Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 19 luglio 2021

Il colpo di coda di Bergoglio contro la messa in latino

Il nuovo motu proprio ha fatto tanto scalpore da essere ripreso con stupore da molti organi di stampa. Riprendiamo l'articolo di Marcello Veneziani. Sul latino, lingua sacra da preservare, qui - qui

Non servono parole per identificare
ciò che non è compatibile
Ma perché accanirsi contro la messa in latino? L’occidente si scristianizza, la gente non va più a messa, la blasfemia e l’oltraggio alla religione dilagano e Bergoglio colpisce i rari devoti seguaci dell’ordo missae. La sua gratuita censura della messa in latino è uno sfregio simbolico alla Tradizione, ai suoi fedeli ma anche alla libertà di culto. Che male può fare una messa in latino, riammessa da Ratzinger nel 2007, peraltro così discreta e marginale? 
Perché accogliere i non credenti, gli islamici, dialogare con i credenti di altre fedi, anche rivoluzionarie e anticristiane, e poi chiudere le porte della Chiesa ai pochi, irriducibili devoti della messa antica e della fede secondo tradizione? Per dirla in latino, senza traduzione, Piscis Ecclesia primum a capite foetet...

Persino Giovanni XXIII [Veterum Sapientia] nel ’62 faceva sua le parole di Pio XI: “La Chiesa esige per sua natura una lingua che sia universale, immutevole e non volgare”. Collimava con quel che René Chateaubriand aveva scritto nel Genio del Cristianesimo: ”Crediamo che una lingua antica e misteriosa, una lingua che non varia più con i secoli, convenga assai bene al culto dell’Essere eterno, incomprensibile, immutabile”.

La mente va a Cristina Campo e perfino a Jorge L. Borges, argentino come Bergoglio, che difesero invano l’ordo missae quando fu soppresso nel 1964. Soprattutto lei, Cristina, alias Vittoria Guerrini, denunciò nella cancellazione della messa in latino “l’apostasia liturgica del secolo” e fondò un movimento come La Voce in difesa della tradizione violata. Poi scrisse della sua dolorosa rinuncia a seguire la messa dove l’aveva per anni seguita: “A Sant’Anselmo è giunta la lebbra (microfoni da per tutto, parti della Messa in volgare, discussioni penose là dove era silenzio e sorriso) ed io non vi metto più piede”; e non aveva ancora visto le schitarrate, i comizi dei preti e i linguaggi alternativi… Così Cristina-Vittoria scese dall’Aventino fino al Pontificio Collegio Russicum fondato da Pio XI per preparare i seminaristi russi, poi chiuso dai gesuiti di Bergoglio. E lì seguendo la messa col rito bizantino ritrovò, scrive Emanuele Casalena “quella bellezza della perfezione che tanto aveva inseguito nella vita; tutto gliela ricorda, dalla liturgia, ai canti, dai gesti meditati, ai paramenti fino alle sacre icone appena illuminate dal tremulo fiammeggiare delle candele, lì riscopre la metafisica della bellezza”.

Nell’anno della morte di Cristina Campo, nel ’77, il nichilista ironico Giorgio Manganelli stroncò invece la messa in latino sul Cursore Vespertino (alias Corriere della sera), in uno scritto poi raccolto in Mammifero italiano, Adelphi). Un virtuoso esercizio di intelligenza e scrittura ma separata da ogni apertura spirituale e mentale al linguaggio del sacro e alla bellezza metafisica.

Il ricordo della messa in latino ci riporta all’infanzia. Era l’ultima messa in latino nella cattedrale del mio paese, con un’offerta di venti lire per sedere nel coro con mio padre. Ho ancora negli occhi, nel naso e nelle orecchie, la bellezza di quel rito, il profumo dell’incenso, il mistero di quelle parole. Mi sentivo connesso alla rete del Signore. Il prete si rivolgeva a Dio e non Gli dava le spalle per compiacere i fedeli come se la messa fosse un’assemblea condominiale o sindacale o un comizio politico per cercare consensi; le parole sussurrate e antiche, il mistero di quelle formule, i canti gregoriani, i silenzi, promanavano il sacro e avvicinavano al Signore. E l’incenso generava sinestesia mistica. La messa non è una soap opera, non è necessario capire le parole; è un rito di comunione con Dio e non un foglio d’istruzioni per montare Alexa. Chi dice che il mistero di quelle parole serviva per sottomettere il volgo al dominio del clero, non si rende conto di quanti linguaggi iniziatici, esoterici, criptici è infarcito il gergo corrente, della tecnologia alla medicina alla finanza, dai misteri di un pc ai labirinti fiscali. La casta sacerdotale ha lasciato l’egemonia alla casta dei tecnici, dei burocrati, dei sanitari e dei commercialisti. A ciascuna setta il suo latinorum.

Quando penso al latino ripenso alla scuola e m’intenerisce il core pensare a certi professori che non ci sono più. Li penso tutti insieme, in gruppo, i Mitici, i Pedanti, i Pedofagi, cioè i torturatori di ragazzi con il terribile latinorum. Poi penso agli altri docenti più giovani, che mal sopportavano il latino e non lo amavano, facendosi così più amare da noi liceali. E invece dovremmo pentirci, dissociarci da quel passato dissacratore, e riabilitare i primi, latinisti per passione, e deplorare i secondi, latinisti per necessità. Avevano ragione loro, senza il latino noi italiani siamo tutti trovatelli, figli di nessuno, ovvero di Madre lingua ignota (sapete come si traduce a Roma), quando il latino divenne facoltativo e perfino intercambiabile con l’applicazione tecnica (con tutto il rispetto per i falegnami). E più dilagano gli slang cosmopoliti, le americanate linguistiche e i grugniti neo-gergali, i codici d’accesso e più s’avverte il bisogno di tornare alla Casa Madre. Magari per farsi rispettare, evocando le nostre origini romane e cristiane. A Bruxelles, a Strasburgo, a New York sarebbe bello opporlo all’esperanto dei burocrati, presentandoci con la linda e austera chiarezza del latino. La trasparenza di una costruzione lessicale è il preambolo per una trasparente costruzione politica, rispettosa della civiltà da cui proveniamo. E una lingua pulita s’accompagna di solito a una mens sana.

Ci vorrebbe un Sexaginta octo di segno opposto per rilanciare il latino, cancellato dal ’68 e propaggini, fino al colpo di coda di Bergoglio. Magari celebrando il dies familiae – che suona meglio di family day; mentre gay pride suona male se lo traduciamo con ipse sexus amator superbia. Ah, il rigoroso lindore della lingua latina e il suo amore assoluto per la verità...
Marcello Veneziani, La Verità (18 luglio 2021)

12 commenti:

Anonimo ha detto...

Anche Marcello Veneziani naturalmente si sente in dovere di scrivere contro la "gratuita censura" della "Messa in latino" da parte di Bergoglio. Lo scrittore è un guénoniano, credente nell'"unità trascendente delle religioni". La sua nostalgia non può essere quindi che di tipo estetico: Cristina Campo, Borges, "senza latino siamo tutti figli di madre lingua ignota" e così via.
Serve ricordargli che il problema non è tanto la "Messa in latino" (c'è anche una versione latina della Messa di Paolo VI) o "in volgare", ma "quale Messa".
Una cosa però la dovrebbe sapere anche lui: che non è "papa Francesco" il primo a prendersela con la Messa di sempre, ma che fu proprio Paolo VI ad abolirla di fatto pur dichiarando di non volerlo fare, e che lo steso Ratzinger la reintrodusse sì, ma come "forma straordinaria" del culto, non in contrapposizione a quella bastarda in vigore ma solo per dare un contentino ai "nostalgici" (e senza mai celebrarla). La lotta al latino nella liturgia non è insomma fatto di questi giorni, ma ha più di cinquant'anni di vita (se la estendessimo al sinodo pistoiese del 1786 sarebbero più di duecento) e s'inserisce in una lotta più generale alla teologia tradizionale, di cui la Messa è espressione.

mic ha detto...

Penso che Veneziani sappia bene di quale Messa sta parlando, visto che la cita nei suoi ricordi di bambino..

Forse.. ha detto...

"quando il latino divenne facoltativo e perfino intercambiabile con l’applicazione tecnica (con tutto il rispetto per i falegnami)"

Forse e' da lì che inizio'(della serie i figli di questo mondo sono piu' scaltri dei figli della luce),la de-costruzione delle menti/dei cervelli e l'accompagnamento gentilmente eutanasico verso il nulla dei cervelli senza piu' senso critico tele-comandati dell'oggi.

Anonimo ha detto...

...
Tuttavia mi chiedo perché un testo papale così fermo come Traditionis custodes non sia stato prodotto per affrontare:

1. le vere e proprie eresie di numerosi vescovi di lingua tedesca;

2. i gravi abusi liturgici che sono all’ordine del giorno in numerose messe novus ordo in tutto il mondo e che vanno avanti da decenni;

3. la spaventosa formazione dei cattolici in Occidente dopo il Vaticano II;

4. la corruzione morale e finanziaria di un buon numero di ordini religiosi;

5. lo stato desolante di così tante università cattoliche in cui la fede è trattata nel peggiore dei casi come una reliquia imbarazzante o, nel migliore, solo come un altro movimento di giustizia sociale vagamente religioso ma fondamentalmente laico e di sinistra;

6. la riduzione della Chiesa in molti paesi a un’appendice dello Stato sociale;

7. una cultura clericale tra un buon numero di vescovi che ha permesso a mostri come McCarrick di farla franca per decenni nonostante illeciti sessuali e finanziari;

8. il fatto che, per un buon numero di sacerdoti cattolici di una certa età, è chiaro che non credono che le Scritture siano state scritte da testimoni oculari e che gli eventi straordinari che hanno visto siano realmente accaduti, inclusi i miracoli e la Resurrezione.
...

Anonimo ha detto...

Domenica sono capitato per caso in un'assemblea liturgica nella quale "il don" si accomiatava, per nuova destinazione, dalla comunità nella quale ha servito per diversi anni. Apprezzabili l'affetto della gente e la commozione di molti, percepibile anche da un passante occasionale.
Chiesa stipata, aria molto simile a quella di una piazza, molta disinvoltura e familiarità.
Ma... Però... Sarebbe anche una Santa Messa. Invece è stata proprio l'assemblea contenitore!
Non ne faccio una questione di italiano o latino, ma andrei ancor più alla radice. Perché se la liturgia è affacciarsi sul mistero e (ri)vivere il sacrificio salvifico di Nostro Signore, beh non c'è scusa che tenga, nemmeno l'umano affetto per un prete, per farne l'occasione di battutine, ringraziamenti su ringraziamenti, di tutti, a tutti, lasciando molto in disparte l'Eucaristia che ringrazia l'Unico che salva. Diciamo che l'assemblea mette prepotentemente l'uomo al centro, che sia il prete o che sia la comunità. Dio è talmente secondario che nella preghiera dei fedeli si è rasentatala comicità involontaria: invece di rivolgersi a Dio per chiedere anche per il sacerdote partente, la preghiera dei fedeli era rivolta direttamente all'uomo: ti preghiamo di portarci sempre con te! Al che il successivo "ascoltaci Signore" poteva benissimo andar bene con la esse minuscola.
Dopo una buona ora e mezza di battute, risate, discorsi, battimani, apertura di regali e carrambate varie, la benedizione è scesa permettendo anche ai "prigionieri" di cotanta comunità di potersi raccogliere in preghiera dedicandosi un momento a Gesù. In fondo eravamo entrati lì per questo... Usciti, eravamo in cinque, abbiamo taciuto. Nessuno se la sentiva di dire nulla e il silenzio spiegava eloquentemente il senso di sgomento. No: oggi in molti casi la komunità e l'assemblea liturgica con chi la presiede ha perso completamente l'orientamento, non solo dando o meno le spalle all'altare, non solo mancando o meno di inginocchiarsi davanti alla Presenza Reale, ma dimenticando l'Alto, ostinatamente aggrappati a tutto ciò che è soltanto orizzontale. Perciò ci si salva tra di noi, tutti insieme, se va bene, oppure ognuno per sè, perchè nessuno lo aiuta. Infatti oltre a noi chi Altro ci dovrebbe essere? La lingua in cui dirlo rischia di essere un dettaglio, quando le parole che debbono essere pronunciate sono solo una scusa per appartenere solo alla terra.

Anonimo ha detto...

Perché la situazione che lei ben descrive nei suoi otto punti è proprio quella cercata dagli occupanti della Sede Apostolica, a cominciare da Roncalli!
(Vedere invece Sillabo di Pio IX).

Anonimo ha detto...

Ecco:
-uno legge anonimo 12.48 e capisce che la realtà è chiara a chi ha buon senso
-poi legge anonimo 13.29 e si rende conto che il danno è grave soprattutto perché non è nemmeno più percepito come tale
-infine legge l'anonimo delle 13.44 e capisce che quelli che dovrebbero essere dalla tua parte in realtà hanno in mente solo altre idee, ma non la realtà.

Anonimo ha detto...

"Traditionis Custodes" pomo della discordia
https://gloria.tv/post/YPdgzEMoGQp71aazPhQb1qzX3

Anonimo ha detto...

Lo vedo e ne sono testimone: i giovani mi hanno confidato la loro assoluta preferenza per la forma straordinaria, più educativa e più insistente sul primato e centralità di Dio, sul silenzio e sul significato della trascendenza sacra e divina.

Ma soprattutto, lo comprendiamo facilmente, come non possiamo essere sorpresi e profondamente sbalorditi per il fatto che quella che ieri era la regola oggi è vietata?
Non è forse vero che proibire o nutrire dei sospetti nei confronti della forma straordinaria della Messa può essere ispirato solo dal demonio che desidera il nostro soffocamento e la nostra morte spirituale?

Quando la forma straordinaria viene celebrata nello spirito del Concilio Vaticano II, rivela la sua piena fecondità: perchè ci sorprendiamo che una liturgia che ha donato così tanti Santi continui a sorridere alle giovani anime assetate di Dio?
Come Benedetto XVI, spero che le due forme del rito romano si arricchiscano a vicenda. Ciò implica uscire da un'ermeneutica di rottura.

Card. Robert Sarah
Prefetto Emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti

mic ha detto...

Riemerge la riforma della riforma?
Peggio che andar di notte!

Anonimo ha detto...

Ho letto che non si può celebrare più in forma straordinaria nelle chiese parrocchiali.
Per Gorizia e Trieste non so dove faranno (a Gorizia mi pare che da almeno un anno non la celebrino più), erano celebrate in chiese parrocchiali, infatti.
Al momento so che domenica dovrebbe essercene l'ultima a Udine.

Anonimo ha detto...

...“Il Rito Venerabilissimo il cui nucleo risale alla Tradizione Apostolica e a San Gregorio Magno (590) sempre arricchito dai Pontefici con l'ispirazione dello Spirito Santo, è il Messale Romano codificato da San Pio V e celebrato da tutti i Santi. E’ l'opera più preziosa della Chiesa Romana...Poi nel 1969 Paolo VI ha inventato un nuovo rito, facendo scrivere a tavolino un testo da pseudo esperti, che hanno fatto passare le loro ipotesi personali per Liturgia Antica. Non era mai successa una cosa simile nella Storia della Chiesa! Lo ripeto sempre: Padre Boyer, un perito serio e preparato, in seguito confessò che non usava mai il Secondo Canone, poiché gli "esperti" lo avevano scritto sui tavolini delle Osterie di Trastevere! Cioè togliamo la Santa Messa di Gregorio Magno e di tutti i Santi, per mettere la Messa scritta sui tavoli delle Osterie di Trastevere.“ (Stefano Rizzi)
Riflessione : l’attuale messale con cesure, modifiche arbitrarie, sia rispetto alla Tradizione Apostolica che al novus ordo del 1969, quale chiesa rappresenta ? Una cosa è certa, le anime si presenteranno davanti al Signore Gesù Cristo, Crocefisso dal sinedrio che ha scelto barabba (volutamente minuscolo, come merita).