Meditiamo sulla Liturgia del giorno con dom Prospero Guéranger, quasi come una lectio divina e assimilandone anche il valore pedagogico. Lo ripropongo perché dà l'opportunità di approfondire per chi già conosce o di conoscere per chi leggesse solo ora.
Dominica VI post Pentecosten
("Dóminus fortitúdo")
Intróitus (Ps 27:8-9) - Dóminus fortitúdo plebis suæ, et protéctor salutárium Christi sui est. Salvum fac pópulum tuum, Dómine, et bénedic hereditáti tuæ, et rege eos usque in sæculum. (Ps.27:1) - Ad te, Dómine, clamábo, Deus meus, ne síleas a me: nequándo táceas a me, et assimilábor descendéntibus in lacum. Glória Patri… V Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen. – Dóminus fortitúdo (usque ad Ps.). |
Introito (Sl 27:8-9) - Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli. Sl 27:1 - O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba. V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo. R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. - Il Signore è la forza del suo popolo... |
Il peccato di David.
L'Ufficio della sesta Domenica dopo la Pentecoste si apriva ieri sera con l'esclamazione vibrante d'un profondo pentimento. David, il re-profeta, il vincitore di Golia, vinto a sua volta dall'attrattiva dei sensi e da adultero divenuto omicida, esclamava sotto il peso del suo duplice delitto: "Ti prego, o mio Dio, perdona l'iniquità del tuo servo poiché ho agito come un insensato!" (Antifona dei Vespri).
Il peccato, quali che siano il colpevole e la colpa, è sempre debolezza e follia. L'orgoglio dell'angelo ribelle o dell'uomo decaduto non impedirà mai che la putredine di queste due parole si applichi, come una stigmata umiliante, alla ribellione contro Dio, all'oblio della sua legge, a quell'atto insensato della creatura che, chiamata ad elevarsi nelle serene sfere dove risiede il suo autore, si sottrae e fugge verso il nulla, per ricadere più in basso ancora di quel nulla da cui era uscita. Follia volontaria tuttavia, e debolezza inescusabile, poiché se l'essere creato non possiede nel suo intimo che tenebre e miseria, la somma bontà mette a sua disposizione, mediante la grazia che non manca mai, la forza e la luce di Dio.
Vigilanza.
L'ultimo e il più oscuro dei peccatori non potrebbe avere dunque alcuna ragione per giustificare le sue colpe; ma l'offesa è più ingiuriosa verso Dio quando gli viene da una creatura ricolma dei suoi doni e posta dalla sua bontà più in alto di altre nell'ordine delle grazie. Non lo dimentichino quelle anime per le quali il Signore ha, come per David, moltiplicato le sue magnificenze (Sal 70,21). Guidate per le vie riservate del suo amore, potrebbero anche aver già raggiunto le vette dell'unione divina; solo una vigilanza incessante può premunire chiunque non ha deposto il fardello della carne; la caduta è possibile sempre e dovunque; e quanto è più terribile allorché il piede slitta su quei picchi elevati della terra d'esilio che confinano già con la patria e danno accesso alle potenze del Signore (ivi 16)! Allora gli orrendi precipizi che l'anima aveva evitati nell'ascesa, sembrano chiamarla tutti insieme; essa rotola di abisso in abisso, spaventando talora perfino i cattivi con la violenza delle passioni a lungo represse che la travolgono.
Fiducia.
Dal profondo del baratro dove l'ha gettata la sua lacrimevole caduta, si umilii e pianga il suo delitto; non abbia timore di sollevare nuovamente gli occhi verso le cime dove or ora sembrava già far parte delle beate falangi. Senza frapporre indugi, esclami come David: "Ho peccato contro il Signore"; e come a lui, sarà risposto: "Il Signore ha perdonato il tuo peccato, non morrai" (2Re 13,12); e come per David, Dio potrà fare ancora in essa grandi cose. David innocente era apparso l'immagine fedele di Cristo, oggetto divino delle compiacenze della terra e del cielo; David peccatore, ma penitente, rimase la nobilissima figura dell'Uomo-Dio carico dei peccati del mondo, e che porta su di sé la misericordiosa e giusta vendetta del Padre offeso.
Messa
EPISTOLA (Rm 6,3-11). - Fratelli: Quanti siamo battezzati in Gesù Cristo, nella morte di lui siamo stati battezzati. Noi dunque pel battesimo siamo stati sepolti con lui nella (sua) morte, affinché, come Cristo è risuscitato da morte per la gloria del Padre, cosi anche noi viviamo d'una vita novella. Se infatti siamo stati innestati su lui per somiglianza di morte, lo saremo anche per somiglianza di risurrezione.
Questo ben lo sappiamo: che il nostro uomo vecchio è stato con lui crocifisso, affinché il corpo del peccato sia distrutto e noi non serviamo più al peccato, essendo il morto affrancato al peccato. Or se noi siam morti con Cristo, crediamo di vivere ancora con lui, sapendo che Cristo, risuscitato da morte, non muore più, sopra di lui non regna più la morte perché se egli è morto per il peccato, è morto una sola volta; ma se vive, vive per Iddio, in Gesù Cristo Signor nostro.
L'Apostolo delle Genti.
Le Messe delle Domeniche dopo la Pentecoste ci avevano presentato una sola volta fin qui le Epistole di san Paolo. Era riservata a san Pietro e a san Giovanni di preferenza la missione di ammaestrare i fedeli all'inizio dei sacri Misteri. Sembra che la Chiesa, in queste settimane che rappresentano i primi tempi della predicazione apostolica, abbia voluto ricordare così il ruolo predominante del discepolo della fede e di quello dell'amore in quella prima promulgazione della nuova alleanza che ebbe luogo dapprincipio in seno al popolo ebraico. Paolo infatti non era allora che Saulo il persecutore, e si mostrava come l'avversario più violento della parola che doveva portare più tardi con tanto splendore fino agli estremi confini del mondo. Se in seguito la sua conversione fece di lui un apostolo ardente e convinto per gli stessi Giudei, apparve tuttavia ben presto che la casa di Giacobbe non era, nel campo dell'apostolato, la parte della sua eredità (Gal 2,9). Dopo aver affermato pubblicamente la sua fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e confuso la sinagoga con l'autorità della sua testimonianza (At 9,20.22), lasciò che in silenzio giungesse la fine della tregua concessa a Giuda per accettare l'alleanza; attese nel ritiro (Gal 1,17-22) che il vicario dell'Uomo-Dio, il capo del collegio apostolico, desse il segnale per la chiamata dei Gentili, e aprisse egli stesso le porte della Chiesa ai nuovi figli di Abramo (At 10).
Israele ha ormai per troppo tempo abusato delle condiscendenze divine; si avvicina per l'ingrata Gerusalemme l'ora del ripudio (Is 50,1), e lo Sposo si è infine rivolto ai popoli stranieri. La parola spetta ora al Dottore delle genti, che la custodirà fino all'ultimo giorno; non tacerà più, fino a quando, ricondotta e innalzata a Dio la gentilità, l'abbia stabilita nella fede e nell'amore.
È ai Romani che si rivolgono oggi le istruzioni ispirate del grande Apostolo. La Chiesa infatti, nella lettura di quelle mirabili Epistole, osserverà l'ordine stesso della loro iscrizione nel canone delle Scritture: la lettera ai Romani, le due ai Corinti, quelle ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi passeranno l'una dopo l'altra sotto i nostri occhi. Sublime corrispondenza in cui l'anima di Paolo, rivelandosi interamente, dà nello stesso tempo il precetto e l'esempio dell'amore! "Vi prego - dice continuamente - siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Cor 4,16; 11,1).
La vita cristiana.
La santità, le sofferenze, e quindi la gloria del Signore Gesù, la sua vita che si prolunga nelle membra (2Cor 4,10-11), ecco per san Paolo la vita cristiana: semplice e sublime nozione, che riassume ai suoi occhi l'inizio, il progresso e il compimento dell'opera dello Spirito d'amore in ogni anima santificata. Lo vedremo in seguito sviluppare a lungo questa verità pratica, di cui si contenta oggi di porre la base nell'Epistola che la Chiesa ci fa leggere. Che cos'è infatti il battesimo, questo primo ingresso nella via che conduce al cielo, se non l'incorporazione del neofita all'Uomo-Dio una volta morto al peccato per vivere sempre in Dio Padre suo? Il Sabato santo, presso il sacro fonte, abbiamo compreso, con l'aiuto d'un analogo passo dell'Apostolo (Col 3,1-4) le divine realtà compiutesi sotto l'azione della misteriosa acqua. La santa Chiesa vi ritorna oggi solo per ricordare quel grande principio degli inizi della vita cristiana, e stabilirlo come un punto di partenza delle istruzioni che seguiranno. Se il primo atto della santificazione del fedele sepolto nel suo battesimo con Gesù Cristo ha per oggetto di rifarlo interamente, di crearlo di nuovo nell'Uomo-Dio (Ef 2,10), di innestare la sua nuova vita sulla vita stessa del Signore Gesù per produrne i frutti, non saremo affatto sorpresi che l'Apostolo rifiuti di tracciare ai cristiani altro metodo di contemplazione, altra regola di condotta che lo studio e l'imitazione del Salvatore. La perfezione dell'uomo (Col 1,28) alla sua ricompensa (ivi 2,10) risiedono in lui solo: secondo dunque la conoscenza che avete ricevuta da lui, camminate in lui (ivi, 6), poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,27). Il Dottore delle genti dice chiaramente che egli non conosce e non potrebbe predicare altra cosa (1Cor 2,2). Alla sua scuola, prendendo in noi i sentimenti che aveva Gesù Cristo (Fil 2,5), diventeremo altri Cristi, o piuttosto un solo Cristo con l'Uomo-Dio, mediante l'unione dei pensieri e la conformità delle virtù sotto l'impulso dello stesso Spirito santificatore.
VANGELO (Mc 8,1-9). - In quel tempo: Siccome la folla era molta, e non aveva da mangiare, Gesù chiamati a sé i discepoli, disse loro: Ho compassione di questo popolo, che già da tre giorni sta con me e non ha da mangiare. E se li rimando a casa digiuni, verranno meno per la via, essendo alcuni di loro venuti da lontano. E i suoi discepoli gli risposero: Come si potrebbe mai saziarli di pane qui in un deserto ? Domandò loro: Quanti pani avete? Risposero: sette. E ordinò alla gente di sedere per terra. E presi i sette pani, dopo aver rese le grazie, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero dinanzi alla folla; ed essi li posero. Avevano ancora pochi pesciolini; e quelli pure benedisse e fece distribuire. E mangiarono e furon sazi, e raccolsero degli avanzi sette sporte. Or quelli che avevano mangiato eran circa quattromila; e li licenziò.
"Il Signore ci chiama - diceva l'antico popolo uscendo dall'Egitto al seguito di Mosè; - noi andremo a tre giorni di strada nel deserto, per sacrificarvi al Signore Dio nostro" (Es 3,18). I discepoli di Gesù Cristo, nel nostro Vangelo, hanno anch'essi seguito il Maestro nel deserto e, dopo tre giorni, sono stati nutriti di un pane miracoloso che presagiva la vittima del grande Sacrificio raffigurato da quello d'Israele. Presto il presagio e la figura faranno posto, sull'altare che è dinanzi a noi, alla più sublime delle realtà. Lasciamo la terra di servitù, in cui ci trattenevano i nostri vizi; la chiamata misericordiosa del Signore è per noi quotidiana; stabiliamo per sempre le nostre anime dalle frivolezze mondane, nel ritiro d'un profondo raccoglimento. Preghiamo il Signore che si degni lui stesso di rafforzare i nostri passi nei sentieri di quel deserto interiore dove egli ci ascolterà sempre favorevolmente e moltiplicherà per noi le meraviglie della sua grazia.
Preghiamo
O Dio onnipotente, da cui procede tutto ciò che è buono, infondi nei nostri cuori l'amore per il tuo nome e legaci sempre di più a te, alimenta in noi il bene e custodiscilo paternamente.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 450-454)
7 commenti:
PECCO' DAVID, COME SONO SOLITI FARE I RE, MA FECE PENITENZA, PIANSE, SI DOLSE, CIO' CHE I RE ABITUALMENTE NON FANNO (S. AMBROGIO)
Ciascuno di noi quanto molto pecca ad ogni ora! Pur tuttavia ciascun fedele stimi di dover confessare il suo peccato. David, questo re così grande e potente, non può mantenere in sé neppure per breve tempo il peccato che pesa sulla sua coscienza: ma con una pronta confessione, e con immenso rimorso, confessa il suo peccato al Signore. Quanto difficilmente troverai un uomo ricco ed onorato che, se giustamente riceve un rimprovero per qualche colpa, lo accetti di buon animo? Ma questi, illustre per la sovranità regale, stimato per tanti oracoli divini, quando è rimproverato da un privato, perché ha gravemente peccato, non fremette sdegnato, ma riconoscendo la propria colpa gemette per il rimorso.
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Infine lo stato d’animo di profondo dolore mosse a compassione il Signore tanto da far dire a Nathan: “ Poiché sei pentito il Signore ha perdonato il tuo peccato” (II Re.12,13). Così la pienezza del perdono manifestò che profondo era il pentimento del re, che aveva fatto passare oltre l’ingiuria di un così grave delitto. Invece gli uomini, quando i sacerdoti hanno occasione di rimproverarli, aggravano il loro peccato, cercando di negarlo o di scusarlo; e commettono una colpa più grave, proprio là dove avrebbero dovuto rialzarsi. Ma i Santi del Signore, che ardono dal desiderio di continuare il santo combattimento e di terminare santamente la vita, se per caso peccano, più per la fragilità della carne che per deliberazione di peccato, si rialzano più ardenti alla corsa, e stimolati dalla vergogna della caduta la riparano con più rudi
combattimenti; cosicché la loro caduta invece d’essere causa di ritardo non ha fatto altro che spronarli e farli avanzare più celermente.
Peccò David, come sono soliti fare i re; ma fece penitenza, pianse, si dolse, ciò che i re abitualmente non fanno. Confessò la colpa, supplicò il perdono, prostrato a terra pianse la sua disgrazia, digiunò, pregò, affidò con pubblico dolore all’eternità dei secoli la testimonianza della sua confessione. Ciò che i privati si vergognano di fare, il re non si vergognò di confessare. Coloro che sono obbligati alle leggi, osano negare il peccato, disdegnano di supplicare il perdono, che invece chiedeva chi non era obbligato da alcuna legge umana. Fu proprio della natura umana per quanto peccò, fu proprio della sua riforma, per quanto supplicò. Fu comune la caduta, speciale la confessione. Così è proprio della natura cadere nella colpa, è proprio della virtù allontanarsi da essa.
VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
S.AMBROGIO
de apologia David, 1 cap.2
Breviario Romano Lezioni del II Notturno
S.Veronica Giuliani pregate e intercedete per noi perche' resistiamo forti radicati nella fede . Amen!
NESSUNO PRENDE IL CIBO DI CRISTO, SE PRIMA NON SIA GUARITO; E QUELLI CHE SONO INVITATI ALLA CENA, SONO PRIMA GUARITI CON LA CHIAMATA DIVINA (S. AMBROGIO).
Dopo che questa donna, che figurava la Chiesa, fu guarita da perdita di sangue, dopo che gli Apostoli furono scelti ad evangelizzare il regno di Dio, Gesù distribuì l'alimento della grazia celeste. Ma osserva a chi egli lo dispensa. Non agli oziosi, non a quelli che se ne stanno in città, cioè a quelli che s'attardano nella sinagoga o si compiacciono degli onori del secolo; ma a quelli che cercano Cristo fin nel deserto. Quelli che vincono ogni ripugnanza, essi sono accolti da Cristo, con essi s'intrattiene il Verbo di Dio, non degli affari del mondo, ma del regno di Dio. E se fra questi ve n'ha che siano afflitti da infermità corporali, egli accorda subito loro il beneficio della guarigione.
Era quindi naturale ch'egli tenesse in riserva un alimento spirituale per far cessare il digiuno di quelli le cui ferite andava guarendo. Pertanto nessuno prende il cibo di Cristo, se prima non sia guarito; e, quelli che sono invitati alla cena, sono prima guariti colla chiamata divina. Colui ch'era zoppo ricevé, per venire, la facoltà di camminare: colui ch'era privo della vista degli occhi, certo, non poté entrare nella casa del Signore, se non dopo che gli fu resa la luce.
C'è dunque un ordine misterioso sempre osservato: prima la remissione dei peccati guarisce le ferite spirituali, poi si accorda l'alimento della mensa celeste con larghezza; e tuttavia questa moltitudine non è ancora chiamata a nutrirsi di alimenti più sostanziosi, e quei cuori, mancanti di fede solida, non sono punto ristorati dal corpo e sangue di Cristo. «Vi ho nutriti, dice l'Apostolo, di latte, non di cibo solido; perché ancora non potevate digerirlo, ma e neppure adesso lo potete» (1Cor. 3:2). Qui i cinque pani ricordano il latte: il cibo più sostanzioso è il corpo di Cristo; la bevanda più corroborante è il sangue del Signore.
VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
S. AMBROGIO
Breviario Romano, Mattutino, Letture del III Notturno
Federico Fontanini
Il brano evangelico di oggi (VI dopo Pentecoste) racconta di una delle due moltiplicazioni dei pani.
Radunatasi molta folla attorno a Gesú, e non avendo da mangiare, egli, chiamati i discepoli, disse loro: Ho compassione di costoro, perché già da tre giorni sono con me e non hanno da mangiare; e se li rimanderò alle loro case digiuni, cadranno lungo la via, perché alcuni di essi sono venuti da lontano.
E’ noto come il riferimento sia alla moltiplicazione del pane eucaristico: Gesù dice anzitutto di aver compassione della folla: la sua compassione comprende certamente i bisogni materiali, ma è specialmente una compassione per le anime che Egli istruiva vedendo che erano come pecore senza pastore: una situazione praticamente simile ai nostri giorni. La fame e la sete del popolo era soprattutto il bisogno di essere istruito e la Chiesa di allora, la Sinagoga coi dottori esperti della Legge, non lasciava a desiderare meno della Chiesa di oggi nella quale sempre più raramente i sacerdoti lavorano per il vero bene del gregge loro affidato, quando non lo abbandonano in preda ai lupi rapaci. C’è da notare che Nostro Signore non concede questo cibo (ovvero non compie il miracolo) né il primo né il secondo giorno, ma solo il terzo ed afferma che quel “pane” è necessario per tutti: dice infatti – se li rimanderò a casa verranno meno per via; tuttavia non tutti venivano da lontano, ma solo alcuni. Altri probabilmente avrebbero potuto raggiungere ugualmente le loro case e mangiare senza pericolo di mancare per via. Con ciò Gesù ci fa capire che quel cibo che intende dare (ora come simbolo) è un cibo necessario per tutti, lontani e vicini, deboli e forti, malati e sani.
Viene così alla mente quello che S. Francesco di Sales scrive in proposito: invitando alla Comunione fatta con le dovute disposizioni e possibilmente con frequenza. Se oggidì molte Sante Comunioni non riescono alcun effetto, non ci cambiano in profondità, è perché non siamo consapevoli del dono straordinario che Dio ci fa e non se ne trae benefizio per la nostra indifferenza, abitudine, superficialità. Se il Sacramento infatti ha una efficacia, essa richiede dalla parte del fedele una adeguata preparazione.
Negli scritti di Padre Germano su Santa Gemma si legge che appena terminato il ringraziamento per una Comunione, iniziava spesso la preparazione per la successiva. Allora ci si comunicava di primo mattino, sulle ore 6.00-6.30 (a volte anche un po’ prima) e digiuni dalla mezzanotte. Sarebbe sufficiente una sola Comunione ben fatta per cambiarci e salvarci. Così fu per S. Maria Goretti, recentemente ricordata nella liturgia, la quale si accostò alla Comunione pochissime volte, ma ciò bastò a lei per dare testimonianza con l’effusione del sangue. La sua santità si mostrò infatti nel sincero perdono dato al proprio assassino e nel desiderare la sua salvezza sì da riaverlo poi a vedere con sé in Paradiso. Molti santi, la stessa Gemma, ma anche altri come San Luigi Gonzaga, spesso morti giovani, vissero con tale intensità la loro prima Comunione che l’accompagnarono a fermi propositi da mantenere per tutta la vita per non dispiacere all’ospite divino, e così fu! S. Gemma, durante gli esercizi spirituali che allora si facevano prima della Comunione, fu molto colpita da queste parole: “chi si nutrirà di me, vivrà per me” e questo parve alla sua giovanissima anima una realtà così grande e sconvolgente, da farle esprimere i più santi propositi.
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Ma veniamo a S. Francesco di Sales: egli qui si rivolge ad una donna, Filotea, che significa colei che ama Dio, ma si adatta ad ogni cristiano.
La preparazione alla santa Comunione comincia la sera precedente, con molte aspirazioni e slanci d’amore. Ritirati per tempo in camera tua, prima del solito; così il mattino seguente sarai pronta per alzarti più presto. Se durante la notte dovessi svegliarti, metti subito nel cuore e sulla bocca qualche pensiero odoroso, per profumare la tua anima e prepararla a ricevere lo sposo che veglia mentre dormi e si prepara ad arricchirti di infinite grazie e favori se sei pronta a riceverli. Al mattino alzati con grande gioia per la felicità che speri e, dopo esserti confessata, va, con grande fiducia, ma anche con grande umiltà, a ricevere quel cibo celeste che ti nutre per l’immortalità. Dopo aver pronunciato le sante parole: Signore, non sono degna, non muovere più né la testa né le labbra, non per pregare e ancor meno per sospirare, ma apri dolcemente e mediamente la bocca e, alzando la testa quel tanto che basta perché il sacerdote veda quello che fa, ricevi piena di fede, di speranza e di carità Colui al quale, il quale, per il quale e nel quale tu credi, speri, bruci d’amore. Filotea, immaginati che, simile all’ape che dopo aver raccolto sui fiori la rugiada del cielo, e il succo più squisito della terra lo trasforma in miele e lo trasporta nella sua arnia; il sacerdote sull’altare prende tra le mani il Salvatore del mondo, vero Figlio di Dio, simile a rugiada discesa dal cielo e vero Figlio della Vergine, simile a fiore sbocciato dalla terra della nostra umanità, e lo offre in cibo di soavità alla tua bocca e al tuo corpo. Appena Gesù è in te scuoti il cuore perché venga a rendere omaggio al re della salvezza; esamina con lui la tua situazione interiore, pensa che hai in te e che c’è venuto per la tua felicità; accoglilo meglio che puoi e comportati in modo tale che si veda, da tutte le tue azioni, che Dio è con te* - Ma se non avessi la grazia di comunicare realmente nella santa Messa, comunicati almeno con il cuore e lo spirito, unendoti con un ardente desiderio alla carne del Salvatore. 49 La tua prima intenzione nella comunione deve essere di progredire, fortificarti e stabilizzarti nell’amore di Dio; perché quello che ti è dato soltanto per amore, tu lo devi ricevere con amore. Non è possibile immaginare il Salvatore impegnato in un’azione più piena di amore e più tenera di questa, nella quale, si può dire che distrugga se stesso riducendosi in cibo per entrare nelle nostre anime e unirsi intimamente al cuore e al corpo dei fedeli. Se ti domandano perché tu fai la comunione così spesso, rispondi che è per imparare ad amare Dio, per purificarti dalle imperfezioni, per liberarti dalle miserie, per consolarti nelle afflizioni, per trovare sostegno nelle debolezze. Rispondi che sono due le categorie di persone che devono fare spesso la comunione: i perfetti, perché, essendo ben disposti, farebbero molto male a non accostarsi alla sorgente della perfezione; e gli imperfetti, per poter camminare verso la perfezione; i forti per non rischiare di scoprirsi deboli, e i deboli per diventare forti; i malati per guarire e i sani per non ammalarsi; tu poi, creatura imperfetta, debole e ammalata, hai bisogno di comunicare spesso con la perfezione, la forza e il medico. Rispondi che coloro i quali non hanno molte occupazioni, devono fare la comunione perché ne hanno il tempo; quelli invece che sono molto occupati, la devono fare perché ne hanno bisogno, perché chi lavora molto ed è carico di preoccupazioni deve nutrirsi di cibi sostanziosi e mangiare spesso. Comunicati spesso, Filotea, più spesso che puoi, secondo il parere del tuo padre spirituale; e credimi, le lepri, qui da noi, sulle nostre montagne, in inverno diventano bianche perché non vedono e non mangiano che neve; anche tu, a forza di adorare e di nutrirti di bellezza, di bontà e della stessa purezza di questo Divin Sacramento, diventerai bella, santa e pura.
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* comportati in modo tale che si veda, da tutte le tue azioni, che Dio è con te. La Presenza divina dovrebbe trasparire dalla nostra vita, non solo dalle parole, ma dalle azioni, dal modo di comportarsi, dalla disponibilità, pazienza ed amore verso il prossimo…. La presenza fisica di Gesù nell’anima dura fino a che persistono nel nostro corpo le sacre specie, ovvero il pane eucaristico, perciò per un periodo di 15-20 minuti. Noi spesso lo dimentichiamo: infatti ordinariamente nella Messa trascuriamo il ringraziamento, ma usciamo subito di chiesa per parlare e fare altro. Questa cosa è deplorevole. Il santo Curato d’Ars una volta notò che un uomo era uscito di chiesa subito dopo aver fatto la Comunione: s’affrettò a mandare accanto a lui due inservienti, ciascuno con una candela accesa, l’uno a destra e l’altro a sinistra, a ricordargli che in lui in quel momento albergava ancora Gesù. Ricevuto infatti il Sacramento siamo Tabernacolo di Nostro Signore, ma non un tabernacolo di legno dorato o anche d’oro, che è pur sempre materia morta, ma un tabernacolo vivente, e perciò assai più prezioso.
La "Filotea" o "amica di Dio" o "amante di Dio", di cui al famoso libro di S. Francesco di Sales, non è una figurazione dell'anima?
Non una donna, l'anima.
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