Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement. Si riallaccia ai precedenti: Il Suscipe sancte Pater qui - qui ; L'offerimus tibi Domine qui ; In spiritu humilitatis qui ; Il Lavabo qui ; Il Suscipe Sancta Trinitas qui ; L'Orate fratres e Suscipiat qui ; La Secreta qui ; Il dialogo introduttivo al Prefatio qui ; Il Sanctus qui. Conosciamo più a fondo un'altra delle sublimi formule della Messa dei secoli e gli elementi che ne fanno un unicum irreformabile. Ogni semplice sfumatura è densa di significati per nulla scontati a prima vista. Minuzie, patrimonio del passato, da custodire. Conoscerle non è ininfluente per una fede sempre più profonda e radicata. Grande gratitudine a chi ce le offre con tanta generosa puntualità.
La “T” del Te Igitur
Te ígitur, clementíssime Pater, per Iesum Christum Fílium tuum Dóminum nostrum, súpplices rogámus, ac pétimus (osculátur Altare et iunctis mánibus ante pectus, dicit) uti accépta hábeas, et benedícas (sígnat ter super hóstiam et cálicem simul, dícens) hæac ✠ dona, hæc ✠ múnera, hæc ✠ sancta sacrifícia illibáta (exténsis mánibus proséquitur) | Te dunque, o clementissimo Padre, per Gesú Cristo tuo Figlio nostro Signore, noi supplichiamo e preghiamo (bacia l’Altare e, congiunte le mani davanti al petto, prosegue) di aver grati e di benedire (fa tre segni di croce sull’ostia e sul calice, dicendo) questi ✠ doni, questi ✠ regali, questi ✠ santi ed illibati sacrificî (allargate le mani, prosegue) |
Il De defectibus Missae, pubblicato da papa san Pio V e incluso in ogni Messale tridentino d’altare, elenca non solo i difetti che rendono una Messa invalida (come l’uso di materia, forma o intenzione sbagliate), ma anche quelli che la rendono meno che ideale, ad esempio celebrare la Messa: in un luogo non consacrato; senza almeno un chierichetto; senza calice d’oro o d’argento; o senza un “Messale presente, anche se il sacerdote conosce a memoria la Messa che intende celebrare” (X.31).
Quest’ultima prescrizione indica indirettamente che, per la Chiesa, il Messale non è un semplice “promemoria” o un primitivo "gobbo" [suggeritore] per aiutare il celebrante a ricordare le sue battute, ma fa parte integrante dell’azione liturgica stessa. Le rubriche ne regolano il posizionamento e i movimenti nel corso della liturgia; inoltre, quando il sacerdote deve chinare il capo al menzionare un nome santo, talvolta lo fa verso il Messale, come simbolo più vicino di Cristo. Gli mostra una riverenza simile a quella che riserva all’altare. Nel Messale del 1962, “alla fine del Vangelo, il sacerdote solleva il Messale con entrambe le mani e si inchina per baciarlo nel punto in cui ha tracciato il segno di croce, dicendo Per evangélica dicta”. Una rubrica quasi identica è presente nel Messale del 1970: “Poi venera il libro con un bacio, dicendo privatamente Per evangelica dicta” (OGMR, n. 175).
Immagine: L'inizio del Canone Romano nel Sacramentario di Gellone, ca. 780 d.C. (Folio 143v; Bibliothèque National de France; Département des Manuscrits, Latin 12048)
Il Messale romano – cioè il libro fisico in sé – può dunque essere studiato come un artefatto sacro. E una delle sue caratteristiche più distintive (oltre, a mio avviso, alle linguette che aiutano il sacerdote a voltare le pagine senza usare le dita) è la trasformazione della prima lettera del Canone Romano in un’opera d’arte. Come vedremo in un prossimo articolo, il Te di Te igitur è un’invocazione al Padre, ma ciò non ha impedito alla fantasia devota di vedere in quella lettera iniziale la croce del Figlio e di raffigurarla come tale. La testimonianza più antica di questa tradizione artistica si trova nel Sacramentario di Gellone (ca. 780 d.C.); ma già nel X secolo essa era diffusa e nel XII aveva guadagnato una pagina a sé stante. Questa pagina separata, detta pagina del Canone, conteneva solitamente le miniature più raffinate di tutto il Messale ed era spesso oggetto di devozione affettuosa da parte del sacerdote. L’usura di diversi manoscritti medievali dimostra che alcuni sacerdoti trattavano il Messale all’inizio del Canone come alla fine del Vangelo: macchie di umidità lasciate da pollici e labbra indicano che sollevavano il libro e baciavano l’immagine dei piedi crocifissi di Cristo sulla pagina del Canone.[1]
Per quanto riguarda il resto del testo del Canone, poiché la “T” aveva ormai assunto una vita propria e occupava un’altra pagina, si creò una nuova “T” sostitutiva, [2] un po’ come gli occhi di Santa Lucia o i seni di Sant’Agata. Questa nuova “T” era stampata in un carattere più grande rispetto al resto del testo: ancora oggi, in tipografia, un Canone è “la più grande dimensione di carattere tipografico dotata di un nome proprio”. [3]
Oltre alla somiglianza con la croce del Calvario, una “T” o una “t” dell’alfabeto latino ricorda la Tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico, che ha un ruolo importante nel libro di Ezechiele:
“E il Signore disse a lui: ‘Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna con un Tau la fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutte le abominazioni che vi si commettono… Sterminate senza pietà vecchi e giovani, vergini, bambini e donne, ma non toccate alcuno segnato con il Tau; e cominciate dal mio santuario’.” (Ez 9,4.6)
Non è difficile capire perché i Padri della Chiesa, come San Girolamo, abbiano visto in questo passo inquietante una figura pasquale che prefigura gli Eletti, le cui fronti vengono segnate nell’Apocalisse (cfr. Ap 7,3). In un’omelia al IV Concilio Lateranense del 1215, Papa Innocenzo III invitò tutti i cattolici a fare della Tau la propria Pasqua, concludendo con queste parole accorate: “Siate campioni della Tau!”
Uno che prese a cuore tale invito fu San Francesco d’Assisi, che spesso firmava le sue lettere con una Tau. Oggi, essa fa parte dello stemma francescano: una Tau con due braccia incrociate, una segnata dalle stimmate di Cristo e l’altra da quelle di San Francesco.
Immagine: Lo stemma francescano è costituito da una Tau con due braccia incrociate. Quella con le ferite dei chiodi rappresenta Cristo e l'altra San Francesco d'Assisi, che portava le stimmate.
Si può dunque meditare sulla “T” che apre il Te igitur, invocazione al Padre, come emblema della Tau che è segno del Figlio crocifisso, Colui che è anche l’ultima lettera dell’alfabeto greco, l’Omega (cfr. Ap 22,13).
Le traduzioni ufficiali, ovviamente, rendono difficile conservare questa tradizione, senza contare la pluralità delle preghiere eucaristiche del Novus Ordo (nessuna delle nuove, in latino, comincia con la lettera “T”, tranne la rarissima Preghiera eucaristica “per la riconciliazione” II). [4] La traduzione ICEL del 1985 del Canone Romano cominciava con un “noi” anziché con Dio e con una “W” anziché una “T”: “We come to you, Father, with praise and thanksgiving…”. [5] La traduzione ICEL del 2011 rappresenta un netto miglioramento sotto entrambi gli aspetti: “To you, therefore, most merciful Father, we make humble petition and prayer…” – anche se ora la “T” è solo indirettamente teocentrica. [6] Il problema si potrebbe risolvere con l’inglese arcaico, ad esempio: “Thee, o most clement Father, do we humbly beseech and implore…”, ammesso che non dia fastidio la sintassi un po’ artificiosa e l’uso di “thou”. Oppure si può conservare la convenzione artistica (come fanno alcuni Messali moderni di pregio) nonostante la discrepanza tra l’immagine e la lettera che segue.
Michael P. Foley
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[1] Vedi Kissing: From Relics to Manuscripts.
[2] Josef Jungmann, S.J., The Mass of the Roman Rite: Its Origins and Development, vol. 2 (Benzinger Brothers, 1951), pp. 105-106. Lo sviluppo di questa convenzione influenzò anche il mondo della stampa.
[3] American Dictionary of Printing and Bookmaking (New York: H. Lockwood, 1894), p. 79. La dimensione varia a seconda della nazionalità e del sistema tipografico. Nel Regno Unito, ad esempio, un Canon corrisponde a un carattere di corpo 48, mentre in Francia la stessa grandezza è detta Gros-Canon e in Germania Kleine Missal.
[4] Missale Romanum (2002), p. 681.
[5] Messale Romano (1985), p. 542.
[6] Messale Romano (2011), p. 635.
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[1] Vedi Kissing: From Relics to Manuscripts.
[2] Josef Jungmann, S.J., The Mass of the Roman Rite: Its Origins and Development, vol. 2 (Benzinger Brothers, 1951), pp. 105-106. Lo sviluppo di questa convenzione influenzò anche il mondo della stampa.
[3] American Dictionary of Printing and Bookmaking (New York: H. Lockwood, 1894), p. 79. La dimensione varia a seconda della nazionalità e del sistema tipografico. Nel Regno Unito, ad esempio, un Canon corrisponde a un carattere di corpo 48, mentre in Francia la stessa grandezza è detta Gros-Canon e in Germania Kleine Missal.
[4] Missale Romanum (2002), p. 681.
[5] Messale Romano (1985), p. 542.
[6] Messale Romano (2011), p. 635.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
2 commenti:
Solo un osservatore superficiale potrebbe considerare minuzie queste precisazioni che, invece, dimostrano l'importanza e la sacralità anche dei dettagli del formulario della Messa antica...
Oggi quando i nostri sensi, la nostra ragione sono stati addestrati dalle ideologie, mode, propagande a percepire e giudicare tanto al chilo, abbiamo nei fatti messo una pietra sia sulla Fede sia su pensieri, sentimenti, attenzioni, riguardi che la Fede suscita. La Fede è come una vacanza in montagna, di ogni giorno e di ogni ora, ma oggi anche la stessa vacanza in montagna per lo più è stata snaturata dalla post modernità 'mordi e fuggi'. E noi siamo diventati per lo più grossolani ed ottusi.
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