Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 5 gennaio 2013

Padre Thomas Tyn: registrazione della tavola rotonda a Radio Maria

Il 30 dicembre scorso si è tenuta su Radio Maria una tavola rotonda, che ha trattato ampiamente della liturgia tridentina amata dal padre Thomas Tyn e che avuto come relatori padre Giovanni Cavalcoli, l'avv. Gianni Battisti e Luigi Casalini. 

Chi volesse ascoltarla la può trovare nell'archivio di Radio Maria qui.

La libertà ambrosiana sull'applicabilità del Motu proprio

La Libertà Ambrosiana
Sull’applicabilità del Motu Proprio 
Summorum Pontificum di Sua Santità Benedetto XVI
al Rito Ambrosiano

Interverranno

Andrea Sandri
Presidente del Circolo Culturale J.H. Newman
Don Marino Neri
Filologo e Liturgista
Fabio Adernò
Canonista e Avvocato ecclesiastico

Seregno 11 gennaio 2013 ore 21
Sala Mons. Luigi Gandini via XXIV Maggio 
La prima relazione, a cura di don Marino Neri, concernerà l'origine del Rito ambrosiano all'interno della tradizione liturgica latina e la sua collocazione rispetto al Rito romano, e farà così da premessa alla relazione di Fabio Adernò sul Motu Proprio SP e sulla possibilità che esso trovi applicazione anche al Rito ambrosiano.

venerdì 4 gennaio 2013

La tradizione: un nuovo mostro?

Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro sull'ultimo numero di Corrispondenza Romana:

Che cosa ti combina l’astuzia della Ragione quando, invece di portare disastri nella Storia agli ordini del professor Hegel, si accontenta della cronaca ecclesiale e si intrufola in un’articolessa del dottor Paolo Rodari. Succede così che la prosa del dottor Rodari pubblicata sul “Foglio” del 31 dicembre con il titolo I nuovi crociati, in due righe appena riassume il senso di tutta la paginata: «avevamo pensato di aver vinto, che fosse prevalsa insomma la nostra linea, ma purtroppo non è stato così». Sono parole di Don Giovanni Nicolini, che Rodari presenta così: «mantovano, fu a Bologna che conobbe e frequentò Giuseppe Dossetti. È dall’amicizia con Dossetti e da una comunione profonda con lui e i suoi che don Nicolini ha fondato le Famiglie della Visitazione».

Il lettore avrà già compreso che don Nicolini, mantovano eccetera eccetera, sta parlando delle delusioni sofferte da coloro che speravano di vedere una Chiesa nuova fiammante venir fuori dal Concilio Vaticano II. Tanto che la frase del sacerdote mantovano sta all’interno del seguente ragionamento: «credo che le novità del Concilio abbiano trovato sul loro cammino degli ostacoli che probabilmente lo stesso Concilio non poteva prevedere. È stato un errore forse anche nostro: avevamo pensato di aver vinto, che fosse prevalsa insomma la nostra linea, ma purtroppo non è stato così. Il Concilio è stato una grande profezia di fronte alla quale però la chiesa, o almeno una parte di essa, si è spaventata».

Il lettore può toccare con mano che, pur avendo estrapolato la frase riportata sopra, non si è fatto torto al pensiero di don Nicolini. Tirate le somme, quelle 18 parole per 104 battute spazi compresi valgono la fatica di star dietro alle 2.291 parole per 14.438 battute di tutto l’articolo in cui, evidentemente, si vuol proprio mostrare che è davvero un peccato se è andata come don Nicolini avrebbe voluto. Tanto che il sommario del pezzo recita: «ultracattolici, una minoranza borderline e violenta che resiste. Don Piero Corsi con le sue tesi è l’ultimo dei loro kamikaze».

L’operazione è di quelle ben congegnate perché, additando al pubblico ludibrio il mostro di turno, si mira all’intero mondo della Tradizione. Lo si fa con i guanti bianchi e si arriva fino a dire che c’è tradizionalismo e tradizionalismo. Ma il problema è che poi si è costretti a spiegarsi.

L’articolo comincia con la requisitoria contro don Piero Corsi, il parroco di San Terenzio che è andato maldestramente a infilarsi nel tema del “femminicidio”. Don Corsi, evidentemente, è l’unico sacerdote a non meritare almeno un’attenuante, concessa spesso persino ai confratelli accusati di pedofilia. Il vaticanista coscienzioso, il bravo vaticanista direbbe Renzo Arbore, avrebbe almeno dovuto notare come don Corsi sia stato improvvisamente mollato da tutti: a partire dal suo vescovo, che dovrebbe fargli da padre, per arrivare fino al presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, che, in quanto arcivescovo di Genova, non pare invece così sollecito nel condannare pubblicamente quel don Gallo che di cattolico non ha più nulla o quasi e se ne vanta in ogni dove.

Niente da fare, Rodari aveva bisogno di don Corsi per mostrare il volto cattivo di «certo tradizionalismo» che poi, a operazione conclusa, il lettore finisce per scambiare con l’intero mondo della Tradizione. Certo, il vaticanista usa i guanti bianchi e distingue. Ma, forse senza neanche aver letto Maritain, distingue per unire, perciò, se dice che don Corsi è un caso a sé, lo unisce subito alle vicende di don Floriano Abrahamowicz e don Giulio Tam, al negazionismo e al fascismo rimontante. Certo anche per quanto riguarda don Abrahamowicz e don Tam spiega che sono da tempo fuori dalla Fraternità San Pio X. Troppo di destra «persino» per gli eredi di monsignor Lefebvre: ma, intanto, un altro mattoncino è stato posato alla base dell’edificio del tradizionalismo brutto, sporco e cattivo.

Perché, il tradizionalismo, «certo tradizionalismo», sia così brutto sporco e cattivo lo spiegano gli esperti. Il primo della lista è, il professor Luca Diotallevi, sociologo che, assicura Rodari, «conosce e studia anche le dinamiche ecclesiali». Il ragionamento del sociologo che «conosce e studia anche le dinamiche ecclesiali» è fondato sulla seguente perla di originalità scientifica: «In fasi di trapasso da un “mondo” a un altro “mondo”, come quelle che stiamo vivendo, il processo di aggiornamento degli schemi cognitivi e dei modelli di comportamento richiede risorse che non tutti hanno. Questi sono tempi che richiedono a tutti una misura maggiore di coscienza, libertà e volontà. Di conseguenza, in queste fasi di passaggio, si creano gruppi marginali, ma anche molto numerosi, di individui segnati da una grande debolezza interiore».

Negli anni Sessanta del secolo scorso, i rotocalchi in lettura dai barbieri erano già pieni di analisi che mostrano come gli oppositori al nuovo che avanza, sempre un po’ ottusi, finiscano fatalmente nella frange estreme da buttare a mare. Ma se questa è l’analisi va riportata. Rincresce solo che al giornalista non sia scappata almeno una domanda, che poteva suonare più o meno così: professor Diotallevi, quando parla di passaggio dal vecchio mondo al nuovo mondo, visto che l’argomento in questione è la Chiesa cattolica, intende dire che è in atto il passaggio da una vecchia Chiesa a una nuova Chiesa? Se così fosse, di grazia, dove sta la continuità che ora invocano tutti?

Intanto, un altro mattoncino è stato posato al suo posto, in attesa che il secondo esperto, storico e sociologo anche lui assicura Rodari, porti il suo. Interviene così il professor Massimo Introvigne, con grave infortunio per l’aspirante bravo vaticanista che lo definisce «vicino ad Alleanza Cattolica», associazione, o agenzia come pare venga ora definita, di cui invece il professor Introvigne è vice reggente nazionale. Ad ogni buon conto, il professor è davvero un sociologo perché recentemente, quando si è visto costretto a spiegare gli strafalcioni ereticali del cardinale Martini, ha detto che si tratta di «cattiva sociologia» e non di cattiva teologia. Dal professor Introvigne, Rodari ricava che c’è tradizionalismo e tradizionalismo e che ce n’è persino uno buonissimo, quello del «pellegrinaggio organizzato in Vaticano da alcuni tradizionalisti per ringraziare il Papa del Motu proprio Summorum Pontificum sulla messa in latino». Un evento nato e morto nello spazio di un giorno. Evidentemente, qui parlava il sociologo e non lo storico. Rodari non specifica poi che cosa pensi lo studioso in quanto «vicino ad Alleanza Cattolica», ma questa, francamente è la pecca più veniale di tutto il pezzo.

Si arriva così al fuoco d’artificio finale riservato a don Nicolini e alla sua autocertificazione della sconfitta, alla quale però è difficile rassegnarsi. Non vi si rassegna, per esempio, l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, a suo tempo noto per le tesi non troppo ortodosse sulle verginità di Maria. Sull’“Osservatore Romano” del 29 novembre scorso, Müller ha parlato di «interpretazione eretica» del Concilio Vaticano II tanto sul versante progressista quanto su quello tradizionalista. Per i commenti a questa uscita si rimanda ai pregevoli articoli di Roberto de Mattei, Paolo Pasqualucci e Arnaldo Xavier da Silveira sul sito www.conciliovaticanosecondo.it. [I link sono quelli di questo blog, perché è interessante seguire anche i relativi dibattiti - e poi vedi anche qui]

Qui rimane solo da dire che risulta difficile separare l’uscita di monsignor Müller dall’articolessa di Rodari. Non si vuole dire che vi sia concertazione. In ogni caso questa è l’agenda degli scogli che il mondo della Tradizione dovrà affrontare nel 2013. 

Siria: Una voce cristiana

Aggiornamenti da La Stampa 2 gennaio 2013, sulla Siria.

La dissoluzione dello Stato Siriano, continua a ripetere la deputata cristiana  Maria Saadeh, sarebbe un disastro per tutto il Medio Oriente e per le comunità religiose minoritarie che ci vivono. Il sito "Ora pro Siria", voce delle comunità monastiche nel tormentato Paese, continua la sua battaglia per un'informazione equilibrata sul conflitto. 
Rilanciamo un articolo pubblicato da "Ora pro Siria" il sito che dà voce alle comunità monastiche cristiane del Paese, e compie un'opera preziosa di informazione dal terreno sulla situazione nel conflitto in atto.

"Non ci sta Maria Saadeh a vedere la sua Siria dipinta come l’impero del male assoluto, non smette mai di impegnarsi di correre dove può per portare la sua parola di verità sulla situazione siriana.

Si precipita a Beirut per incontrare la delegazione di Assadakah, una porta aperta verso l’Europa, una porta che non si vuole far aprire. Con la sua auto percorre la strada, per lei pericolosa, che congiunge Damasco a Beirut. Mostra tutto il coraggio di una donna che ha fatto della difesa del proprio Paese il suo modus vivendi. Fallita la sua missione e quella di due parlamentari siriani a Roma per incontrare le istituzioni italiane, a causa del diniego dei visti da parte del Ministro Terzi, ora il tentativo è quello di passare per Bruxelles. Non è facile, l’omologazione e la mistificazioni politica e mediatica sulla Siria sono fortissime, la campagna di menzogne continua a diffondersi per bocca dei politici e nei palinsesti televisivi. Non accettano nessun confronto in Occidente, vogliono sentire una sola voce, quella dei potenti, quella degli Stati Uniti, di Israele, del Qatar e della Turchia. Pur smentita nei fatti, la macchina del fango sul regime di Bashar al Assad non si ferma. Ora le armi chimiche! Una bufala clamorosa, dimostrata dai fatti e dalle testimonianze dei giornalisti, quelli ancora liberi, che in Siria ci vanno e raccontano. Quelli che non si capacitano del fatto che la verità possa essere mistificata in modo cosi palese. Quelli i cui servizi vanno in terza serata, mentre nei TG trasmettono i twitt dei terroristi. Maria Saadeh non smette di raccontare: “A Damasco non ci sono problemi, gli attacchi sono stati respinti all’esterno della città, certo cominciano a sentirsi gli effetti della guerra ed anche delle sanzioni, il popolo soffre, ma all’Occidente questo non interessa”.

Come al solito pragmatica e concreta, lei non ha mai difeso aprioristicamente il regime di Assad, anzi ha sempre contestato il predominio assoluto del partito Baath, tuttavia: “Una cosa è costruire un sistema democratico, altra è abbattere lo Stato. Lo Stato va difeso come principio assoluto, bisogna lavorare dall’interno per costruire regole democratiche, partecipazione e libertà. Non possiamo sprecare questa occasione”. “Il partito Baath per anni ha pervaso il tessuto sociale Siriano, si è sostituito allo Stato, ha creduto di poter fare le veci delle istituzioni, ha coltivato dentro di sé fenomeni di corruzione pesante, questo è tutto vero, ma per cambiare dobbiamo accettare la logica del pluripartitismo, proporre riforme interne, superare la supremazia del partito unico. Non possiamo accettare che questo accada con un intervento esterno, io difenderò fino alla fine il mio Paese, ed allo stesso tempo combatterò per ottenere le riforme”. 

Maria Saadeh, deputata eletta al Parlamento, manifesta tutta la sua forza di donna impegnata, quando racconta della sua Siria. “La Siria deve mantenere la sua laicità, non può cadere in mano agli integralisti sponsorizzati dal Qatar e dall’Arabia Saudita, la forza della Siria è il pluralismo religioso e l’integrazione fra i suoi componenti. La strategia occidentale è tesa ad indebolire il nostro Paese, prima di tutto perché nonostante la vicinanza geografica a Israele, ci siamo sempre schierati a favore del popolo palestinese, poi perché non accettiamo che si precluda il dialogo aperto con l’Iran, ed ancora per il nostro impegno di contrasto nei confronti delle interferenze esterne in Medio Oriente, inoltre gli interessi dell’industria bellica sono sempre in agguato e non potete immaginare quante armi sono state messe in campo dalle lobby americane in questa guerra. Una Siria debole e divisa fa più comodo all’Occidente e a Israele. I paesi del Golfo coltivano l’idea di dividere il nostro Paese, per realizzare dei piccoli emirati, cosi riducendo la sua forza”. Ecco il perché di tanta tenacia nel delegittimare l’attuale governo siriano”.

Non si ferma mai Maria Saadeh, racconterebbe per ore la sua verità, il suo modo di vedere, la sua soluzione alla crisi siriana. Perché si parla di bombe, di armi, di conflitti, ma non si leva mai la voce di chi sostiene che la crisi siriana si può risolvere con il dialogo. Fra persone che vogliono confrontarsi e che hanno a cuore l’integrità statale e laica della Siria, gli altri sono solo i signori della guerra. Non ascoltare la voce di Maria Saadeh, non consentirle di portare in Occidente la propria parola è un grave errore, è come voler chiudere la porta di fronte alla verità, per alcuni è come mettere la testa sotto la sabbia per non vedere. Lei non si arrende e noi neppure nel farci interpreti delle sue parole ogni volta che c’è uno spiraglio di libertà che lo consente".
Marco Tosatti

giovedì 3 gennaio 2013

Il vescovo di Calgary diffida i fedeli dal frequentare le Messe della FSSPX

Una scarna notizia di cronaca, ripresa di Riposte Catholique, che ci riempie di amarezza e di sconcerto. Purtroppo, conoscendo come la pensa la maggior parte dei vescovi, non desta meraviglia; ma pone pesanti interrogativi su cosa significhi essere cattolico oggi...

Il Catholic Register del Canada il 1° gennaio segnala che, nell'ultima edizione di The Carillon, il giornale ufficiale della diocesi di Calgary (Provincia dell'Alberta), l'Ordinario Mons. Fred Henry mette in guardia i suoi fedeli contro una nuova implantatio della Fraternità Sacerdotale San Pio X, e li invita a non partecipare alle liturgie che vi sono celebrate. La FSSPX ha, effettivamente da poco acquistato La Chiesa di S. Michele di Calgary che il vescovo aveva messo in vendita, e l'ha ribattezzata S. Dennis Catholic Church. Per Mons. Henry, « S. Dennis non è una chiesa cattolica e il fatto che essi si dicano chiesa cattolica è problematico e fonte di confusione per molte persone. S. Dennis non ha statuto canonico nella diocesi cattolica di Calgary », e il vescovo proibisce ai suoi fedeli di recarvisi per ricevere i sacramenti  « tranne che in caso di urgenza estrema o di pericolo di morte ».
Messa tridentina FSP a Calgary
Il vescovo precisa che « la FSSPX non gode attualmente di alcun riconoscimento canonico da parte della Chiesa cattolica ». Tuttavia, per i fedeli della diocesi che desiderano partecipare a liturgie tridentine, suggerisce di recarsi presso la parrocchia di S. Anthony di Calgary che dispone dell'apostolato della Fraternità Sacerdotale San-Pietro della quale il vescovo sottolinea « la lealtà e la fedeltà » insieme al suo attaccamento alla messa tradizionale. Il superiore del distretto del Canada della FSSPX, don Jurgen Wegner, si è detto sorpreso della posizione del vescovo ed ha spiegato che i circa 600 fedeli della FSSPX a Calgary erano troppo stretti nella vecchia cappella, ed è il loro numero che lo ha indotto ad acquistare la chiesa di S. Michele.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Roma, 21 gennaio. Proiezione del film: Mons. Lefebvre un Vescovo nella tempesta

Lunedì 21 Gennaio ore 20:30
sarà proiettato al cinema 4 Fontane di Roma,
nella sala n°3
il Film Documentario prima visione in Italia
Monsignor Lefebvre
un Vescovo nella Tempesta

Il Superiore del distretto e i sacerdoti della Fraternità San Pio X in Italia hanno il piacere di invitarvi alla proiezione del Film Documentario sulla vita e l'opera del loro fondatore, Mons.Marcel Lefebvre che avrà luogo Lunedì 21 Gennaio ore 20:30 al cinema 4 Fontane, via delle 4 Fontane - Roma

Ingresso gratuito

Scrive Cristina Siccardi:
Nessuno può negare, oggi, la crisi della Fede, nessuno, oggi, può negare la crisi della Chiesa. Benedetto XVI lo ripete insistentemente: «relativismo», «deserto», «secolarizzazione»… anche i fedeli se ne avvedono, molto più dei loro stessi Vescovi. Ci fu un Vescovo, però, che, in mezzo al trionfalistico entusiasmo dei lavori del Concilio Vaticano II, comprese che troppi rivolgimenti pastorali nella Chiesa avrebbero creato conseguenze negative; comprese che molti uomini di Chiesa avrebbero servito più il mondo che le anime; che cambiando linguaggio nella trasmissione delle verità di Fede si sarebbe spostata l’attenzione su altre pseudo-verità; che studiando su testi di teologi all’ “avanguardia” la maggior parte del clero avrebbe smarrito la direzione del Credo e la propria identità; comprese che togliendo la sacralità liturgica e artistica delle chiese si sarebbe tolta la sacralità dalla vita delle persone. Questo Vescovo fu Marcel Lefebvre (1905-1991) e, a distanza di 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II (1962-2012), nell’Anno della Fede, esce un Film-documentario che propone il profilo di un Pastore di Santa Romana Chiesa che lottò per la Sposa di Cristo e fu disposto a pagare un prezzo pesantissimo pur di tenere accesa la fiamma della Fede, della Santa Messa di sempre, della Tradizione.

Per realizzare l’opera Monsignor Lefebvre. Un vescovo nella tempesta, Film prodotto da l’Association pour la Défense du Patrimoine chrétien, il regista Jacques-Régis du Cray ha impiegato quasi tre anni di lavoro: sono presenti 32 testimoni, sono stati utilizzati documenti inediti, trovati in numerosi archivi audiovisivi e sono state compiute riprese in Africa, in America, in Europa.

C’è un nuovo giudice in Vaticano. Di rito antico

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Giudici della Corte d’Appello dello Stato della Città del Vaticano il Rev.do Mons. Egidio Turnaturi e l’Illustrissimo Dott. Riccardo Turrini Vita.

Così ne parla Sandro Magister:

Le ultime due nomine pontificie del 2012 sono arrivate proprio nell’ultimo giorno dell’anno. E hanno riguardato entrambe la corte d’appello dello Stato della Città del Vaticano.
Il 31 dicembre papa Benedetto XVI ha nominato due nuovi giudici di tale corte.

Il primo è monsignor Egidio Turnaturi, membro emerito del tribunale della rota romana e della commissione disciplinare dello Stato della Città del Vaticano. In quest’ultima veste, lo scorso inverno, era stata affidata a lui l’inchiesta interna per appurare la fondatezza delle accuse di cattiva gestione sollevate dall’allora segretario del governatorato Carlo Maria Viganò; accuse divenute di dominio pubblico grazie alla sottrazione di documenti da parte dell’allora maggiordomo del papa Paolo Gabriele.

Il secondo nuovo giudice è Riccardo Turrini Vita, 51 anni, magistrato, direttore generale del personale dell’amministrazione penitenziaria italiana, nella quale veste è stato ricevuto dal papa lo scorso 22 novembre in occasione della conferenza dei direttori delle amministrazioni penitenziarie del Consiglio d’Europa.

Turrini Vita è anche cavaliere di grazia magistrale dell’Ordine di Malta, commendatore dell’ordine pontificio di San Gregorio Magno e membro della presidenza di Una Voce Italia, associazione per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana.

In quanto membro di Una Voce, Turrini Vita è stato tra i promotori del pellegrinaggio internazionale compiuto a Roma lo scorso 3 novembre per il quinto anniversario del motu proprio “Summorum Pontificum” con il quale Benedetto XVI ha liberalizzato la celebrazione della messa nel rito romano antico, pellegrinaggio culminato con una processione verso San Pietro e una messa pontificale celebrata nella basilica dal cardinale prefetto della congregazione per il culto divino. [...]

mercoledì 2 gennaio 2013

Editoriale di gennaio di Radicati nella Fede. Oggi sembra scomparsa dalla Chiesa la condanna del peccato.

Com'è ormai consuetudine, riportiamo ogni mese l'Editoriale di Radicati nella Fede.
Ecco quello di gennaio:

Pare che oggi sia scomparsa dalla Chiesa la condanna del peccato.

 Non diciamo che non si dichiari più che questo o quello sia peccato; diciamo solo che lo si fa così timidamente e dolcemente da sembrare, anche per la Chiesa, una questione non grave. Sì, generalmente oggi si fa così. Se si dice ancora che un'azione è peccato, parte subito tutta un’opera di addolcimento dell'accusa, per non spaventare il peccatore, per accoglierlo comunque, dicendo subito che la misericordia vince. Ma la misericordia di Dio la si comprende bene solo se si coglie tutta la gravità del peccato. Oggi ormai ha vinto questa linea nella Chiesa, disastrosa dal punto di vista della cura delle anime, disastrosa per la pastorale, come si suol dire oggi.

 Non è solo il mondo ad aver fatto il disastro morale di oggi, troppo comodo incolpare solo quelli di fuori! Siamo noi che non abbiamo più parlato con chiarezza della gravità del peccato, del peccato mortale, del pericolo dell'anima che muore in stato di impenitenza finale. Siamo noi che abbiamo “scherzato”, parlando di peccato e di misericordia (quasi fosse questa una concessione preventiva al tradimento di Dio), non aiutando le anime nel ravvedimento e nel vivere secondo Dio. Vivere nel peccato vuol dire perdere la vita. Non abbiamo più detto che il peccato dispiace a Dio, che rovina l'esistenza quaggiù e chiude il Paradiso. Non abbiamo più parlato di dolore del peccato, di contrizione, e poi ci stupiamo che non ci si confessi più!

 Il nuovo corso è iniziato quando si è cominciato a dire che la Chiesa (“moderna”) preferisce la medicina della misericordia a quella della condanna. Si è addirittura fatto un Concilio per dire che non si voleva condannare più l’errore. Si è d'autorità deciso, per esempio, di tacere sul male “religioso” del '900, il comunismo ateo con tutti i suoi errori ed orrori.

 Invece la Chiesa, nel passato, non distinse mai la misericordia dalla condanna del peccato! Sono entrambe azioni necessarie nell'opera di Dio, nell'opera di salvezza delle anime: la condanna seria del peccato apre l'anima alla possibilità del dolore che salva; la misericordia dona la grazia del perdono, a chi la domanda.

 Terminiamo con una pagina di J. H. Newman, dell'Apologia pro vita sua, dove, parlando dell'Infallibilità della Chiesa, la introduce così:

 “Anzitutto, la dottrina del maestro infallibile deve iniziare da una vibrata protesta contro lo stato attuale dell'umanità. L'uomo si è ribellato al suo Creatore. Questa ribellione ha provocato l'intervento divino; e la denuncia della ribellione dev'essere il primo atto del messaggio accreditato da Dio. La Chiesa deve denunciare la ribellione come il più grave di tutti i mali possibili. Non può scendere a patti; se vuole essere fedele al suo Maestro, deve bandirla e anatemizzarla. [...]

 La Chiesa cattolica pensa sia meglio che cadano il sole e la luna dal cielo, che la terra neghi il raccolto e tutti i suoi milioni di abitanti muoiano di fame nella più dura afflizione per quanto riguarda i patimenti temporali, piuttosto che una sola anima, non diciamo si perda, ma commetta un solo peccato veniale, dica una sola bugia volontaria o rubi senza motivo un solo misero centesimo.”

 Ecco come il beato Newman, erroneamente considerato come precursore del Vaticano II, fa eco alla grande Tradizione della Chiesa, che anche sugli aspetti morali è di semplice ed estrema chiarezza. Altro che le elucubrazioni pastorali di oggi che hanno prodotto parrocchie dove la maggioranza dei fedeli vive strutturalmente in peccato mortale.

 Ascoltiamo Newman, ascoltiamo la Chiesa: la Misericordia inizia con la denuncia del peccato, dicendone tutta la sua gravità.

 www.radicatinellafede.blogspot.it

martedì 1 gennaio 2013

Arnaldo Xavier da Silveira. Sorprendente condanna pronunciata dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Fui immediatamente colpita e consapevole della gravità delle affermazioni di Mons. Müller già all'indomani del famoso articolo sull'Osservatore Romano del 29 novembre e mi auguravo che qualche voce veramente autorevole sorgesse a difendere la Tradizione. Dopo l'articolo di Pietro Pasqualucci, ecco ora questa importante puntualizzazione di Arnaldo Xavier da Silveira, che riprendo integralmente, con, alla fine, un Addendum che sintetizza le nostre recenti riflessioni.

Articolo pubblicato sul sito dell'Autore: Bonum Certamen 23-12-2012
(La traduzione è della Fonte: Una Vox)
Il problema più grande non sta nel sapere se l’assistenza assoluta e senza limiti dello Spirito Santo sia possibile in linea di principio. È chiaro che lo è. In verità, però, Nostro Signore non avrebbe dotato San Pietro, o il Collegio dei vescovi col Papa e in definitiva la Chiesa, di un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In linea di principio, nulla impedisce che, soprattutto in tempi di crisi, i documenti pontifici e conciliari che non soddisfino le condizioni dell’infallibilità, possano contenere errori e perfino eresie.
Dolce Cristo in terra

1) Non sono sedevacantista. Non lo sono mai stato, nonostante l’uno o l’altro commentatore poco attento abbia preteso di trovare tracce di sedevacantismo nello studio sulla possibilità teologica di un papa eretico, studio che fa parte del mio libro “La Nouvelle Messe de Paul VI, Qu’en Penser?” (Diffusion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil, Francia, 1975). In relazione ai pontificati degli ultimi decenni, sulla base della buona e tradizionale teologia dogmatica, non vedo come sia teologicamente possibile dichiarare vacante, in qualsiasi momento, la Sede di Pietro (si veda Paul Laymann S.J., +1635, “Th. Mor.”, Venezia, 1700, pp. 145-146; e Pietro Ballerini, “De Pot. Eccl.”, Roma, 1850, pp. 104-105). Se la Divina Provvidenza mi darà la forza, pubblicherò a breve uno studio sugli errori teologici delle correnti teorie sedevacantiste.

2) Per ogni cattolico geloso della sua fede, il Papa è il “dolce Cristo in terra”, è la colonna e il fondamento della verità. Tuttavia, grandi santi, dottori e papi ammettono la possibilità che il Sommo Pontefice cada in errore e perfino nell’eresia. E non può escludersi l’ipotesi teologica che tale caduta si riscontri nei documenti ufficiali del Papa e dei Concilii col Papa (si vedano i capitoli IX e X della parte II de La Nouvelle Messe de Paul VI, Qu’en Penser?, e i miei precedenti lavori lì citati).

Le parole di Mons. Müller

3) Lo scorso 29 novembre, L’Osservatore Romano ha pubblicato un articolo di Mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Sant’Uffizio, dal titolo “Un’immagine della Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”.
Commentando il discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, nel quale Benedetto XVI ha dichiarato che il Vaticano II dev’essere oggetto di una “ermeneutica della riforma nella continuità”, a fronte di una «ermeneutica della discontinuità e della rottura”, Mons. Müller scrive che l’interpretazione della riforma nella continuità “è l’unica possibile secondo i principi della teologia cattolica”, e continua: “Al di fuori di questa unica interpretazione ortodossa esiste purtroppo una interpretazione eretica, vale a dire l’ermeneutica della rottura, sia sul versante progressista, sia su quello tradizionalista. Entrambi sono accomunati dal rifiuto del Concilio; i progressisti nel volerlo lasciare dietro sé, come fosse solo una stagione da abbandonare per approdare ad un’altra Chiesa; i tradizionalisti nel non volervi arrivare, quasi fosse l’inverno della Catholica”.

4) Non voglio qui approfondire certi punti di questa dichiarazione, come la questione, già tanto commentata e sviluppata in questi ultimi tempi, dell’“ermeneutica della riforma nella continuità” e dell’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Né esaminerò la frase in cui Sua Eccellenza dichiara che i progressisti e i tradizionalisti “sono accomunati dal rifiuto del Concilio”. Né  tampoco dirò alcunché sul titolo di questo articolo di Mons. Müller ove è presente l’espressione, oggi ambigua e sospetta in tale contesto: “Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”. E ancora non mi soffermerò sul fatto storico che alla fine, dopo decenni, si ha una condanna del progressismo, condanna che se avesse forza canonica o quanto meno venisse dottrinalmente a sostenere di fatto la vita cattolica e l’insegnamento dei seminari, e costituisse il criterio per le promozioni ecclesiastiche, ecc, sarebbe di buon auspicio e preannuncio di tempi migliori, perché il progressismo sarebbe fortemente proscritto come eretico dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

5) Qui mi limiterò a commentare il passo in cui Mons. Müller dichiara che i tradizionalisti danno al Vaticano II una “interpretazione eretica”. So bene che non si tratta di un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede. So anche che qui non si specifica quali siano le correnti cosiddette “tradizionaliste” condannate, affermando che sarebbero tutte a non accettare incondizionatamente e integralmente il Vaticano II. So, infine,  che l’orientamento qui adottato da Mons. Müller in relazione ai tradizionalisti e ai progressisti non è quello dominante in molti circoli vaticani e soprattutto non è quello di Benedetto XVI. Tutto questo, però, non impedisce che le sue parole abbiano una grande importanza.

Della gravità estrema di questa condanna

6) Non si minimizzi, infatti, la forza di questa condanna. La logica impone che chi interpreti ereticamente un Concilio Ecumenico sia un eretico. Né si dica che la cosa non sarebbe rilevante perché non si tratta di una condanna canonica formale. È di per sé grave che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede abbia detto ciò che ha detto. È grave che per pronunciare un primo anatema contro i tradizionalisti, egli si rifugi dietro il paravento del “doctor privatus”, poiché, se il male è così enorme, come interpretare in senso eretico un concilio ecumenico, non dovrebbe essere la Santa Chiesa a pronunciarsi ufficialmente? Non si tratterebbe di un dovere di tutti i “custos fidei” nei confronti del popolo fedele? Inoltre, c’è da temere che da adesso in poi tali modi di pensare e di agire contrassegneranno le procedure della Congregazione per la Dottrina della Fede.

7) Come insegna San Tommaso d’Aquino, “l’eresia si contrappone alla fede” (S. Th. II-II, q. 39, a.1, ad 3), e sono eretici “coloro che professando la fede di Cristo, ne corrompono i dogmi” (S. Th. II-II, q. 11, a. 1, c). “La fede è la prima delle virtù” (S. Th. II-II, q. 4, a. 7, c), “è ben più grave corrompere la fede, in cui risiede la vita delle anime, che falsare il danaro, con cui si provvede alla vita temporale” (S. Th. II-II, q.11, a. 3, c).

8) Della portata della condanna. Il mondo moderno ha perso la nozione di fede, come ha perso la nozione della gravità dell’eresia. L’integrità della fede è il punto di partenza della vita cattolica. L’eretico formale non possiede la virtù teologale della fede e quindi è escluso dalla Chiesa. La condanna di Mons. Müller è espressa in termini generici e sintetici. Data l’importanza della materia, le persone che ne sono colpite hanno il diritto di chiedere che siano esplicitate la portata e le conseguenze teologiche, canoniche e pratiche dell’anatema, anche solo “in sede theoretica”, se esso fosse valido.

La deviazione teologica fondamentale di Mons. Müller

9) Testo di Mons. Müller sul magistero. – Nella stessa citata dichiarazione, Mons. Müller afferma che è principio della teologia cattolica “l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero, la cui più alta espressione è il Concilio presieduto dal Successore di San Pietro come Capo della Chiesa visibile”.

10) Il presupposto della condanna dei tradizionalisti sta quindi, secondo Mons. Müller, nel fatto che non si possa avere errore o eresia in un documento magisteriale, sia pontificio sia conciliare, nemmeno in quelli che non soddisfano le condizioni dell’infallibilità. Infatti, nel proclamare il carattere indissolubile dell’unione tra Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, egli dimostra di concepire quest’ultimo come fosse garantito contro qualsivoglia errore o eresia. Inoltre, evitando di parlare semplicemente di Tradizione, ma qualificandola come “completa e integrale”, Sua Eccellenza sottintende che la Tradizione includa gli insegnamenti conciliari, nonostante non siano garantiti dal carisma dell’infallibilità; e che includa quindi le “novità di ordine dottrinale” (vedi il seguente n° 13) del Vaticano II, che in tal modo avrebbero forza di dogma, potendo essere messe in dubbio o negate solo dagli eretici.

Il Vaticano II e l’infallibilità della Chiesa

11) Magistero straordinario? Secondo il Vaticano I, il Papa è infallibile quando, insegnando alla Chiesa universale in materia rivelata di dogma o di morale, definisce solennemente una determinata verità che dev’essere creduta dai fedeli. In conformità con la dottrina fissata dai dottori, queste condizioni dell’infallibilità papale si applicano, mutatis mutandis, ai Concili Ecumenici, le cui definizioni infallibili devono quindi comportare per i fedeli l’obbligo di professare le dottrine così proposte. Ora, Paolo VI dichiarò ripetute volte che nel Vaticano II non fu proclamato alcun nuovo dogma del Magistero straordinario. Cosa che i teologi di buona dottrina hanno anch’essi affermato in modo esauriente. Ciò posto, è alquanto inquietante per il fedele comune, e inaccettabile per un pensatore cattolico, il fatto che Mons. Müller pretenda che nel Vaticano II non possa esserci alcuna deviazione dottrinale. Su cosa si baserà in materia il pensiero del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?

12) Magistero ordinario infallibile? Secondo il Vaticano I, è ugualmente infallibile il “Magistero ordinario e universale”. Con esso la Chiesa, nel suo insegnamento quotidiano, dovendo imporre una verità che deve essere creduta, deve farlo, non solo per il mondo intero, ma in continuità nel tempo, in modo tale che risulti chiaro ad ogni fedele che quella verità fu rivelata e deve essere professata se non si vuole incorrere nell’abbandono della fede. In questo contesto, il concetto di “universale” non sempre è correttamente interpretato, ma vi è chi lo intende come se indicasse solo un’universalità spaziale, cioè relativa al mondo intero. Secondo questo modo di vedere, tutti gli insegnamenti del Vaticano II sarebbero infallibili perché approvati solennemente dal Papa con l’unanimità morale dei vescovi di tutto il mondo. In verità, dei singoli atti magisteriali del Papa o del Concilio, come è stato il caso del Vaticano II, non possono definire dei dogmi del Magistero ordinario in mancanza della continuità temporale e della conseguente impositività che vincolerebbe in modo assoluto la coscienza dei fedeli.

13) Le “notivà di ordine dottrinale” del Vaticano II – Il 2 dicembre del 2011, Mons. Fernando Ocáriz, Vicario Generale dell’Opus Dei e professore di teologia, pubblicò su L’Osservatore Romano un articolo intitolato: “Sull’adesione al concilio Vaticano II”. In esso si legge: “Nel concilio Vaticano II ci sono state diverse novità di ordine dottrinale (…): alcune di esse sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione”. E in seguito Mons. Ocáriz riconosce che: “Di fronte alle difficoltà che possono trovarsi per capire la continuità di alcuni insegnamenti conciliari con la tradizione, (…) rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi”. Si noti la diversità di tono tra questo testo e la condanna pronunciata da Mons. Müller, nonostante Mons. Ocáriz dica anche che “una caratteristica essenziale del magistero è la sua continuità e omogeneità nel tempo”.
Il 28 dicembre dello stesso anno ho pubblicato sul mio sito un articolo intitolatoGrave lapsus teologico di Mons. Ocáriz”, nel quale ho sostenuto, come nei miei lavori precedenti, che “Gesù Cristo potrebbe aver dato a San Pietro e ai suoi successori il carisma dell’infallibilità assoluta. (…) Ma il problema non consiste nel sapere se l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe possibile in linea di principio in presenza di tale potere assoluto e generale. È chiaro che lo sarebbe. Fatto sta, però, che Nostro Signore non ha voluto conferire a San Pietro, al collegio dei vescovi col Papa, in definitiva alla Chiesa, un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In sintesi: la teologia tradizionale afferma che risulta dalla Rivelazione  che l’assistenza dello Spirito Santo non fu promessa, e quindi non fu assicurata, in forma così illimitata, in tutti i casi e le circostanze. Questa assistenza garantita da Nostro Signore copre in modo assoluto le definizioni straordinarie, tanto papali quanto conciliari. Ma le grandi opere teologiche, specialmente dell’età d’argento della scolastica, insegnano che nei pronunciamenti papali e conciliari non garantiti dall’infallibilità, possono esserci errori e perfino eresie”. Questo è quanto riaffermo oggi.

Tre rispettose domande a Mons. Müller

14) Professione di fede cattolica. - Alla luce del richiamato testo del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, chiedo che egli accetti la professione di fede che qui esprimo in tutto quello che autenticamente insegna la Santa Chiesa nei suoi dogmi del Magistero straordinario papale o conciliare, e nei dogmi del Magistero ordinario e universale. Affermo la mia piena accettazione delle altre verità della dottrina cattolica, ognuna con la qualificazione teologica che i dottori tradizionali le hanno attribuita. E respingo come teologicamente inconcludente e faziosa l’accusa che riduce ad eresia l’attaccamento alla Tradizione.

15) Del senso e della portata della condanna. – In considerazione della necessità di precisione in un atto di questa portata teologica, qual è una condanna anche solo in sede dottrinale di una corrente di pensiero molto rispettata nel mondo intero, chiedo a Mons. Müller che indichi meglio la portata teorica e pratica del suo anatema, secondo le osservazioni del precedente punto 8. Nel formulare questa domanda, ho anche in vista la salvezza delle anime semplici, che abbracciano con fede piena i dogmi della transustanziazione, della verginità di Maria, prima, durante e dopo il parto, e tutti gli altri, ma che non hanno accesso alle distinzioni teologiche sottili, e che potrebbero vedere scossa la propria fede dalla notizia che il Prefetto dell’antico Sant’Uffizio abbia dichiarato che i tradizionalisti, indistintamente, sarebbero eretici.

16) Della possibilità di errore nei documenti del Magistero. – Come fedele cattolico consapevole dell’autorità dei Dicasteri vaticani, e anche come autore di scritti che vantano non pochi lettori, per i quali mi sento responsabile in qualche modo di fronte a Nostro Signore, ritengo di avere il pieno diritto di chiedere filialmente al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che dichiari, in modo formale, chiaro e specifico, se è falsa la tesi che ho difeso nei miei lavori succitati, tesi che difendo anche ora e in base alla quale è teologicamente possibile l’esistenza di errori e perfino di eresie nei documenti pontifici e conciliari che non assolvono le necessarie condizioni per l’infallibilità.

17) In questa vigilia del Santo Natale, invocando il Divino Bambino, la Sua Santissima Madre e San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, formulo queste considerazioni e queste domande per legittima difesa e cum moderamine inculpatae tutelae, e le formulo pubblicamente dal momento che l’aggressione subita è stata pubblica.

Addendum, scaturito dalle nostre riflessioni. Ecco la loro breve sintesi:

Anche ultimamente il Papa ha richiamato il Concilio-bussola, invitando tutti ad abbandonare le elucubrazioni dei teologi e tornare ai testi, ignorando e lasciando aperta la problematica che ciò comporta. Infatti, se si torna ai testi, si ritrovano quelle formulazioni ambigue che hanno portato la Chiesa là dove si trova oggi. E non saranno di certo i vescovi e i sacerdoti, figli del Vaticano II, ai quali ci rinvia il Papa come guide per la rilettura, che sapranno e vorranno fare chiarezza (basta ricordare le presenti e passate dichiarazioni di Müller nonché quelle di Koch), visto che è dalle loro cattedre, dai loro amboni, che è venuta la confusione.
Solo dal Papa aspettiamo quella corretta rilettura, solo il Papa può dimostrare e convincere che certi documenti del CVII sono in continuità con la Tradizione. In assenza del suo insegnamento, questi tre anni di anniversario presentato in tutte le salse e quelli che verranno serviranno solo a santificare il “Concilio”, a farne non più solo un “mitico evento che ha segnato una svolta epocale nella e della Chiesa” ( vulgata ricorrente) ma un superdogma al quale dovremo tutti credere e aderire, pena altrimenti di essere considerati... eretici. È dunque questo il problema scottante e ineludibile: chi ha applicato le innovazioni coincide con chi le ha volute, anche se forse non era tra i modernisti più accesi e di fatto purtroppo efficaci nelle loro rivoluzionarie influenze neppure più tanto nascoste né velate.

La conseguenza ovvia è che, se pur si è disposti a criticare qualche virgola, la sostanza che non è  criticabile risulta inesorabilmente intangibile. E proprio nel nuovo concetto di Tradizione tocchiamo il punctum dolens: il nuovo impianto pastorale continua ad allargare la divaricazione dalla Tradizione bimillenaria, in quanto essa non è più fondata sull'oggetto-Rivelazione, ma storicisticamente trasformata in “vivente” e quindi mutevole a seconda dei tempi e fondata sull'unico soggetto-Chiesa che li attraversa (discorso 22 dicembre).

È concepibile il rinnovamento di un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, ma che risulta sganciato dalla sua autentica vis trasformante trasferita, ma soprattutto piegata, all'impatto con i tempi nuovi e le loro suggestioni ed esigenze?

Non è detto che la Ecclesia militans nella storia, nel secolo, in quanto organismo vivente, non debba rinnovarsi. Ma è problematico e foriero di perdita di orientamento e di identità un rinnovamento basato sul soggetto-Chiesa e non sull'oggetto-Rivelazione, direttamente proveniente dal Signore che l'ha consegnata -includendovi se stesso- nel costituire la Chiesa...

Lo stesso Giovanni XXIII ha sempre parlato di aggiornamento, che ora è stato chiamato con un'espressione paradossale riforma nella continuità (discorso del 22 dicembre 2005), ma -guarda caso- la continuità viene attribuita all'unico soggetto-Chiesa e non all'oggetto-Rivelazione... In altre parole da un cinquantennio a questa parte si sta facendo largo un'idea perversa di Magistero, per cui da regula proxima esso si sta trasformando in regula ultima, e dunque da mezzo di conservazione della verità in fine, verità in sé. È poi chiaro che con tale concezione di Magistero ci sarà sempre “continuità”: l'ultimo che arriva, pur se dicesse l'opposto di chi lo ha preceduto, sarà sempre in continuità con i predecessori, istituendo lui stesso il Dogma. Il trionfo del soggettivismo moderno in teologia.

Preghiera allo Spirito Santo per questo primo giorno dell'anno

È accordata l'indulgenza plenaria, alle condizioni abituali (confessione sacramentale, comunione e preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice), a tutti coloro che canteranno o reciteranno l'Inno del Veni Creator Spiritus questo primo giorno dell'anno per implorare l'assistenza divina lungo tutto l'anno che viene... 

Veni, creátor Spíritus,
mentes tuórum vísita,
imple supérna grátia,
quæ tu creásti péctora.

Qui díceris Paráclitus,
altíssimi donum Dei,
fons vivus, ignis, cáritas,
et spiritális únctio.

Tu septifórmis múnere,
dígitus patérnæ déxteræ,
tu rite promíssum Patris,
sermóne ditans gúttura.

Accénde lumen sensibus,
infúnde amórem córdibus,
infírma nostri córporis
virtúte firmans pérpeti.

Hostem repéllas lóngius
pacémque dones prótinus;
ductóre sic te prǽvio
vitémus omne nóxium.

Per Te sciámus da Patrem
noscámus atque Fílium,
teque utriúsque Spíritum
credámus omni témpore.

Deo Patri sit glória,
et Fílio, qui a mórtuis
surréxit, ac Paráclito,
in sæculórum sǽcula.
Amen.
Vieni, o Spirito creatore,
visita le nostre menti,
riempi della suprema grazia
i cuori che hai creato.

[Tu] chiamato Difensore,
dono del Dio altissimo,
acqua viva, fuoco, amore,
santa unzione dell'anima.

Tu, che con il dono settiforme,
dito della destra del Padre,
tu, per tradizione promesso dal Padre,
che riempi la bocca di parole,

Accendi luce ai sensi,
infondi amore ai cuori;
la debolezza del nostro corpo
rafforza con la virtù.

Respingi lontano il nemico,
e insieme dona la pace,
così con te guida in anticipo
evitiamo ogni male.

Lasciaci riconoscere in te il Padre
e conosciamo anche il Figlio:
a te, e allo spirito di entrambi
ci affideremo per sempre.

Sia gloria a Dio Padre,
al Figlio, che è risorto dai morti
e allo Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.

Per l'ascolto e il Canto: