Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 8 luglio 2021

A quattordici anni dal Summorum Pontificum: le sue tragiche falle

Ricorreva ieri il XIV Anniversario dall'emanazione del Summorum pontificum [qui]. Nella nostra traduzione da Crisis Magazine, il realistico e dirompente intervento di Peter Kwasniewski sul motu proprio Summorum pontificum e le sue implicazioni, soprattutto dopo le recenti avvisaglie negative [qui trovate anche i link ai precedenti; vedi anche qui].

A quattordici anni dal Summorum Pontificum: i suoi tragici difetti
Peter Kwasniewski

Man mano che si palesa sempre più la corruzione dottrinale e morale della gerarchia della Chiesa odierna, che rivaleggia con quanto ci è documentato dell'epoca rinascimentale, sembra quasi un miracolo che il Summorum Pontificum - il motu proprio emanato da papa Benedetto XVI che liberalizza la celebrazione della Messa in latino - sia stato emesso. Ha costituito uno spartiacque, un gesto forte di benignità, e un chiaro fattore di incremento delle messe tradizionali in tutto il mondo e di indebolimento dell'egemonia dei modernisti. Siamo stati grati di avere un papa che, invece di gettare un osso ai presunti nostalgici – gli “indulti” di Paolo VI e Giovanni Paolo II – ha avuto il coraggio di dire la verità: la grande liturgia della nostra tradizione non era mai stata abrogata e mai potrebbe esserlo.

È giusto dire subito che il Summorum Pontificum è stato utile al movimento cattolico tradizionale così come in altri tempi un enorme razzo serviva a lanciare in orbita un'astronave: è dotato di molta potenza grezza ma può fare solo questo, e una volta esaurito il compito, cade. Il Summorum è destinato a essere uno dei grandi interventi papali della storia, ma non serve ad altro che a ridurre i danni; non può essere un pilastro, tanto meno un fondamento, di una struttura permanente.

Se non ne comprendiamo i punti deboli, non saremo in grado di capire perché siamo ancora così vulnerabili alle macchinazioni di papa Francesco e della sua cerchia e, più precisamente, non saremo in grado di raccogliere la forza necessaria per ignorare o opporci a ciò che il Vaticano potrebbe fare per ridurre o impedire la celebrazione del rito romano classico. Per quanto il movimento tradizionale abbia beneficiato pragmaticamente del Summorum (e su questo non possono esserci dubbi), dobbiamo imparare a appoggiarci completamente sulle nostre gambe, in modo da non crollare impotenti quando la stampella o il supporto giuridico venga improvvisamente rimosso.

Il Prologo del Summorum è un vero e proprio inno al ruolo centrale dei Romani Pontefici nel condurre la sacra liturgia nel corso dei secoli. Benedetto XVI riconosce giustamente il ruolo decisivo svolto da san Gregorio Magno, san Pio V e molti altri pontefici (il suo elenco comprende Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X, Benedetto XV, Pio XII e Giovanni XXIII). Tuttavia, non nota un fatto importantissimo: i papi, anche se di tanto in tanto modificavano i dettagli della liturgia, non si consideravano mai maestri e possessori dei riti della Chiesa, come se potessero esercitare su di essi un controllo completo, come se potessero gettare a mare questi riti e ridisegnarli da zero se ne avessero voglia. Per usare una metafora cara a Ratzinger, la loro era opera di giardinieri, non di fabbricanti. Se consideriamo i papi uno per uno, il contributo di ciascuno di loro impallidisce rispetto alla somma totale dell'eredità che hanno ricevuto e tramandato.

L'elenco dei papi nominati dal Summorum include un papa del sesto secolo, uno del sedicesimo, uno del diciassettesimo e cinque del ventesimo. Dopo molti secoli di stabilità - un fatto che non significa fissismo ma piuttosto un perfezionamento della forma che matura lentamente sotto la guida dello Spirito Santo, come ho sostenuto altrove - non possiamo non notare che "c'è qualcosa che non va" una volta arrivati nel ventesimo secolo: una sorta di escalation di prurito o mania di riforma liturgica mentre si passa dai cambiamenti di breviario e calendario d'inizio secolo, a una revisione della Settimana Santa a metà del secolo, a una decostruzione e ricostruzione di tutti i riti e cerimonie nel decennio 1963-1974.

Vediamo prove, francamente, di un ultramontanismo ipertrofico che fa del papa colui che determina il contenuto e il messaggio del culto cattolico, con sempre meno rispetto per la tradizione. Con la netta differenza che il rito romano codificato da Pio V dopo il Concilio di Trento preesisteva a qualsiasi codificazione papale. Quel Missale Romanum è quello che è non perché lo abbia fatto il papa, ma perché il papa ha verificato e convalidato ciò che aveva ricevuto, in un'edizione a stampa che gli è sembrata la più fedele alla tradizione.

Il Summorum Pontificum descrive così gli amanti dell'antico rito: «In alcune regioni, non pochi fedeli hanno aderito e continuano ad aderire con grande amore e affetto alle antecedenti forme liturgiche», che, dice Papa Benedetto, «avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito”. Tuttavia, non è dovere dei cattolici in quanto tali amare la liturgia che è pervenuta loro dalla fede delle epoche precedenti? Questo era nientemeno che l'obiettivo primario della parte sana del Movimento Liturgico come lo riconosciamo nella figura di Dom Prosper Guéranger: conoscere meglio la liturgia ereditata, per amarla di più e viverla più pienamente.

La “cultura e lo spirito” di questi fedeli erano “profondamente segnati” dalla loro liturgia – certo, e giustamente! I fedeli che si sforzavano di essere cattolici praticanti non avevano bisogno di una liturgia diversa, poiché quella con cui già adoravano aveva conquistato i loro cuori e le loro menti, e aveva permeato la loro vita e anche i loro ambienti sociali (basti pensare alle ricchezze dell'antico calendario liturgico). È come se il Summorum identificasse come minoranza l'unica mentalità cattolica e l'unico esito auspicato in tutta la storia della liturgia. Di conseguenza, la cosiddetta riforma fu un atto di violenza con cui i fedeli furono estraniati dalle “forme liturgiche” che definivano la fede e la vita cattolica.

Dopo aver offerto un elenco di papi che non hanno mai osato vietare (e, per lo stesso motivo, non hanno mai osato “permettere”) il culto nei riti antichi, Benedetto XVI cita l'“indulto” di Giovanni Paolo II, concetto che ha senso solo nell'ipotesi che la Chiesa abbia l'autorità di bandire o sopprimere un rito tradizionale, che Benedetto, solo pochi paragrafi dopo, smentisce (e, peraltro, nega in molti altri suoi scritti). Solo ciò che è stato definitivamente interrotto richiede un indulto; se l'usus antiquior non è mai stato abrogato e non può essere abrogato, allora un prete non ha mai avuto bisogno del permesso per dirlo, e mai avrà bisogno del permesso per dirlo.

Questo punto è ovviamente oltrmodo importante quando si reagisce a eventuali futuri tentativi papali o curiali di sovvertire l'uso del rito romano tradizionale. Purtroppo, nel suo approccio globale Summorum Pontificum [qui] e la lettera di accompagnamento ai vescovi Con Grande Fiducia [qui] riflettono ancora la falsa opinione secondo cui il papa e i vescovi hanno l'autorità di stabilire se ai sacerdoti ordinati sia consentito o meno di utilizzare la forma classica del rito romano, l'unica forma esistente di derivazione apostolica e di rito che nella chiesa ha conosciuto uno sviluppo organico di oltre 1.500 anni. È una contraddizione in termini dire che un sacerdote di rito romano utilizzi normativamente un rito in parte deformato e in parte inventato promulgato da un solo papa, mentre lo stesso sacerdote potrebbe o meno essere in grado di utilizzare un rito venerabile ricevuto e trasmesso da centinaia dei papi, sostenuti dalla loro autorità cumulativa.

La caratteristica più nota del Summorum Pontificum è la sua affermazione, nell'articolo 1, che ci sono due "forme" del rito romano:
Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.
Eppure l'affermazione che il Missale Romanum del 1969 di Paolo VI (il "Novus Ordo") sia, o appartenga, allo stesso rito del Missale Romanum codificato per l'ultima volta nel 1962, o, più chiaramente, che il Novus Ordo possa essere chiamato "il rito” della Messa – non può resistere all'esame critico, né questa affermazione può essere sostenuta riguardo a due libri liturgici, Vetus e Novus. Mai prima d'ora nella storia della Chiesa romana ci sono state due “forme” o “usi” dello stesso rito liturgico locale, contemporaneamente e con uguale statuto canonico.

Che papa Benedetto potesse dire che l'uso più antico non era mai stato abrogato (numquam abrogatam) dimostra che la liturgia di Paolo VI è qualcosa di nuovo, più che una mera revisione dell'antecedente, poiché ogni precedente editio typica del messale aveva sostituito ed escluso la precedente. Mentre ci sono sempre stati diversi "usi" nella Chiesa latina, questo sdoppiamento della liturgia di Roma è un caso di disturbo dissociativo dell'identità o schizofrenia.

Non è affatto possibile, né tanto meno desiderabile, parlare del rito tridentino e del Novus Ordo come “due usi” o “forme” dello stesso rito romano; ed è assurdo affermare che la forma deviata è "ordinaria" e quella tradizionale "straordinaria", a meno che la valutazione non sia meramente sociologica o statistica. Con una crescente compagine di studiosi che mostra le differenze radicali nel contenuto teologico e spirituale tra il rito romano e il moderno rito papale di Paolo VI, non è intellettualmente onesto o credibile affermare che il vecchio e il nuovo rito esprimano la stessa lex orandi o, di conseguenza, la stessa lex credendi. Può darsi che il nuovo rito sia esente da eresia, ma la sua lex orandi si sovrappone solo in parte a quella dell'antico rito, e così anche per le credenda che essi trasmettono — come si vede non solo nei testi ma anche nelle cerimonie e in ogni altra dimensione del culto pubblico.

Una pretesa comune ai tradizionalisti di ogni genere, potrebbe essere la seguente: ciò che Paolo VI ha fatto alla liturgia della Chiesa cattolica è stato un sommovimento tettonico, un assalto senza precedenti alla tradizione - e quindi veramente sbagliato, indegno del papato, incompatibile con i doveri dell'ufficio papale, malvagio come è malvagio il parricidio o il tradimento. Sappiamo che i papi precedenti arricchivano o modificavano i riti, ma mai in modo tale da poter guardare al “prima” e al “dopo” e dire: sono cose diverse. Paolo VI fece quello che nessun papa aveva mai osato fare: cambiare ogni rito della Chiesa cattolica, da cima a fondo. Ha anche modificato tutti i formulari sacramentali, la più sacra delle formule.

Nel confrontare le messe antica e nuova, si osservano calendari in gran parte incompatibili, lezionari quasi totalmente diversi, e una radicale decostruzione dell'eucologia (cioè dei testi di preghiera), della musica e delle rubriche. Simili confronti sfavorevoli possono essere fatti tra due azioni qualsiasi della Chiesa in preghiera: vecchio e nuovo battesimo, vecchia e nuova cresima, vecchie e nuove ordinazioni diaconali, sacerdotali ed episcopali, vecchie e nuove benedizioni di qualsiasi oggetto, e così via. Indubbiamente, i tradizionalisti hanno ragione a dire che non si è trattato affatto di una "riforma", ma piuttosto di una rivoluzione.

Un papa ha l'autorità per fare ciò che ha fatto Paolo VI? Non gli chiedo se potesse pretendere di avere l'autorità, spendendo mille anni di capitale politico nel chiedere alla gerarchia e ai fedeli un'obbedienza alla caparbietà, una ricezione della rivoluzione che vizia l'atteggiamento cattolico che definisce l'accoglienza della tradizione. Né mi chiedo cosa Paolo VI avesse in mente soggettivamente di fare o di poter fare, né cosa i vescovi e il resto dei fedeli pensassero soggettivamente di fare o dovessero fare in risposta all'imposizione di nuovi riti che hanno più affinità con Cranmer e Pistoia che con Cluny e Trento.

Piuttosto, dovremmo chiederci se oggettivamente un papa abbia il diritto di sostituire nuovi riti ai riti sviluppati organicamente all'interno della Chiesa cattolica lungo tutta la sua storia. Le intenzioni soggettive possono essere disordinate e confuse; ma oggettivamente la rivoluzione liturgica ha separato i cattolici dalla loro stessa tradizione, dall'ortodossia come "culto logico", e ha riconfigurato il rapporto tra lex orandi e lex credendi in modo tale che una coalizione di liturgisti che canalizza "il magistero del momento" diventi l'unica norma della preghiera.

Se tale rottura può essere considerata legittima e accettabile, non sono più rimasti principi perenni nella liturgia: tutto è stato ridotto a mero esercizio del papato in qualunque modo si voglia. Il cardinale Juan de Torquemada (1388-1468) ha espresso la miglior prospettiva di buon senso della maggior parte della storia della Chiesa: se un papa non osserva «il rito universale del culto ecclesiastico» e «si divide con pertinacia dall'osservanza della chiesa universale», è “suscettibile di cadere nello scisma” e non è né da obbedire né da “ tollerare ” ( non est sustinendus ).

Questo è dunque il problema fondamentale del Summorum Pontificum: è internamente incoerente, fondato su una monumentale contraddizione causata dal peggior abuso del potere papale nella storia della Chiesa. Di conseguenza, le sue disposizioni non possono fare a meno di echeggiare, quasi ad ogni passo, una dialettica insolubile tra i privilegi irrinunciabili della tradizione ecclesiastica collettiva e un'autorità assunta o presunta sull'origine della liturgia, sull'ontologia e sulla teleologia. Il motu proprio riflette e rafforza i falsi principi dell'ecclesiologia e della liturgia che hanno portato alla crisi stessa a cui è stata data una parziale risposta. L'opera di Benedetto XVI, infatti, è spesso caratterizzata da un metodo dialettico hegeliano che vuole contenere contemporaneamente elementi contraddittori, ovvero ricercare una sintesi più alta da una tesi e dalla sua antitesi (in questo quadro si può intendere l'arricchimento reciproco).

Dopo il suo Prologo e l'articolo 1, il resto del Summorum Pontificum tiene sottilmente in ostaggio la liturgia tradizionale, o le dà, per così dire, cittadinanza di seconda classe. Il risultato pratico del suo linguaggio è stato quello di moltiplicare le scuse per pastori e vescovi, i quali possono sempre affermare che la cura pastorale è o sarebbe ostacolata dall'esistenza di sacramenti nel vecchio rito, che la guida episcopale implica il potere di veto sulla facoltà del sacerdote di “esser disposto ad accettare le richieste” di celebrare la venerabile Messa, e che i cattolici che la richiedono fomentano la discordia e minano l'unità della Chiesa.

Il Summorum Pontificum complica inutilmente la situazione e moltiplica le possibilità di ostruzionismo burocratico. Non è mai facile persuadere i vescovi ad essere veramente pastorali, ma un documento che dicesse semplicemente: "La vecchia Messa deve essere resa disponibile in ogni diocesi in più luoghi entro tale data, e tutti i seminaristi devono esservi addestrati” avrebbe potuto superare parte dell'inerzia, dell'ostruzionismo e della procrastinazione perpetua che abbiamo visto nei quattordici anni dalla pubblicazione del motu proprio.

L'articolo 9 può essere preso come caso di studio:
Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.
Sebbene l'intenzione sia ammirevole — liberare queste ricchezze a beneficio delle anime — il linguaggio è ancora una volta troppo cauto, troppo evasivo. Quando sappiamo che un pastore ha “scrutato con attenzione tutti gli aspetti”? Quando lui lo sa? Perché deve concedere il permesso per gli altri riti sacramentali, se non sono stati più abrogati della Messa? E la condizione primaria, «se il bene delle anime sembri richiederlo», sarà spesso accolta con una fragorosa replica: «La salvezza non dipende da un particolare rito liturgico!».

Conosco vescovi che semplicemente negano categoricamente che sia un bene per le anime avere accesso ai riti tradizionali della Chiesa; dicono che è meglio per loro essere “obbedienti”, essere “umili e contenti di ciò che la Chiesa fornisce” e “non cercare esteriorità o fissarsi sulle proprie idee di ciò che è riverente”, ecc. così: se pastori e vescovi avessero la più pallida idea di cosa sia “per il bene delle anime”, non saremmo nella situazione disastrosa in cui siamo.

Per quanto grandi siano i benefici che si siano potuti raccogliere attraverso il Summorum Pontificum, abbiamo un disperato bisogno di una comprensione teologica più completa della legittimità intrinseca della liturgia tradizionale e dell'inalienabilità (per così dire) dei diritti del clero e dei laici verso essa. Dobbiamo renderci conto che, per quanto i papi abbiano aggiunto al culto divino nel corso dei secoli, non siamo obbligati ai papi sulla liturgia; essa preesiste loro, superiore nella sua realtà e nella sua autorità; è possesso comune di tutto il Popolo di Dio.

Se viene abrogato il Summorum Pontificum, non sarà con ciò abrogata la tradizionale liturgia romana; se le disposizioni del Summorum vengono ridotte, non sarà la ragione per limitare la sempre crescente restaurazione del nostro immenso tesoro di fede e cultura. Può darsi che la Divina Provvidenza veda la necessità di svezzarci ancora di più dal latte dell'ultramontanismo affinché possiamo continuare a nutrirci della tradizione, con o senza l'approvazione dei prelati.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

33 commenti:

Anonimo ha detto...

[LA LEZIONE DEL SUMMORUM PONTIFICUM]
di Aurelio Martino Sica

Oggi sono 14 anni dalla pubblicazione del motu proprio Summorum Pontificum. Un atto sicuramente coraggioso da parte di Benedetto XVI, che si è inimicato buona parte del collegio episcopale mondiale, evidentemente scevro da ogni minimo cenno di devozione, se arriva ad avere in odio la Divina Liturgia celebrata sulla tomba di Pietro con ininterrotta continuità da quasi 2000 anni di suoi successori.
È per questo che noi la chiamiamo "Messa di Sempre".
Fu un atto formalmente necessario? No, perché la bolla Quo Primum Tempore di San Pio V, che con il suo Messale codificò esattamente il rito cattolico romano (e non lo riformò a ca...so), sanciva "l'indulto perpetuo" a poter celebrare "senza veruno scrupolo di coscienza" (sic!) questo Messale, in qualunque luogo senza che fosse chiesto il permesso a nessuno.
Fu un atto totalmente buono? Nemmeno, perché equipara la Messa di Sempre, risalente al Protopapa e da allora sì, riformata, ma dal naturale scorrere dei secoli, alla Messa di Paolo VI, che venne costruita a tavolino in pochi anni da liturgisti esperti ma affamati di novità e di archeologismi, perché la prima era "troppo cattolica" - come osò affermare lo stesso Paolo VI - ed ostacolava il falso ecumenismo (condannato pochi anni prima da Pio XI nella Mortalium Animos).
Si potrebbe dire molto altro su questo punto, ma sorvoliamo.
Non si possono equiparare due Messe totalmente diverse, una Cattolica, sacra, l'altra antropocentrica e spesso ridicola.
Lo stesso Benedetto XVI ribadisce nel suddetto motu proprio che "lex orandi, lex credendi". Non capisce che due lex orandi antitetiche come queste, non possono che essere antitetiche anche nella lex credendi.
E difatti, chi mostra devozione nella Messa Antica, sa in cosa crede, e crede come professa. Chi mostra devozione nella Messa di Paolo VI, crede esattamente quel che professa nel Credo? Molto, molto raramente è così. I frutti sono evidenti. Tra i tanti, le vocazioni pressoché annullate.
Il Summorum Pontificum ha, però, portato tanto bene. Ha aumentato, di fatto, il numero di Messe (veramente) cattoliche nel mondo in modo difficilmente calcolabile. È un enorme bene ricavato dal Signore da uno scritto comunque non perfetto.
Ma dà una lezione persino più importante: la non divinità del Papa. Sembra pleonastico doverlo specificare, ma è così: il Papa non è il padrone della liturgia, non può alzarsi una mattina e redigere un Messale tutto suo, mandando in malora tutta la Liturgia precedente e rifacendo tutto. Così come non è il padrone della Dottrina. Il papa è "servus servorum Dei", servo dei servi di Dio. Il papa è il custode della fede, niente di più, niente di meno.

Anonimo ha detto...

...segue
E quindi, in barba agli intransigenti conciliari, cioè a quei cattolici che rendono il Concilio Vaticano II un superdogma e che ridicolmente anatemizzano chiunque osi criticarlo (quando poi lo stesso Concilio sancisce il liberalismo della coscienza, del culto e il falso ecumenismo che non condanna più le eresie), il Summorum Pontificum dimostra che Paolo VI sbagliò, ed in maniera clamorosa, a dispetto di quanto strenuamente sostenuto da mons. Lefebvre.
Questa è una lezione (probabilmente neanche voluta da Benedetto) importante per tutti.
Il papa ecumenista, che tutti accoglieva e nessuno condannava (tranne mons. Lefebvre), ha sbagliato sul tema del Messale Romano che ha ardito sostenere "abrogato". A dimostrazione che tutto ciò che dice il papa NON va preso per oro colato, nemmeno in materia liturgica o dottrinale, se non sussistono le condizioni necessarie affinché l'infallibilità ci sia.
Perché se un papa demolisce e contraddice, se un papa scrive continuamente nei suoi documenti "nonostante quanto stabilito dai Nostri predecessori", non custodisce, ma spadroneggia.
"Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo" (finale della bolla Quo Primum Tempore, San Pio V).

Anonimo ha detto...

Il Summorum Pontificum ha, però, portato tanto bene..
La pecca?Secondo me nella mancata unione delle forze della tradizione. Sembra ai miei occhi che ciascuno abbia voluto timorosamente rimanere dentro il proprio recinto.Sarebbe stato auspicabile andare oltre, sostenersi vicendevolmente nell' unico sguardo ad Dominum,combattendo nei modi dovuti l'inerzia, la fiacchezza e la pusillanimita' dei Vescovi(questo il nodo/il ganglio inceppato difficile da sciogliere! Costoro sono ancora realmente Suoi, benché lo appaiano al di fuori? Forse non lo sono mai stati, oppure, se lo furono un giorno lontano, hanno smesso da tempo immemorabile..)

Se non ricordo male ha detto...

Se non ricordo male, il SP era stato presentato come ESPERIMENTO a verifica TRIENNALE.
Cioè dopo tre anni se ne dovevano esaminare i risultati. Se il risultato voleva essere lo svuotare di fedeli i centri di Messa della FSSPX, allora possiamo dire che, si tratta di un esperiemnto FALLITo e sonoramente.
A proposito di operazioni poste di essere per fare da "rispsota" a Econ, qualcuno a notizie di un altro sonoro fallimento, il seminario "MATER ECCLESAE"?
Si tratta di un ente che fu creato negli anni '80, addirittura prima (o contemporaneamente?) al primo indulto sulla liturgia, proprio per inviarvi i giovani di sensiblità "conservatrice". HA LASCIATO QUALCHE TRACCIA?

Anonimo ha detto...

Quattordici anni necessari per una sintesi iniziale degli errori e delle pretese erronee inscritte nella correzione!

Anonimo ha detto...

ATTENZIONE

Mi ha telefonato il medico di base che su invito della ASL voleva verificare se mi ero o no prenotata per la vaccinazione, al mio no, sono iniziate le domande sul perché ed il per come, la mia risposta è stata la mancanza di fiducia nel vaccino, purtroppo mi sono agitata e mi sono uscite di mente le cure domiciliari alterative validissime nel caso di infezione, infine mi ha ricattato con la protezione verso mia figlia, a cui ho risposto che mia figlia l'ho sempre protetta vaccino sì, vaccino no, in tuttala mia vita. Ci siamo salutati gentilmente.
M.A.

Catholicus originario ha detto...

L'ultimo articolo di Francesco Lamendola, in cui mi riconosco al 100& : "http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/teologia-per-un-nuovo-umanesimo/10240-perche-satana-e-scatenato
Un'analisi lucida, profonda, a tutto tondo del "motus in fine velocior" del degrado infernale che attanaglia la Chiesa Cattolica (cioè il clero modernista, la sua gerarchia in primis) e la società occidentale (i politici, la cultura, gli intellettuali, i "maitre ° penser" alla Bruno Vespa e Fabio Fazio, senza dimenticare la Littizzetto...). Un grande polemista cattolico, Francesco Lamendola, un vero defensor fidei, e anche, bontà sua, un immeritato amico. "Lei scrive come me" mi ha scritto una volta, mettendomi in confusione, da quel dilettante allo sbaraglio che mi considero, con una modesta produzione al mio attivo (circa 400 pagine di articoli su Una Vox, alcuni su La Caverna di Platone dell'Accademia Adriatica di Filosofia di Lamendola, un certo numero dib Corsia dei Servi, alcuni su Radio Spada, una rassegna su https://iltuovoltosignoreiocerco.blogspot.com/2018/04/la-verita-la-chiesa-il-gregge-allo.html
https://iltuovoltosignoreiocerco.blogspot.com/2019/03/cinquanta-sfumature-di-grigio.html
https://iltuovoltosignoreiocerco.blogspot.com/2019/06/ad-maiorem-dei-gloriam-et-salus-animarum.html). Non me ne voglia, carissima Mic per queste citazioni autocelebrative, in realtà solo informative. L'unico mio desiderio è raggiungere quante più anime possibile e portarne qualcuna a Cristo, in modo da potermi presentare a Lui, un domani, con qualcosa al mio attivo, facendo tesoro dell'invito della Vergine della Rivelazione : “Quello che occorre è l’apostolato individuale non l’apostolato monopolizzato […]. Bisogna che si lavori tra le anime nell’apostolato individuale: chi conosce e sa fare, senza
alcuna previa autorizzazione, deve lavorare” (così la Madonna della Rivelazione a Bruno
Cornacchiola, il veggente delle Tre Fontane, a Roma; cfr Saverio Gaeta “Il veggente”.
Salani Editore, Milano, 2016, p. 73,

Diego B. ha detto...

Mi permetto cara sorella in Cristo di farti osservare che il no al vaccino non deve essere per sfiducia in quanto tra pochi mesi se non qualche anno ci sarà una schiera di dati che parleranno in maniera eloquente. Il no ai vaccini oggi proposti è, a mio avviso, solo per l'uso in una delle fasi di sviluppo di cellule prese da bimbi assassinati con l'aborto. Ci sono altre cose per sostenere il no? Su questo non ho certezze. Sul no all'aborto io invece vivo quotidianamente.

Anonimo ha detto...

Ci sono altre cose, ad esempio il diritto a NON essere vaccinati obbligatoriamente in barba a tutte le leggi italiane ed UE che lo specifica bene in una direttiva uscita da poco a Bruxelles, in cui raccomanda di non discriminare i non vaccinati. Per quel che riguarda il SP, ha fatto solo bene a tanti che hanno potuto accedere al rito VO, il problema è stato l'odio astioso con cui è stato ostacolato da molti vescovi e sacerdoti, e dagli insulti velenosi rivolti al Papa che, se non erro, dovrebbe essere perlomeno rispettato da tutti i consacrati e non, è il motivo per cui, onde evitare guai peggiori, ho rotto i ponti col mio ex parroco; fino a quando non sarà cancellato c'è ancora possibilità di scegliere, anche senza appartenere a FSSP et similia, però il covid ha dato un bel taglio alla partecipazione.......

Anonimo ha detto...

@ Diego B.

No, non ci sono. Purtroppo, presa alla sprovvista, capita la solfa e già interiormente 'contrariata' d'istinto mi son buttata sulla strada per me più sicura, la mia fiducia assente. Che nessun medico, giurista può contestare. Tutte le altre prove non posso argomentarle a dovere, la mia fiducia posso, ben sapendo tutti che la fiducia implica fattori anche non scientificamente provati dalla persona che si fida o non si fida.
E la lampadina sulla fiducia come elemento veritiero di chi si fida o non si fida mi si è accesa grazie ad Edoardo Sylos Labini che mise, durante un'intervista di Francesco Toscano su visione tv, tutta la variegata questione del vaccino sotto la protezione della sua non fiducia. Lì si accese la mia lampadina perché della mia fiducia e dei miei argomenti sulla mia fiducia nessuno può contestarmi nulla. Principalmente perché la fiducia si fonda anche su elementi non scientifici. E mentre scrivo questo mi dico che forse è stato l'Angelo Custode a non farmi andare su argomentazioni per me scivolose e che non avrei potuto provare almeno con rimandi precisi. E' strano che questo argomento per me abbia oltre a Edoardo Sylos Labini, artista, anche il fondamento su un testo breve di J.Ratzinger sulla Fede che per eccellenza si fonda sulla fiducia. Cerco questo testo e lo riassumo, appena posso.

Anonimo ha detto...

Ho trovato il testo, da cui era stato presa una parte: J.R., Guardare Cristo, Esercizi di Fede, Speranza, Carità, pp. 9-13, Jaca Book, Milano, 1989

"...Noi viviamo in una rete di non conoscenze delle quali ci fidiamo a causa delle esperienze generalmente positive...Due opposti aspetti di questa specie di 'fede' saltano agli occhi. In primo luogo possiamo già stabilire che una simile fede è indispensabile per la nostra vita...nel senso che una vita umana diventa impossibile se non si può aver fiducia dell'altro e degli altri...D'altra parte è naturalmente espressione di una ignoranza e, in questo senso, un atteggiamento secondario: sapere sarebbe meglio...nel quadro della 'fede di ogni giorno' (come la vogliamo chiamare) si devono distinguere due aspetti: vi appartiene anzitutto il carattere dell'insufficiente e del provvisorio, essa è uno stadio puramente incipiente del sapere, dal quale si cerca di uscire se possibile.Ma c'è oltre a questo qualcosa d'altro:una simile 'fede di ogni giorno' è FIDUCIA RECIPROCA; PARTECIPAZIONE COMUNE ALLA COMPRENSIONE e AL DOMINIO DI QUESTO MONDO; QUESTO ASPETTO E' IN GENERE ESSENZIALE PER LA FORMAZIONE DELLA VITA UMANA. UNA SOCIETA' SENZA FIDUCIA NON PUO' VIVERE....In più possiamo ora elencare anche i singoli elementi che appartengono a questa 'fede di ogni giorno'.Essi sono tre:

1) Questa fede si riferisce sempre a qualcuno che sa: presuppone la reale cognizione di PERSONE QUALIFICATE e DEGNE DI FEDE.

2) La fiducia dei molti che nel quotidiano uso delle cose si basano sulla SOLIDITA' DEL SAPERE che sta dietro.

3) si deve nominare una certa VERIFICA DEL SAPERE NELL'ESPERIENZA DI OGNI GIORNO.

Che la corrente elettrica funzioni correttamente io non posso dimostrarlo scientificamente, ma il quotidiano funzionamento delle mie lampade mi dimostra che io, benché non sia uno che sa, non agisca tuttavia in una 'fede'pura, del tutto priva di conferme."

Anonimo ha detto...

https://www.liturgicalartsjournal.com/2021/07/summorum-pontificum-and-flourishing-of.html

tralcio ha detto...

Oggi il vangelo esprime un atteggiamento da tenere consigliato da Gesù.

Entrare e stare nella casa rivolgendole il saluto, non perdendo la pace se non ne è degna.

Se si è cacciati dalla casa/città, non perdiamo la pace (che non è nostra, ma dono di Dio).

Il gesto di scuote la polvere da sotto i piedi è poco misericordioso? Non pare.

E' un gesto di testimonianza che sottolinea la realtà della non accoglienza ricevuta.

La verità va sempre con la carità. Quindi la misericordia non c'entra con la finzione.

Il problema comunque non sarà quel gesto. Il giudizio non è certo il nostro. E' di Gesù.

In verità vi dico: nel giorno del giudizio la terra di Sòdoma e Gomorra sarà trattata meno duramente.

Chissà perché con tanti esempi a disposizione il vangelo ci consegna proprio quello.

O meglio: si sa... Abramo cercò di mercanteggiare, ma non c'erano le condizioni minime.

Aloisius ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Aloisius ha detto...

Sulla questione del rito antico ricordo una frase di Paolo VI - di cui non trovo il testo preciso - in cui dichiarava, in sostanza, che ' così come San Pio V ha rinnovato il rito nel '500, così noi lo rinnoviamo nel '900'.

Ma come spiegato bene nell'articolo,
"... Con la netta differenza che il rito romano codificato da Pio V dopo il Concilio di Trento preesisteva a qualsiasi codificazione papale. Quel Missale Romanum è quello che è non perché lo abbia fatto il papa, ma perché il papa ha verificato e convalidato ciò che aveva ricevuto, in un'edizione a stampa che gli è sembrata la più fedele alla tradizione".

Dunque il presupposto della giustificazione data da Paolo VI è sbagliato, perché San Pio V non ha modificato il rito a suo piacimento, ma ha solo fissato e incastonato una tradizione antichissima, sigillandola con quella clausola di immodificabilità perché, al contrario dei suoi successori, era ben consapevole di non quanto fosse prezioso quel Tesoro.

Quindi l'atteggiamento di innovazione radicale della liturgia fatta da Paolo VI e da tutto il clero che collaborò a quella rivoluzione, non solo non è stato rispettoso dei suoi predecessori e della Chiesa intera, violando platealmente quella clausola (la chiamo in modo improprio, per capirci), ma è stata anche una giustificazione disonesta, perché per giustificare la volontà propria e dei suoi sostenitori di adattare il rito ai tempi moderni cambiandolo radicalmente, ha attribuito al suo Predecessore un atteggiamento rivoluzionario in campo liturgico che lo stesso, invece, non ebbe affatto.

Giustissime anche tutte le osservazioni critiche sul SP, ma ora lo vogliono eliminare o ridimensionare drasticamente.

L'anno scorso tale Padre Ariel diceva che va eliminato perché i preti moderni non hanno la formazione adeguata e quindi lo celebrerebbero in modo grottesco, ricadendo nell'errore dei preti progressisti quando sviano dalla liturgia con le aberrazioni che ben conosciamo.
Quindi un qualsiasi ritorno al passato, secondo lui, sarebbe impensabile e l'unico modo per evitare derive moderniste sarebbe solo quello di trovare un nuovo compromesso che ponga fine a quelle derive
https://isoladipatmos.com/sia-abolito-il-motu-proprio-di-benedetto-xvi-sulla-messa-tridentina-rivelatosi-alla-prova-dei-fatti-infelice-inopportuno-e-dannoso/

Dice di sostenere questo con solide argomentazioni teologiche, ma non mi sembra umilmente un problem perché, come evidenziato sopra da altro lettore, basta stabilire che venga data adeguata preparazione a clero e fedeli che vogliono celebrare e assistere al VO.
Basta un pochino di buona volontà, come quella che si impiega per organizzare le mense in chiesa, i convegni pro migranti e pro ddl Zan.

Ma solo Vescovi e Cardinali possono opporsi, noi fedeli possiamo solo fare sentire la nostra voce e la nostra presenza nelle poche Messe VO, ma hanno gioco facile ad azzittirci con la scusa dell'obbedienza, richiamata spesso con grande arroganza.

Aloisius

anima errante ha detto...

@Aloisius
dovrebbe essere questo discorso https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1976/documents/hf_p-vi_spe_19760524_concistoro.html

che poi vi è un ulteriore errore: Pio V non rese il Messale da lui promulgato obbligatorio (che salvo poche variazioni nel proprio e nell'ordinario è sostanzialmente uguale a quello in uso fino a quel momento nella Curia Romana) ma lo rese disponibile a tutti, obbligandone l'uso solo per chi utilizzava già il rito romano. chi utilizzava un Messale che avesse già almeno 200 anni al momento di Quo primum tempore poteva continuare a utilizzare il suo rito. infatti almeno fino all'800 buona parte delle diocesi francesi continuo a utilizzare i propri riti (che comunque non differivano molto da quello romano); il rito mozarabico, quello ambrosiano, il lionese, il braghense, il domenicano sono sopravvissuti fino ad oggi

anima errante ha detto...

@Aloisius
padre Ariel non nota che comunque il Messale paolino è ancora meno adatto di quello antico a preti con formazione liturgica scarsa e/o pessima: permettendo una molteplicità di scelte il prete sceglie spesso la combinazione peggiore, o quella che gli permette di celebrare una Messa in meno tempo possibile. è quindi un Messale che per essere usato decentemente richiede cervello e/o formazione, ma è dato in mano a dei dementi, pigri e ignoranti (preti e fedeli)
il Messale tridentino invece ha rubriche molto precise che non ammettono scelte, e sono da seguire alla lettera: è un Messale a prova di stupido

Anonimo ha detto...

le porte degli inferi non prevarranno...

https://www.youtube.com/watch?v=ECLyKjyISEk

fabrizio giudici ha detto...

...

Mi permetto cara sorella in Cristo di farti osservare che il no al vaccino non deve essere per sfiducia in quanto tra pochi mesi se non qualche anno ci sarà una schiera di dati che parleranno in maniera eloquente.


Certamente prima di tutto ci sono i problemi etici. Ma tornando ai dati: a parte l'eloquenza, non è affatto scontato il contenuto; sia in termini di efficacia che di pericolosità. E quindi la sfiducia è certamente un argomento valido.

Anonimo ha detto...


Preghiamo per la salute di Papa Francesco e soprattutto perché l'attuale prova lo faccia riflettere, gli apra la mente sui molteplici errori professati, contribuisca a ricondurlo alla vera fede.
Z.

Anonimo ha detto...

"Il male predica la tolleranza fino a quando non è dominante, poi cerca di silenziare il bene." (Mons. Charles Chaput)

Anonimo ha detto...

Il motivo per cui la gerarchia, salvo rare eccezioni, avversa il V.O. sta nel fatto che la messa tridentina rappresenta un reale pericolo per la sopravvivenza della chiesa nata dal CVII.

La messa di Paolo VI e il concilio sono infatti strettamente legati da un vincolo di necessità. Il concilio non può sopravvivere senza la nuova messa. E la nuova messa non può sopravvivere senza il concilio. Se cade uno dei due, cade inevitabilmente anche l'altro.

Questa grandiosa battaglia non potrà che terminare - secondo tempi e modi noti a Dio solo - con la cancellazione del concilio e della nuova messa e il ritorno al culto di Dio (e non dell'uomo) e alla fede apostolica, poiché il Signore ha promesso che la Sua Chiesa non sarà distrutta. E non potrà quindi esserlo neppure la messa che il Signore ha insegnato agli apostoli, dopo la Sua Risurrezione e prima dell'Ascensione. E che gli Apostoli hanno trasmesso alla Chiesa e il cui rito è stato poi definitivamente fissato da S. Pio V.

Anonimo ha detto...


Solo un'osservazione sul bell'articolo del prof. Kwasniewski.

Quando accenna alla febbre di riforme liturgiche che si sarebbe iniziata all'inizio del XX secolo, proseguendo poi con Pio XII e trovando, così sembra voler dire, il suo compimento (innaturale o naturale) nelle riforme impostate dal Vaticano II ed eseguite da Paolo VI.
All'inizio del Novecento il papa non era san Pio X? Mi pare dal 1904 al 1914. Introdusse a modifiche secondarie, ad esempio nei tempi del digiuno e nella recita del Breviario, per rendere le due cose più in linea con le esigenze della vita moderna. I lunghi digiuni di un tempo non si potevano imporre a fedeli impegnati nelle attività lavorative del nostro tempo. (Vedi: R. De Mattei, Il Concilio Vat II etc., Lindau, 2011, p. 54)
Ma queste, introdotte da san Pio X, erano riforme accettabili, che toccavano appunto aspetti modificabili della vita ecclesiastica e dei fedeli. Non mi pare giusto metterle tra le anticipazioni, più o meno consapevoli, della rivoluzione liturgica successiva.
Sulle critiche a Pio XII per la riforma della Settimana Santa non ho competenza tale da poter giudicare della loro giustezza, sembra ritenerle giuste anche De Mattei (op. cit., pp. 61-2). Mi sembra tuttavia che su Pio XII si dovrebbe esser più cauti, prima di criticarlo su questo punto.

Scrive Amerio: "la parte mutabile dei riti si mutò sempre nel corso dei secoli cristiani, ma cautamente, modicamente, sapientemente. La riforma avrebbe dunque trovato ertamente molte parti antiquate e dissone ai tempi, che meritavano il cangiamento. Cito, p.e., il calendario delle Quattro Tempora, inapplicabile ormai per una Chiesa dilatata a paesi che conoscono solo due stagioni, o le preghiere "pro Christianissimo IMperatore" nell'officio di Parasceve. Così si doveva certissimamente espungere (e fu espunto) il giuramento, che nel rito della consacrazione il nuovo vescovo doveva prestare, di non ammazzare e non cospirare ad ammazzare il Papa. Tuttavia altro è mutare i riti per accomodarli a condizioni obiettive manifestamente mutate e altro è invece stabilire per massima che i riti si debbano acconciare alla psicologia, al costume, al genio delle nazioni e persino degli individui." (Iota Unum, par. 285).
E questo principio di inculturazione del rito venne introdotto dal Vaticano II, sanzionando il principio di creatività nella liturgia, sotto il controllo (teorico) della S. Sede.
T.

Unknown ha detto...

Le tragiche falle del Summorum non sono certo dovute a inadeguatezza del suo autore , riconosciuto come mente brillante, protagonista importante del Vat.II. semplicemente, sono riconducibili al problema dei problemi: il modernismo di Ratzinger , moderato ma pur sempre tale . Sappiamo che è cosa caratteristica di questo collettore di eresie è l'uso quando pare opportuno di acceleratore o freno . Al di là dell'eterogenesi dei fini,per cui effettivamente molte persone si sono avvicinate alla vera Messa , senza rendercene conto abbiamo implicitamente accettato,avvalendoci del Summorum, la bontà intrinseca della riforma liturgica ,e questo è risultato non da poco per i nemici della Chiesa(i modernisti). Fra i quali, se ho capito bene , annovererei anche il summenzionato don Ariel (oggettivamente,al di là delle intenzioni)

Anonimo ha detto...

Un cinquantenario: "l'indulto di Agata Christie (1971-2021)". Ovvero quando gli gli intellettuali scesero in campo per evitare la scomparsa della liturgia tradizionale e ... l'ottennero (per lo meno in Inghilterra)
Fra loro, accanto a giganti della cultura mondiale come Evelyn Waugh e Graham Greene, anche Montale, Quasimodo, Bassani, Luzi, Piovene, Elena Croce, Cristina Campo... Una storia - e un elenco di firmatari - che vale la pena di leggere per intero.

uno,nessuno,centomila cattolici adulti ha detto...

https://www.marcotosatti.com/2021/07/09/chiesa-cattolica-in-crisi-niente-paura-ricordate-cosa-diceva-lenin/
Bouquet di cattolici.

Anonimo ha detto...


A proposito del c.d. "indulto di Agatha Christie". Concilio e Nuova Messa strettamente legati

Tra i firmatari, illustri letterati e uomini di cultura, accanto ai cattolici Waugh e Greene, si notano: Bassani, ebreo, autore de "Il giardino dei Finzi-Contini", non credo convertito al cattolicesimo; Luzi, credo anche lui israelita; Elena Croce, proveniente da un ambiente culturale, quello del padre, rispettoso della religione cristiana come fattore di civiltà e momento della "storia dello Spirito" ma sicuramente non credente, anzi. Piovene era cattolico, almeno formalmente, su Montale e Quasimodo non ci giurerei. Agatha Christie era anglicana.
Tutti costoro, a parte i cattolici in senso stretto, agivano per motivi soprattutto culturali. E questo non deve far storcere il naso, non è un argomento da sottovalutare. I non-cattolici firmatari non si sentivano evidentemente nemici della nostra religione e della Chiesa. E soprattutto intuivano che la scomparsa del venerando rito avrebbe avuto gravi ripercussioni sul piano culturale (vedi per esempio la conseguente decadenza della tradizione di studio sull'antichità), e non solo su quello dell'alta cultura, aprendo le porte ad una involuzione, ad una ignoranza che si sarebbe tramutata in aperta barbarie, culturale e sul piano dei costumi, come vediamo oggi.
Come ha detto giustamente un commentatore qui sopra, Concilio Vaticano II e Nuova Messa sono strettamente legati: simul stabunt atque simul cadent.

La ripresa della frequenza alla Messa Ordo Vetus significa il fallimento della riforma liturgica, che contava sulla caduta in oblìo del bimillenario rito. Ma il fallimento della riforma liturgica comporta il fallimento del Concilio, del quale la riforma liturgica è in un certo senso l'anima, l'anima tenebrosa, modernistica: non si potevano infilare nuove ed errate dottrine nei testi senza intaccare la liturgia di sempre per poi "riformarla" completamente nel Post-concilio.
Questo è il compito che si è assunto Paolo VI, uomo cortesissimo nella forma ma certamente uno dei peggiori Papi dell'intera storia della Chiesa. Un "personaggio sinistro", in tutti i sensi, come ebbe a definirlo mons. Roberto Ronca, vescovo, nel 1975 (De Mattei, Il Concilio VAticano II. Una storia mai scritta, Lindau,2010, p. 149 n).
PP

Aloisius ha detto...

Bellissima questa frase, la fotografia della situazione attuale, soprattutto nella Chiesa, nella quale il male ha dato il meglio di sé in questa opera bifasica.

Ora siamo immersi nella seconda fase, nel mondo e nella Chiesa, diventata il suo zerbino di sale senza sapore
Aloisius

Anonimo ha detto...

Le riforme di Pio XII della Settimana Santa sono state un disastro e si trova online il noto scritto di L. Gromier che lo dimostra. Quelle riforme furono l'anticipazione della riforma liturgica di Bugnini-Montini.
In genere, anche le altre riforme o esortazioni pacelliane - ricordo quella sulla Messa dialogata e ricordo almeno un sacerdote, don Siro Cisilino, che non la applicò mai - furono infelici.
Lo "spirito del Concilio" era già vivo e vegeto... prima del Concilio.
Comunque sia, la Settimana Santa di sempre e la Messa di sempre con le rubriche di S. Pio X - "di sempre" non solo per modo di dire - continuano ad essere celebrate ovunque.
Dobbiamo desiderare il meglio riguardo alla S. Liturgia.

Anonimo ha detto...

https://insidethevatican.com/news/newsflash/letter-46-2021-sunday-july-4-old-mass/

Anonimo ha detto...

"...Lo "spirito del Concilio" era già vivo e vegeto... prima del Concilio..."

Questo non lo si finisce mai di capire e lo si capisce sempre meglio man mano che si capisce un po'di più. Lo "spirito del Concilio " nei fatti è lo spirito del tradimento con bacio modernista aggiornato.

Anonimo ha detto...

VATICAN—Cardinal Robert Sarah has issued a series of tweets, yesterday, on the liturgy.

In them, he quotes Pope Emeritus, Benedict XVI; and states that—despite rumours to the contrary—the Motu Proprio Summorum Pontificum is “irreversible”.

He also admonishes the crisis manipulators

Anonimo ha detto...


Le riforme di Pio XII della Settimana Santa.

comunque Pio XII non riformò la Messa, non cambiò la Messa.
Avrà cercato di rendere la Settimana Santa più aderente al
ritmo di vita del mondo moderno. Avrà commesso qualche
sbavatura liturgica, se l'ha commessa, ma la Messa era
sempre quella. Anche gli Esercizi di S. Ignazio dovrebbero
durare un mese, cosa assai difficile per i laici, nel
mondo di oggi - e difatti se ne adotta la versione ridotta
ad una settimana, versione peraltro eccellente.
Lo spirito innovativo in senso modernista c'era ed era
attivo ma quel Papa ne era ben consapevole, tant'è vero
che emanò la HUmani generis, nel 1950, definita da R.
Amerio "il Terzo Sillabo" e non solo da lui, credo.
Il "quarto sillabo", molto più radicale, avrebbe dovuto essere proprio il
Vaticano II, se i vertici non fossero passati al nemico,
con i Novatori.