«I sacramenti sono istituiti per tutti e sono alla portata di tutti i fedeli. Quindi anche la valutazione dei loro elementi (materia/forma/intenzione oggettiva) deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a un’élite di persone» (Pietro Palazzini, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1953, vol. X, col. 1579, voce “Sacramenti”).
Introduzione
Vari lettori hanno posto numerose questioni sugli articoli pubblicati da sì sì no no (15 e 31 maggio, 15 e 30 giugno 2014), riportati sul relativo sito, riguardo alla validità dei “nuovi sacramenti” post-conciliari. Li riassumo brevemente e il più chiaramente possibile onde eliminare ogni equivoco.
Occorre ben distinguere la “liceità” (ossia la decorosità) dalla “validità” (la pura esistenza o non-nullità) di un rito liturgico o di un sacramento.
Qui - commentando “sì sì no no” - affrontò la questione della validità dei sacramenti (non-nullità) e do per scontata (poiché già studiata sin dal 1975 dal suddetto quindicinale antimodernista) la illecita rottura (sconvenienza) 1°) tra la Tradizione apostolica e l’insegnamento pastorale del Concilio Vaticano II; e 2°) tra la Messa di Tradizione apostolica codificata da S. Pio V nel 1571 e la Nuova Messa di Paolo VI del 1969.
L’ORDINE SACRO
Materia e forma
«Il rito dell’ordinazione presbiterale da principio era molto semplice: imposizione delle mani e invocazione dello Spirito Santo».
«La consegna degli strumenti e tutti gli altri riti sono delle venerande cerimonie complementari introdotte lentamente dagli usi delle varie Chiese e finalmente incorporate nel Pontificale Romano».
La forma dell’ordine sacro (diaconato, sacerdozio ed episcopato) riportate dalla Traditio apostolica di S. Ippolito (inizio III secolo) è la seguente:
Per i vescovi: «Dà, o Padre a questo tuo servo che hai eletto all’episcopato, di pascere il tuo santo gregge e di avere la potestà del primato del sacerdozio nello Spirito». Per i sacerdoti: «O Dio, rivolgi lo sguardo sopra questo giusto e donagli lo Spirito di grazia e di consiglio del sacerdozio». La liturgia greca per i vescovi recita: «Signore, fortifica con la venuta del tuo Santo Spirito questo eletto». Mentre per i sacerdoti: «O Signore, guarda questo eletto che ti è piaciuto promuovere, fa che possa ricevere anche questa grande grazia del tuo Santo Spirito». La forma romana precisata dogmaticamente da Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947) stabilisce la seguente forma nell’ordinazione sacerdotale: «Da quaesumus in hunc famulum tuum presbyterii dignitatem / Dà o Signore a questo tuo servo la dignità del sacerdozio» e nella consacrazione episcopale: «Comple in sacerdotibus tuis ministerii tui summam / Compi nei tuoi sacerdoti la perfezione del tuo ministero».
Il cardinale Pietro Palazzini insegna: «la S. Scrittura (II Tim., I, 6) parla solo di imposizione delle mani per la materia della consacrazione episcopale. Per quanto riguarda la forma la S. Scrittura enumera solo l’invocazione dello Spirito Santo: “Orantes, imponentesque eis manus” (At., XIII). Infine secondo la Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII del 30 novembre 1947 le parole essenziali della forma di consacrazione episcopale sono: “Accipe Spiritum Sanctum”».
La nuova forma del sacramento dell’ordine di Paolo VI
Paolo VI il 18 giugno del 1968 ha promulgato una nuova versione del Pontificale Romano, che per la consacrazione del vescovo recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida» e per il sacerdote: «Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del Presbiterato. Rinnova in loro la effusione del tuo Spirito di santità».
Dunque la sostanza del sacramento dell’ordine sacro è rimasta quanto alla materia e forma (vedremo poi la intenzione) nel nuovo Pontificale Romano di Paolo VI.
LA CRESIMA
Materia e forma
«Gli Atti degli Apostoli (VIII, 4-17) nei testi che si riferiscono alla cresima parlano solo della imposizione delle mani degli Apostoli. Da accurati studi critici sembra che gli Apostoli nella amministrazione della cresima non usavano l’unzione. Essa s’introduce in occidente nel sec. III e poi si diffonde anche in oriente. Ma all’inizio non c’era. Le testimonianze più antiche della chiesa d’Africa, Tertulliano, Cipriano e più tardi S. Agostino parlano solo dell’imposizione delle mani. Concludiamo: non essendo l’unzione una cerimonia primitiva, non essendo stata sempre in uso nella Chiesa, non fa parte degli elementi essenziali costitutivi del sacramento della cresima. L’unzione non deve omettersi oggi, perché prescritta dalla Chiesa alla quale Gesù ha demandato lo stabilire come il sacramento debba essere amministrato, ma non consta che l’unzione appartenga alla sostanza del sacramento».
Per quanto riguarda la forma «i Libri liturgici non sono uniformi in tutti i particolari. Il vescovo di rito latino nel dare la cresima dice: “ti segno col segno della croce e ti confermo col crisma della salute, nel nome del padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Nella chiesa greca si dice più semplicemente: “segno del dono dello Spirito Santo”».
I vari riti sono: quello latino, che è entrato in vigore nel 1250, recita: «Signo te signo crucis, chrismo te chrismate salutis, in nomine Patri set Filii et Spiritus Sancti. Amen». Rito greco: «sigillo del dono dello Spirito Santo», senza menzionare la SS. Trinità. Rito siro-maronita: «Crisma del dono dello Spirito Santo». Rito caldaico: «Sii perfetto nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Rito copto-etiopico: «Unzione della grazia dello Spirito Santo».
La nuova forma della cresima di Paolo VI
Paolo VI il 15 agosto 1971 con la Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae ha stabilito per la cresima la seguente forma: «Accipe Signaculum doni Spiritus Sancti / Ricevi il Sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». Esso unifica la forma greca e latina ed esprime il duplice effetto del sacramento della cresima: carattere indelebile, grazia santificante e pone l’accento sul dono dello Spirito Santo.
Quindi la forma della cresima contenuta nel nuovo Rituale di Paolo VI del 1971 non è cambiata sostanzialmente ed è oggettivamente valida.
L’INTENZIONE DEL MINISTRO SACRO
L’intenzione di Paolo VI quanto alla cresima e all’ordine
L’intenzione di Paolo VI quanto alla cresima e all’ordine
La cresima
«Con il sacramento della Confermazione, coloro che sono rinati nel Battesimo, ricevono il dono ineffabile, lo Spirito Santo stesso, per il quale sono arricchiti di una forza speciale».
L’ordine sacro
«I presbiteri pur non possedendo l’apice del sacerdozio e dipendendo dai vescovi nell’esercizio della loro potestà, sono tuttavia a loro congiunti per l’onere sacerdotale e in virtù del sacramento dell’Ordine, a immagine di Cristo, sommo ed eterno sacerdote, sono ordinati a […] celebrare il culto divino, quali veri sacerdoti del Nuovo Testamento».
«Con l’ordinazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine sacro».
È chiaro, quindi, che l’intenzione espressa da Paolo nel rito della cresima e dell’ordine sacro è oggettivamente quella della Chiesa, senza ombra di dubbio, per cui non si può dubitare della validità di essa sia quanto alla forma che alla materia che all’intenzione.
Quindi anche i sacri ministri post-conciliari se applicano le rubriche date loro da papa Paolo VI ordinano i sacerdoti, consacrano i vescovi e amministrano la cresima validamente.
Perciò la cresima, e l’ordine sacro (diaconato, sacerdozio ed episcopato) conferiti dopo il 18 giugno del 1968 secondo il Pontificale Romano di Paolo VI e la sua Costituzione Apostolica Divinae consortium naturae (del 15 agosto del 1971) sul sacramento della confermazione, quanto alla materia, alla forma e all’intenzione sono oggettivamente validi.
L’ESTREMA UNZIONE
La questione posta dalla materia dell’estrema unzione
La questione posta dalla materia dell’estrema unzione
Per quanto riguarda l’estrema unzione sin dall’inizio secondo la S. Scrittura (Giac., V, 14) la materia sacramentale è l’imposizione delle mani assieme all’unzione con olio (“ungentes oleo”) in genere ed anche secondo la Tradizione apostolico/patristica; mentre in specie, con olio di ulivo solo secondo il Concilio di Firenze (Decreto pro Armenis del 1439) poiché esso è il prototipo dell’olio estratto da piante vegetali, ma il Magistero del Concilio di Firenze non definisce che è stato così (“olio di olivo”) sin dall’inizio per volontà di Cristo sotto pena di invalidità.
Per quanto riguarda il permesso, concesso da Paolo VI con la Costituzione Apostolica sul sacramento dell’estrema unzione (del 30 novembre 1972, in “I praenotanda dei nuovi Libri Liturgici”, Milano, Ancora, III ed., 1985, p. 401), di utilizzare come materia dell’estrema unzione oltre l’olio di olivo anche altri oli: “oleis ex olivis aut aliis ex plantis expressis” (ripreso dal CIC del 1983, can. 847, § 1) occorre sapere che “l’olio d’olivo è sempre da preferirsi” (L. Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, Napoli, Ed. Dehoniane, 1988, II vol., p. 126, n. 3403).
Tuttavia per l’estrema unzione comunemente i Teologi controriformistici hanno insegnato che l’olio del sacramento dell’estrema unzione deve essere olio di ulivo, ma non è specificato dal Magistero (neppure dal Concilio di Firenze, che è l’unico Documento magisteriale a parlare di “olio di olivo”) che esso sia necessario per istituzione divina e non ecclesiastica ad validitatem sacramenti.
Però questa novità lascia gravemente perplessi, pur non invalidando 1°) il sacramento della cresima, perché l’unzione con l’olio in genere (senza la specificazione “di olivo”) per la cresima risale al III secolo; mentre 2°) per l’estrema unzione è specificatamente richiesto (Concilio di Firenze, DS 1324) l’olio di ulivo, ma non si insegna che lo è di istituzione divina per la validità, anche se i teologi dopo la controriforma lo reputano comunemente per la validità, tuttavia senza asserire che è di istituzione divina.
Quindi non si può asserire che il rito della estrema unzione (e quindi anche della cresima) a partire dal 30 novembre 1972 è invalido.
P. Bernard nel Dictionnaire de Théologie Catholique - d’ora in poi ‘‘DTC’’ - (vol. III, col. 2395-2414, voce “Chrême saint”) spiega che “la materia dell’estrema unzione è il crisma, ossia ogni materie atta ad ungere, cioè olio, unguento o essenza profumata” (col. 2395) non parla affatto di olivo. Nei primi secoli dell’èra cristiana i Padri apostolici e apologisti (coll. 2396-2397) usano il termine crisma in maniera larga come unguento o olio in generale senza specificare di olivo; poi (coll. 2398) anche i Padri ecclesiastici rimangono sull’olio in genere.
Occorre attendere la Scolastica per avere teorie più dettagliate (col. 2399), ma non unanimi. Infatti solo S. Tommaso asserisce che il crisma di olivo è di origine divino/apostolica, mentre gli altri o si astengono oppure lo reputano di istituzione ecclesiastica e nessuno asserisce essere l’olio di olivo di necessità per la validità del sacramento tranne l’Angelico.
Il Magistero col Concilio di Firenze (del 1438-1445, DB 392) e il Tridentino (del 1545-1563, DB 908) non definisce se l’estrema unzione sia stata stabilita in specie da Cristo o lasciata alla specificazione degli Apostoli (“DTC”, col. 2400). È certo che S. Giacomo parla di “olio” e che Cristo ha istituito il sacramento mediante la materia oleosa o crismale, ma secondo P. Bernard (“DTC”, col. 2400) non è di fede neppure con Eugenio IV nel Concilio di Firenze (Decreto pro Armenis, DB 392), il quale è l’unico a parlare di “olio di oliva” mentre il Tridentino parla solo di olio, che Cristo lo abbia decretato e che sia assolutamente necessario per la validità del sacramento.
Quindi la teologia dogmatica e morale ha insegnato comunemente a partire dal Tridentino (del 1545-1563) che l’olio di olivo è necessario per la validità dell’estrema unzione (e conseguentemente della cresima in quanto l’olio – per l’estrema unzione, per la cresima, per il battesimo e per l’ordine sacro – è consacrato il giovedì santo dal vescovo durante la messa crismale) pur non essendo definito di fede (“DTC”, col. 2401).
La forma stabilita da Paolo VI nel 1972 è: “Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia il Signore ti aiuti con la grazia dello Spirito Santo. Amen”. La forma antica, che “compare solo dopo il Mille”, recitava: “Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia ti perdoni il Signore tutto ciò che di male hai fatto. Amen /indulgeat tibi Dominus uid quid deliquisti”. La forma greca recita: “O Padre Santo, medico delle anime e dei corpi, che mandasti il Figlio a curare ogni malattia e a liberarci dalla morte, sana anche il tuo servo N. N. da tutte le infermità che lo affliggono, e riempilo di vita con la grazia del tuo Cristo. Amen”. Come si vede il significato del sacramento sostanzialmente resta espresso anche dalla nuova forma del 1972.
Perciò non si può dubitare positivamente della validità della cresima, dell’estrema unione e dell’ordine sacro dopo il 1968-1972 sia quanto alla materia, alla forma e all’intenzione.
Conclusione
La retta soluzione di ogni questione non dipende dai nostri gusti, dalle nostre opinioni o dai nostri comodi, ma dalla conformità del nostro pensiero alla realtà. Per la validità del sacramento occorrono la materia, la forma e l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Ora i nuovi sacramenti promulgati da Paolo VI a partire dal 1968 sino al 1972 sono provvisti di tutti e tre gli elementi. Quindi essi oggettivamente sono validi, piaccia o non piaccia.
Infine concludo con una nota personale, che può essere utile a chi si sente assalito dai “dubbi sacramentali”: essendo stato ordinato sacerdote da monsignor Marcel Lefebvre nel 1984 e questi essendo stato consacrato vescovo da mons. Liénart, che era massone e anche satanista come dichiarò in un’omelia lo stesso monsignor Lefbvre, da alcuni “dubitanti” io (come i sacerdoti della FSSPX) sono considerato non validamente ordinato sacerdote. Ma questa obiezione non mi ha mai turbato poiché la consacrazione episcopale di monsignor Lefebvre è avvenuta oggettivamente nel rispetto dei tre elementi costitutivi del sacramento dell’ordine sacro e particolarmente (quanto all’intenzione di Liénart) vi è stata l’applicazione esterna e visibile delle rubriche, dalla quale soltanto si evince l’intenzione di fare un rito sacro o ciò che fa la Chiesa.
Tuttavia se ci si lascia prendere dal dubbio metodico o dallo scrupolo non si ha più nessuna certezza, si può dubitare di tutto: il sacerdote che mi ha battezzato voleva fare ciò che fa la Chiesa? Il sacerdote che mi assolve è veramente sacerdote? La risposta la dà la sana teologia: materia/forma/intenzione oggettiva a partire dall’applicazione esterna e visibile delle rubriche. Gli altri “argomenti” o meglio “dubbi negativi” (senza motivi reali e fondati) non vanno presi sul serio: “scrupoli e malinconia, fuori da casa mia!” (S. Filippo Neri).
Soprattutto facciano attenzione i sacerdoti che seminano dubbi negativi (senza fondamento oggettivo) quanto alla validità o non-nullità dei sacramenti posteriori al 1968 a non fare il gioco del diavolo, il quale semina dubbi infondati che turbano; cerchino, dunque, di fare il gioco dell’angelo, che dà certezze oggettivamente rassicuranti (cfr. S. Ignazio da Loyola, Esercizi Spirituali, Regole per il discernimento degli spiriti, n. 315).
Dove sarebbe la Chiesa se non vi fosse più sacerdozio, episcopato, sacramenti ed il sommo Pontificato? Occorre distinguere tra decorosità e non-sussistenza. È pacifico che vi sono molte cose indecorose ed illecite nell’ambiente ecclesiale conciliare e post-conciliare, ma la non esistenza della gerarchia e dei sacramenti annullerebbe la Chiesa come Cristo l’ha fondata, il che è impossibile perché Gesù ha promesso di essere tutti giorni sino alla fine del mondo (Mt., XXVIII, 20) con la sua Chiesa e che le porte dell’inferno non prevarranno contro di Essa (Mt., XVI, 18).
d. Curzio Nitoglia
6 commenti:
Ringrazio per la segnalazione.
Ho cancellato la seconda parte e pubblicato il testo integrale in un nuovo articolo, per differenziare le discussioni.
lasciando perdere il resto, dire che l'unzione non è necessaria alla validità della Cresima è una tesi estrema e non sostenibile, specie in un argomento in cui nella prassi è necessario essere tuzioristi, come la validità dei sacramenti. Cappello definisce la tesi di don Curzio su questo punto "mancante di vera probabilità e da rigettare", citando l'istruzione agli Armeni e il Tridentino che definiscono la Cresima come "unzione". Sant'Alfonso, Dottore della Chiesa, con un'ampia trattazione e citando pagine e pagine di fonti patristiche, teologiche e magisteriali (e non un breve passaggio degli Atti, come si limita a fare don Curzio), demolisce la tesi sostenuta qui dal Nitoglia. Nessun Dottore, a partire da san Tommaso, ritiene che l'imposizione delle mani sia materia sufficiente.
Mi chiedo: don Curzio ignora tutto questo? sarebbe male, se scrive un articolo del genere senza conoscere le fonti principali e appoggiandosi a una tesi negata dai massimi Dottori della Chiesa e dichiarata "reicienda" dal più grande canonista del XX secolo. Oppure conosce il problema, ma lo sorpassa in due righe per tener ferma la sua tesi preconcetta?
Inoltre, ripeto, non si dimostra che la Chiesa rimane infallibile perché garantisce sacramenti validi anche se illeciti. L'infallibilità delle leggi liturgiche porta proprio sull'ortodossia dei riti, non solo sulla validità dei medesimi. Evidentemente questo discorso zoppicante di don Curzio non risolve niente, e molte delle cose che dice sono gratuite e non accettabili, come quella citata qui sopra
liceità poi non è semplice "decorosità", ma significa che quando faccio un sacramento pur valido non faccia nulla che metta un obex (ostacolo) alla grazia, come il non rispettare i riti della Chiesa, il compiere riti non ortodossi, o sacrilegi concomitanti alla celebrazione; o il non essre ministro autorizzato, o l'essere fuori dalla Chiesa, etc.
"Infine secondo la Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII del 30 novembre 1947 le parole essenziali della forma di consacrazione episcopale sono: “Accipe Spiritum Sanctum”».
Mi chiedo se questa costituzione don Curzio la abbia letta. Dice infatti: "Denique in Ordinatione seu Consecratione Episcopali materia est manuum impositio quae ab Episcopo consecratore fit. Forma autem constat verbis « Praefationis », quorum haec sunt essentialia ideoque ad valorem requisita : « Comple in Sacerdote tuo ministerii tui summam, et ornamentis totius glorificationis instructum coelestis unguenti rore sanctifica ».
I nuovi sacramenti possono anche essere validi, ma non si può pubblicare un articolo come questo che fa acqua da tutte le parti. Mi stupisco di sì sì no no e pure di mic.
Una piccola questione a margine. Che Vi pare? Quando la formula dice: "Comple in sacerdote tuo ministerii tui summam" intende una condizione, una dignità, una carica, oppure il suo mero esercizio?
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