Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 23 settembre 2019

Jonathan B. Coe. Il coraggio del vescovo Schneider

Riprendiamo da Stilum Curiae, un articolo apparso sulla rivista Crisis Magazine col titolo The Courage of Bishop Schneider [qui]. Riguarda appunto mons. Athanasius Schneider, che si è sempre distinto per il suo coraggio non avendo mai esitato né temuto di riaffermare le verità cattoliche, contro le ambiguità, le confusioni e le deviazioni che in questo pontificato sono arrivate a un punto limite. Lo ha fatto in innumerevoli interventi da noi regolarmente pubblicati, per consultare i quali vi invito ad usare il motore di ricerca interno. Aggiungo che l'immagine scelta mi è molto cara, perché mostra l'anello episcopale di mons. Schneider che ha la peculiarità di riportare l'immagine dell'Immacolata. Cliccando per ingrandire è riconoscibile; ma sotto riporto anche quella del dettaglio.

Jonathan B. Coe. Il coraggio del vescovo Schneider

Nella storia della Chiesa, i cattivi vescovi non sono certo una novità. Gli storici stimano che, quando l’eresia ariana scosse la cristianità nel IV secolo, i quattro quinti dell’episcopato scelsero l’apostasia. Quando re Enrico VIII [1491-1547] impose ai vescovi il «giuramento di successione» [con il quale si riconosceva la legittimità di Anna Boleyn (1507-1536) come moglie del re e della sua prole per l’eredità al trono], tutti i vescovi accettarono di farlo tranne uno. Per questo suo rifiuto di rinnegare la propria fedeltà al pontefice, John Fisher [1469-1535], vescovo di Rochester, subì il martirio nel 1535 e, esattamente 400 anni dopo, fu canonizzato da papa Pio XI [1922-1939].
Non c’è dubbio che la maggioranza dei vescovi della nostra epoca rimanga nel proprio cuore fedele all’ortodossia delle fede. Ma, probabilmente, non si arriverebbe al 20% se volessimo contare chi, tra loro, è disposto a far sentire la propria voce a difesa di quell’ortodossia.

Non sono quindi i prelati ortodossi a essere rari, quanto i prelati ortodossi dotati di coraggio. Noi ne conosciamo almeno uno: Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, in Kazakhstan, e canonico regolare della Santa Croce (O.R.C.). In una sua recente intervista dimostra di essere veramente degno del nome che porta: quello del santo vescovo di Alessandria d’Egitto che difese la dottrina della Trinità contro l’eresia ariana mille anni prima della nascita di John Fisher.

Le parole di mons. Schneider si leggono che è un piacere. Si distinguono per l’assoluta franchezza e per l’assenza dell’«ambiguità usata come un’arma» di cui sono maestri quei prelati «moderni» che seguono la direzione del vento come banderuole.

Per esempio, non è necessaria la saggezza di Salomone per rendersi conto che il summit organizzato lo scorso febbraio in Vaticano è stato uno specchietto per le allodole concepito per distogliere gli sguardi dai problemi che stanno alla base della nostra crisi.

Con una franchezza radicata in un assetto morale e teologico di spessore, egli ha identificato almeno quattro elefanti nella stanza[1]: l’omosessualità nei ranghi del clero, il relativismo nella dottrina morale, la formazione scadente nei seminari, e una mancanza di rapporto personale con Gesù Cristo. Le sue delucidazioni su queste quattro cause mostrano l’ostinarsi sul «clericalismo» da parte del Team di Papa Francesco per quel che è: una manovra diversiva.

Commentando la sottoscrizione vaticana di un documento nel quale si dichiara che «Il pluralismo e le diversità di religione […] sono una sapiente volontà divina», Schneider ha detto che ciò equivaleva «promuovere l’abbandono del primo comandamento» e un «tradimento del Vangelo», e ha continuato esprimendo preoccupazione che si stava relativizzando l’unicità di Gesù Cristo e della sua Chiesa: se il documento non sarà corretto – ammonisce mons. Schneider – la missione ad gentes della Chiesa, cioè l’evangelizzazione rivolta agli uomini di tutte le nazioni, ne sarà paralizzata.

A proposito del vescovo Erwin Kräutler, uno dei principali organizzatori dell’imminente sinodo sull’Amazzonia nonché estensore di primo piano del suo documento preparatorio, mons. Schneider dice che il tipo di ministri che lui e molti suoi compagni di viaggio tra il clero vagheggiano sono «figure caricaturali di preti, che hanno il loro modello negli operatori umanitari, nei dipendenti delle ONG, nei sindacalisti socialisti e negli ecologisti». Non è uno che gira intorno alle cose, mons. Schneider.

«La verità sulla questione» riassume, «è che quanti propugnano un clero amazzonico sposato con lo stratagemma dell’elegante motto “uomini provati” (“viri probati“) considerano i popoli amazzonici inferiori, perché presuppongono aprioristicamente che non abbiano la capacità di dare alla Chiesa sacerdoti celibi generati dal proprio ambiente».

* * *

Il coraggio e la franchezza del vescovo Schneider hanno senza dubbio radici nella sua famiglia. La sua giovinezza di cattolico tradizionale è stata forgiata nella fornace della persecuzione comunista: i genitori di Athanasius erano Tedeschi del Mar Nero che vivevano in Ucraina. Dopo la Seconda guerra mondiale, Stalin li aveva spediti nel Gulag di Krasnokamsk, fra le montagne degli Urali.

Gli Schneider erano attivi nella Chiesa clandestina. Maria, la madre di Athanasius, fu una delle molte anime coraggiose che nascosero il beato Oleska Zarycki [1912-1963], un sacerdote ucraino che, alla fine, morì da martire. Questa famiglia aveva una fede soprannaturale che si rifletteva in una santa riverenza e adorazione durante le celebrazioni dell’Eucaristia. I sovietici le avevano proibite e solo raramente gli Schneider potevano usufruirne nei loro incontri clandestini.

In uno di tali incontri, mentre un certo padre Alexij Saritski si apprestava a celebrare la Santa Messa, si sentì una voce esclamare: «Sta arrivando la polizia!». Quella stessa sera, Maria Schneider lasciò i suoi due figli piccoli con la madre e, con l’aiuto di una zia del marito, portò in salvo padre Saritski percorrendo 12 chilometri in una foresta a una temperatura che raggiunse i 22 gradi sotto zero. Questa famiglia veramente ha incarnato lo spirito del martirio: erano tutti disposti a rischiare la prigione e addirittura andare incontro alla morte per la propria fede.

Mons. Schneider dimostra lo stesso spirito di servizio disinteressato per la Santa Madre Chiesa. Per le sue prese di posizione pubbliche, probabilmente non indosserà mai la berretta cardinalizia in questo pontificato e, probabilmente, neanche nel prossimo. Ma il suo sguardo rimane fisso su un premio più grande: la corona imperitura che attende i prelati che hanno dedicato la propria vita terrena a condurre, da pastori, la Chiesa pellegrina sulla terra verso il paradiso.

Fra gli elementi distintivi della santità c’è quello di vivere la propria vita con lo sguardo all’eternità. Chi vi aspira agisce con coraggio, anche a costo di diventare persona non grata dei poteri mondani, perché sa che dovrà rendere conto al Pastore supremo nel Giorno del giudizio. In quel giorno, preti e vescovi verranno giudicati nei termini descritti dalla lettera di san Paolo ai Corinzi (1Cor 3,1-15): il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno – verificando se si tratta di oro, argento e pietre preziose, oppure di legno, fieno e paglia – per vedere che cosa sopravviva.

Tali portatori di santità sono poi corroborati dalle virtù teologali. Essi sperano di potersi presentare dinanzi al Pastore supremo irreprensibili, senza macchia e colmi gioia. Essi veramente credono di dover rendere conto a Cristo per le proprie opere, e la loro obbedienza è radicata nell’amore: «Se mi ami, osserva i miei comandamenti».

Tutto ciò che abbiamo scritto si applica, in principio, anche al laicato. Dobbiamo augurarci di poter correre la nostra corsa con pazienza, in modo da meritare anche noi, alla fine, una corona imperitura.
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[1] An elephant in the room è un’espressione tipica della lingua inglese per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho sempre pensato che, il religioso che avrebbe sistemato le cose all'interno della Chiesa Cattolica di cui parla Maria Simma sia il vescovo Schneider.

Anonimo ha detto...

Spero molto che abbia il coraggio di essere santo come il grande di cui porta il nome. Al di là di questo mi lascia basita il fatto che si possa pensare ad un successore peggiore dell'attuale bicefalia in corso, tanto da presumere di poter andare avanti con queste paganerie e cineserie varie ancora per tanti anni: questo significa o vivere una realtà migliore della nostra o essere comunque accecati. Dio non permetterà un paganesimo tinto di cristianesimo come mai l'ha permesso, o meglio è sempre intervenuto: col diluvio, con la confusione delle lingue, con la chiamata di Abramo ad uscire da Babilonia, con l'esilio, colla morte graduale del sacerdozio ebraico interrottosi col Deicidio (direi che lì ci fu il taglio netto col segno del velo del tempio lacerato) ed ora avverrà di nuovo, non ci si illuda che si possa ulteriormente deridere Dio, sarà finchè Lui lo permetterà ed ormai abbiamo raggiunto ogni limite di decenza sia nel culto che nella morale che in tutto, abominio della desolazione che verrà annientata dal "fiato della bocca" di Dio, il che potrebbe anche essere il fiato della bocca di un Monsignore.

Anonimo ha detto...

-Perché l'uomo moderno trascura il Cristianesimo?-

La gente, al giorno d'oggi, si distoglie dal Cristianesimo non già perché è troppo difficile, ma perché è troppo mite e facile; non già perché esige troppo, ma perché esige troppo poco.

L'uomo moderno ha bisogno di consegnarsi e di dedicarsi a una causa. Poiché non ode, dai pulpiti, squillanti appelli all'eroismo e alla santità, ma sermoni in favore della tolleranza e della benevolenza o moralismi da dozzina, si rimette alla mente di Lenin invece che a Cristo; reca prigioniera a Marx, invece che al Salvatore, la propria volontà; si lascia assorbire, nell'anelito alla dittatura, dalla mentalità di massa, invece di trovare la gloriosa libertà dei Figli di Dio attraverso la mortificazione della carne e della sua concupiscenza.

Nelle deluse anime moderne c'è un potenziale maggiore di quanto non credano e sappiano i "condottieri" cristiani. Ma di codeste anime essi non avranno mai ragione fino a che non si rifaranno al Salvatore Crocifisso che invitava i suoi seguaci a prendere una croce e a seguirLo.

L'uomo moderno trascura il Cristianesimo perché è troppo facile. Ma il Cristianesimo non è facile. Chi crede che il Cristianesimo sia una scappatoia guardi al Crocifisso come alla condizione di una Risurrezione e di una unione assoluta col Padre Celeste. Quando ci si accorgerà che il Cristianesimo è difficile, allora lo si tenterà.

(Beato Fulton J. Sheen, da "Pensieri per la vita di ogni giorno")

Anonimo ha detto...

Chissà che la salvezza non venga dalle steppe del Kazakhstan?

Anonimo ha detto...

Cristo sacramento lega saldamente la fede al mistero dell’Uomo Dio prevenendola da ogni svilimento e da ogni caduta in una concezione di Gesù Cristo come profeta, come uomo esemplare o come rivoluzionario sociale.

- Cardinal Leo Scheffczyk