sé in senso assoluto - PP). La sostanzialità appartiene alle relazioni divine, poiché esse sono realmente identiche all'essenza divina : quidquid est in Deo est eius essentia (S.Th, I, 28, 2). L'incomunicabilità non appartiene che alle tre relazioni opposte della paternità, della filiazione e della spirazione passiva (la spirazione attiva è comune al Padre e al Figlio); pertanto, le due caratteristiche essenziali del concetto di persona si applicano solo a queste tre relazioni. La persona divina è quindi una relazione sostanziale e immediata in Dio. Cfr. S. Th, I, 29, 4 : persona divina significat relationem ut subsistentem".

Commento: una cosa noi non teologi possiamo dire: si vede chiaramente che tra sostanza e relazione il nesso è strettissimo, inscindibile.
PP

Anonimo ha detto...


Ancora sulla citazione di Ratzinger. Il nuovo compito della filosofia cattolica.

C'è un ulteriore aspetto su cui riflettere, che dimostra come il passo riportato non sia affatto "fuori contesto" rispetto al pensiero dello scomparso. Infatti, egli afferma che la filosofia cristiana ha un "nuovo compito", che è quello di far proprio, adottare il concetto della "relazione", della realtà come "struttura di relazioni" professato dalla scienza e in sostanza dalla fisica moderna e contemporanea.
Questo concetto dovrebbe valere come concetto guida anche per la teologia, evidentemente. Siamo qui all'indicazione di un programma, alla auspicata inaugurazione di un indirizzo di pensiero.

Ma se andiamo a vedere come la scienza intende questa "struttura di relazioni", cosa troviamo? Il regno dell'indeterminazione, il dissolversi della realtà fisica concreta nel mondo nebuloso dei quanti di energia elementare. Un mondo di "interazioni" e quindi di "relazioni" tra stati quantici, che non dà in nessun modo ragione dell'esistenza della materia bella, formata, compiuta negli enti, dall'ameba all'uomo, dall'uomo alla terra, da questa alle stelle...

"Le equazioni della meccanica quantistica e le loro conseguenze vengono usate quotidianamente da fisici, ingegneri etc. Eppure restano misteriose: non descrivono cosa succede ad un sistema fisico ma solo come un sistema fisico viene percepito da un altro sistema fisico. Che significa? che la realtà essenziale di un sistema è indescrivibile? Significa solo che manca un pezzo alla storia? O significa, come a me sembra, che dobbiamo accettare l'idea che la realtà è solo interazione?" (C. Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, 2014, p. 29).
Interazione è relazione. "Dove sono questi quanti di spazio? Da nessuna parte. Non sono in uno spazio perché sono essi stessi lo spazio. Lo spazio [ritenuto pieno di materia e curvo dagli einsteiniani] è creato dall'interagire da quanti individuali di gravità. Ancora una volta il mondo sembra essere relazione, prima che oggetti" (ivi, p.. 51).
I "quanti di gravità" o "gravitoni" sono allo stadio solo pura teoria. E gli ultimi sviluppi dell'astrofisica hanno dimostrato che sulle distanze cosmiche lo spazio è "flat" ossia piano, euclideo onde l'ipotesi dello spazio curvo non regge più, non esistono "grani di spazio". Ma a prescindere qui da quest'aspetto.
Risulta dalle "lezioni" del prof. Rovelli, stimato fisico teorico, che il mondo fisico inteso come "relazione" o struttura di relazioni è un mondo in cui la realtà specifica e determinata dell'ente, del soggetto finito costituito di materia secondo una forma articolata da leggi geometriche e matematiche, q u e s t a inoppugnabile realtà viene a dissolversi, risultando quindi inspiegabile.
Bisogna liberarsi delle illusioni create, certamente in buona fede, da Ratzinger e tornare a dare alla "filosofia cristiana" un fine conforme alla recta ratio e al senso comune, cominciando dalla doverosa critica alle categorie o pseudo-categorie delle quali si serve oggi la scienza.
PP

Anonimo ha detto...

Con tutto il bene che voglio alla ragione e alla filosofia, o mi fermo un passo prima di Dio o mi ritengo io "dio". Tutte le spiegazioni sulla Santissima Trinità sono utili e opportune, ma devono fermarsi ad aiutare un discepolo alla meraviglia e all'adorazione, senza farne un teorema. Pertanto chi chiude all'Oltre, fermandosi alla ratio per forza di cose può condannare il musicista che suona una nota fuori dallo spartito, anche se non è affatto stonata.
La musica non è dello spartito o del direttore d'orchestra, ma dell'Autore.
Così con sette sole note da millenni si producono musiche diversissime, con vari strumenti.
Sette note come sette sono i doni dello Spirito, i giorni della settimana, i Sacramenti...
San Bonaventura conclude l'itinerario della mente in Dio con qualche raccomandazione.

E' quando l'anima è al cospetto del mistero, l'unione con Gesù.

In questo passaggio, però, perché esso sia perfetto, è necessario che tutte le attività intellettuali siano lasciate da parte e che il culmine dell'affetto si porti e si trasformi interamente in Dio.

Se, poi, ti domandi come ciò avvenga, interroga la grazia, non la dottrina; il desiderio,
non l'intelligenza; il gemito della preghiera, non lo studio e la lettura; lo sposo, non il maestro; Dio, non l'uomo; la tenebra, non la luminosità; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e che trasporta in Dio con lo slancio della compunzione e l'affetto più ardente. Dio è questo fuoco e il suo focolare è in Gerusalemme...

Anonimo ha detto...

@ Tralcio

Spe salvi
Fides et ratio
Dominus Jesu
bastano, se si fa un piccolo sforzo per capire, altrimenti ognuno disputa per conto proprio senza interlocutorio. Grazie per i suoi interventi.

Anonimo ha detto...


Repliche.

- "tutte le spiegazioni sulla S.m Trinità sono utili e opportune ma devono fermarsi ad aiutare un discepolo alla meraviglia e all'adorazione, senza farne un teorema. Pertanto chi chiude all'Oltre, fermandosi alla ratio per forza di cose può condannarre il musicista che fuori una nota fuori dello spartito, anche se non è affatto stonata.."
Qui forse c'è un equivoco da chiarire. Le "spiegazioni sulla S.ma Trinità", costruite con gli strumenti della metafiscia classica hanno contribuito a fondare i dogmi di fede della dottrina trinitaria. Si sono incarnate nel dogma della fede. Chi cerca di eliminare il concetto della sostanza dalla visione della Trinità, rischia quindi di attentare al dogma trinitario, offrendo come fa una nozione nuova ed insufficiente del dogma stesso, deficitaria. Capito cosa c'è in gioco in queste dispute apparentemente accademiche?
Non si tratta solo di "aiutare un discepolo ad adorare senza farne un teorema". Che significa, "senza farne un teorema"? L'espressione è oscura. E il "musicista" che suona fuori dello spartito, e senza stonare, chi sarebbe, Joseph Ratzinger?
Alle contestazioni basate sui testi ed esposte in modo ragionato, i ratzingheriani rispondono per immagini, facendo leva sul sentimento e sulla necessità di aprirsi "all'Oltre", rifugiandosi in sostanza nell'irrazionale. Non entrano praticamente mai nel merito. Del resto, a ben vedere, come potrebbero? Ad una critica dottrinale precisa certe posizioni dello scomparso si dimostrano indifendibili.

-- Inoltre, hanno sempre in bocca l'espressione "Dio è amore" (ce l'hanno anche i cattolici multicolori) però raramente sanno resistere alla tentazione di offendere: "Spe salvi..Dominus Jesu bastano, se si fa un piccolo sforzo per comprendere.." L'avversario nella disputa sarebbe sempre scemo, quello che non comprende o non vuole comprendere. Questo è certamente un argomento-chiave per chiudere una disputa, derimente no? L'argomento-chiave per chiuderla senza entrare mai nel merito, come d'uso.
PP

Anonimo ha detto...

Concordo in pieno sul fatto che i ratzingeriani, non avendo argomenti validi, attribuiscono livore, cattive intenzioni e ignoranza a chi ha avuto l'unica "colpa" di informarsi più di loro e di accettare la realtà, per quanto triste essa possa essere.
Non si fermano neppure di fronte ai dogmi.
Per quel che riguarda San Bonaventura si possono dire due cose:
1) La santità non è incompatibile con l'errore.
2) Tutto ciò che ha detto lo si può applicare benissimo alle speculazioni ratzingeriane, che senza alcuna prudenza e SFIORANDO IL PANTEISMO, vorrebbero contraddire la metafisica cattolica per descrivere Dio basandosi su ragionamenti tratti da leggi fisico-matematiche.

Anonimo ha detto...

Gentile Professore,
a mio parere, la vaghezza imperante dipende da una diffusione ormai importante dell esoterismo. Dal 68 carovane di giovani sono andati in Oriente, venendo in contatto con le più svariate filosofie e pratiche. Chi poi è tornato ha continuato il suo percorso cercando i suoi simili. Questo per dire che in 50 anni esoterismo e le varie psi cologie molto hanno seminato dei loro metodi nel linguaggio e nell approccio alla interiorità. Certo già da prima, da molto prima molti europei era andati In Oriente, mercanti missionari viaggiatori, ma dagli anni sessanta del secolo scorso fu quasi un esperienza di massa. Ho quasi la certezza che in qualche modo questo fiume apparentemente sotterraneo sia confluito entrò il nostro del concetto e della logica.

Anonimo ha detto...


Il diffondersi dell'esoterismo ha sicuramente contribuito.
Dovuto anche alla valutazione positiva delle altre religioni cominciata con il Vaticano II (Nostra aetate, p.e.). Aiutata dagli scritti di vari teologi in odor di eresia, come de Lubac, che nel 1951 pubblicò "Aspects du Bhouddisme", un libro dove, come al solito, diceva e non diceva, perennemente ambiguo. Ma intanto apriva una porta.
Al pellegrinaggio in Oriente partecipavano anche preti.

Un'esperienza personale. Circa 30 anni fa, in villeggiatura, mi capitò di parlare di religione con una coppia di commercianti romani, marito e moglie, cattolici molto seri, che cercavano di dare un fondamento anche culturale alla loro fede. Ad un certo punto si venne a parlare dell'immortalità dell'anima ed io criticai a fondo la dottrina della trasmigrazione delle anime, incompatibile con il cristianesimo. Grande stupore dei due. Ma come, dissero, la Chiesa non accetta questa dottrina? Nooo, feci io, quando mai! E a voi chi ha messo in testa questa falsità? Ce l'ha insegnata un gesuita, mi dissero, che era stato per un certo tempo in India, uno che sapeva tutte queste cose...
PP

Anonimo ha detto...

Certamente in Hegel c' è , limitata ma esplicita, una simpatia per il panteismo indù; tuttavia suggerisco di considerare anche la cattiva lettura di s.Tommaso: se si leggono le poche(!) righe che Heidegger dedica al tomismo in "Essere e Tempo" si comprende quanto uno dei più influenti pensatori del '900 avesse capito dell' Aquinate: proprio nulla!

Anonimo ha detto...

Sì anche io ho testimonianza del ruolo dei gesuiti nel mischiare riti e religioni.

Anonimo ha detto...

Aitempi ipotizzati che forse L Oriente era arrivato conoscere parte del mondo sottile attraverso tecniche che non erano legate strettamente alla morale, mentre L'Occidente, il Cattolicesimo, attraverso la Grazia effusa su chi amava ed ubbidiva a Dio, Uno e Trino.

Gederson Falcometa ha detto...

"Dalla scuola di Anselmo di Aosta (e, in origine, dalla concezione agostiniana del peccato originale ereditario) è pervenuta al Cattolicesimo romano una comprensione della Crocifissione come pagamento di una punizione, un "riscatto" che Cristo soffrì al posto del genere umano, costretto alla schiavitù al male per virtù del peccato originale"".

L’idea dell’espiazione vicaria trova fondamento nelle fonti di rivelazione e nelle padri della Chiesa (latini e greci), come spiega P. Edoardo Hugon, O.P. negli articoli:

”La redenzione considerata come sacrificio - Il sacrificio de Jesus Cristo - Prima Parte”
http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/11/Hugon_sacrificio_I.html

”La redenzione considerata come sacrificio - Il sacrificio de Jesus Cristo” - Seconda Parte”
http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/11/Hugon_sacrificio_II.html?i=1

Questa era una dottrina comune tra latini e greci, molto prima di Sant’Anselmo de Aosta, come se può leggere dai Padri citati nel secondo testo:

“I Padri Apostolici, non contenti di attribuire al Salvatore il titolo di pontefice e di sommo sacerdote, professano che la passione è un sacrificio e che la Sua carne è stata offerta come vittima.
San Giustino vede la figura del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo nell'immolazione del capro espiatorio, e sant'Ireneo nell'immolazione di Isacco; oblazione efficacissima, aggiunge san Giustino, perché il sangue di Gesù Cristo purifica coloro che credono in Lui.
A dire di Clemente d'Alessandria, il Cristo è la vittima perfetta, e dal Suo sacrificio derivano su di noi gli effetti più abbondanti.
Allo stesso modo anche per Origene Gesù è l'agnello immolato il cui sacrificio possiede un valore di propiziazione e d'espiazione per le offese del mondo intero: sacerdote come l'attestano i Salmi e l'Epistola agli Ebrei; vittima, come affermano tutte le Scritture, Egli opera, a questo duplice titolo, la remissione dei peccati.
Sant'Atanasio, per far meglio risaltare il dogma della soddisfazione vicaria, spiega che era necessaria una compensazione penale, un'immolazione cruenta: ecco perché il Verbo ha preso un corpo passibile e mortale che ha offerto a Dio come un'ostia immacolata, come un sacrificio purissimo, e con questa accettazione volontaria della morte ha strappato gli altri ad una morte assai ben meritata.
San Gregorio di Nissa, contemplando in Gesù la vittima offerta per i nostri peccati, riconosce a questa immolazione un'efficacia espiatoria, perché Gesù è la nostra propiziazione nel suo sangue; ed un'efficacia satisfattoria perché il sacerdote immacolato e perfetto si offre Lui stesso in nome dell'umanità e si fa riscatto di tutti gli uomini.
Eusebio espone la teoria del sacrificio antico in cui la vita degli animali era scambiata con l'anima dei peccatori; poi ne fa l'applicazione al sacrificio dell'Agnello senza macchia che prende su di sé il nostro castigo ed espia al nostro posto.
Anche San Gregorio di Nazianzo vede in Gesù Cristo la grande vittima che lava tutte le sozzure; e, geloso della dignità del sacrificio cristiano, rimprovera a Giuliano l'Apostata di osare opporgli i sacrifici pagani. Che può il sangue di tali vittime in confronto al sangue divino che ha purificato il mondo intero?
San Crisostomo insiste sulla meravigliosa efficacia di questo sacrificio: esso è unico, è stato offerto solo una volta e tuttavia continua ancora senza posa a giustificare gli uomini. Se i sacrifici dell'antica legge dovevano ripetersi, ciò era a causa della loro imperfezione: quello di Cristo è perfetto, ed ecco perché questa unica oblazione ci santifica per sempre.

Gederson Falcometa ha detto...

Il sangue di tutte le vittime riunite non era sufficiente, esclama san Cirillo d'Alessandria, per espiare i peccati di tutti gli uomini; ecco perché Gesù Cristo ha preso su di sé in qualche modo i peccati di tutti e si è fatto vittima per tutti.
— Poiché nessuno, conclude san Giovanni Damasceno, nessuno era in grado di offrire un sacrificio per noi, Gesù Cristo, mosso da pietà per la nostra sorte, si è costituito nostro pontefice al fine di espiare lui stesso per i nostri peccati.
La Chiesa Latina ha sempre affermato la propria fede in questo dogma, e con non meno energia della Chiesa Greca. — Era necessario, dice Tertulliano, che il Cristo divenisse il sacrificio universale per tutte le nazioni, lui che si è lasciato immolare come un agnello privo di difesa. Egli si è dunque fatto ostia per noi tutti; e fu la volontà del Padre ad averlo stabilito sacerdote e vittima.
— Sovrano Sacerdote di Dio, soggiunge san Cipriano, si è offerto per primo in sacrificio, e ci ha comandato di rinnovarne il ricordo sull'altare.
Sant'Ambrogio considera la morte del Salvatore un sacrificio completo: espiazione per i peccati significata dall'immolazione del capro espiatorio; vittima immacolata, significata dall'immolazione dei vitelli e dei giovenchi. Il Suo sangue così versato ha lavato tutte le sozzure, cancellato tutti i crimini dell'universo.
Sant'Agostino ha condensato i vari insegnamenti patristici in questa sintesi vigorosa:  «Prendendo la forma dello schiavo, Egli è divenuto il vero mediatore tra Dio e gli uomini, lui che è l'Uomo-Cristo, Gesù.
Sebbene per la Sua natura divina Egli riceva il sacrificio come il Padre, con il quale è un solo Dio, ha preferito, nella sua natura di schiavo, essere sacrificato piuttosto che ricevere il sacrificio, affinché nessuno potesse avere il pretesto di credere che il sacrificio possa essere offerto a una creatura. Così Egli è sacerdote, sacrificatore e sacrificato. Ha voluto che il ricordo della Sua immolazione fosse rinnovellato ogni giorno nel sacrificio della Sua Chiesa, l'augusta sposa che, essendo il corpo di questo Capo immortale, impara ad immolarsi per mezzo di Lui. Questo vero e proprio sacrificio è stato significato dai diversi sacrifici dei santi dell'antica alleanza. Unico ed indivisibile, era però figurato da molteplici riti, come una sola e medesima realtà che bisognasse esprimere con numerose parole affinché la varietà dell'elogio, impedendo allo spirito di rilassarsi, ne facesse apprezzare meglio il valore. Ecco il supremo e vero sacrificio, al quale tutti i falsi sacrifici hanno ceduto il posto.»
Questo sacrificio possiede un valore espiatorio perché ha «purificato, abolito, estinto tutto ciò che vi era in noi di colpa»; possiede anche il valore propiziatorio e quello dell'ostia pacifica perché «il vero e unico Mediatore, per mezzo del suo sacrificio di pace, ci ha riconciliati con Dio»
Queste medesime idee sono espresse con eguale eloquenza da san Leone: «Che i doceti ci dicano, esclama, qual'è il sacrificio che li ha riconciliati, qual'è il sangue che li ha riscattati! Chi è dunque colui che si è consegnato lui stesso come un'offerta ed un'ostia di soave odore? Vi fu mai un sacrificio più augusto di quello offerto dal nostro vero Pontefice sull'altare della croce per mezzo dell'immolazione della Sua carne? Sebbene la morte di parecchi santi sia stata preziosa agli occhi del Signore, mai però il martirio di un innocente ha potuto essere un sacrificio di propiziazione per il mondo. I giusti hanno ricevuto molte corone, ma non avrebbero potuto dare; la forza ed il coraggio dei credenti sono stati esempi di pazienza, ma non hanno conferito il dono della giustizia. Ciascuno moriva per sé e nessuno regolava con la sua morte i debiti degli altri: uno solo ha pagato, Nostro Signore Gesù Cristo, nel quale tutti sono stati crocifissi, tutti sono morti e sepolti, ed anche risuscitati.»

Gederson Falcometa ha detto...

San Gregorio Magno mostra che per espiare le iniquità del mondo intero era necessaria l'immolazione di una vittima ragionevole, interamente innocente; e, siccome tutti i mortali erano colpevoli, il Figlio di Dio ha dovuto prendere la natura umana senza prenderne la colpa. «Egli si è fatto così sacrificio per noi, Egli ha offerto per i peccati il Suo corpo come vittima senza macchia, che possedeva l'umanità per morire e la santità per purificarci».
San Tommaso, raccogliendo come in un fascio i molteplici dati della Tradizione, spiega, con rigore teologico e con una precisione che sarà definitiva, come il Cristo è sacerdote e come la Sua morte sulla croce ha avuto tutte le caratteristiche e prodotto tutti gli effetti del sacrificio”.


Falsa, quindi, la tesi secondo la quale l'idea di un sacrificio espiatorio sia iniziata solo con Sant'Anselmo. Il santo di Aosta ha solo promosso un approfondimento di quanto già si trovava sia nelle scritture che nella tradizione. Sono sicuro che C.S. Lewis, l'autore protestante delle Cronache di Narnia, non conosce Sant'Anselmo, ma trasmette la stessa idea in quest'opera.

Il problema risiede nel metodo investigativo della Nouvelle Théologie, cioè se prende una dottrina sviluppata e se ritorna alle sue prime fasi di sviluppo, non presentano una visione globale (il suo rapporto con le fonti della rivelazione e con i Padri della Chiesa) per fare passare la propria interpretazione. È lo stesso osservato nella tesi di Ratzinger sulla falsa Chiesa bipartita di Tyconio.Questo metodo della Nouvelle Théologie va denunciato, perché è lo stesso che è stato ed è utilizzato nell'interpretazione dei testi conciliari.