Il 16 luglio scorso rendevamo disponibile il testo che segue in pdf, in quanto in quel momento leggibile solo per gli abbonati de Il Foglio. Ora me lo inviano e approfitto per pubblicarlo in maniera immediatamente leggibile. Lo ripropongo anche in riferimento a quanto comunicato da Socci su "Il problema dei preti sposati è nella mia agenda", l'ultima apertura di Papa Francesco [qui].
Ill.mo dott. Scalfari,
anche se non godo del privilegio di conoscerla di persona, vorrei tornare alle Sue affermazioni riguardo il celibato contenute nel resoconto del Suo colloquio con Papa Francesco, pubblicate il 13 luglio 2014 e immediatamente smentite nella loro autenticità da parte del direttore della sala stampa vaticana.
anche se non godo del privilegio di conoscerla di persona, vorrei tornare alle Sue affermazioni riguardo il celibato contenute nel resoconto del Suo colloquio con Papa Francesco, pubblicate il 13 luglio 2014 e immediatamente smentite nella loro autenticità da parte del direttore della sala stampa vaticana.
In quanto “vecchio professore” che per trent’anni ha insegnato Storia della chiesa all’università, desidero portare a Sua conoscenza lo stato attuale della ricerca in questo campo.
In particolare, deve essere sottolineato innanzitutto che il celibato non risale per niente a una legge inventata novecento anni dopo la morte di Cristo. Sono piuttosto i Vangeli secondo Matteo, Marco e Luca che riportano le parole di Gesù al riguardo.
Matteo scrive (19,29): “… Chiunque abbia lasciato in mio nome case o fratelli, sorelle, padre, madre, figli o campi, otterrà cento volte di più e la vita eterna”.
Molto simile è anche quanto scrive Marco (10,29): “In verità, vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia che non riceva cento volte tanto…”.
Ancora più preciso è Luca (18,29 ss): “In verità, io vi dico: chiunque abbia abbandonato per il Regno di Dio casa o moglie, fratelli, genitori o figli, riceverà già ora, in cambio molto di più, e nel mondo futuro la vita eterna”.
Gesù non rivolge queste parole alle grandi masse, bensì a coloro che manda in giro, affinché diffondano il suo Vangelo e annuncino l’avvento del Regno di Dio. Per adempiere a questa missione è necessario liberarsi da qualsiasi legame terreno e umano. E visto che questa separazione significa la perdita di ciò che è scontato. Gesù promette una “ricompensa” più che appropriata.
A questo punto viene spesso rilevato che il “lasciare tutto” si riferiva solo alla durata del viaggio di annuncio del suo Vangelo, e che una volta terminato il compito, i discepoli sarebbero tornati alle loro famiglie. Ma di questo non c’è traccia.
Il testo dei Vangeli, accennando alla vita eterna, parla peraltro di qualcosa di definitivo.
Ora, visto che i Vangeli sono stati scritti tra il 40 e il 70 d. C., i suoi redattori si sarebbero messi in cattiva luce se avessero attribuito a Gesù parole alle quali poi non corrispondeva la loro condotta di vita. Gesù, infatti, pretende che quanti sono resi partecipi della sua missione adottino anche il suo stile di vita.
Ma cosa vuol dire allora Paolo, quando nella prima Lettera ai Corinzi (9,5) scrive: “Non sono libero? Non sono un apostolo? … Non abbiamo il diritto di mangiare e bere? Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, esattamente come gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa? Dovremmo essere solo io e Barnaba a dover rinunciare al diritto di non lavorare?”.
Queste domande e affermazioni non danno per scontato che gli apostoli fossero accompagnati dalle rispettive mogli?
Qui bisogna procedere con cautela.
Le domande retoriche dell’apostolo si riferiscono al diritto che ha colui che annuncia il Vangelo di vivere a spese della comunità, e questo vale anche per chi lo accompagna. E qui si pone ovviamente la domanda su chi sia questo accompagnatore.
L’espressione greca “adelphén gynaìka” necessita di una spiegazione. “Adelphe” significa sorella. E qui per sorella nella fede si intende una cristiana, mentre “Gyne” indica – più genericamente – una donna, vergine, moglie o sposa che sia. Insomma un essere femminile.
Ciò rende però impossibile dimostrare che gli apostoli fossero accompagnati dalle mogli. Perché, se invece così fosse, non si capirebbe perché si parli distintamente di una adelphe come sorella, dunque cristiana.
Per quel che riguarda la moglie, bisogna sapere che l’apostolo l’ha lasciata nel momento in cui è entrato a far parte della cerchia dei discepoli. Il capitolo 8 del Vangelo di Luca aiuta a fare più chiarezza.
Li si legge: “(Gesù) venne accompagnato dai dodici e da alcune donne che aveva guarito da spiriti maligni e malattie: Maria Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni. Giovanna, la moglie di Cuza, un funzionario di Erode. Susanna, e molte altre. Tutte loro servivano Gesù e i discepoli con quel che possedevano”.
Da questa descrizione pare logico dedurre che gli apostoli avrebbero seguito l’esempio di Gesù.
Inoltre va richiamata l’attenzione sull’appello empatico al celibato o all’astinenza coniugale fatto dall’apostolo Paolo (1. Cor. 7,29 ss): “Perché io vi dico, fratelli: il tempo è breve. Per questo, chi ha una moglie deve in futuro comportarsi come se non ne avesse una…”.
E ancora: “Il celibe si preoccupa delle questioni del Signore: vuole piacere al Signore.L’ammogliato si preoccupa delle cose del mondo: vuole piacere a sua moglie. Così finisce per essere diviso in due”.
È chiaro che Paolo con queste parole si rivolge in primo luogo a vescovi e sacerdoti. E lui stesso si sarebbe attenuto a tale ideale.
Per provare che Paolo o lo Chiesa dei tempi apostolici non avessero conosciuto il celibato vengono tirate in ballo, a volte, le lettere a Timoteo e Tito, le cosiddette lettere pastorali. E in effetti, nella prima lettera di Timoteo (3,2) si parla di un vescovo sposato.
E ripetutamente si traduce il testo originale greco nel seguente modo: “Il vescovo sia il marito di una femmina”, il che viene inteso come precetto.
E sì, basterebbe una conoscenze rudimentale del greco, per tradurre correttamente: “Per questo il vescovo sia irreprensibile, sia sposato una volta sola (e deve essere marito di una femmina!!), essere sobrio e assennato…”.
E anche nel libro a Tito si legge: “Un anziano (cioè un sacerdote, vescovo) deve essere integerrimo e sposato una volta sola…”.
Sono indicazioni che tendono a escludere la possibilità che venga ordinato sacerdote-vescovo chi, dopo la morte della moglie, si è risposato (bigamia successiva).
Perché, a parte il fatto che a quei tempi non si vedeva di buon occhio un vedovo che si risposava, per la chiesa si aggiungeva poi la considerazione che un uomo così non poteva dare alcuna garanzia di rispettare l’astinenza, alla quale un vescovo o sacerdote doveva votarsi.
La pratica della Chiesa post-apostolica
La forma originaria del celibato prevedeva dunque che il sacerdote o il vescovo continuassero la vita familiare, ma non quella coniugale. Anche per questo si preferiva ordinare uomini in età più avanzata.
Il fatto che tutto ciò sia riconducibile ad antiche e consacrate tradizioni apostoliche, lo testimoniano le opere di scrittori ecclesiastici come Clemente di Alessandria e il nordafricano Tertulliano, vissuti nel Duecento dopo Cristo.
Inoltre, sono testimoni dell’alta considerazione di cui godeva l’astinenza tra i cristiani una serie di edificanti romanzi sugli apostoli: si tratta dei cosiddetti atti degli apostoli apocrifi, composti ancora nel II secolo e molto diffusi.
Nel successivo III secolo si moltiplicano e diventano sempre più espliciti – soprattutto in oriente – i documenti letterari sull’astinenza dei chierici.
Ecco per esempio un passaggio tratto dalla cosiddetta didascalia siriaca: “Il vescovo, prima di essere ordinato, deve essere messo alla prova, per stabilire se è casto e se ha educato i suoi figli nel timore di Dio”.
Anche il grande teologo Origene di Alessandria (†253/’54) conosce un celibato di astinenza vincolante; un celibato che spiega e approfondisce teologicamente in diverse opere. E ci sarebbero ovviamente altri documenti da portare a sostegno, cosa che ovviamente qui non è possibile.
La prima legge sul celibato
Fu il Concilio di Elvira del 305/’06 a dare a questa pratica di origine apostolica una forma di legge.
Con il Canone 33, il Concilio vieta ai vescovi, sacerdoti, diaconi e a tutti gli altri chierici rapporti coniugali con la moglie e vieta loro altresì di avere figli.
Ai tempi si pensava dunque che astinenza coniugale e vita familiare fossero conciliabili.
Così, anche il Santo Padre Leone I, detto Leone Magno, attorno al 450 scriveva che i consacrati non dovevano ripudiare le loro mogli. Dovevano restare insieme alle stesse, ma come se “non le avessero” scrive Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (7,29). Con il passar del tempo, si tenderà vieppiù ad accordare i sacramenti solo a uomini celibi. La codificazione arriverà nel medioevo, epoca in cui si dava per scontato che il sacerdote e il vescovo fossero celibi.
Altra cosa è il fatto che la disciplina canonica non venisse sempre vissuta alla lettera, ma questo non deve stupire. E, com’è nella natura delle cose, anche l’osservanza del celibato ha conosciuto nel corso dei secoli alti e bassi. Famosa è per esempio la disputa molto accesa che si ebbe nell’XI secolo, ai tempi della cosiddetta riforma gregoriana.
In quel frangente si assistette a una spaccatura così netta – soprattutto nella chiesa tedesca e francese – da portare i prelati tedeschi contrari al celibato a cacciare con la forza dalla sua diocesi il vescovo Altmann di Passau.
In Francia, gli emissari del Papa incaricati di insistere sulla disciplina del celibato venivano minacciati di morte, e il santo abate Walter di Pontoise venne picchiato, durante un sinodo tenutosi a Parigi, dai vescovi contrari al celibato e sbattuto in prigione. Ciò nonostante, la riforma riuscì a imporsi, e si assistette a una rinnovata primavera religiosa.
È interessante notare che la contestazione del precetto del celibato si è sempre avuta in concomitanza con segnali di decadenza nella Chiesa, mentre in tempi di rinnovata fede e di fioritura culturale si notava una rafforzata osservanza del celibato.
E non è certo difficile trarre da queste osservazioni storiche paralleli con l’attuale crisi.
I problemi della Chiesa d’oriente
Restano aperte ancora due domande che vengono poste frequentemente.
C’è quella che riguarda la pratica del celibato da parte della chiesa cattolica del regno bizantino e del rito orientale: questa che non ammette il matrimonio per vescovi e monaci, ma lo accorda ai sacerdoti, a patto che si siano sposati prima di prendere i sacramenti.
E prendendo proprio ad esempio questa pratica, c’è chi si chiede se non potrebbe essere adottata anche dall’occidente latino.
A questo proposito va innanzitutto sottolineato che proprio a oriente la pratica del celibato astinente è stata ritenuta vincolante.
Ed è solo durante il Concilio del 691, il cosiddetto Quinisextum o Trullanum, quando risultava evidente la decadenza religiosa e culturale del regno bizantino, che si giunge alla rottura con l’eredità apostolica.
Questo Concilio, influenzato in massima parte dall’imperatore, che con una nuova legislazione voleva rimettere ordine nelle relazioni, non fu però mai riconosciuto dai papi. È proprio ad allora che risale la pratica adottata dalla Chiesa d’oriente.
Quando poi, a partire dal XVI e XVII secolo, e successivamente, diverse chiese ortodosse tornarono alla chiesa d’occidente, a Roma si pose il problema su come comportarsi con il clero sposato di quelle chiese.
I vari papi che si susseguirono decisero, per il bene e l’unità della Chiesa, di non pretendere dai sacerdoti tornati alla Chiesa madre alcuna modifica del loro modo di vivere.
L’eccezione nel nostro tempo
Su una simile motivazione si fonda anche la dispensa papale dal celibato concessa – a partire da Pio XII – ai pastori protestanti che si convertono alla Chiesa cattolica e che desiderano essere ordinati sacerdoti.
Questa regola è stata recentemente applicata anche da Benedetto XVI ai numerosi prelati anglicani che desideravano unirsi, in conformità alla constitutio apostolica Anglicanorum coetibus, alla Chiesa madre cattolica.
Con questa straordinaria concessione, la chiesa riconosce a questi uomini di fede il loro lungo e a volte doloroso cammino religioso, giunto con la con-versione alla meta. Una meta che in nome della verità porta i diretti interessati a rinunciare anche al sostentamento economico fino a quel momento percepito.
È l’unità della Chiesa, bene di immenso valore, che giustifica queste eccezioni.
Eredità vincolante?
Ma a parte queste eccezioni, si pone l’altra domanda fondamentale, e cioè: la Chiesa può essere autorizzata a rinunciare a una evidente eredità apostolica? È un’opzione che viene continuamente presa in considerazione.
Alcuni pensano che questa decisione non possa essere presa solo da una parte della chiesa, ma da un Concilio generale.
In questo modo, si pensa che pur non coinvolgendo tutti gli ambiti ecclesiastici, almeno per alcuni si potrebbe allentare l’obbligo del celibato, se non addirittura abolirlo. E ciò che oggi appare ancora inopportuno, potrebbe essere realtà domani. Ma se cosi si volesse fare, si dovrebbe riproporre in primo piano l’elemento vincolante delle tradizioni apostoliche.
E ancora ci si potrebbe chiedere se, con una decisione presa in sede di Concilio, sarebbe possibile abolire la festa della domenica che, a voler essere pignoli, ha meno fondamenti biblici del celibato. Infine, per concludere, mi si permetta di avanzare un considerazione proiettata nel futuro: se continua a essere valida la constatazione che ogni riforma ecclesiastica che merita questa definizione scaturisce da una profonda conoscenza della fede ecclesiastica, allora anche l’attuale disputa sul celibato verrà superata da una approfondita conoscenza di ciò che significa essere sacerdote.
E se si comprenderà e insegnerà che il sacerdozio non è una funzione di servizio, esercitata in nome della comunità, ma che il sacerdote – in forza dei sacramenti ricevuti – insegna, guida e santifica in persona Christi, tanto più si comprenderà che proprio per questo egli assume anche la forma di vita di Cristo.
E un sacerdozio così compreso e vissuto tornerà di nuovo a esercitare una forza di attrazione sull’élite dei giovani.
Per il resto, bisogna prendere atto che il celibato, così come la verginità in nome del Regno dei Cieli, resteranno per chi ha una concezione secolarizzata della vita, sempre qualcosa di irritante.
Ma già Gesù a tal proposito diceva: “Chi può capire, capisca”.
Cardinale Walter Brandmüller
Presidente Emerito del Pontificio comitato di Scienze storiche.
__________________________________Presidente Emerito del Pontificio comitato di Scienze storiche.
Traduzione di Andrea Affaticati - Da : IL FOGLIO del 16 luglio 2014
9 commenti:
Non evevo letto per intero il discorso di Bergoglio ai sacerdoti. Purtroppo ci sarà da riparlarne. Ma non servirà a nulla, perché é infarcito di pregiudizi sui quali costruisce discorsi strumentali alla sua idea di tradizionalisti. Stavolta perfino squilibrati...
E i vescovi gli vanno dietro.
Mi scuserà Mic se riprendo il discorso di Bergoglio ai sacerdoti romani, discorso di cui sono usciti solo alcuni stralci, quelli ufficiali e quelli dovuti a "indiscrezioni".
Per farlo ricorro a Salvatore Cernuzio, neocatecumenale che scrive per Zenit e che intitola il suo articolo:
"Francesco con il clero romano. No a preti sposati, omelie "show" e tradizionalisti "squilibrati"
Falsa la prima parte, in effetti Bergoglio ha detto che lui e la Chiesa hanno a cuore la questione di preti sposati,
quanto ai "tradizionalisti squilibrati", quell`asserzione sarebbe solo una caricatura prevedibile se venisse dall`autore neocat ma è il papa ad aver preso di mira, mettendo tutti nello stesso cesto, vescovi( che poi si contano su una mano o su due dita), sacerdoti e seminaristi.
E questo è grave e insopportabile.
Perchè Bergoglio non ha le stesse parole per i seminaristi, ad esempio romani, che hanno fatto i titoli della stampa per i loro comportamemti a luci rosse, perchè copre e protegge con la sua "misericordia" solo chi gli sta simpatico, come Ricca?
è proprio incredibile, per me, come cristiano, che il Cardinale non fonda il suo argomento sull'esemptio di Gesù Cristo e sulla natura del sacerdozio come il modo ministeriale per imitare e conformarsi a Gesù!
Senza Gesù non c'è sacerdozio!
Senza Gesù non c'è ragione per il celibato.
Tutte tue, il sacerdozio e il celibato, nella Chiesa ha poco di fare con la storia, tutto da fare con il significato del Verbo Incarnato.
è proprio incredibile per me, come cristiano che un Cardinale al livello del Branmuller, non capisce questo fondomento e questa ragione per il sacerdozio celibato.
Gesù è sacerdote vergine...è fatto così perchè è il Figlio di Dio eterno, il Verbo Eterno incarnato, il Figlio della Vergine delle Vergini, il Unto del Dio, il Predicatore e il Magistro per tutta l'umanita, ma non al servizio di questo mondo, ma per condurre ogni uomo e ogni donna alla vita eterna nel mondo che verrà!
Questa è la spiegazione invincibile e sufficiente e autentica per il sacerdozio celibato...
Romano
Come ho scritto spesso negli anni, i motivi in pro del celibato sono essenzialmente due:
a) un motivo, per cosi' dire, metafisico. Gesù è vergine. Il prete è l'alter christus, pertanto si conviene che sia vergine. Se non di corpo, quanto meno di spirito.
b) un motivo pratico. Padre Dimitri Dudko, il celebre parroco ortodosso di Mosca, confessò di essere una spia giapponese (negli anni '80). Perché rese questa confessione, non solo falsa, ma pure assurda? Perché aveva moglie e sette figli. Il celibe, in tempo e luogo di persecuzione (e tutti i tempi & i luoghi sono, alcuni potenzialmente, altri attualmente, di persecuzione) è meno ricattabile.
Ecco il passaggio, a proposito del Summorun Pontificum:
"....
Un gesto, questo, - ha spiegato oggi Francesco - che il suo predecessore, “uomo di comunione”, ha voluto compiere per tendere “una mano coraggiosa ai lefebvriani e ai tradizionalisti”, ovvero tutte quelle persone che avevano desiderio di celebrare la Messa secondo l’antico rituale.
Tuttavia questo tipo di Messa cosiddetta “tridentina” – ha ribadito il Papa – è una “forma extraordinaria del rito romano”, quello cioè approvato dopo il Concilio Vaticano II. Quindi non è reputata un rito distinto, ma solamente una “diversa forma del medesimo rito”.
Tuttavia – ha aggiunto Francesco - ci sono preti e vescovi che parlano di “riforma della riforma”.
( Bergoglio dimentica che è Benedetto XVI ad aver parlato di "riforma della riforma", parole che non gli sono state perdonate, che è Benedetto XVI ad aver creato nel 2009 una Commissione ad hoc per quella riforma, seppellita dalle opposizioni virulente).
" Alcuni di loro sono “santi” e ne parlano “in buona fede”. Questo però “è sbagliato”, ha detto il Santo Padre. Ha quindi riferito il caso di alcuni vescovi che hanno accettato seminaristi “tradizionalisti” mandati via dalle altre diocesi, senza prendere informazioni su di essi, perché “si presentavano molto bene, molto devoti”. Li hanno ordinati, ma questi hanno poi mostrato “problemi psicologici e morali”.
Non è una prassi, ma ciò "accade spesso" in questi ambienti, ha detto il Papa, e ordinare questi tipi di seminaristi è come mettere “una ipoteca sulla Chiesa”. Il problema di fondo è che alcuni vescovi a volte sono travolti “dalla necessità di avere nuovi preti in diocesi”, pertanto non viene operato un adeguato discernimento tra i candidati, tra i quali dietro alcuni si possono nascondere degli “squilibri” che poi si manifestano proprio nelle Liturgie.La Congregazione dei Vescovi – ha riferito ancora il Pontefice - è dovuta infatti intervenire con tre vescovi su tre di questi casi, sebbene non accaduti in Italia.
Un`ipoteca sulla Chiesa!
Addirittura, e i sacerdoti che hanno procurato scandalo per il loro comportamento immorale e criminale, quelli che non credono più alla Presenza Reale di Cristo, quelli che da decenni deformano e manipolano la Liturgia e le coscienze?
Nulla da dire su costoro che sono legione?
Si parla di "taluni" per gettare una cattiva e cupa luce su tutti
solo perchè hanno una vocazione "tradizionale"?
Sono, quelle del papa, parole gravissime che gettano VOLUTAMENTE il discredito sui cattolici tradionali e la Liturgia.
Chi avesse ancora dei dubbi sui pensieri e sentimenti di papa Bergoglio verso i cattolici detti "tradizionali" e la Liturgia Antica è servito.
Nella sua lettera il Cardinale Brandmuller, riporta le parole di Paolo:
“Il celibe si preoccupa delle questioni del Signore: vuole piacere al Signore.L’ammogliato si preoccupa delle cose del mondo: vuole piacere a sua moglie. Così finisce per essere diviso in due”.
A tal proposito ricordo le parole di un Monsignore Kosovaro cui posi la questione del celibato dei preti.
Mi rispose: "Non abbiamo tempo per una famiglia. I nostri figli sono i Fedeli". Così, semplicemente.
@ Luisa
Nihil sub sole novum, si legge nella Bibbia.
L'abbiamo capito che la Loggia sta facendo il suo corso e persegue nelle sue intenzioni: rinnovare e rivoluzionare in nome di un sincretismo universale. Questo è il disegno del NWO.
Queste parole papali ricalcano fedelmente quelle di un massonico giornale che accusava un ottimo vescovo di accoglienza imprudente di seminaristi o sacerdoti da altre diocesi , tradizionalisti rivelatisi problematici . Meno male che si esclude l' Italia ...
A tal proposito ricordo le parole di un Monsignore Kosovaro cui posi la questione del celibato dei preti.
Mi rispose: "Non abbiamo tempo per una famiglia. I nostri figli sono i Fedeli". Così, semplicemente.
Ho riportato spesso anche un aneddoto narratomi da un mio amico monaco. Il monaco in questione, conobbe da Padre Pio allora vescovo ("eparca" mi sembra che si dica) di Piana del Albanesi (provincia di Palermo). EBBENE, il vescovo affermava che, quando si andava in visita pastorale nelle parrocchie, il cui rette da un prete celibe, si parlava di problemi della Chiesa. Quando il parroco era sposato, si parlava di suocere e cognate pettegole; di figli ribelli e di soldi che non bastano.
Scusate , volevo concludere ...si esclude nel discorso l'Italia , ma la "tutela" della diocesi , anticipata dall'informatissimo giornale , è un fatto compiuto .I segni sono tutti , inequivocabilmente , in una direzione .
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