Segnalazione di un lettore:
Il 21 aprile del 753 a.C. Romolo fondava la città di Roma, capitale di un glorioso Impero predestinato a diventare cuore della cattolicità e trono del Vicario di Cristo. Oggi Roma, caput mundi, fecondata dal sangue dei martiri, resa grande dai Papi, un tempo temuta dai barbari e poi odiata dagli eretici, compie 2771 anni! Diceva il venerato cardinale Giovanni Canestri: «Chi è nato a Roma la ama, ma chi non ci è nato e l'ha incontrata, a volte, la ama ancor di più»!
O Roma nobilis, orbis et domina, cunctarum urbium excellentissima, salutem dicimus tibi per omnia; Te benedicimus: salve per sæcula! Auguri Roma!
Qui articolo dello scorso anno.
8 commenti:
21 aprile Natale di Roma
Il lituus era un bastone ricurvo in cima usato dagli auguri per la delimitazione del templum, lo spazio cosmico corrispondente a quella superficie delimitata che sulla terra doveva essere consacrata, quindi per l'appunto inaugurata.
E' consuetudine associare il lituus, agli Auguri, ma la tradizione lo riporta a Romolo e prima di lui al re latino Pico, come simbolo di regalità e augurato in epoca arcaica, come osserva Santo Mazzarino che attribuisce un'importanza essenziale alle peculiarità del rango al tempo delle origini di Roma.
Anche altri storici hanno considerato Romolo più un magistrato che un capo; un ordinatore avvolto nella sacralità, capace di unire Ius e Religio; l' Auctoritas preceduta dagli Auspicia.
Tale concetto sicuramente chiaro ed evidente ai romani in epoca regia e repubblicana fu ripreso in forma sottile e adattata ai suoi tempi da Augusto che riporta il lituus nei Tetradrammi che lo celebrano associato al mitico fondatore.
L'epoca protostorica di Romolo e quella protoimperiale di Augusto hanno certamente poco in comune, ma nell'uno e nell' altro caso noi osserviamo, a millenni di distanza, la frattura con il passato e l'alba di una nuova era.
In epoca arcaica aveva una significativa importanza la Gens Romilia che avrebbe avuto come capostipite Romolo stesso dopo il matrimonio con la principessa sabina Ersilia. C'è poi chi associa il nome della Gens Romilia al gentilizio etrusco Rumla.
Alcune fonti riferiscono che fu la Gens Romilia a portare alla città da poco fondata l'etrusco Ager Vaticanus da dove era consuetudine prendere i vaticini, predizioni di avvenimenti futuri per ispirazione divina.
Alle origini di Roma concorrono elementi storici e soprannaturali in un arco di tempo che va da quando Romolo sul Palatino vede gli uccelli a quando lui stesso nella battaglia contro i Sabini invoca Giove, detto per l'occasione Statore, e nasce il patto di reciproco rispetto fra gli Dèi e Roma.
Il 21 aprile è anche il giorno che desta, anno dopo anno da ventisette secoli, una grande emozione nei romani. E' il vero Natale, quello che ha diviso in due parti la storia del mondo.
Quel 21 aprile di duemilasettecentosettantuno anni fa è il giorno al quale è riconducibile una memoria universale, gratificante e colma di emozione aperta a tutti.
Non sono pochi quelli che di fronte ai limiti e alla connaturata violenza di messaggi universali di certe affermate credenze riscoprono il senso religioso dei Romani antichi e la potenzialità della preghiera liberata dai dogmatismi dottrinari.
Oggi, nel ventottesimo secolo dell'Era Romana, chiunque può cogliere frutti nel giardino della Romanità libero da coercizioni, vincoli, prescrizioni e pericolose aspettative.
"Riformare la scuola ritornando alla vera formazione e alla cultura. "
http://www.lanuovabq.it/it/elogio-della-retorica-la-materia-base-che-nessuno-insegna
Ancora sui Romani: Auctoritas, fides.
L'esercizio della auctoritas da parte delle persone (come il pater familias) o degli organi legittimamente autorizzati era piuttosto ampio.
Vediamo nell'episodio del Centurione (Lc 8, 9ss) che egli si affida pienamente all'autorità del divino Maestro, del quale aveva evidentemente sentito parlare dal popolo. E in questo affidarsi emerge la fede assoluta nella Sua parola, tanto da affermare che basta il suo comando perché si ottenga ( a distanza) la guarigione.
"La fides è definita nell'antichità come esser di parola, tener la parola: fit quod dicitur. [...] Fides, che d'ora in avanti tradurremo con 'fedeltà'[Treue], è il vincolo alla parola data, il sentirsi legati alla propria dichiarazione.
I romani si vantano della loro fedeltà. Esser fedeli è uno dei loro principii di vita. In realtà, i romani tendono seriamente alla fedeltà, e l'infedeltà è per loro una macchia sociale. D'altronde la fedeltà è anche uno uno dei lati della constantia, che ai romani sembra la virtù centrale dell'uomo : "take a course and stick to it!"[Shakespeare]. Quando parlano della fides i romani diventano patetici. Il vecchio CAtone faceva notare enfaticamente che i maggiori avevano costruito sul Campidoglio il tempio della Fides vicinissmo a quello a quello di Giove Ottimo Massimo. Cicerone considerava la fedeltà come "quel che vi è di più santo nella vita" e Valerio Massimo come "la base di ogni felicità umana". Valerio Massimo è nel giusto anche quando afferma che tutto il mondo conosce la fedeltà romana. L'Autore del I libro dei Maccabei dice che "i romani hanno la fama di conservar l'amicizia ai loro amici e a quelli che a loro si affidano" e l'autore dell'Evangelo di S. Giovanni [chi scrive è protestante] presenta anche Pilato come un uomo che sta alla sua parola: - Quello che ho scritto, ho scritto [Gv 19, 22 - quod scripsi, scripsi, è la risposta di Pilato ai Farisei che gli chiedevano di modificare il cartiglio sulla Croce: Gesù Nazareno Re dei Giudei].
Al principio della fedeltà il diritto romano deve certe linee particolarmente caratteristiche. Anzitutto è significativo il sollecito riconoscimento del negozio giuridico non solenne [bardato di forme di antica origine religiosa, a pena di nullità]. La fides esige che si mantenga la parola, qualunque sia la forma in cui è stata espressa [...] Caratteristico della fedeltà romana è inoltre lo stretto vincolo che nasce da un contratto obbligatorio valido. Il fatto che non sia riconosciuta l'efficacia vincolante dell'offerta, che anzi non se ne sia mai parlato, trova la sua spiegazione in ciò che il contratto fra assenti, a proposito del quale il problema si pone di solito nella pratica, non era frequente nella vita giuridica romana: per concludere un affare si ricorreva agli schiavi, ai liberti, agli amici. Ma il contratto perfetto vincola; e il recesso unilaterale dal contratto è fondamentalmente escluso".
[estratti dall'opera dell'illustre storico tedesco del diritto: Federico Schulz, "I principii del diritto romano", tr. it. di V. Arangio Ruiz, Sansoni, 1946, pp. 193-194; 196). [PP]
@ chi ha postato alle 11.43 di ieri:
aridaje co 'sto 21 aprile come "vero Natale" in contrapposizione a quello di Nostro Signore Gesù Cristo, e con la religione della "romanità" neopagana priva dei "dogmatismi" e della "violenza" del Cattolicesimo.
Io sono romano, trasteverino per l'esattezza, ma non ammetto l'inserzione anticattolica fatta in questo blog presumibilmente dal solito massone di turno.
L'avevo già segnalato, poi il tutto è scomparso dal blog per riapparire ieri, senza la mia critica. Probabilmente c'è stato qualche problema tecnico.
In che senso l'universalismo romano ha "superato" la nazione e ha creato una nuova
nazione, l'impero.[I]
Nel capitolo "Nazione" della classica opera dello Schulz, già citata, troviamo:
"Intendiamo per "nazione"un popolo che sente di essere una comunità politicamente separata, che si individua politicamente e che si contrappone ad altre comunità politiche. Coscienza (o sentimento) nazionale è appunto quella coscienza che forma la nazione e l'individua politicamente, la coscienza di essere una comunità politica come le altre e perciò diversa dalle altre. Un fattore importante nella formazione della coscienza nazionale è la comunanza di lingua, che tuttavia non è decisiva e non sempre si riscontra. Essenziale è la comunanza dei grandi destini politici e culturali, la comunanza del destino storico [...]
Fin dove ci è dato risalire nel tempo, gli abitanti del Lazio costituiscono sempre una nazione. Comunque sia stata organizzata l'originaria lega latina, essa si fondava sul sentimento di coesione delle comunità latine. Su questo sentimento è fondata anche la lega latina più recente, o meglio il sistema dei trattati di alleanza vigenti fra Roma e i comuni latini. Accanto alla nazione latina si sviluppa lentamente la nazione italiana: in questo senso fu decisiva la grande esperienza comune della grande guerra annibalica [II punica]. La nazione italiana ha assorbito infine la latina come quella tedesca ha assorbito quelle dello Schleswig-Holstein e dello Hannover. Per parte sua, nei primi due secoli dell'impero, la nazione italiana trapassa nella nazione dell'Impero romano. Già da tempo la cittadinanza non coincideva più con la nazione romano-italica; ma la cerchia dei cives estranei a questa divenne sempre maggiore e più importante. In questa parte della popolazione, per eterogenei che siano i suoi membri, sorge un nuovo sentimento di coesione: la superba professione della romanità li unisce e le parole magiche "sono un cittadino romano" risuonano così in Sicilia come in Giudea, perché "l'esser romano garantisce la sicurezza personale". Quasi ci si considera parenti di sangue [...] L'imperatore diviene il venerato benefattore e padre di tutta la varia umanità compresa nell'impero". Al posto dei proconsoli conquistatori vengono i funzionari provinciali della scuola di Augusto e Tiberio; notabili provinciali raggiungono il senato e la burocrazia. L'ammninistrazione imperiale è efficiente: comporta dei pesi ma anche notevoli vantaggi: "acquedotti e canali, bagni e teatri pubblici, strade sicure e diritto sicuro, senza contare l'educazione ellenistica, l'arte, la letteratura, la scuola. Conseguenza di ciò fu il sentimento di adesione e di appartenenza all'impero. Roma divenne la patria: - Roma communis patria "(Schultz, I principii del dir. romano, cit., pp.. 96-99)
[PP]
Per Sacerdos quidam
Non so per quale strano problema tecnico questa pagina era sparita e l'ho ricostruita dalla copia cache di google che riportava solo il primo intervento, che ho reinserito con l'intenzione di replicare, ma sono stata distolta...
È la seconda volta che mi imbatto nella sparizione di una pagina....
Impero e nazione, prendendo spunto dall'universalismo dei Romani [II]
[SQ ha ragione, anch'io avevo notato qualcosa di stonato nella conclusione sul Natale di Roma.
Mi sembra comunque opportuno ricordare anche la romanità pagana nei suoi aspetti positivi. Tra l'altro, l'attuale negazione e rigetto del cattolicesimo va di pari passo con la damnatio della romanità e della cultura classica nei loro aspetti positivi. Né mi sembra giusto liquidare, al modo di autori cattolici francesi come Dom Guéranguer, la romanità pagana come semplice insieme di "crimini secolari" giustamente puniti con le invasioni barbariche: un giudizio a dir poco semplicistico. Ragion per cui ci si ricorda solo della Roma cristiana, come se prima ci fosse stata solo barbarie]
Riprendo lo Schulz. La nuova nazione imperiale non aveva un'unica lingua, in Occidente era diventata il latino; in Oriente aiutava il greco, lingua franca e in genere capita dalle classi elevate in Occidente. La "nazione" che era l'impero tendeva ovviamente a livellare, semplificare, almeno nei primi due secoli. Vi si affermò l'idea di una humanitas cosmopolita e uguale: "anche l'idea umanitaria e cosmopolita della filosofia [stoica] e più tardi il cristianesimo collaborarono allo stesso indirizzo : l'uomo non è nato per un cantuccio ristretto, la sua patria è il mondo (Seneca); egli è cittadino del mondo (Diogene Laerzio)" Però, nota lo Schulz, il mondo a cui si pensa è quello della oikoumene, ossia della "terra abitata", coincidente con l'impero stesso, è il mondo civile dell'impero.
Nazione nuova dunque l'impero e non "ombra di nazione". C'è un processo di snazionalizzazione, per quanto riguarda "il sentimento nazionale italico" ma in compenso si rafforza il sentimento imperiale.
"Senza questo sentimento l'Impero non avrebbe potuto conservarsi per un così lungo ordine di secoli [quasi sei in Occidente, molto di più in Oriente, dove però si trasformò]; nè la Spagna, nè la Gallia, nè la Britannia - a tacere delle provincie orientali - si sono mai staccate dall'Impero e dalla nazione romana. Insomma, non la mancanza di coscienza nazionale, ma la mancanza di potenza nazionale ha cagionato la decadenza dell'impero romano". La coscienza di una "determinata missione storica" l'impero la riassumeva nella formuala: Armi e Leggi. I Romani ammettevano la superiorità dei Greci nella filosofia, nella letteratura, nell'arte. Ma contrapponevano la loro superiorità militare (la virtus), le loro attitudini pratiche a governare, amministrare, costruire nel campo sociale e in particolare in quello giuridico. (Schulz, op. cit., pp. 96-102).
Insomma, un quadro un po'diverso da quello di Roma = Babilonia. Ma vale il parallelo fatto da alcuni intellettuali tra l'Impero Romano e l'Unione Europea? No. Innanzitutto per un motivo etico. L'impero pagano si basava sulla morale naturale, come (imiperfettamente) praticata allora, prima di Cristo. L'Unione si basa sul nichilismo morale di un ugualitarismo infame che promuove la Rivoluzione Sessuale e l'invasione straniera; essa è contro natura. [PP]
L'orgoglio resistera' fino alla fine dei tempi
L’atto è illegittimo perché la legge italiana non prevede questo tipo di filiazione,
http://www.lanuovabq.it/it/mamma-e-mamma-atto-illegittimo-dellappendino
Povera donna , una preghiera per lei .
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