Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 8 settembre 2016

Danilo Quinto. Tracce di monachesimo occidentale

A Marruci, una frazione del Comune di Pizzoli, vicino L’Aquila, sorge una splendida chiesa intitolata al Santo Martire Lorenzo, martirizzato nel 258 a Roma durante la persecuzione di Valeriano. Caratterizzata da una torre campanaria realizzata con conci di epoca romana, la Chiesa fu costruita sui resti dell'antico monastero Equiziano, che rappresenta un esempio grandioso di come una comunità cristiana abbia potuto nascere e svilupparsi attorno alla figura e all’opera di un «uomo santissimo», come lo definiva San Gregorio Magno ne I Dialoghi.

Sant’Equizio Amiternino, abate, è riconosciuto, insieme a San Benedetto da Norcia, come il fondatore del monachesimo occidentale. Probabilmente nacque nell’antica Amiternum e visse tra la fine del V secolo ed i primi decenni del VI secolo, nella provincia “Valeria”, territorio attualmente compreso tra le province di L’Aquila e di Rieti. L’alta valle dell’Aterno fu da sempre una zona fertile e favorevole all’insediamento umano, tanto che la popolazione dei Sabini si stabilì in essa, edificando il piccolo villaggio di Amiternum. Con la conquista romana, il villaggio si trasformò in un’importante città, a causa della sua posizione come snodo viario e del suo fiorente allevamento. Il massimo sviluppo della città si ebbe in età imperiale, quando vennero edificati gli edifici più importanti. Col sacco di Roma, nel 410, la città iniziò il suo degrado, che lentamente si protrasse nel secolo successivo.

In questo contesto, alla fine del V secolo, fece la sua comparsa in Amiternum, Equizio. Sin da giovane fece del Vangelo il suo motivo di vita e questo lo portò ben presto a raccogliere molti seguaci, che come lui volevano condividere l’amore per Cristo. Ben presto sorse in lui la necessità di creare una struttura stabile. Per questo motivo si stabilì poco fuori dall’antica Amiternum in rovina, nel territorio dell’attuale Marruci e vi edificò il suo primo e più importante monastero, affidando la propria comunità al Santo Martire Lorenzo.

Equizio fu padre fondatore e coordinatore di numerosi monasteri nell’area della Sabina e della Valle dell’Aterno e rivestì l’importante ruolo di precursore e ispiratore del movimento monastico, la cui regola, fondata su alcuni punti basilari come la preghiera, la lettura della Scrittura, la mortificazione, il lavoro manuale e intellettuale e l’evangelizzazione: la sua opera sarà in gran parte ripresa e canonizzata da san Benedetto da Norcia. Nel territorio aquilano, molte sono state le chiese edificate dai monaci dell’antico ordine: oltre a San Lorenzo, l’Abbazia di S. Benedetto e la Grancia di S. Severo in Arischia, la chiesa di S. Maria Assunta in Assergi e molto probabilmente Santo Stefano a Monte di Pizzoli. I monaci equiziani si diffusero poi in tutto il centro Italia e alcuni di essi arrivarono fino in Puglia e più precisamente a Noci.

E’ testimoniata, nella vita dei monaci seguaci di Equizio, la componente della fatica comunitaria dei monaci in mezzo ai contadini, senza possedere, come sarà per i Benedettini, un  proprio fondo autonomo legato al monastero. Notevole è anche il lavoro intellettuale, come si deduce dalla presenza di uno scriptorium con relativi copisti, nel monastero di S. Lorenzo.  

L’evangelizzazione di Equizio era messa in opera con il sussidio delle Sacre Scritture, che portava sempre con sé; una circostanza questa che gli procurò la singolare persecuzione dagli organi ufficiale della Chiesa, forse negli anni 535-536, sotto il pontificato di Agapito I. Riferisce al riguardo S. Gregorio Magno nei suoi Dialoghi: 
«La sua ardentissima passione era quella di ricondurre le anime a Dio, tanto che, mentre portava le responsabilità di più monasteri, indefessamente si recava da una chiesa all’altra, da una borgata all’altra, da un villaggio all’altro, persino nelle case dei fedeli, ovunque insomma, per infiammare il cuore di chi lo ascoltava all’amore della patria celeste (…) La predicazione di Equizio fece notizia anche a Roma. Si sa che la lingua degli adulatori uccide, blandendola, l’anima di coloro ai quali fa piacere ascoltarli. Ebbene, in quel tempo alcuni ecclesiastici fecero le loro rimostranze, con chiare adulazioni, al vescovo di questa sede apostolica, dicendogli: “Chi è questo zoticone, che si è arrogato il diritto di predicare e presume, ignorante com’è, di usurpare il ministero della parola proprio del nostro Pastore? Si mandi, dunque, se crede, qualcuno che lo conduca qui, così che conosca la forza e il rigore dell’autorità ecclesiastica”».
Il racconto di San Gregorio Magno prosegue ricordando che il  papa acconsentì alla richiesta dei delatori e incaricò un certo Giuliano, in seguito vescovo della Sabina, di andare da Equizio per condurlo, con il dovuto riguardo, a Roma.

«Pervenuto in fretta al monastero di S. Lorenzo – afferma San Gregorio Magno - lo zelante messo papale non trovò in casa il sant’uomo. Chiese a dei monaci copisti al lavoro dove fosse l’abate. Gli risposero: ‘In questa valle, che si adagia ai piedi del monastero; sta falciando il fieno’. Giuliano mandò un servo a cercarlo. Questi, sceso giù per i prati e, avvistato un gruppo di falciatori, li apostrofò con malcelata arroganza chiedendo gli si indicasse chi fosse Equizio. Non appena ebbe modo di avvicinarlo, il servo perse tutta la sua baldanza e andò tutto tremante a prostrarsi ai suoi piedi e ‘con molta umiltà gli strinse tra le braccia le ginocchia baciandole’, riferendogli il motivo della sua venuta. Senza scomporsi, Equizio, per tutta risposta, considerando la fatica, per il lungo viaggio,  dei cavalli  degli ospiti, si premura di ordinare al servo di prendere per loro del fieno verde appena falciato. ‘Quanto a me - soggiunse l’abate - giacché mi rimane poco da fare, termino il lavoro e ti seguo’. Nel frattempo l’incaricato di quella missione, il difensore Giuliano, si chiedeva con grande stupore perché mai il suo servo tardasse tanto a tornare. Ad un tratto lo scorse: veniva portando sul collo il fieno preso nel prato. Andò su tutte le furie ed incominciò a gridare: ‘Che è questo? Ti ho ordinato di condurre qui un uomo, non di portarmi del fieno!’. Il servo gli rispose: “Colui che cerchi , ecco che mi viene appresso”. Infatti l’uomo di Dio lo seguiva con le sue calzature chiodate (scarponi da montagna) e la falce sulle spalle  (…) Giuliano, non appena vide Equizio, lo disprezzò per quel suo aspetto tanto dimesso e, altezzoso, si preparava ad apostrofarlo. Ma non appena il servo di Dio gli fu vicino, Giuliano fu preso da un invincibile spavento, tanto da tremare, e a mala pena, farfugliando, riuscì a lasciargli intendere il perché della sua venuta. Fattosi umile, corse a gettarsi alle sue ginocchia, gli chiese di pregare per lui e gli riferì che suo Padre, il Pontefice Romano, lo voleva incontrare».

E’ sempre San Gregorio Magno ad affermare che Equizio per la sua santità popolò l'intera provincia Valeria di monaci. Sono riferiti a lui fatti starordinari come la liberazione da tentazioni per opera di un angelo e lo smascheramento profetico di un certo Basilio mago.

Il santo morì nel suo monastero di S. Lorenzo di Pizzoli, poco prima dell’invasione dei Longobardi. Dopo la sua morte, tutti riconobbero subito la sua santità e il suo ordine venne assorbito da quello benedettino, con cui aveva tanta affinità (anche perché Equizio non aveva lasciato nessuna regola) e le sue reliquie rimasero sepolte per quasi mille anni - forse per proteggerle da tutti gli invasori che si erano succeduti nei secoli – fino all’11 agosto 1461, quando vennero traslate a L’Aquila e il santo venne proclamato compatrono della città, insieme a San Massimo, San Pietro Celestino e San Bernardino. Le reliquie vissero anche loro le conseguenze dei terribili terremoti del 1703, del 1915, che colpirono duramente la città dell’Aquila e furono traslate da una Chiesa all’altra. L’ultimo terremoto, quello del 2009, compromise seriamente la stabilità della Chiesa di Santa Margherita, che ospitava il sepolcro del Santo: così, le sue reliquie ritornarono nella Chiesa di San Lorenzo, dove l’abate visse, lavorò, evangelizzò, compì miracoli e morì, dove ora sono venerate e dove oggi l’attuale parroco, Don Mauro Medina, celebra ogni domenica pomeriggio la Santa Messa di sempre.
 Danilo Quinto - http://daniloquinto.tumblr.com/

5 commenti:

irina ha detto...

Molto bello. Grazie.
Il lavoro più importante da fare è proprio disseppellire tante testimonianze, biografie e scritti, e metterli a disposizione di un tempo in cui molte persone sono abbacinate dal male.

Alfonso ha detto...

Ho letto, mi son commosso e l'animo si è rinfrancato. Buona giornata e grazie Danilo Quinto.

mic ha detto...

ANTIFONA NATIVITAS TUA
Nativitas tua, Dei Genitrix Maria, gaudium annuntiavit universo mundo: ex te enim ortus est sol iustitiae, Christus Deus noster: qui solvens maledictionem, dedit benedictionem: et confundens mortem, donavit nobis vitam sempiternam.

La tua nascita, o Maria genitrice di Dio ha annunciato la gioia a tutto il mondo: da te infatti è nato il sole di giustizia, Cristo nostro Dio: Egli che ha sciolto la maledizione e ha dato la benedizione, abolendo la morte, ci ha donato la vita eterna.

tralcio ha detto...

Grazie a Danilo Quinto. E a Mic.

Oggi per la grande famiglia ecclesiale è giorno di compleanno, addirittura la mamma.

La dimensione del ricordo, dell'anniversario e della ricorrenza è molto più di una tradizione: è cultura. Esattamente la cultura che si oppone all'idolatria di un progresso rivoluzionario, fatto di sovvertimento e azzeramento del passato.

Invece il legame non è affatto una catena da carcerati...
E' invece una catena come un rosario, una corona a volte di gemme e a volte di spine, una lunga preghiera dentro la storia in cui il Verbo ha preso carne.
Di generazione in generazione. Come nel Magnificat. Come nella genealogia di Gesù.

Il ricordo ci dice tante cose, la memoria ci rende edotti anche degli errori.
Perdoniamo sapendoci perdonati, amiamo essendo stati amati.

Chi cancella il passato, chi rivoluziona i legami, chi snatura la natura, chi prometeicamente ambisce a sfuggire il proprio essere, a negare il proprio peccato attribuendolo a definizioni superate della morale, quindi ad abolirlo dicendosi sollevato da tali vincoli, indisponibile ai dogmi, portatore di novità che superano ogni sapere... Chi vive e pensa così, semplicemente non è cristiano.

Può anche dirsi tale, può addirittura attribuire alla propria fede in un Cristo "ideale" queste pretese e queste filosofie, ma di fatto nega il vangelo, negando ciò che esso dice dell'uomo: l'amore di Dio per redimerlo, il proprio stato miserevole, l'impossibilità di uscirne da solo, la ferocia di ogni rivoluzionario che recide i rapporti generazionali, cancellando storia, tradizioni, famiglia, legami...

La Chiesa gnostica è persin peggio degli agnostici. Ma la Chiesa di Cristo è viva.

Buon compleanno, mamma.

Alleluia ! ha detto...

http://www.papaboys.org/bella-notizia-egitto-riapre-chiesa-dedicata-alla-vergine-maria/?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter