Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 27 gennaio 2023

Munus, ministerium e amenità varie. Breve confutazione di alcune teorie insostenibili.

Qualche anno fa abbiamo pubblicato un articolo degli americani John Salza e Robert Siscoe, che sviscerava abbastanza la questione: “Francesco o Benedetto: chi è il vero papa?" [qui]. 
Ora ricevo dall'Avv. Carlo Schena un contributo di Robert Siscoe estremamente sintetico che risolve nei termini più semplici possibili la vexata quaestio di munus e ministerium che, dopo anni e anni (ripetutamente sviscerata: vedi), è venuta a nausea; ma resta ferma l'utilità di renderlo disponibile al pubblico italiano, considerando che tanti, troppi, seguono (fino allo scisma) le tesi di Minutella e di Cionci. 
Ne sono seguite due risposte da parte di p. Paul Kramer (ormai da anni Beneplenista) e di un tale professore spagnolo, Saez; e una replica da parte di Siscoe, molto più corposa dello scritto originario, ripresa in successione. Entrambi i testi sono preceduti da un utile schema riepilogativo.
Penso che i contributi di Robert Siscoe - già apparsi su Stilum Curiae - per chiarezza metodologica e argomentativa, siano molto utili a diradare quell’ombra di dubbio che da parte mia (e forse di tanti altri) si possa ancora nutrire: uno dei punti che Siscoe chiarisce inconfutabilmente è, infatti, che munus e ministerium per il diritto canonico sono sinonimi, termini perfettamente interscambiabili. 
Segnalo per completezza che sullo stesso tema è uscito proprio in questi giorni un contributo di Guido Ferro Canale, sulle pagine di Radio Spada. Similmente al testo proposto di seguito, contribuisce a smontare definitivamente la querelle munus e ministerium, che tanto danno ha fatto alla Chiesa (con una combriccola che si dovrebbe riunire a Roma per l’elezione di un antipapa de noantri). (M.G.)

Munus, ministerium e amenità varie. Breve confutazione di alcune teorie insostenibili. 

“Non c’è nessun dubbio che c’è stato sempre un solo Papa, e si chiama Francesco” Mons. Georg Gänswein 
Di questi tempi, diversi fedeli – vuoi sconcertati da alcune azioni di papa Francesco, vuoi confusi dalla novità del c.d. “papato emerito” e da curiose teorie che circolano in rete e sui giornali – ritengono che in seguito alla scomparsa di Joseph Ratzinger, “unico vero papa”, il soglio petrino sia oggi vacante.

Secondo queste ricostruzioni, Benedetto avrebbe validamente rassegnato le dimissioni dall’esercizio attivo del suo ministero (ministerium) come vescovo di Roma, ma sarebbe comunque rimasto l’unico e solo Papa fino al giorno della sua morte, perché le dimissioni sarebbero state valide soltanto quanto all’esercizio attivo del ministero (ministerium), e non rispetto all’ufficio (munus) stesso.

Inscindibilità di munus e ministerium. La declaratio.
Il primo problema è che il munus e il ministerium non possono essere separati. Così come non è possibile dimettersi dal munus mantenendo il ministerium, nemmeno è possibile dimettersi dal ministerium mantenendo il munus. Se un Papa si dimette dal ministerium, il munus stesso diventa vacante. Benedetto lo ha chiarito nella declaratio del 2013, quando ha detto:
declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse
dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.
Si noti che l’intenzione dichiarata da Benedetto XVI è quella di rinunciare al ministero “in modo che” la sede di Pietro si renda vacante (e non “impedita”!). In altre parole, l’intenzione dichiarata è quella di rinunciare al ministero e all’ufficio.

Rinuncia al ministerium – rinuncia alla giurisdizione – rinuncia al papato.
Ma supponiamo, per amor di discussione, che Benedetto non intendesse dimettersi “in modo che la sede di San Pietro diventi vacante”, ma intendesse invece solo dimettersi dall’esercizio attivo del ministero, pur mantenendo l’ufficio stesso. E supponiamo inoltre che, di conseguenza, fosse valida solo la rinuncia all’esercizio attivo del ministero.

Anche se tutto ciò fosse vero, Benedetto avrebbe comunque cessato di essere Papa (completamente) il 28 febbraio 2013 per il seguente motivo:
ciò che rende un uomo Papa è il possesso della giurisdizione dell’ufficio papale.
La giurisdizione è ciò che dà al Papa l’autorità di “esercitare attivamente il ministero”: insegnando, governando e santificando. La giurisdizione è la forma dell’ufficio papale. Rinunciando all’“esercizio attivo del ministero”, Benedetto si è quindi spogliato della giurisdizione, e spogliandosi della giurisdizione ha cessato formalmente di essere Papa.

Il fatto che Benedetto abbia intenzionalmente rinunciato alla sua giurisdizione è confermato dal titolo che ha scelto: “Papa emerito. Chi detiene il titolo di un ufficio gode dei diritti, dei doveri e dei privilegi dell’ufficio stesso. “Emerito” è il titolo dato a un vescovo in pensione (canone 402.1): vale a dire, a un vescovo che ha rinunciato alla sua giurisdizione su una diocesi affinché un altro possa assumerla. Quindi anche il titolo scelto da Benedetto conferma che egli si è volontariamente spogliato della sua giurisdizione e, rinunciando alla giurisdizione, ha cessato di essere Papa.

Lo studio del professor Violi (citato qui ).
Stefano Violi, professore di diritto canonico, è stato il primo a sostenere che Benedetto intendeva rinunciare solo a una parte del papato, ossia all’“esercizio attivo dell’ufficio”.
Già nel 2014 scrissi un articolo a proposito dello studio del prof. Violi, citandovi i seguenti estratti da un articolo sullo stesso argomento che Vittorio Messori pubblicò sul Corriera della Sera qui.
Si noti con attenzione come Messori ricostruisce ciò a cui, secondo Violi, Benedetto avrebbe inteso rinunciare, e ciò che invece avrebbe inteso mantenere:
Nella formula impiegata da Benedetto, si distingue innanzitutto tra il munus, l’ufficio papale, e la executio, cioè l’esercizio attivo dell’ufficio stesso. Ma l’executio è duplice: c’è l’aspetto di governo che si esercita agendo et loquendo, lavorando ed insegnando. Ma c’è anche l’aspetto spirituale, non meno importante, che si esercita orando et patendo, pregando e soffrendo. È ciò che starebbe dietro le parole di Benedetto XVI: “Non ritorno alla vita privata… Non porto più la potestà di guida nella Chiesa [cioè la giurisdizione] ma, per il bene della Chiesa stessa e nel servizio della preghiera, resto nel recinto di San Pietro”. Dove “recinto” non andrebbe inteso solo nel senso di un luogo geografico dove vivere ma anche di un “luogo” teologico.
Benedetto XVI si è spogliato di tutte le potestà di governo e di comando inerenti il suo ufficio [cioè della giurisdizione], senza però abbandonare il servizio alla Chiesa: questo continua, mediante l’esercizio della dimensione spirituale [pregare e soffrire] del munus pontificale affidatogli. A questo, non ha inteso rinunciare. Ha rinunciato non al compito, che non è revocabile, bensì alla sua esecuzione concreta.
Questo “ufficio” di pregare e soffrire (orando et patendo) – che è quanto, secondo il professor Violi, Benedetto XVI avrebbe inteso mantenere – non richiede giurisdizione. Lo richiede, invece, l’ufficio di lavorare e insegnare: esso richiede “la potestà dell’officio per il governo della Chiesa”, che è ciò che Benedetto ha esplicitamente dichiarato di “non portare più”. E se Benedetto “non porta più” la “potestà dell’officio per il governo della Chiesa” (che è la giurisdizione) non è più papa, poiché la giurisdizione è ciò che rende il papa il (solo e unico) papa.
Robert Siscoe
[traduzione e adattamenti di Carlo Schena]

* * *

Risposta di Robert Siscoe ad alcune obiezioni

Dopo aver letto con attenzione le obiezioni mosse da p. Kramer e dal prof. Sáez, Robert Siscoe ha risposto punto per punto ai diversi argomenti teologico/canonistici. Le offre agli autori e agli interessati nella speranza che una lettura serena e in buona fede possa convincere chi ancora si aggrappa a teorie insostenibili e oggettivamente scismatiche, forse figlie di legittime preoccupazioni per la situazione della e nella Chiesa – ma, questo è il punto, figlie illegittime.

Risposta a padre Kramer
I. Benedetto: “Rinuncio in modo tale che la sede diventi vacante”
P. Kramer: [Siscoe dice:] “Se un Papa si dimette dal ministero, il munus stesso diventa vacante”.
Non sequitur. Il munus e il ministerium sono sì inseparabili, ma non sono la stessa cosa.
Bene che padre Kramer ammetta che munus e ministerium sono inseparabili, ma vedremo dove sbaglia.
P. Kramer: Il munus è l’ufficio. Il ministerium consiste nelle funzioni ufficiali connesse al munus. L’ho spiegato in modo esauriente ne Il caso contro Bergoglio. La rinuncia al munus rende vacante l’ufficio, come stabilito dal diritto canonico. La rinuncia al ministerio non ha alcun effetto giuridico, perché rinuncia a qualcosa di diverso dal munus. Chi rinuncia al munus rinuncia all’ufficio. Sciopera, in realtà, chi rinuncia al ministerium: Si rifiuta semplicemente di fare il suo lavoro”.
“Si noti che l’intenzione dichiarata da Benedetto XVI è quella di rinunciare al ministero “in modo che” la sede di Pietro si renda vacante (e non “impedita”!). In altre parole, l’intenzione dichiarata è quella di rinunciare al ministero e all’ufficio”.
L’intenzione dichiarata è solo [mai Ratzinger dice “solo”] quella di rinunciare al ministero, che non libera l’ufficio, anche se questo era l’effetto voluto. L’oggetto dell’atto di rinuncia è il ministerium e non il munus.

L’oggetto della dichiarazione era di rinunciare al ministero in modo tale che la sede diventasse vacante. La vacanza della Sede Apostolica era più che un effetto dell’oggetto dell’atto; era un aspetto essenziale dell’oggetto dell’atto. La rinuncia al ministero era il fine prossimo; la vacanza della Sede era il fine remoto dell’atto.

II. Munus e ministerium: tutti e due sul piano dell’essere – e quindi sinonimi
P. Kramer: Solo rinunciando al munus si libera l’ufficio. Rinunciando al ministerium si rinuncia solo alle attività dell’ufficio, ma non all’ufficio stesso. Non esiste una rinuncia implicita. Anche se avesse inteso che l’atto di rinuncia al ministerio avrebbe avuto come effetto la vacanza dell’ufficio, l’atto sarebbe stato nullo, perché l’atto è difettoso, e un atto difettoso che rinuncia a qualcosa di diverso dall’ufficio del papato stesso non può avere come effetto la vacanza dell’ufficio papale.
È chiaro che nell’usare la parola ministerium, Benedetto non si riferiva soltanto a qualcosa appartenente alla sfera dell’agire - l’esercizio dell’ufficio - ma anche a qualcosa appartenente alla sfera dell’essere – qualcosa che aveva ricevuto e che quindi possedeva, o, per dirla con le sue parole, un “ministero a lui affidato”. “[devo] riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato” (Benedetto, Declaratio).

Chiaramente, il ministero è qualcosa che ha ricevuto, non semplicemente “l’esercizio” di qualcosa che già possiede. A Benedetto non furono affidate, come dice p. Kramer, “solo [le] attività dell’ufficio”. Gli venne affidato un vero e proprio ufficio o ministero, che ricevette ministerialmente dai cardinali (attraverso l’elezione) e autoritativamente da Cristo, che gli conferì il primato di giurisdizione.

In un recente post sul suo blog, fra Alexis Bugnolo (un altro teorico del beneplenismo, spesso citato come autorità in campo linguistico dal giornalista Andrea Cionci) ha implicitamente confermato che ciò a cui Benedetto intendeva rinunciare era il munus, non soltanto il suo esercizio. E ha fatto ciò spiegando che il termine munus indica qualcosa che si riceve, mentre, a suo avviso, ministerium indica solo un servizio verso altri. Ecco le sue parole:
“Munus (dono o incarico) è un termine che connota una relazione tra chi lo riceve e chi lo dà, mentre Ministerium (servizio) è un termine che denota la relazione di chi serve con chi è servito. Questo perché un Ministerium si esercita a favore dei sottoposti e dei bisognosi, mentre un Munus si riceve dai superiori a titolo di beneficio. [...] Pertanto dire che munus e ministerium significano la stessa cosa è assurdo”.
Se stiamo alla definizione di munus data da fra Bugnolo, dal momento che Benedetto parlava del ministero a cui rinunciava come di qualcosa che aveva ricevuto (che gli era stato affidato), è evidente che ciò che intendeva con la parola ministerium è esattamente ciò che fra Bugnolo intende con la parola munus. E non è Benedetto ad aver commesso un errore usando ministerium come sinonimo di munus. È fra Bugnolo a commettere l’errore di immaginare che il termine ministerium si riferisca esclusivamente ad un servizio reso ad altri.

Questa confusione di fra Bugnolo rispetto al significato di munus/ministerium lo ha portato anche a concludere che munus non può mai essere tradotto come funzione. Ecco cos’ha scritto in quello stesso post sul suo blog:
“Munus e Ministerium, in tutte le principali lingue occidentali, non vengono MAI tradotti correttamente con gli stessi termini. Quanti possono pensarlo non sono né linguisti, né comprendono l’etimologia. — Ascoltateli a rischio di dire qualcosa di stupido come loro. Munus, ad esempio, non si può tradurre con funzione, perché funzione è un sostantivo verbale, ma munus è una sostanza. Una sostanza è una cosa, ma un sostantivo verbale denomina propriamente un’azione.[ ]
Nella traduzione inglese del Codice di Diritto Canonico del 1983, disponibile sul sito web del Vaticano, munus è tradotto con il termine funzione (function) in moltissimi canoni. Ecco solo tre esempi:
Can. 334 I Vescovi assistono il Romano Pontefice nell’esercizio del suo ufficio. ... In suo nome e con la sua autorità, tutte queste persone e istituti adempiono la funzione (munus) loro affidata per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme definite dal diritto.
Can. 337 § 3. Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere le modalità con cui il collegio episcopale deve esercitare collegialmente la sua funzione (munus) nei confronti della Chiesa universale.
Can. 347 §1. Quando il Romano Pontefice conclude una sessione del sinodo dei vescovi, cessa la funzione (munus) che in essa è affidata ai vescovi e agli altri membri.
Si vedano anche i canoni 347§2, 358, 360, 364, 365 e 367, oltre a innumerevoli altri [ 2].

Si noti anche che i Can. 335 e 347 §1 parlano del munus come di qualcosa che è affidato ai vescovi. Dal momento che Benedetto ha descritto il ministerium a cui stava rinunciando come qualcosa che gli era stato affidato, è evidente che ciò che egli intendeva con ministerium è proprio ciò che questi canoni intendono con munus.

Nella traduzione inglese della Lumen Gentium sul sito del Vaticano, munera (plurale di munus) è nuovamente tradotto come funzioni:
“Nella sua consacrazione una persona riceve una partecipazione ontologica alle sacre funzioni (munera); questo è assolutamente chiaro dalla Tradizione, compresa la tradizione liturgica. La parola “funzioni (munera)” è usata deliberatamente al posto della parola “poteri [potestates]”, perché quest’ultimo termine potrebbe essere inteso come un potere pienamente pronto ad agire. [...] Una siffatta norma aggiuntiva è richiesta dalla natura stessa del caso, perché si tratta di funzioni (munera) che devono essere esercitate da molti soggetti che cooperano in modo gerarchico secondo la volontà di Cristo”. (Lumen Gentium, nota Praevia) [ ]
Nel New Commentary on the Code of Canon Law, di Beal, Coriden e Green (Paulist Press, 2000), commissionato dalla Canon Law Society Of America, si legge quanto segue sui termini munus e funzione;
La “funzione” del Papa di cui al canone 331 è sottolineata attraverso l’uso di munus, un concetto del Concilio Vaticano II che significa servizio o compito, e non principalmente o primariamente ufficio. Da questa formulazione piuttosto moderata derivano delle affermazioni concrete”. (p. 431-432).
Riguardo al canone 145: “Munus (“funzione”) è usato frequentemente per il triplice ministero di Cristo: insegnare, santificare e governare. [...] I commentatori comunemente elencano tra gli uffici derivanti dall’ordine divino l’ufficio del ministero petrino (il papa), il collegio dei vescovi e l’ufficio di vescovo diocesano [...]” (pag. 197).
Si badi che il Commentario non solo traduce munus come funzione e conferma che munus è spesso usato per riferirsi al ministero di Cristo, ma equipara esplicitamente l’ufficio petrino al ministero petrino: “l’ufficio del ministero petrino”.

III. Una cosa è il ministero (essere), altra è l’esercizio del ministero (agire)
P. Kramer: Un atto che rinuncia solo all’esercizio dei doveri d’ufficio, ma non all’ufficio stesso, non può avere l’effetto di liberare l’ufficio, anche se questo era l’effetto che il papa pensava di produrre.
Benedetto non ha mai detto che intendeva rinunciare “solo” all’esercizio dei doveri dell’ufficio. Al contrario, ha dichiarato di rinunciare al ministero stesso. Il ministero è una cosa; l’esercizio del ministero è un’altra. Il primo (ministero) riguarda la sfera dell’essere; il secondo (esercizio del ministero) riguarda la sfera dell’agire.

IV. La rinuncia: non implicita, ma esplicita
P. Kramer: Se voleva liberare l’ufficio, doveva rinunciare ad esso, e non alle attività dell’ufficio. Ha rinunciato alla cosa sbagliata che non può avere l’effetto di liberare l’ufficio, anche se questo era ciò che intendeva soggettivamente [questo era il fine remoto dell’atto]. Per essere un atto valido, l’intenzione dell’atto deve essere chiaramente espressa come oggetto dell’atto [i fini prossimo e remoto erano in realtà chiaramente specificati], e non solo implicita ma non dichiarata; e l’atto non può limitarsi a dichiarare l’effetto che intende ottenere, senza specificare l’oggetto formale stesso che solo può produrre quell’effetto.
Il resto dell’articolo afferma una serie di non sequitur, come: “Il fatto che Benedetto abbia intenzionalmente rinunciato alla sua giurisdizione è confermato dal titolo che ha scelto: “Papa emerito”“.
Falso. Una rinuncia implicita non può avere alcun effetto giuridico. L’oggetto dell’atto deve essere dichiarato, altrimenti è nullo. Ho citato i canoni nel mio libro.
Non si è trattato di una rinuncia implicita, e nessuno ha pensato che lo fosse prima che il professor Violi postulasse la separabilità di munus e ministerium un anno più tardi, sostenendo che Benedetto avesse inteso rinunciare solo a quest’ultimo, insieme a “tutte le potestà inerenti il suo ufficio”, mantenendo tuttavia lo stesso munus.

V. Un’interpretazione autentica
P. Kramer: [Siscoe dice:] “Benedetto XVI si è spogliato di tutte le potestà di governo e di comando inerenti il suo ufficio [cioè della giurisdizione], …”.
Falso. Egli rinunciò formalmente all’esercizio dei doveri della carica, pensando erroneamente che tale atto difettoso avrebbe comportato la perdita della giurisdizione. Solo la rinuncia all’ufficio stesso può avere questo effetto.
Benedetto in persona ha dichiarato: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa” (ultima Udienza Generale, 27 febbraio 2013). 

Come ha osservato il professor Violi nel suo studio, Benedetto parlò “evocando la distinzione grazianea tra potestas officii e la sua executio”. Dal momento che Benedetto affermò esplicitamente di “non port[are] più la potestà dell’officio”, è evidente che intendeva rinunciare non solo all’esercizio dell’ufficio, ma al potere dell’ufficio stesso. Benedetto riuscì a realizzare ciò che si proponeva? Senza dubbio lui credeva di “non port[are] più la potestà dell’officio”, e lo stesso credeva il Prof. Violi: “Benedetto XVI ha esercitato la pienezza del potere privandosi di tutte le potestà inerenti il suo ufficio”.

A chi dobbiamo credere? Allo stesso Papa Benedetto e al Prof. Violi, o a P. Kramer?

Benedetto era il legislatore supremo. Quindi spetta a lui determinare se il linguaggio usato nella declaratio era sufficiente a raggiungere l’effetto desiderato. Dal momento che ha dichiarato esplicitamente di non possedere “più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa”[ ], ha chiaramente giudicato che la dichiarazione fosse sufficiente.

È curioso come i Beneplenisti insistano sul fatto che Benedetto sia rimasto Papa, ma rifiutino l’esplicito insegnamento della sua ultima Udienza Generale.

Risposta al prof. Sáez
VI. Munus e ministerium: sul piano dell’essere – L’errore di fondo dei Beneplenisti
Sáez: “Munus” (ufficio) non è la stessa cosa di “ministerium” (l’esercizio di tale ufficio).
È qui che sbagliano. I beneplenisti (ormai, sedevacantisti) pensano che il munus appartenga alla sfera dell’essere e il ministerium a quella dell’agire. Munus e ministerium appartengono entrambi alla sfera dell’essere. Sono sinonimi.

Una persona può esercitare il suo ufficio, o può esercitare il suo ministerium. In entrambi i casi, esercita qualcosa che possiede. Benedetto ha detto di rinunciare “all’esercizio attivo del ministero”, ma avrebbe potuto benissimo dire che rinunciava “all’esercizio attivo del suo ufficio” e il significato sarebbe stato lo stesso. Nessuno avrebbe mai identificato “l’ufficio” con “l’esercizio dell’ufficio”; eppure, per qualche ragione, è quello che fanno con il termine ministerium. E la ragione per cui fanno ciò è che collegano erroneamente il ministerium a un’altra distinzione che il professor Violi traccia nel suo studio. Permettetemi di spiegare.

Nel suo studio, il professor Violi sostiene che la Declaratio di Benedetto contiene diverse distinzioni fondamentali: in primo luogo, vi è una distinzione tra il munus (l’ufficio papale) e l’executio (l’esercizio attivo dell’ufficio). Un’altra distinzione si colloca all’interno dell’executio stessa: 1) c’è l’aspetto spirituale dell’executio, che si realizza attraverso la preghiera e la sofferenza; e 2) c’è l’aspetto di governo dell’executio, che si realizza attraverso l’insegnamento e le opere. È solo a quest’ultimo aspetto, secondo Violi, che Benedetto intendeva rinunciare.

Ora, dal momento che a dire di Violi Benedetto XVI intendeva rinunciare solo all’aspetto docente e operativo dell’executio (ma non al munus stesso), e dato che il termine usato da Benedetto per indicare ciò a cui intendeva rinunciare era ministerium, quanti hanno letto e condiviso lo studio di Violi, e soprattutto quanti hanno elaborato nuove teorie sulla base di esso (ad esempio, quella dell’invalidità per errore sostanziale), hanno pensato che ministerium dovesse per forza riferirsi al secondo significato di executio. E poiché executio si riferisce all’ambito dell’azione, hanno concluso che lo stesso deve valere per il termine ministerium. Pertanto, nella loro mente, munus, che corrisponde alla sfera dell’essere, è completamente diverso da ministerium, che secondo loro corrisponde esclusivamente alla sfera dell’agire. Un simile errore lo si può vedere nella seguente citazione di Ann Barnhardt:
“Come abbiamo già discusso più volte, un UFFICIO è uno stato dell’ESSERE. Per dimettersi dal papato, occorre rinunciare a ESSERE il papa, cioè a ricoprire l’UFFICIO. Il MINISTERO (MINISTERIUM) si riferisce alle cose che il Papa può scegliere o no di FARE o di essere in grado di FARE come risultato dell’ESSERE il Papa, come insegnare, governare e presiedere. [...] Come già detto, questi due TERMINI FONDAMENTALI, UFFICIO e MINISTERO, appartengono a categorie completamente diverse, ‘essere’ e ‘fare’, e quindi non possono né ora né mai essere ritenuti sinonimi in inglese o in qualsiasi altra lingua”.
Interpretando ministerium come un equivalente di executio, i Beneplenisti (ora Sedevacantisti) hanno tratto la falsa conclusione che ministerium e munus sono due termini completamente diversi.

Andrea Cionci commette lo stesso errore ne Il Codice Ratzinger, come possiamo vedere dal seguente riassunto delle sue tesi fatto da don Silvio Barbaglia:
In sintesi, i fondamenti sui quali poggia l’ipotesi sono sostanzialmente tre: 1) papa Benedetto XVI, contro ogni apparenza, quell’11 febbraio non ha annunciato la sua volontà di abdicare al soglio pontificio, rinunciando al munus petrinum [...], bensì ha dichiarato di rinunciare solo e unicamente all’esercizio pratico del suo ministero presso la sede pontificia della Chiesa di Roma (espresso nel termine ministerium). Pertanto, Benedetto XVI, nonostante la data annunciata del termine ultimo [del suo pontificato], alle ore 20 del 28 febbraio di quell’anno, ha continuato ad essere il papa in carica [sfera dell’essere] pur non potendo più fare il papa [sfera dell’agire], privato della sede [solo] per l’esercizio pratico del suo ministero; 2) pertanto questa situazione – ed è il secondo cardine su cui poggia l’ipotesi – non avrebbe prodotto l’istanza di una «Sede vacante» [...]
L’intero scisma beneplenista è costruito sull’errore dell’equiparazione del termine “ministerium” con “executio”, cioè con “l’esercizio pratico” del ministero.

Ma anche la stessa frase “esercizio pratico del ministerium” mostra che il ministerium non equivale al suo esercizio. Se i due termini avessero lo stesso significato, “esercizio pratico del ministerium” significherebbe “esercizio pratico dell’esercizio pratico”, il che non ha alcun senso. D’altra parte, se ministerium è sinonimo di munus (e lo è), ha senso parlare di “esercizio attivo del ministerium (ministero)”, così come ha senso parlare di “esercizio attivo del munus (ufficio)”.

VII. Presbyterorum Ordinis conferma la sinonimia – che in diritto canonico è pacifica
Sáez: Tradizionalmente, i termini “ministerium” e “munus” erano sinonimi. Così, il CIC del 1917 parla dei diversi ministeri ecclesiastici o divini: suddiaconi, diaconi, sacerdoti, vescovi. O, più recentemente, la Costituzione Universi Dominici Gregis, che parla del ministero petrino o ministero del pontefice. […] Tuttavia, negli ultimi decenni si è fatta strada nel Diritto canonico una distinzione giuridica più precisa tra “ministerium” e “munus”, iniziata nel Decreto Presbyterorum Ordinis […]. Si veda che significato del termine al numero 6 del Decreto Presbyterorum Ordinis
Ecco qui il numero 6 del Decreto Presbyterorum Ordinis:
“6. Esercitando la funzione di Cristo [munus Christi] capo e pastore per la parte di autorità che spetta loro, i presbiteri, in nome del vescovo, riuniscono la famiglia di Dio come fraternità viva e unita e la conducono al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo. Per [l’esercizio di] questo ministero [ad hoc ministerium exercendum], così come per le altre funzioni [munera], viene conferita al presbitero una potestà spirituale, che è appunto concessa ai fini dell’edificazione”.[ ]
“Esercitare il munus di Cristo” e “esercitare il ministerium di Cristo, così come gli altri munera”. Munus (ufficio), ministerium (ministero) e munera (uffici) sono usati come sinonimi proprio in quel documento che Sáez ci dice di consultare per comprendere la differenza di significato.

Per dimostrare che munus e ministerium sono tuttora utilizzati come sinonimi dai canonisti, riporterò alcune citazioni tratte dal New Commentary on the Code of Canon Law (Paulist Press, 2000). Nel commento al canone 331, che riguarda l’ufficio e i poteri del Romano Pontefice, gli autori equiparano esplicitamente munus sia al ministero che all’ufficio, mettendo questi due termini tra parentesi dopo aver utilizzato il primo:
“Infine, il Papa esercita l’ufficio di governare (munus regendi) la Chiesa universale. La parola munus (ministero o ufficio) compare nel canone 331” (p. 435).
Spiegano inoltre che il motivo per cui il Vaticano II ha usato il termine munus, anziché potestas, è che il munus esprime il carattere ministeriale di un ufficio:
“Va inoltre ricordato che la posizione del Papa nella Chiesa universale è definita in ultima analisi con la parola potestas, che significa potere, dominio, ufficio, ma soprattutto potere o autorità. Il Concilio Vaticano II in precedenza aveva evitato l’uso di questa parola o concetto in riferimento a tutti gli uffici nella Chiesa. Ha invece privilegiato la parola o il concetto di munus, in quanto esprime il carattere ministeriale di qualsiasi ufficio o funzione ecclesiale. (p 433, c. 331)
Che munus e ministerium siano sinonimi è ulteriormente confermato dalla traduzione tedesca del Codice di Diritto Canonico del 1983, reperibile sul sito web del Vaticano. Fra Bugnolo ha ammesso, con perplessità, che la traduzione tedesca del Codice non solo equipara i due termini, ma addirittura definisce un ufficio come un ministero.

Dopo aver informato i suoi lettori che “l’importanza del canone 145 §1 del Codice di Diritto Canonico è questa, cioè che esso DEFINISCE la natura di un ufficio ecclesiastico (officium) come munus”, Fra Bugnolo, a proposito della traduzione tedesca del canone 145 §1, scrive:
“Ogni ufficio ecclesiastico (Kirchenamt) è definito come un Dienst! Ma Dienst, come sa ogni persona che conosce il tedesco, significa ciò che noi in inglese intendiamo con “servizio” (service), e ciò che ogni persona che parla latino intende con la parola ministerium. Quindi la traduzione tedesca del canone 145 dice: Ogni ufficio ecclesiastico è un ministero! Mentre il Codice di Diritto Canonico in latino afferma in realtà: Ogni ufficio ecclesiastico è un munus!”.
La ragione di ciò è che, esattamente come Papa Benedetto e gli autori del New Commentary on the Code of Canon Law, chiunque sia stato incaricato di tradurre il Codice in tedesco sapeva benissimo che munus e ministerium sono sinonimi.

VIII. La rinuncia per il diritto canonico. Una condizione di validità inventata
Sáez: Detto canone dice che il papa, per rinunciare validamente al pontificato, deve liberamente rinunciare «al suo ufficio» (muneri suo) e che tale rinuncia «venga debitamente manifestata» (rite manifestetur)
Questo non è ciò che dice il canone. Due e due soltanto sono le condizioni richieste per la validità, non tre. Il prof. Saez ha convenientemente inserito il termine “muneri” dopo la parola valido, in modo da farla apparire come una terza condizione di validità. Questo è ciò che dice il canone 332.2:
“Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità (1) che la rinuncia sia fatta liberamente e (2) che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”[ ].
E questo è ciò che non dice:
“Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità (1) che la rinuncia sia fatta liberamente, (2) che venga debitamente manifestata e (3) che egli usi la parola munus, e non un termine equivalente, non si richiede invece che qualcuno la accetti”.
Dal momento che munus e ministerium hanno essenzialmente lo stesso significato, e dal momento che il codice non richiede l’uso di una determinata, specifica parola, l’una o l’altra sarebbe stata sufficiente a manifestare correttamente l’intenzione di rinunciare al munus.

IX. Cristo non ha le mani legate – nemmeno da eventuali difetti nella Declaratio . L’accettazione universale.
Sáez: “Certamente il papato è un potere di giurisdizione, perché è un potere giuridico, non di ordine o sacramentale. Ma la giurisdizione non è attribuita al ministero o all’esercizio attivo della carica ma alla sua elezione a papa e all’accettazione dell’ufficio petrino”.
Il primato di giurisdizione è la forma del pontificato. L’uomo che ricopre la carica ne è la materia. Cristo è la causa efficiente che rende l’uomo Papa unendo la forma alla materia. Durante l’elezione papale, i cardinali designano la persona (materia) che sarà Papa, ma è Cristo che lo rende Papa conferendogli la giurisdizione, unendo così la forma alla materia. Similmente, se un Papa rinuncia al ministero petrino, Cristo è la causa efficiente che lo rende un ex Papa, sciogliendo il legame che unisce la forma alla materia, privando così un Papa della sua giurisdizione.

Questo è importante perché anche se ci fosse un difetto nella Declaratio, questo non impedirebbe a Cristo di recidere il legame che univa l’uomo al pontificato. Analogamente, un difetto nell’elezione papale non impedisce a Cristo di renderlo Papa unendo l’uomo al Pontificato, come spiega Sant’Alfonso:
“Non importa se nei secoli passati qualche Pontefice sia stato illegittimamente eletto o abbia preso possesso del Pontificato con la frode; è sufficiente che in seguito sia stato accettato dalla intera Chiesa come Papa, dal momento che attraverso tale accettazione sarebbe comunque diventato il vero Papa”.[ ]
Il fatto che Francesco sia stato accettato come Papa da tutta la Chiesa nei giorni, settimane e mesi successivi alla sua elezione (ed è tuttora accettato come Papa dall’intera ecclesia docens) dimostra, con infallibile certezza, che egli è diventato il vero e legittimo Papa il giorno della sua elezione. L’accettazione universale dopo la sua elezione fornisce anche la certezza infallibile che siano state soddisfatte tutte le condizioni necessarie per diventare Papa. Il cardinale Billot spiega che:
“Infine, qualsiasi cosa possiate pensare a proposito della possibilità o impossibilità della detta ipotesi [che un Papa possa cadere in eresia], almeno un punto deve essere considerato assolutamente incontrovertibile e posto saldamente al di sopra di alcun dubbio: l’adesione della Chiesa universale sarà sempre, in sé, un segno infallibile della legittimità di un determinato pontefice, E dunque anche della esistenza di tutte le condizioni richieste per la legittimità stessa. Non serve guardare lontano per averne prova, ma troviamo immediatamente nella promessa e nella infallibile provvidenza di Cristo: ‘Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa’, ed ‘Ecco, io sarò con voi tutti i giorni’. […] Come diverrà ancora più chiaro da quel che diremo più tardi, Dio può permettere che alle volte la vacanza della Sede Apostolica si prolunghi per un lungo tempo. Può anche permettere che sorga un dubbio circa la validità di questa o di quella elezione. Non può tuttavia permettere E l’intera chiesa accetti come Papa colui che non è tale veramente e legittimamente.
Così, dal momento in cui il Papa è accettato dalla Chiesa e unito a lei quale capo del corpo, non è più permesso sollevare dubbi (1) circa un possibile vizio della elezione o (2) una possibile mancanza di qualche condizione necessaria per la legittimità. Questo perché la menzionata adesione della Chiesa sana in radice tutti i difetti della elezione e prova infallibilmente l’esistenza di tutte le condizioni richieste.”[8 ]
Dal momento che una delle condizioni necessarie perché Francesco potesse diventare Papa è che la sede di Pietro fosse vacante al momento dell’elezione, l’accettazione universale di Francesco come Papa (fosse anche solo per un momento) dimostra, con certezza infallibile, che la rinuncia di Benedetto è stata ratificata da Cristo, che ha reciso il legame che univa questi al papato, rendendo in tal modo vacante la sede di Pietro.

[Traduzione e adattamenti di Carlo Schena]
_______________________
[1] “THOSE WHO SAY MUNUS = MINISTERIUM ARE THE ENEMIES OF THE LIVING GOD“, 18 gennaio 2023 [qui]. Chi non condivide la tesi di padre Bugnolo è nientemeno che un “nemico del Dio Vivente”; in un post del 21 gennaio 2023 fra Bugnolo ci informa poi che a Roma “dei Cattolici” stanno procedendo, in questi giorni, all’elezione del successore di Benedetto XVI; Fra Bugnolo – bontà sua – “vuole che tutti sappiano che non esprimerà un voto durante le elezioni, per evitare qualsiasi accusa di parzialità”.
[2] Nella traduzione italiana del CIC 1983, i canoni citati traducono munus rispettivamente con i termini: incarico (334), ufficio (337), incarico (347), incarico (347.2), incarico (358), funzione (360), ufficio (367). La traduzione italiana del CIC usa il termine “funzione” per tradurre munus ai canoni: 377.2, 452.1, 541.1, 544, 633.1, 676, 713.2, l’intestazione del libro terzo (!): “DE ECCLESIAE MUNERE DOCENDI” – “LA FUNZIONE D’INSEGNARE DELLA CHIESA”. Ci fermiamo qui, gli esempi sono decine; ma viene da pensare che fra Bugnolo non abbia mai aperto o letto un codice di diritto canonico, in italiano o in inglese. Si veda qui per fare autonomamente un raffronto bilingue.
[3] Nella traduzione italiana del citato passo della “Nota Esplicativa Previa” è usato sempre il termine “ufficio”. Questo dimostra, semmai, che gli stessi traduttori ufficiali del vaticano intendono i termini “ufficio” e “funzione” come sinonimi (si veda il prosieguo dell’articolo per un altro esempio, con un’altra lingua). In ogni caso, in Lumen Gentium munus è tradotto (anche) come funzione ai paragrafi 7, 25 (intestazione: munus docendi), 26 (intestazione: munus sanctificandi), 27 (intestazione: munus regendi), 35, 54, 55, etc. A dimostrarlo basterà una semplice ricerca testuale del termine “funzione” qui.
[4] Nel primo articolo si è incorso in un errore: si citava l’ultima udienza di Benedetto XVI dicendo che qui il pontefice dichiarava di non portare più la “potestà di guida nella Chiesa”: questo era il virgolettato riportato nell’articolo di Messori del 2014. In realtà, in quell’udienza Benedetto – come correttamente riportava l’autore nell’articolo originale – parlò proprio di “potestà dell’officio per il governo della Chiesa“ (formula più chiara e cogente).
[5] “Munus Christi Capitis et Pastoris pro sua parte auctoritatis exercentes, Presbyteri, nomine Episcopi, familiam Dei, ut fraternitatem in unum animatam, colligunt, et per Christum in Spiritu ad Deum Patrem adducunt. Ad hoc autem ministerium exercendum, sicut ad cetera munera Presbyteri, confertur potestas spiritualis, quae quidem ad aedificationem datur”. La traduzione italiana dalla PO reperita da vatican.va è piuttosto libera, motivo per cui si è dovuto aggiungere l’inciso “l’esercizio di”, chiaramente presente nell’originale latino.
[6] “Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero ut a quopiam acceptetur”.
[7] De’ Liguori, Verità della Fede, in “Opera de S. Alfonso Maria de Liguori, Marietti” (Torino, 1887), vol. VIII., p. 720, n. 9.
[8] Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, vol. I, 1927, pp. 612-613.

25 commenti:

Anonimo ha detto...

Tante belle parole.

Ma questo è molto più convincente!

https://www.liberoquotidiano.it/articolo_blog/blog/andrea-cionci/34652850/benedetto-xvi-mille-anni-enigma-finale-dimissioni-ratzinger.html

Da una parte l'arzigogolo, dall'altra la storia.

Anonimo ha detto...

Convince e non convince. Convince poco. E non si parla della sua libertà, assente. Firmato sedevacantista in pectore, che oggi come oggi è una virtù.

mic ha detto...

All'anonimo pressappochista:

C'è chi si lascia convincere dalle illazioni, sia pure suggestive (definendole "storia")
e non vuole o non riesce a comprendere i ragionamenti competenti e documentati (definendoli "arzigogoli")

Ma manca di oggettività. Non basta cambiare il nome alle cose per cambiarne la realtà effettiva.

Che poi delle teorie si possano anche discutere (come hanno dimostrato gli studiosi entrati in campo) è possibile e anche opportuno per alimentare confronto e approfondimenti; ma bisogna argomentare e non liquidare il tutto con affermazioni apodittiche...

mic ha detto...

E al Sedevacantista in pectore 13:36 chiedo

ma chi e come può dimostrare la mancanza di libertà?
Conoscendo le tante concrete e pesanti opposizioni a importanti atti del suo pontificato, i dubbi non sono mancati; ma manca la prova provata. Per contro, molti elementi tratti dalla mens di Ratzinger/Benedetto aperta al soggettivismo modernista insieme a competenti analisi della Declaratio sembrano confermare la libera scelta...

Anonimo ha detto...

Cara mic,
l'oggettività vantata è come quella del CTS o dell'ISS, voci "scientifiche" per eccellenza che hanno tirato per i capelli i dati sanitari per anni? No perchè a dirsi oggettivi soggettivamente si rischia di non vedere gli oggetti nelle mani di chi la pensa altrimenti.

Anonimo ha detto...

Il fatto della interruzione del bancomat. È una delle prove che lorsignori finanzieri, anglo/americani, volevano far esplodere una Vatican spring. Se poi questo fatterello non è contemplato nei Codici Canonici, quindi non vale... Vabbè! Raccontiamo altre storie.

DePicchi ha detto...

Sorprendente come 10 anni di Papa Francesco e 3 anni di pandemia abbiano massificato un capillare sentimento anti-razionalista: quasi che qualsiasi cosa sia detta dagli esperti sia per ciò solo falsa e collusa col potere; quasi che la riflessione argomentata sia da disprezzarsi perché figlia di una ragione strumento del demonio; quasi che se è carta straccia quello che si legge sui giornali mainstream, allora è oro colato tutta la stampa sensazionalistica e alternativa.

Questo "tradizionalismo" incapace di confrontarsi sulla base di un discorso serio e argomentato, e che preferisce rifugiarsi tra le braccia di chi la spara più grossa e la urla più forte, mi preoccupa.

Anonimo ha detto...


# Il fatto della "interruzione del bancomat"...

Ci mancava l'affondo "complottista". Nei suoi recenti libri mons. Gaenswein ha documentato che la decisione di abdicare Benedetto XVI l'aveva presa da mesi, e da alcuni mesi ne erano stati informati i collaboratori più stretti.
Ci pensava da parecchio tempo, s'era stufato e ad un certo punto ha creduto di venir meno nelle forze.
Non risulta che sia stato coartato da alcuno.
Tra l'altro, quando un primo ministro è costretto a dimettersi dallo sfavore dell'opinione pubblica e dalle pressioni manifeste dei suoi colleghi di partito, forse che le sue dimissioni sono invalide?
Alla fine, è lui che decide, è sempre libero di restare al suo posto.
E non è questo il caso di Ratzinger. C'erano settori della Gerarchia contro di lui, in modo anche subdolo, ma ciò rappresentava forse una novità nella storia del papato?
Basta con i romanzi, dovuti anche all'ignoranza di chi si rifiuta a priori ad ogni analisi seria e argomentata.
Z.

Anonimo ha detto...

ALCUNE PARTI DI UN ARTICOLO MOLTO CHIARO
E MOLTO INTERESSANTE:
Si sostiene inoltre che, nella Declaratio, Ratzinger avrebbe usato il verbo “vacet” nel senso di “lasciare libera di fatto” cioè materialmente non occupata (per via della rinuncia al ministerium) la carica di Papa. Ma se io, titolare dell’ufficio, scelgo di non esercitarlo – e bada bene, secondo alcune tesi questa di Ratzinger è stata una scelta, non un’imposizione ma un piano tutto suo – commetto un delitto canonico; anzi, per il Gaetano, il Papa che rifiuta di sottostare al proprio dovere di Papa configura l’ipotesi orrenda del Papa scismatico. L’abbandono di fatto dell’ufficio, oltre a non lasciarlo “libero” in nessun senso, non libera il titolare dal dovere di esercitarlo, tantomeno poi crea una situazione giuridica di Sede impedita, che si avrebbe invece, ex can. 412 (che gli autori concordi applicano per analogia alla Sede Apostolica), in caso di impossibilità materiale di comunicare, anche per lettera.
Per giunta, più di un autore ritiene intrinsecamente contraddittoria una “autodichiarazione di sede impedita”, giacché l’oggetto dovrebbe consistere proprio nell’impossibilità di comunicare.
Si dovrebbe precisare che il Papa impedito non ha la possibilità materiale di operare, mentre nel caso del Papa minacciato, che viene spesso mescolato con questo, si avrebbe al massimo un difetto di libertà morale nel suo operato, però gli atti posti per timore sono comunque validi (cfr. can. 125 §2), tranne la rinuncia ad un ufficio (can. 188).
Data questa premessa, sarebbe evidentemente assurdo che si potesse “impedire da solo”! In più, la regola del can. 335, secondo cui in caso di Sede impedita nulla dovrebbe essere mutato nel governo della Chiesa universale, opera solo se la Sede Apostolica è (vacante o) totalmente impedita; ma un Papa che riesce a comunicare con una certa regolarità – anche in “codice”, per ipotesi – non può dirsi “totalmente” impedito.

Anonimo ha detto...

Il commento delle 17:18 dimostra senza ombra di dubbio che Cionci ha giocato con la credulità dei fedeli: se il Papa potesse comunicare in codice la sede non sarebbe impedita.
Se la sede fosse impedita il Papa non potrebbe comunicare, neppure in codice.
L'associazione "Codice Ratzinger" e "sede impedita" è un ossimoro teologico.
Ricordiamoci che Cionci è quel "genio" che ha detto che Ratzinger avrebbe rivelato tutto prima della morte e che Ganswein era fedele a lui e che riferiva i suoi codici.
Tutte queste cose si sono dimostrate FALSE.
Dopo la morte di Benedetto XVI rubadì che Ganswein gli era fedele, che aveva iniziato a mandare messaggi ai fedeli in codice Ratzinger e che prima o poi avrebbe detto tutto esplicitamente.
L'uscita del libro di Ganswein lo ha ancora una volta clamorosamente smentito e ha dimostrato che i "Codici Ratzinger" se li inventa Cionci a suo uso e consumo.
Contunuerà per molti e molti anni ad inventsrsi "codici Ratzinger": quasi tutto ciò che ha detto o scritto Benedetto XVI, prima o dopo le dimissioni, può essere facilmente presentato al pubblico come "Codice Ratzinger"!

Gian ha detto...

Sta di fatto che come in un gioco dell'oca siamo al punto di partenza e tutto si porta dietro. E' un fatto che l'amministrazione DEM era ostile a Benedetto XVI° e il blocco SWIFT fu lo strumento pratico in mano alla malefica amministrazione per operare concretamente contro la Santa Sede.

Anonimo ha detto...

Le cose sono come sono: quella del "papa emerito" è una novità Ratzingeriana, un'idea che egli aveva già dai tempi del Concilio, quella cioè di un papato nuovo, aperto e sinodale in linea con le "acquisizioni" dello stesso Concilio che ha sempre difeso e promosso. La divisione di ministerium e munus è un semplice tentativo di istituire una novità che aveva in testa da sessant'anni e cioè quella di un papato condiviso. Il tentativo è fallito, l'unico risultato ottenuto è quello di aver rovinato il "pontificato" di Bergoglio, costringendolo a procedere frenato per dieci anni. Questa è la storia. Che Ratzinger sia rimasto un neomodernista convinto fino alla morte lo provano tutti i suoi scritti, basta saper leggere e sapere cos'è il neomodernismo.
Damiano

Anonimo ha detto...

Non so per quale motivo per voi Francesco deve essere per forza un Papa legittimo.
Ancora memo comprendo il livore verso Benedetto XVI, per alcuni fino alla damnatio memoriae.
Mi è ancora più inspiegabile l'incapacità di ammettere che le tesi di Cionci sono solide.
Solide perchè sostenute dalla ragione e non dagli arzigogoli mentali e i sofismi.
Mi sorge il dubbio che ci sia un interesse nascosto, inconfessabile, "nemico".

Anonimo ha detto...

Le giustificazioni addotte da Robert Siscoe sono facilmente superabili. Per es., l'accettazione pressoché universale di Bergoglio come "papa" o sedicente tale, implica che la sua elezione si sia validamente svolta, ma nulla dice se la sede precedentemente fosse stata vacante. Del resto, se fosse come afferma l'autore non si sarebbero potute svolgere le ricerche storiche che, all'inizio del XX sec., hanno portato all'espunzione dalla cronotassi dei papi di diversi soggetti, sino ad allora considerati - per secoli - papi legittimi. Per es., fu espunto Giovanni XXIII Cossa, il cui ritratto ancor oggi campeggia tra quelli dei papi in S. Paolo Fuori le Mura. Ed altri ancora. Insomma, l'accettazione universale sana eventuali vizi dell'elezione, ma non che Ratzinger avesse validamente rinunciato e lascia aperto il campo alla ricerca sul punto.

Nè può invocarsi come fa Siscoe in altri suoi contributi quanto stabilito in sede di Concilio di Costanza e da papa Martino V, estrapolando quelle affermazioni dal Denzinger. Infatti, si deve considerare il contesto storico in cui furono emanati quei provvedimenti: i seguaci di Hus credevano che l'ultimo papa fosse stato Urbano VI e quindi da allora il ministero petrino fosse stato trasferito in cielo. Per cui, i successori di papa Prignano erano considerati degli abusivi. Ed è ovvio quindi che per smascherare gli eretici si dovesse interrogarli su chi foisse il papa e che si dovesse ritenere legittime le elezioni avvenute dal Concilio di Costanza in poi. Vi era una necessità contingente, insomma.

Comunque, la questione sul munus/ministerium è di per sè fallace, essendo altre le ragioni ravvisabili nell'atto di rinuncia che sono problematiche.
Francesco Patruno

mic ha detto...

Anonimo 8:38
esprime la sua opinione con affermazioni apodittiche senza sviluppare argomenti.
E chiama "livore" nei confronti di Benedetto la dolorosa constatazione, supportata non da opinioni personali ma dalla dottrina perenne...

Anonimo ha detto...

Anonimo delle 08:38,
Le argomentazioni di Cionci sarebbero solide?
Non solo fanno acqua da tutte le parti dal punto di vista logico, teologico e canonistico ma ora si è inequivocabile dimostrato che fossero false:
Aveva o non aveva detto che Ganswein era fedele a Benedetto XVI e che riportava i suoi codici? Si è dimostrato FALSO.
Aveva o non aveva detto che Ratzinger avrebbe spiegato tutto prima di morire?
Si è rivelato FALSO.
Dopo la morte dell' "emerito" aveva o non aveva detto che Ganswein era fedele a B16 e che prima o poi avrebbe spiegato tutto esplicitamente? E non gli ha addirittura attribuito alcuni codici?
E non ha ammesso lui stesso, dopo aver letto il Libro di Ganswein, che Ganswein non è affidabile?
E i codici che gli aveva attribuito da dove li ha tirati fuori? Dalla sua fantasia, come in tutti gli altri casi.
E non aveva detto che Ganswein, parlando in codice, poteva usare anfibologie e omettere parti della realtà ma non poteva assolutamente mentire e dire esplicitamente e che il Papa è Bergoglio? Nel suo libro ganswein lo ha fatto.
Cionci non solo ha detto assurdità ma NON NE HA AZZECCATA UNA: in tutto ciò che era possibile controllare ha dimostrato di essersi sbagliato (o di avere mentito).
È facilissimo inventarsi codici ed anfibologie da qualunque discorso.
Qualcuno potrebbe anche dire che Bergoglio è il papa più cattolico di tutti i tempi e attribuire tutte le sue eterodossie al "codice Bergoglio" ma, piaccia o non piaccia, sia per Ratzinger che per Bergoglio conta solo ciò che viene detto ESPLICITAMENTE.
Ratzinger era inascoltato?
Avrebbe potuto chiedere aiuto ai fedeli in uno dei tanti discorsi pubblici che ha fatto prima di dimettersi: decine di milioni di cattolici conservatori lo avrebbero aiutato, compresi decine di cardinali e centinaia di vescovi.
Che senso avrebbe avuto simulare delle dimissioni, convocare un falso conclave e poi usare un codice che nessuno avrebbe capito senza la comparsa di Cionci?
O che ciascuno avrebbe potuto interpretare a modo suo?
Comunque se la Sede è veramente impedita il Papa non può comunicare neppure in codice.
E se può comunicare in codice la Sede non è impedita.

Anonimo ha detto...

L'argomento che presenta Siscoe, sulla scorta di Bellarmino e Billot (ma tanti altri si potrebbero citare), è proprio che l'accettazione universale di Francesco come papa prova infallibilmente l'esistenza preventiva di tutte le condizioni necessarie all'elezione (vacanza della Sede Apostolica) e sana eventuali difetti nel procedimento di elezione (magheggi in conclave).

Può non piacerle, ma questo è l'argomento teologico, per nulla campato per aria, con cui confrontarsi.

Argomento peraltro di chiara natura ecclesiologica: la Chiesa è società visibile, essoterica (con due S). Non è ammissibile che ci sia un papa nascosto mentre tutto il collegio apostolico, tutti i cardinali (e tutti i fedeli) riconoscono un altro uomo come vertice. La dottrina della accettazione universale è il modo che ci dà Cristo per poter "stare tranquilli" quantomeno rispetto a chi è il papa (che poi questo papa faccia cose a dir poco infelici è un altro paio di maniche).

Giovanni XXIII fu conclamato antipapa (e per darsi un antipapa ci vogliono due pretendenti al soglio: Ratzinger, comunque la si pensi, non pretendeva più per sé, dopo il 2013, il soglio), non vedo come regga il confronto.

Costanza e lo scisma d'occidente possono essere il contesto in cui è stata enucleata formalmente la dottrina, ma è evidente che non la si può per questo disconoscere o confinare a quella situazione contingente. Altrimenti non ne parlerebbe in quei termini il De Liguori secoli dopo.

Contento di vedere che riconosce la capziosità della querelle munus/ministerium, sarei felice di sapere quali problematicità presenterebbe la Declaratio.
Carlo Schena

Anonimo ha detto...

SCOOP 28 GENNAIO 2023:
VERITÀ SU DIMISSIONI DI PAPA BENEDETTO XVI.

Ehh si! Dopo 9 anni si dice la verità circa l'annuncio sulle dimissioni, circa il generico: "ingravescente aetate", per quanto riguarda alle forze che venivano sempre meno nel governare e guidare la Barca di San Pietro: L'INSONNIA!
Bene, è chiaro che credeva che non fosse stata necessaria questa informazione che lui avrà ritenuto privata e inopportuna dirla, ma intanto son nate speculazioni assurde circa il suo atto e adesso i seguaci di certe cose non crederanno a questa rivelazione! Anzi! La lettera inviata a Seewald prima di morire secondo costoro sarà "sicuramente falsa".
Beh per quanto sia strano dopo 9 anni sapere la Verità delle dimissioni, è sempre più coerente con l'immagine di Benedetto XVI e di quanto ha lasciato si credesse! Sempre meglio che credere ad interpretazioni bugiarde sul suo atto che ne deformano la persona e non solo, ne fanno un Eretico e Scismatico egli stesso!
Ora è chiaro che come tutti anche un Papa vuole la sua privacy personale!
Quindi non l'ha detto per questo motivo! tanto alla fine se non hanno creduto all'annuncio delle dimissioni figuratevi se credono a questa.
Infatti, non interveniva per il semplice fatto che non voleva aver a che fare con certa gente che NON gli credeva. A Cionci l'ha elegantemente silurato! Ma Cionci ha creduto che lo stesse applaudendo!
Mons. Gänswein ha confermato che "non credono a Benedetto" e anzi si sentiva certamente offeso da certe speculazioni da lui SMENTITE nel suo libro con Seewald..

Ora, che fare?

Anonimo ha detto...

Papa Ratzinger e la lotta contro l’insonnia

Il Papa emerito ha inviato una lettera il 28 ottobre, poche settimane prima della sua morte, al suo biografo, il tedesco Peter Seewald. Nel documento, rivelato dal settimanale Focus, Ratzinger, deceduto all’età di 95 anni lo scorso 31 dicembre, ha dichiarato che il “motivo centrale” delle sue dimissioni nel febbraio 2013 è stata “l’insonnia che (lo) aveva accompagnato ininterrottamente dalle Giornate mondiali della Gioventù a Colonia” nell’agosto 2005, pochi mesi dopo la sua elezione a successore di Giovanni Paolo II.

Il suo medico personale gli aveva poi prescritto “potenti rimedi” che gli avevano inizialmente permesso di assicurare il suo incarico. Tuttavia tali sonniferi avrebbero col tempo, secondo la lettera del Papa emerito, raggiunto i loro “limiti” e sarebbero stati “sempre meno in grado di garantirne” la disponibilità.
.....

Anonimo ha detto...

"contribuisce a smontare definitivamente la querelle munus e ministerium, che tanto danno ha fatto alla Chiesa". E io che pensavo che tanto danno alla Chiesa venisse da altro e non certo da questa querelle che in sé non ha nulla di pretestuoso. Al contrario, direi che se non ci fosse tale querelle, allora avremmo la certificazione di un danno ancora maggiore.
Tornando a tutti questi interventi "normalizzatori" oltremodo prolissi (cortina fumogena?) definiti incofutabilmente risolutivi, diciamo che possono essere tali solo per la forza del noi siamo noi e voi..., ma non certo per le tanto verbose quanto inconcludenti ripetitive argomentazioni. Tra l'altro, se tali interventi inconfutabili li analizziamo con spirito critico, vediamo che essi si contraddicono anche tra di loro. Non avendo ora forza nelle braccia per rispondere ancora, mi limito a ricordare che un buon liceale avrebbe scritto una rinuncia cristallina avendo davanti i pochi canoni del CIC sulla materia e solo una parte della Universi Dominici Gregis. Il prof. Raztinger, invece, nonostante i testi indicati siano chiarissimi (apriteli e provate a vedere come l'avreste scritta voi) è andato a scegliere i termini meno appropriati per una rinuncia. Eppure, non ci voleva molto a scrivere dieci righe veramente inconfutabili. Aggiungo, infine, che se fossi stato io l'eletto del conclave del 2013, non avrei consentito a "Ratzinger" di continuare a chiamarsi papa... a costo di vedere riconosciuta nulla la mia elezione. Papa, infatti, per me che mi professo cattolico, non può che essere uno solo.

Anonimo ha detto...

Gli anziani spesso stanno svegli di notte e si alzano in tarda mattinata. La pezza è peggio del buco.

Anonimo ha detto...

Mi sembra che questo articolo sia molto chiaro:
https://www.agi.it/cronaca/news/2023-01-27/insonnia-dimissioni-ratzinger-sonniferi-19832448/amp
E, nel frattempo, Cionci continua ad inventarsi codici sempre più demenziali ad uso e consumo dei suoi seguaci.
Ci sono addirittura coloro che sostengono che Ratzinger sia ancora vivo ma nascosto da qualche parte (e lo stesso Minutella ha preso le distanze da tali fanatici, come ora sta prendendo le distanze da codici e codicilli vari: anche alle idiozie ci deve essere un limite).

Anonimo ha detto...

L'ironia è un chiaro indicatore di acume e di intelligenza.
Chi la coglie ha un quid in più del sempliciotto (che non è il semplice).
Che dopo dieci anni ci sia da prendere sul serio l'insonnia è veramente buffo.
Ma fanno ridere di più quelli che ci credono.
Continuo a chiedermi perchè qui abbondino così compatti i normalizzatori.
Forse perchè sta per finire la stagione dei doppiogiochisti, in tutte le salse?
Comincia a mancare la terra sotto i piedi? Benedetto XVI è stato un maestro dello scavo.

Anonimo ha detto...

Anonimo delle 19:11,
Non è questione di normalizzatori ma di avere quel minimo di conoscenze e di senso critico per non bersi le ciance di Cionci (smentite pure da Ganswein e dallo stesso Ratzinger).
Ma, se proprio si vuole parlare di "normalizzatori", bisognerebbe parlare anche di coloro che, nonostante tutte le evidenze, si ostinano a negare il modernismo da Ratzinger e l'eterodossia di parecchi dei suoi scritti, normalizzatori che diventano irrispettosi verso chiunque rivolga delle critiche alla teologia ratzingeriana.

Anonimo ha detto...

https://www.marcotosatti.com/2023/01/30/la-chiesa-unacum-benedetto-ha-scelto-il-successore-jorge-mario-bergoglio/