Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 31 luglio 2013

COMUNICATO STAMPA del Coordinamento Nazionale Summorum Pontificum

Petizione giustamente equilibrata e rispettosa, ma anche chiara e ferma. Infatti, mentre noi ci siamo soffermati sul diritto dei sacerdoti - tanto religiosi che secolari - sancito dall'art.2 del Motu Proprio Summorum Pontificum(1), la petizione che riprendo di seguito, ufficializzata attraverso la forma del "Comunicata stampa", punta l'accento sul corrispondente diritto dei fedeli; il che significa anche bene delle anime, se qualcuno crede ancora che la Santa Messa serva a questo. Dei fedeli, infatti, nessuno sembra essersi preoccupato. [Fonte]

COMUNICATO STAMPA

Il Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum (CNSP) preso atto con filiale rispetto del particolare momento di riflessione chiesto dalla Sede Apostolica alla Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata, volendo evitare ogni indebito giudizio in questioni interne ad un Istituto Religioso di diritto pontificio, esprime, tuttavia, viva preoccupazione che le nuove disposizioni relative alla celebrazione della forma straordinaria del rito romano da parte dei RR. Padri della Congregazione possano in qualche modo privare numerosi coetus fidelium del prezioso servizio liturgico sin qui loro assicurato.

Una simile circostanza rischierebbe, in concreto, di ostacolare l’esercizio di un diritto dei fedeli – riconosciuto e regolato dalle norme generali del Motu Proprio Summorum Pontificum e dall’Istruzione Universae Ecclesiae - a suo tempo disposto dalla mente di S.S. Benedetto XVI a maggior gloria di Dio e a santificazione del Suo Popolo, “discordiam vitando et totius Ecclesiae unitatem fovendo” (SP - art. 5, § 1).

Il CNSP confida, pertanto, che gli Ecc.mi Vescovi e le altre Autorità Ecclesiastiche competenti vogliano provvedere con paterna sollecitudine ad assicurare la regolarità delle celebrazioni delle SS. Messe nella forma straordinaria e in particolare per quei coetus fidelium finora affidati al fecondo apostolato della Congregazione dei Frati Francescani dell’Immacolata, affinché tutti i fedeli che lo desiderano possano continuare a vivere la loro Fede secondo il ritmo della forma straordinaria della Sacra Liturgia, in un vero sentire cum Ecclesia.

Per sostenere questo impegno, il Coordinamento invita ad elevare fervide preghiere alla SS.ma Vergine Maria Immacolata perché i tanti coetus fidelium che si stanno costituendo ricevano sempre l’attenta cura pastorale dei loro Ordinari e il Motu Proprio sia pienamente applicato in ogni diocesi.

Piacenza, 30 Luglio 2013.

Per il Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum
Emanuele Fiocchi
____________________
1. Da prendere nella dovuta considerazione [nota di Chiesa e post concilio]:
  • L'art.2 del Motu proprio Summorum Pontificum prevede il diritto di ogni sacerdote di rito latino (sia secolare che religioso) di celebrare il VO senza obbligo di alcuna autorizzazione previa (di fatto equiparando l'uso dei due messali). Celebrazioni alle quali, ai sensi dell'art.4 sono ammessi anche i fedeli, come di fatto ormai avviene per prassi consolidata dal 2007 
  • l'art. 3, cui molti hanno fatto riferimento a giustificazione del decreto, riguarda la celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori"
Ne consegue che la disposizione avallata dal Papa nel decreto 11 luglio (che è un atto amministrativo) non potrebbe di fatto cancellare una disposizione papale diramata dal suo predecessore con motu proprio (art.2/4). "...il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della Congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata dalle competenti autorità per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta".
Ciò non appare canonicamente valido, per effetto della gerarchia delle norme. E, di fatto, è e resta grave e scorretto. Anche se il fatto che la disposizione del papa, riguardi esclusivamente la materia specifica cui si riferisce (il "caso" FI) e sia esplicitata con l'aggiunta finale  «nonostante qualunque disposizione contraria ».
È forse uno degli aspetti della ormai imperante "prassi ateoretica senza spiegazioni", che non si può concepire da parte di un pontefice? Egli deve esprimere la sua attività di governo nonché il suo munus docendi attraverso encicliche, lettere apostoliche, atti di magistero, omelie, discorsi e pronunciamenti adeguatamente ponderati. L'alta dignità conferitagli per mistero di grazia lo esige. Infatti queste sue forme espressive sono sempre state di prassi ponderate. In esse, ogni parola è stata sempre misurata, ogni concetto esplicitato e sviluppato, proprio per non lasciare spazio a equivoci e interpretazioni errate, esattamente come stiamo invece assistendo da quattro mesi con la complice ridondanza dei media. 

Roberto De Mattei. Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata

Mentre i Francescani dell'Immacolata si stanno distinguendo per l'esemplare atteggiamento di attesa orante e obbediente, continua la nostra vigilante e ugualmente orante attesa.
Riporto di seguito, da Corrispondenza Romana  di oggi, l'articolo di Roberto De Mattei, anche per completare una doverosa rettifica ad alcune mie informazioni, che inquadravano il problema in un'unica direzione. Il testo ci fornisce coordinate ben precise, di fatto ineludibili e, soprattutto, mette in luce ciò che non possiamo e non dobbiamo ignorare, al di là dei motivi che hanno mosso la visita apostolica, e deve essere oggetto della nostra vigilanza, in attesa di sviluppi più equi e sereni.

Concludo aggiungendo che quel che mi preme ribadire qui è la necessità di fare i giusti distinguo tra un tradizionalismo fissista e cristallizzato, che in alcune frange può manifestarsi, e l'amore alla Tradizione, perenne vita e giovinezza della Chiesa. Riporto alcune parole di Don Stefano Ariel Levi di Gualdo che, nel criticare gli aspetti deteriori del tradizionalismo estetico-fissita e ricordare la legittimità di entrambi i riti insieme all'essenza della grande dignità appartenente ai sacerdoti per mistero di grazia e dell'amore e della fedeltà di credenti devoti, afferma:
"Ben maggiori sono invece i preti e i fedeli tradizionisti devoti; ma quando chi vuole dare addosso darà addosso, non vedrà i numerosi secondi e punterà tutto sul numero ben minore dei primi".
Ed è proprio questo inganno sottile - del quale abbiamo già avuto sentore in alcune 'battute' sferzanti del papa basate sui più deteriori pregiudizi e possiamo riconoscere in questo comportamento nei confronti dei FI -, che va neutralizzato.

Il problema comunque è ben più ampio e il nostro sguardo non focalizza solo la Tradizione ma l'intera realtà ecclesiale. Perché quel linguaggio tranchant e approssimativo, ateoretico e pragmatico del papa - che sferza tagliando la realtà con l'accetta ma non spiega e non approfondisce come invece appartiene alla sua alta funzione - omette molti elementi fondanti, correndo il rischio del loro oltrepassamento. Senza ignorare i molti fraintendimenti da parte di orecchie che intendono nei modi loro convenienti e la diffusione di un 'sentire' corrispondente. E di questo colui che, prima di essere un comunicatore deve esercitare il munus docendi et regendi dal Trono più alto, non potrebbe non tener conto. (Maria Guarini)

Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata
Roberto De Mattei
Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata si presenta come un episodio di gravità estrema, destinato ad avere all’interno della Chiesa conseguenze forse non previste da chi incautamente lo ha posto in atto.

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata (conosciuta come Congregazione per i Religiosi), con un suo Decreto dell’11 luglio 2013, firmato dal cardinale prefetto João Braz de Aviz e dall’arcivescovo segretario José Rodriguez Carballo, ofm, ha esautorato i superiori dei Francescani dell’Immacolata, affidando il governo dell’Istituto ad un “commissario apostolico”, il padre Fidenzio Volpi, cappuccino.

martedì 30 luglio 2013

Francescani dell’Immacolata e la crisi della Chiesa: perché non si può tacere

Su segnalazione dei lettori volentieri pubblico il testo che segue, da Corrispondenza Romana, per ampliare e completare la riflessione e la conoscenza dell'increscioso evento in un quadro generale dalle tinte inquietanti ma purtroppo reali. Con l'articolo di ieri intendevo dare un contributo di equilibrio; ma evidentemente occorreva una più accorta riflessione. Le notizie che avevo e che ho dato ovviamente sono attendibili, altrimenti non mi ci sarei soffermata. Purtroppo c'è chi ha cavalcato la crisi dei FI con una sorta di totalitarismo sempre più applicato alla Tradizione. Grazie a tutti i carissimi lettori che con la loro insistente tenacia mi hanno invitata a rivedere la mia 'lettura' che, al di là della realtà dell'accaduto e di quanto emergerà, è risultata monca. Il confronto serve innanzitutto ad aggiustare il tiro e a cogliere il bersaglio. Vedremo cosa succederà. E, dunque, torniamo con vigore a quanto già detto: è venuto il tempo di parlare e di far sentire il cosiddetto "fiuto del popolo" - che poi è il corpo mistico del Signore - e la nostra voce che pretenderebbero silenziare. Non succederà come negli anni '70. Questa è l'era di Internet, l'ultima frontiera di libertà. È finito il tempo dei monologhi, bisogna parlare e agire coralmente. Accompagnamo i cari FI con la preghiera e, per quanto mi riguarda, cercherò di seguire la vicenda così dolorosa e delicata con più accorta vigilanza. Il fatto è che probabilmente non volevo crederci e mi è bastato l'input del mio interlocutore. Ma è necessario guardare in faccia la realtà, al di là della contingenza, come ho detto più volte, mentre stavolta ho perso l'orientamento. Ogni tanto succede, soprattutto nel navigare a vista... 

Come accade spesso nelle tragedie, sono i particolari a dare l’idea della loro enormità, e il caso del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata non fa eccezione.

Francesco spara a zero sulla Tradizione e glissa sui temi caldi di drammatica attualità

Durante una chiacchierata con i 70 giornalisti a bordo del suo aereo, di ritorno da Rio, il pontefice ha detto: “Tutte le lobbies sono qualcosa di sbagliato, ma se una persona è gay e cerca Dio, chi sono io per giudicarla?” 

Una frase assurda, perché sembra dimenticare di essere il papa e di dovere indicazioni ai credenti sui temi di morale oltre che di fede. Anche perché non condanna ma, al solito, omette. Solo la lobby è immorale, ma dell'atto contro natura non si parla? C'è un cambiamento d'accento che non può non avere ripercussioni nel 'sentire' comune. Egli sembra anche  molto attento a non pronunciarsi su certi temi, come la difesa della vita e le gender theories che si stanno imponendo. Eppure a Rio aveva tre milioni di giovani davanti a sé. E se - come ha dichiarato - voleva mandar loro messaggi positivi, di questi tempi quale messaggio più positivo poteva esserci, potendolo fare proprio davanti a loro, di quello della difesa della vita e della famiglia naturale rispetto alle innaturali unioni omosessuali, le derive conseguenti e le loro ripercussioni sull'intero genere umano, derive già introdotte in molti Paesi e incombenti sul nostro ? Ha dichiarato di voler lasciare le questioni politiche ai vescovi. Ma ad essi appartiene una giurisdizione locale. Quella Urbi et Orbi, universale, appartiene a lui e a lui solo! Inoltre non si tratta di questioni politiche anche se in questo momento esse, più che dibattute vengono imposte proprio nell'agone politico. Si tratta di questioni morali, che discendono da una fede retta che va proclamata e difesa per chi ancora è disposto ad accoglierla. Mentre, espresso da lui, un retto 'sentire' al quale non sono trasversalmente estranei molti uomini di buona volontà, non farebbe che incoraggiarne autorevolmente le posizioni, insieme a quelle dei credenti, divenute sempre più coraggiose e irte di difficoltà.

Inoltre sull'increscioso caso Ricca, così come sui gay e le loro lobbies vaticane, il papa glissa o rilascia dichiarazioni ambigue.

Viceversa, per giudicare i cattolici che non gli vanno a genio egli non sembra aver problemi e li qualifica a più riprese: inamidati, da salotto, da museo, musoni che guardano il pavimento, rigidi e superficiali, pelagiani e gnostici, zitelle e peperoncini all'aceto, non sono cristiani, si mascherano da cristiani, alcuni hanno una certa allegria superficiale, gli altri vivono in una continua veglia funebre, ma non sanno cosa sia la gioia cristiana, questi sono schiavi della superficialità, di questa vita diffusa, e questi sono schiavi della rigidità, non sono liberi. Nella loro vita, lo Spirito Santo non trova posto.

Che pensare di alcune di queste espressioni riferite in particolare alla Tradizione, che sembrano nascere da scarsa conoscenza della realtà che essa rappresenta nella e per la Chiesa nonché della spiritualità che la anima, forse giudicandola fin troppo sommariamente soltanto attraverso alcune derive recentemente rappresentategli e sulle quali non ha tardato a pronunciarsi, delle quali abbiamo parlato negli articoli precedenti? E che pensare del fatto che ripetutamente esprime la sua riprovazione attraverso pesanti e anche irriguardosi pregiudizi, che peraltro non riserva ai nemici della Chiesa? E il "sentire cum Ecclesia" significa forse vescovi ballerini e riti sacri trasformati in spettacoli sostituendo al sacro e solenne il sensazional-sentimentale ?

lunedì 29 luglio 2013

Francescani dell'Immacolata. Notizie in diretta per fare chiarezza

Nell'Aggiornamento di qualche ora fa avevo ribadito quanto già detto ieri alle prime avvisaglie dell'incresciosa questione: dovremmo conoscere meglio la situazione interna ai FI, i reali motivi della divisione, chi l'ha prodotta e perché. Tanto più che da fonte diretta avevo notizia di problemi che non riguardavano il Rito, anche se sapevamo tutti dell'esistenza di una frangia dissidente per questo motivo. Esprimevo tuttavia anch'io, insieme a tanti, il timore -con quel che è accaduto a proposito del divieto di celebrarlo-, che i problemi reali fossero sottaciuti ad extra e cavalcati offrendo il destro per boicottare il Rito e la Tradizione, certamente molto sentita da chi lo celebra e da molti FI che conosco. Senza contare le numerose vocazioni scaturite proprio da questa scelta.
Sta di fatto, tuttavia che è stato immediatamente colto il pretesto per colpire la celebrazione del Rito Antico, vietando con un atto amministrativo - sia pure approvato dal Papa - quanto l'art.2 del Motu proprio Summorum Pontificum sancisce come diritto di ogni sacerdote religioso o secolare.

Sulla messa papale della Domenica della Trinità: nota liturgica

Rorate Caeli pubblica:

Uno dei pochi elementi "di stile tradizionale" introdotti nella liturgia papale durante il regno di Benedetto XVI, sostanzialmente sopravvissuti finora nell'attuale pontificato era la pratica di richiedere a coloro che ricevono la comunione dal Papa di farlo in ginocchio e sulla lingua. A essere più precisi: nelle sue Messe per il pubblico, Papa Francesco aveva di solito dato la comunione ai diaconi (che l'hanno sempre ricevuta in ginocchio), mentre notoriamente si astiene dal dare la comunione ai laici. Tuttavia, i diaconi papali avevano sempre dato la comunione al posto del Papa, e coloro che la ricevevano hanno continuato a essere tenuti a inginocchiarsi e riceverla sulla lingua. Per molti di coloro che erano stati in ansia per le modifiche apportate alle liturgie papali dal marzo 2013, la sopravvivenza di questa pratica nelle Messe pubbliche del Papa è stata una grande consolazione.

La Messa papale di domenica presso la parrocchia "Santi Elisabetta e Zaccaria", prima visita pastorale del Papa in una parrocchia romana al di fuori dello stesso Vaticano, ha visto il Papa dare la prima comunione a diversi bambini (e almeno un adulto). Il video completo della Messa può essere trovato qui, [qui dal Sito Vaticano] con la comunione dei bambini a partire da 01:49:15.

Ha dato la comunione ai bambini (e agli adulti), al loro posto, e lo ha fatto senza una patena (anche se ha prima intinto l'ostia nel Preziosissimo Sangue). E' abbastanza chiaro da filmati e fotografie della Messa che ci fosse uno spazio più che sufficiente per porre un inginocchiatoio di fronte al Papa e, sicuramente, l'impiego di un inginocchiatoio e di una patena non sarebbe stato impossibile in una parrocchia romana per una Messa papale!

Per quanti sono tentati di respingere il significato di questa azione: è da considerare che ha avuto luogo nella prima Messa del Papa in una parrocchia della sua diocesi fuori del Vaticano, in una Messa che è stata trasmessa in diretta dal Centro Televisivo Vaticano e che ha avuto luogo non in un normale giorno della settimana o in una Domenica qualunque, ma in una delle grandi feste dell'anno liturgico. E, per di più, perché ha avuto luogo in una parrocchia della sua diocesi, e non può non mandare un chiaro segnale di ciò che egli ritiene appropriato ad una tipica liturgia parrocchiale. (Per inciso, anche la cosiddetta "cura dell'altare benedettiano" è stata ridotta in questa Messa a due piccole candele e un piccolo crocifisso al centro dell'altare.) 

Durante il pontificato di Papa Benedetto XVI, ogni piccolo "restauro" di elementi tradizionali della liturgia papale è stato spesso sbandierato come un altro passo epocale nella restaurazione della liturgia per la Chiesa intera. E ci sembra assurdo e incoerente che, ora che un altro papa regna, l'"esempio papale" nella liturgia in alcuni ambienti "conservatori" è improvvisamente trattato come "irrilevante" e come di poca o nessuna importanza, qualcosa che è meglio ignorare e che non necessita di commenti. Purtroppo, la restaurazione della sacra liturgia non può mai essere costruita su un pio desiderio, o su un diniego, o tirando fuori scuse strane e improbabili (a volte, in nome della carità!) per spiegare l'ovvio.
[Traduzione a cura di Chiesa e post concilio]

Francesco contraddice Benedetto su un punto nevralgico che penalizza la Tradizione. La nostra risposta: preghiera e comunicazione...

Aggiornamento: Aggiungo ora quel che avevo già detto ieri alle prima avvisaglie dell'incresciosa questione: dovremmo conoscere meglio la situazione interna ai FI, i reali motivi della divisione, chi l'ha prodotta e perché. Tanto più che da fonte diretta avevo notizia di problemi che non riguardavano il Rito, anche se sapevamo tutti dell'esistenza di una frangia dissidente per questo motivo. Tuttavia, con quel che è accaduto a proposito del divieto di celebrarlo, sembra che i problemi reali siano sottaciuti ad extra e cavalcati dando il destro per boicottare il Rito e la Tradizione, certamente molto sentita da chi lo celebra e da molti FI che conosco. Senza contare le molte vocazioni scaturite proprio da questa scelta.
Leggiamo nella Lettera del Commissario pubblicata da Messa in Latino: "...Questo è importante, l'annuncio e la testimonianza del Vangelo, per ogni cristiano, non sono mai un atto isolato o di gruppo e qualunque evangelizzatore non agisce, come ricordava molto bene Paolo VI, "in forza di un'ispirazione personale, ma in unione con la missione della Chiesa e in nome di essa (Esort. Ap. Evangelii nuntiandi, 80) [...] Sentite la responsabilità che avete di curare la formazione dei vostri Istituti nella sana dottrina della Chiesa, nell'amore alla Chiesa e nello spirito ecclesiale" (Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti all'assemblea plenaria dell'Unione Internazionale delle Superiore Generali, 8 maggio 2013).
Fermi restando altri motivi che possiamo non conoscere, ci chiediamo: perché nel "sentire cum Ecclesia" dovrebbe esserci il divieto di celebrare il l'Antico Rito per chi finora lo celebrava?

Ormai l'articolo di Magister e la notizia che riporta con accurata dovizia di dettagli la vicenda che ha toccato i Francescani dell'Immacolata e -attraverso loro- l'intero mondo della Tradizione, ha fatto il giro del web. Per comodità di analisi ne riprendo la conclusione, che dice già tutto in poche righe e poi aggiungerò un commento che estraggo come sintesi da quanto ci siamo già detti.
Le autorità vaticane hanno risposto inviando un anno fa un visitatore apostolico. E ora ecco la nomina del commissario. Ma ciò che più stupisce sono le ultime cinque righe del decreto dell'11 luglio:
"In aggiunta a quanto sopra, il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata [sic] dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta".
Lo stupore deriva dal fatto che ciò che qui viene decretato contraddice le disposizioni date da Benedetto XVI, che per la celebrazione della messa in rito antico "sine populo" non esigono alcuna previa richiesta di autorizzazione:
"Ad talem celebrationem secundum unum alterumve Missale, sacerdos nulla eget licentia, nec Sedis Apostolicae nec Ordinarii sui" (1).
Mentre per le messe "cum populo" pongono alcune condizioni, ma sempre assicurando la libertà di celebrare.
In generale, contro un decreto di una congregazione vaticana è possibile fare ricorso presso il supremo tribunale della segnatura apostolica, oggi presieduto da un cardinale, l'americano Raymond Leo Burke, giudicato amico dai tradizionalisti.
Ma se il decreto è oggetto di approvazione in forma specifica da parte del papa, come sembra avvenire in questo caso, il ricorso non è ammesso.
I Francescani dell'Immacolata dovranno attenersi al divieto di celebrare la messa in rito antico a partire da domenica 11 agosto.
E ora che cosa accadrà, non solo tra loro ma nella Chiesa intera?
Era convinzione di Benedetto XVI che "le due forme dell’uso del rito romano possono arricchirsi a vicenda". L'aveva spiegato nell'accorata lettera ai vescovi di tutto il mondo con cui aveva accompagnato il motu proprio "Summorum pontificum": Con grande fiducia e speranza
Ma da qui in avanti non sarà più così, almeno non per tutti. Ai Francescani dell'Immacolata, costretti a celebrare la messa soltanto nella forma moderna, non resterà che un solo modo per fare tesoro di quello che ancora Benedetto XVI auspicava: "manifestare" anche in questa forma, "in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso".
Sta di fatto che un caposaldo del pontificato di Joseph Ratzinger è stato incrinato. Da un'eccezione che molti temono – o auspicano – diventerà presto la regola.
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(1) Curiosamente, ancora sei anni dopo la pubblicazione, il motu proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI continua a essere presente nel sito ufficiale della Santa Sede solamente in due lingue e tra le meno conosciute: la latina e l'ungherese.
Riprendo dal discorso del papa al CELAM:
"si verifica in piccoli gruppi, in alcune nuove Congregazioni Religiose, in tendenze esagerate alla “sicurezza” dottrinale o disciplinare. Fondamentalmente è statica, sebbene possa ripromettersi una dinamica ad intra, che involuziona. Cerca di “recuperare” il passato perduto. (...) "
I puntini stanno per quel che papa Bergoglio ha aggiunto a braccio, il testo definitivo non è ancora disponibile sul sito della Santa Sede.

Resta da vedere in che consiste la sua di "dinamica"... Da quel che abbiamo visto a Lampedusa e a Rio e, ora, con i francescani dell'Immacolata c'è poco da stare allegri. Nel discorso sopra citato ha parlato del "fiuto" del popolo, ma se noi non apparteniamo ad un altro popolo, mentre ci riconosciamo corpo mistico di Cristo, non solo dovrà sentire il nostro "odore" ma anche la nostra "voce" perché questa volta non taceremo!

E, nel merito, il lettore Marco P. osserva:
Ma perché bisogna sempre qualificare con aggettivi che in modo subdolo falsano l'oggettività di ciò che è, dei termini di per sé chiarissimi ?
Cosa sono le "tendenze esagerate" ? O si tende o non si tende, cioè o si va verso una direzione o non ci si va: che cos'è una esagerazione nell'andare verso una direzione ?
Applicata poi alla sicurezza dottrinale questa deriva è devastante. Infatti cosa c'è di più certo della sana, vera, unica, buona dottrina ? E quindi come può esservi esagerazione nel dirigersi verso questo approdo bello e sicuro ? La volontà di raggiungerlo non può mai essere tiepida, deve sempre essere zelante e totale.
Anche applicare questa visione riduzionista alla sicurezza disciplinare mi sembra deleterio. Infatti se per disciplina si intende il comportamento da tenere, allora vale quanto detto per la dottrina (dall'etica discende la morale); se invece ci si riferisce all'aspetto disciplinare in quanto a provvedimenti conseguenti ad eventuali errori, questa attesa da parte dei poveri piccoli gruppuscoli neo-pelagiani mi pare ben si combini con la certezza che se il Signore è misericordioso e perdona un cuore contrito, però Egli non può abbonare la pena per l'errore commesso, pur in presenza di pentimento, quindi sminuire o peggio irridere questa attesa di comportamento coerente da parte di chi detiene l'autorità su questa terra con Chi l'autorità la dà, mi pare azzardato.
In fondo ci viene insegnato evangelicamente che quando uno ha trovato il vero tesoro, che è Cristo Signore e quindi anche ciò che Egli insegna (dottrina), ebbene questo uomo è talmente cambiato che egli vende tutto ciò che ha, (diviene veramente povero) e lascia tutto per questo tesoro. È forse esagerato anche il Santo Vangelo ?
Sul far sentire la nostra voce c'è chi mi dice di non illuderci perché negli anni '60 c'erano molti più cattolici (clero e laici) di oggi e solo due vescovi fecero sentire la loro voce. Il resto si "allineò" e oggi la stragrande maggioranza è tutta già "allineata". Dunque dobbiamo confidare solo nella Provvidenza! Ma a questa visione rassegnata c'è da fare un'obiezione del lettore RIC, che condivido.

È vero che negli anni ’60 c’erano molti più cattolici. Ma non c’erano né internet né gli altri mezzi di comunicazione. Oggi, da questo punto di vista, siamo più forti perché possiamo unire le nostre forze provenienti da qualsiasi parte del mondo e perché la nostra voce non resterà più isolata o circoscritta.

Preghiera e comunicazione: questi sono i mezzi sui quali contare. Bergoglio vuole che si “esca”?? Ebbene anche noi usciremo e faremo sentire la nostra voce. Se Internet fosse esistito ai tempi del Concilio forse le cose non sarebbero andate come sono andate, consentendo ad una minoranza meglio organizzata di dare scacco alla maggioranza dei credenti.

Se non possiamo pensare che un caso particolare possa intaccare una legge universale come il Summorum e se la debacle dell'Antico Rito non è ancora di ordine giuridico, con l'aria che tira rischia di diventare concreta nell'ordine pratico.

Quel che occorre è serrare le fila e creare sinergie. Se il Signore vorrà, cercheremo di portare avanti alcune idee ancora in embrione, delle quali è da verificare la fattibilità. Intanto continuiamo a fare quel che possiamo come possiamo.

Antonio Livi. L’essenza del cristianesimo è il dogma.

Col seguente scritto di Antonio Livi, riprendiamo il discorso sulla conoscenza previa, di orientamento, e successiva, di verifica, che non può eludere il dogma e la sua essenzialità a garanzia della retta fede:
« Senza dogma non ci sarebbe più alcun riferimento preciso e pubblico a quella che è giustamente chiamata “la fede della Chiesa” e ognuno penserebbe di credere alla verità salvifica donataci con la Parola di Dio, ma in realtà si tratterebbe soltanto di credenze basate, non già su solidi motivi teologici, ma su scelte sentimentali e quindi incomunicabili e irresponsabili, tanto se sono individuali quanto se sono di gruppo ».

L’essenza del cristianesimo è il dogma, ossia la formalizzazione della verità rivelata attraverso l’intervento normativo (lex credendi) e pastorale (lex orandi, lex operandi) del magistero ecclesiastico, intervento che nella storia della Chiesa non è mai mancato. Anche ai nostri giorni, ogni cattolico giustamente desideroso di sapere che cosa veramente si deve credere per essere autentici Christifideles può conoscere facilmente i termini essenziali del dogma, che si trovano esposti in forma divulgativa ma rigorosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, voluto dal beato papa Giovanni Paolo II. Senza dogma non ci sarebbe più alcun  riferimento preciso e pubblico a quella che è giustamente chiamata “la fede della Chiesa”. Senza dogma non si saprebbe a quale oggettiva “fides quae creditur” si riferisca la soggettiva “fides qua creditur”: ognuno, infatti, penserebbe di credere alla verità salvifica donataci con la Parola di Dio, ma in realtà si tratterebbe soltanto di credenze basate, non già su solidi motivi teologici, ma su scelte sentimentali e quindi incomunicabili e irresponsabili, tanto se sono individuali quanto se sono di gruppo. Oggi il maggior nemico del dogma – e quindi del cristianesimo – è l’ideologia del relativismo, nata e sviluppatasi in ambito protestantico (dopo Lutero) ma penetrata sempre più profondamente nella vita e nella prassi della Chiesa cattolica. La prima vittima del relativismo, all’interno della Chiesa, è la teologia, che cessa di compiere la sua funzione propria, che è appunto l’interpretazione scientifica del dogma (vedi Antonio Livi, Vera e falsa teologia, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012). Già nel 1950 il papa Pio XII avvertiva i fedeli, con l’enciclica Humani generis,  che la teologia cattolica rischiava di subire l’influsso del relativismo, ingenerando quello che egli denominava «relativismo dogmatico», dal quale deriva il relativismo nel campo morale» (cfr Acta Apostolicae Sedis, 42 [1950], pp. 566-567). Da allora a oggi la degenerazione della teologia ha assunto aspetti  ancora più deleteri, malgrado le direttive dottrinali emanate dal concilio ecumenico Vaticano II con la costituzione dogmatica Dei Verbum  e con il decreto Optatam totius (1965), e poi da Giovanni Paolo II con l’enciclica Fides et ratio (1998).

Che senso ha parlare di “dittatura del relativismo”.

Essendo il relativismo essenzialmente una insieme di falsità, esso non può insinuarsi nelle menti dei cattolici per via di autentica persuasione razionale: è penetrato e continua a penetrare per via di seduzione sofistica e soprattutto di imposizione violenta, operata attraverso il potere mediatico e finanziario, ossia attraverso la politica come è praticata dai regimi sostanzialmente dittatoriali. Per questo parlo di “dittatura del relativismo”. L’espressione «dittatura del relativismo» è del card. Joseph Ratzinger, che la utilizzò nell’omelia durante la Messa pro eligendo Romano Pontifice; si trattò di in un importante discorso dal carattere programmatico, in quanto pronunciato nell’imminenza della sua elezione al soglio pontifico (2005). Poi l’espressione è restata una costante nel magistero di Benedetto XVI, e oggi (2013), quando il timone della Barca di Pietro è passato nelle mani di papa Francesco, tutti nella Chiesa debbono farsi carico dell’eredità che il grande papa tedesco ci ha lasciato. Tutti debbono rendersi conto che il relativismo, con la sua pervasività mediatica e la sua effettiva dittatura istituzionale, legislativa e  burocratica, è il maggior attentato alla verità cattolica, che per questo e per tanti altri motivi necessita di una efficace difesa scientifica. 

Anche un intellettuale come Marcello Veneziani, che rifiuta l’etichetta di “filosofo cattolico”, ha osservato giustamente come sia inevitabile che l’abolizione teoretica delle norme fondamentali del diritto naturale (operata dal relativismo a favore del positivismo giuridico) porti alla tirannia di chi detiene il potere nelle società moderne, come avviene in Italia soprattutto con il potere giudiziario: «Quando cadono i principi fondamentali di una civiltà, quando si respinge ogni verità oggettiva, e non c'è più una morale condivisa, una religione rispettata, un comune amor patrio a cui rispondere, allora l'unico criterio supremo che stabilisce i confini del bene e del male e le relative sanzioni è la Legge. In teoria, la legge è un argine al male. Ma in una società relativista che non crede più in niente, chi amministra la Legge, chi decide e sentenzia in suo nome, dispone di un potere assoluto, irrevocabile e autonomo che spaventa. Risponde solo a se stesso, in quanto è la stessa magistratura a interpretare la legge. L'unica differenza che c'è tra il potere dei magistrati e il potere degli ayatollah è che questi decidono e agiscono nel nome di una religione millenaria, radicata e largamente condivisa dal popolo su cui esercitano la loro autorità. I magistrati, invece, sono la voce e il bastone di una setta che dispone del monopolio della forza, cioè il potere di revocare libertà, diritti e proprietà secondo la loro indiscutibile interpretazione della Legge. I confini tra le prove e gli indizi vengono superati a loro illimitata discrezione, e così quelli tra testimoni e imputati, se i primi non confermano i dettami del magistrato; le garanzie e i diritti elementari non contano rispetto ai loro responsi sovrani e non contano nemmeno gli effetti pubblici, politici, economici, che essi producono con le loro sciagurate sentenze. Possono sfasciare imprese e perfino economie nazionali, governi, alleanze, partiti, famiglie e persone. È possibile, ad esempio, che l'uso delle intercettazioni sia lecito in alcuni casi e illecito in altri, sono loro a stabilire i confini, così le intercettazioni a volte sono la base su cui fondare i processi e le gogne mediatiche, a volte sono esse stesse il capo d'accusa in altri processi. L'arbitrio nel nome della Legge è il peggiore degli arbitri perché è ammantato di oggettività e di obbligatorietà, non è sottoposto a nessun vincolo se non la legge da loro stessi interpretata e amministrata. Talvolta il dispotismo giudiziario viene esteso ad altri enti, come le agenzie delle entrate quando possono usare poteri enormi in materia di controllo, sanzione, pignoramenti e interessi di mora. Gli effetti anche in quel caso sono devastanti. […] Se in una società incarognita e nichilista come la nostra che ha perso i confini del bene e del male, dove tutto è soggettivo e ognuno si stabilisce le regole di vita, dai a qualcuno un potere smisurato, l'abuso di potere è pressoché inevitabile» (in Il giornale, 24 giugno 2013, p. 12).

Difendersi dall’irrazionalità antiteistica con la razionalità teocentrica

Il relativismo attenta alla fede cattolica, sia dall’esterno, con la propaganda dell’ateismo (e del secolarismo e con la polemica antidogmatica (in Italia ne sono alfieri Gianni Vattimo, Paolo Flores d’Arcais, Giulio Giorello, Piergiorgio Odifreddi; in America, Richard Rorty) ; sia all’interno, con l’imposizione (anche dall’alto: vedi cardinal Ravasi sull’Osservatore romano) di una teoria eretica circa la fede, la quale non richiederebbe alcuna certezza, ma anzi l’umiltà di non avere certezze da offrire agli altri (con il pretesto che ciò significherebbe mancare di rispetto verso chi non crede, presentandosi come superiori o migliori). Araldo di questa sciocca retorica sui media (sia laicisti che cattolici) è Enzo Bianchi, che relativizza il dogma cattolico e dogmatizza la “fede nell’uomo”: distoglie i cristiani dall’Assoluto vero e impone loro il falso Assoluto dell’umanesimo ateo. 

Ora, la difesa scientifica della verità cattolica (obiettivo dell’Unione da me fondata) richiede di smentire sistematicamente le pretese di ragione, di razionalità e di ragionevolezza del relativismo. La razionalità sta tutta dalla parte della verità cattolica: sia perché è dimostrabile e dimostrato che essa è razionalmente credibile (cfr Razionalità della fede nella rivelazione, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2010), sia anche perché l’accettazione dei misteri rivelati, ossia la fede dei credenti in Cristo, poggia su ragioni personali che hanno tutte il crisma della piena razionalità, anche se appartengono alla coscienza del singolo. I credenti hanno dunque il diritto e il dovere di proclamare la dottrina rivelata da Dio come assolutamente vera, anzi come l’unica verità che salva. Ma tutto ciò comporta che ci siano anche delle verità naturali, con carattere assoluto, che rendono possibile comprendere e accettare la rivelazione divina: sono quelle verità che Tommaso d’Aquino ha chiamato «praeambula fidei». Esse coincidono con quelle evidenze naturali, innegabili, che io chiamo, con un termine moderno, il “senso comune”. Esse consentono di individuare nella conoscenza umana una gerarchia, una struttura consequenziale, per cui una verità presuppone un’altra come sua condizione di possibilità, fino ad arrivare, appunto, alle verità originarie del senso comune. Contro di esse, nessuna tesi può essere presa per vera ma è da considerarsi falsa; senza di esse, una tesi può essere solo ipotetica, ossia è da considerarsi come mera opinione soggettiva o di gruppo. L’opinione, questa sì, è il campo del relativo. Ma il relativo non annulla l’assoluto, anzi, lo presuppone. Ecco allora fissare le leggi fondamentali della logica aletica. Ora, dunque, la logica aletica fa comprendere che le certezze del senso comune e i primi principi sono di fatto alla base del pensiero umano, e quindi sono la premessa, almeno implicita, di ogni tesi, di ogni affermazione, di ogni ragionamento. Ma la volontà di negare l’evidenza può portare a negare che ci sia una verità assoluta in qualche ambito della conoscenza umana. Di qui la contraddittorietà intrinseca a ogni forma di relativismo. Nega ciò che afferma e afferma ciò che nega in ogni momento del ragionamento. Nega che si possa sostenere e annunciare una verità assoluta riguardo a Dio (che è l’Assoluto), e allo stesso tempo sostiene con  l’assolutezza tipica del fanatismo politico e religioso tesi ideologiche di per sé opinabili. Ma la contraddizione sta proprio nell’affermazione assoluta della relatività (storica, economica, culturale) di ogni pretesa di verità, il che costituisce logicamente un self-denying principle. Così la logica aletica viene confermata dalla logica pragmatica. Ad esempio, il beato papa Giovanni Paolo II, nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace dell’anno 2002, diceva: «Chi uccide con atti terroristici coltiva sentimenti di disprezzo verso l'umanità, manifestando disperazione nei confronti della vita e del futuro : tutto, in questa prospettiva, può essere odiato e distrutto. Il terrorista ritiene che la verità in cui crede o la sofferenza patita siano talmente assolute da legittimarlo a reagire distruggendo anche vite umane innocenti» (§ 6-8).

domenica 28 luglio 2013

Venerdì 2 agosto. Appuntamento mensile con l'Adorazione notturna, Priorato di Rimini

Come ormai noto, ogni primo venerdì del mese, presso il Priorato Madonna di Loreto di Rimini, si svolge l'adorazione notturna.

Da più di un anno si registra la presenza costante, oltre che dei tanti fedeli della FSSPX, di persone che provengono da parrocchie del circondario e si sono avvicinate alla tradizione grazie a questo momento di grazia che termina con la celebrazione della Santa Messa chiaramente nel rito Romano antiquior

I sacerdoti sono sempre disponibili per le confessioni.

L'appuntamento di questo mese è per 
Venerdì 2 alle ore 21

Chi vuole, può scaricarsi la Locandina da qui

Il "Campo della fede" trasformato nel "Campo del fango"...

Dice Francesco Colafemmina in Fides et Forma:
"Le immagini parlano chiaro. L'imponente progetto del palco papale a Guaratiba sulla cui sobrietà mi ero soffermato in un precedente post è stato sommerso dalla pioggia e dal fango, inducendo gli organizzatori a spostare l'evento dello "Show del futuro" a Copacabana. Milioni di reais gettati al vento... Un'altra cattedrale nel deserto del provvisorio, un'altro esempio di povertà, umiltà e sobrietà".
Almeno la Provvidenza sembra non aver permesso che vedessimo il papa apparire all'altare proprio in mezzo a quelle inquietanti grandi corna, che forse volevano rappresentare qualcosa d'altro, ma tali restano... E la "Via Crucis" trasformata in spettacolo si è svolta a Copacabana. Di questa c'è rimasto da dire quanto ci ha segnalato una nostra attenta lettrice, Sam:
Di questa GMG la cosa più edificante sono i giovani, che quando un testimone simil-"carismatico" ha chiesto loro di inginocchiarsi tutti davanti al Papa, sono rimasti in piedi, ma quando è arrivato il Santissimo si sono inginocchiati tutti in profondo raccoglimento, anche se il Papa è rimasto in piedi (e poi seduto).
La Chiesa Cattolica ha la Santa Eucaristia, altro che balletti e sceneggiate estemporanee! Con la Santa Eucaristia e per la Santa Eucaristia la Chiesa vive e sopravvive a tutto!
Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat! Non prevalebunt!
Copacabana. L'inquietante "trono"
a forma di Ostensorio
Al di là di tutto, non abbiamo dedicato sottolineature ai discorsi del papa in Brasile, che forse avrebbero meritato maggiore attenzione. Cè chi ha osservato che - al solito con parole semplici - ha detto cose decise sulla vita, sulle droghe e sul relativismo, che tuttavia la grande stampa ha passato sotto silenzio. Ed è quello che in fondo abbiamo fatto anche noi, frastornati e sconcertati da una impropria spettacolarizzazione delle "cose sacre" che, centrata sull'uomo, alla fine ha distolto l'attenzione proprio da Colui che avrebbe dovuto e dovrebbe esserne il fulcro: il Signore.
Qui il "trono-ostensorio" si vede meglio.
Per quanto mi riguarda, non sono riuscita a seguire dal vivo; ma solo in differita, perché mi sento troppo lontana dalla spettacolare esteriorità sentimental-pop, che non consente alcuna interiorizzazione, sepolta nella sensazionalità e nel superficiale sentimentalismo. Eppure qualcosa di diverso era possibile. Ce lo ha dimostrato Benedetto XVI, che non rimpiangeremo mai abbastanza, nella veglia del 2011 a Madrid.

La Messa in rito antico mandata in ferie dai vescovi

La Messa in rito antico è come il gelato: d’estate si squaglia. Nel senso che in molte diocesi dove pure si celebra, quando arriva luglio, o addirittura giugno, si ordina categoricamente che la celebrazione venga sospesa. Così i fedeli che la frequentano sono costretti a farne a meno per tutta l’estate. Costoro sono dispiaciuti, ma abbozzano perché sennò ‒ si dicono sottovoce fra loro, come un manipolo di cristiani del primo secolo nascosti nelle catacombe di San Sebastiano – «sennò se ci lamentiamo poi ce la tolgono del tutto».

Insomma, si vede che, con il caldo, ciò che è lecito ‒ in base a un Motu Proprio scritto da un Papa ‒ diventa illecito. Si vede che è un tipo di Messa che si può fare a seconda di quello che stabilisce il termometro: con la canicola, non s’ha da fare. Il fatto singolare è che questo fenomeno liturgico-meteorologico accade nelle diocesi rette da vescovi definiti “amici” della Liturgia gregoriana, che però evidentemente sono pronti a tollerarla al massimo 10 mesi all’anno. Arrivati al decimo mese, devono prendersi una pausa e diventare un po’ meno amici.

Lo stile con cui viene ordinata la sospensione è, in alcuni casi, piuttosto odioso. Oltre che la sostanza, è infatti il modo che ancor più offende.
A Monza, antica enclave di rito romano nella diocesi ambrosiana, le cose sono andate pressappoco nel modo che segue. La Messa antica si celebra nella città di Teodolinda ogni domenica e feste comandate esattamente da un anno, dall’1 luglio 2012. I fedeli che promossero a suo tempo la petizione hanno atteso 2 anni prima di ottenere il semaforo verde dall’Arcivescovo Angelo Scola. Avvertiti comunque dall’Arciprete del Duomo che «tutti i sacerdoti della città sono contrari».

Nell’anniversario dalla prima celebrazione, i cattolici che frequentano la Messa antica hanno pensato bene di organizzare una celebrazione un po’ più solenne del solito, domenica 7 luglio, coinvolgendo anche un maggior numero di persone. Insomma, una piccola festa. I volenterosi hanno messo anche delle pubblicità a pagamento sul settimanale cattolico della città (che altrimenti non parla di questa Messa), Messa che non è inserita nell’elenco cittadino delle celebrazioni domenicali, è collocata alle 18.45 (d’inverno andarci è una vera impresa per i fedeli anziani e per quelli che hanno bambini), né compare negli avvisi della chiesa delle suore che la ospita. Insomma, una messa fantasma.
Dunque, inizia la Messa di anniversario. Il celebrante, un sacerdote del capitolo del Duomo di Milano, inizia la sua predica portando i saluti personali dell’Arcivescovo Scola, e riferendo della gioia del cardinale per il celebrarsi così bello e degno del sacrificio eucaristico. Dopo la captatio benevolentiae, però, arriva il colpo di randello: sono certo ‒  dice il prete ‒ che voi tutti accetterete il piccolo sacrificio, che vi chiede il Cardinale, di interrompere la celebrazione di questa messa a partire da oggi e per tutto il periodo di luglio e agosto, fino all’1 settembre. Lo stesso sacerdote spiega poi, nel suo fervorino sul Vangelo, che l’estate è un tempo davvero propizio per stare con Gesù, per approfondire la nostra fede, per ritemprare lo spirito. Ovviamente, a patto di non continuare a frequentare la Messa Antica.

L’annuncio è stato dato a freddo, senza alcun tipo di preavviso, e con modalità che escludono qualunque tipo di dialogo. D’altra parte si sa che questa è una Chiesa in cui c’è tempo e voglia per dialogare con tutti: fratelli delle chiese separate, sorelle pastore valdesi, suore dissidenti, cantanti rock in ricerca, astronome atee, preti di strada, fratelli musulmani devoti impegnati nel ramadan, i fratelli maggiori ebrei, i cugini di altre religioni, i diversamente credenti, politici abortisti, intellettuali omosessualisti, transessuali purché famosi. Ma se si tratta di dialogare con un gruppo di cattolici che chiedono di applicare il Motu Proprio di un Papa, ecco che improvvisamente il tempo del dialogo è scaduto. È così e basta. E la ragione è semplice: mentre i non cattolici godono del diritto all’errore, i cattolici bollati di tradizionalismo possono essere al massimo tollerati. Vengono cioè trattati così come la Chiesa trattava i non cattolici prima del Concilio Vaticano II.
Ovviamente, il «provvedimento di sospensione» è stato accompagnato da alcune suggestive motivazioni: d’estate ci sono gli oratori feriali, le escursioni in montagna, e i preti hanno molto da fare, si assentano dalla città, non ce ne sono abbastanza; e inoltre sospendiamo anche altre Messe; e poi tutte le celebrazioni in rito antico nella diocesi di Milano vengono sospese, quindi dobbiamo sospendere anche quella di Monza.

Di fronte alla richiesta del «piccolo sacrificio» (cioè di rinunciare al rito antico per due mesi) i fedeli che frequentano la Messa antica vanno maturando alcune domande e curiosità. Ad esempio, chissà come saranno le liturgie e le letture dei mesi di luglio e di agosto? Per ritemprare lo spirito, infatti, non le vedremo mai. E la Messa dell’Assunta? Mai la vedremo nello splendore della Messa di sempre. Altra domanda riguarda gli eventi, come dire, imprevedibili e ingovernabili. Come la morte. Se uno muore in luglio, o in agosto, e ha chiesto il funerale in rito antico, glielo faranno? Oppure risponderanno ai parenti che, se proprio voleva “la Messa in latino” doveva morire prima, quando i preti pullulano perché non vanno a popolare come stambecchi le vette alpine? Ma al di là di tutte queste considerazioni, la domanda fondamentale è: perché?

Qual è la ratio che spinge una diocesi a decidere che una Messa, una Messa altrimenti inaccessibile, non si può celebrare nei mesi estivi? Qui si riescono a immaginare razionalmente solo quattro ipotesi:
1.    La Messa in rito antico è una cosa cattiva. Ma se così fosse, bisognerebbe non celebrarla mai, nemmeno in inverno o in primavera o quando c’è abbondanza di sacerdoti. Esortando i fedeli a tenersene bene alla larga. E concludendo che Benedetto XVI è un Papa che sbaglia.

2.    La Messa in rito antico è una cosa buona. Ma se così fosse, bisognerebbe celebrarla sempre, anche d’estate, esortando i fedeli a frequentarla.

3.    La Messa in rito antico è impossibile da celebrare d’estate per mancanza di preti: ad impossibilia nemo tenetur. Ma se così fosse, prima di sospenderla si verificherebbe se esiste un modo per risolvere il problema pratico. Nel caso di Monza, ad esempio, i fedeli frequentanti la messa antica hanno non un nome, ma una lista di sacerdoti cattolici apostolici romani pronti a celebrare il rito straordinario anche durante l’estate. Ma nessuno ha preso nella benché minima considerazione questo fatto. Che smentisce in maniera clamorosa la impossibilità di proseguire la celebrazione.

4.    La Messa in rito antico è una cosa fastidiosa, che va ostacolata se non in linea di principio almeno nei fatti. Perché celebrata d’estate, quando diminuiscono le altre messe, questa liturgia rischia di attrarre fedeli molti fedeli, che conoscendola potrebbero decidere di continuare a frequentarla.Purtroppo, questa ipotesi è la più verosimile. È evidente, infatti, che la sospensione estiva vuole depotenziare la Messa antica proprio nel periodo in cui servirebbe di più, vista l’abolizione di altre celebrazioni curriculari nel rito ordinario.

Che male fa, infatti, una Messa in più in una città che proprio in quel periodo ha meno messe? E se servisse a permettere anche a un solo cristiano di non perder Messa in quella domenica di agosto? Non sarebbe questo motivo, nella prospettiva della legge suprema della salus animarum, motivo necessario e sufficiente per permettere che si compia un bene di tal natura?
Queste sono solo alcune delle considerazioni che si potrebbero esprimere in amicizia, ove esistesse un dialogo con i cattolici che frequentano il rito antico. Ma questo dialogo, è evidente, non lo si vuole. Dimenticando quelle famose preoccupazioni di natura pastorale che da almeno quarant’anni sembrano essere diventate la nuova legge suprema della Chiesa. Insegnare dal pulpito che la contraccezione è peccato? Attenzione, alcuni fedeli potrebbero offendersi e non venire più a messa. Insegnare dal pulpito che il matrimonio è indissolubile? Prudenza, fratelli, perché un divorziato risposato potrebbe andarsene triste. Insegnare dal pulpito che chi mangia l’eucarestia in peccato mortale «mangia la sua condanna»? Carità, carità, sennò la gente si sente respinta dalla Chiesa che è madre.

C’è un gruppo di fedeli che chiede, semplicemente, di celebrare la Messa in rito antico tutto l’anno. Sennò c’è il rischio che qualcuno di loro, magari, perda la Messa perché non trova un’alternativa per due mesi e non si adatta al novus ordo? Fratelli, peggio per lui: se non digerisce la riforma liturgica, che vada pure alla Fraternità San Pio X. Un tradizionalista in meno fra i piedi. (Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro)
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[Fonte: Corrispondenza Romana]

sabato 27 luglio 2013

Via Crucis a Copacabana. Per favore, non chiamatelo Rito!

Riprendo da Messa in Latino, su segnalazione della lettrice Sam, della quale pubblico di seguito l'accorato commento. Già sulla Veglia, la stessa lettrice ha osservato (ancora non trovo le immagini. ma dalla sua descrizione non posso che convenire): "Posso chiederti cosa ne pensi Mic del "trono" su cui è seduto il Papa? Praticamente è un mega ostensorio con una mega ostia come schienale davanti alla quale lui è seduto.... Visto che di solito sull'ostensorio l'Ostia, quella vera, è esposta all'adorazione dei fedeli, non è un messaggio equivoco che sull'ostensorio segga lui? Io non sono una teologa, nè una liturgista però, Dio mi perdoni se sbaglio, lo "spettacolo" di questa sera mi sembra contenga elementi di blasfemia...".
Penso che, se non voluta, può diventare blasfemia, per effetto del presappochismo della banalizzazione della spettacolarizzazione delle "cose sacre" che esprime, centrate sull'uomo e non su Dio...

Con sofferenza l'ho visto tutto (dico visto, perchè provare a viverlo come una preghiera mi era impossibile, pregavo solo il Signore di perdonarci per l'oltraggio) condivido ogni parola e aggiungo:

    - uno show, un musical, non certo un momento di preghiera;

    - un continuo riferimento alla sola emozionalità, ma questo è ormai un dato costante assunto e proposto come criterio di riferimento di tutto anche in studio;

    - se celebrazione è stata, celebrazione totalmente e più che in ogni altra circostanza antropocentrica, celebrazione dell'uomo, con Gesù, Nostro Signore, ridotto a una comparsa, il Suo Sacrificio ridotto esclusivamente ad una categorizzazione delle umane sofferenze, con Boffo che all'inizio aveva detto qualcosa del tipo che se la Via Crucis non viene fatta come contestualizzazione delle croci dell'uomo è inutile e non ha senso. Ho potuto tirare il fiato soltanto alle parole finali del Papa, di questo Papa, vissute, a confronto di tutto quel che avevo visto e sentito fino a quel momento, come una liberazione e ritorno ad una sobria religiosità e all'orientamento a Cristo... il che è tutto dire!

    - ad eccezione dell'Adagio di Albinoni finale, per il resto musica rock o gotica, frammista di citazioni più gradevoli ma da approfondire, in generale è prevalsa un'atmosfera tenebrosa e infernale, accompagnata da suoni e frastuoni cacofonici soprattutto ad ogni destazionamento della Croce... è vero che nella Via Crucis di Nostro Signore c'è lo scatenamento delle tenebre, ma è anche vero che nella tradizione il rito assume l'atteggiamento dolce e amoroso del dolore liberamente offerto da Cristo e da Maria, l'atteggiamento raccolto della Chiesa richiama nello scatenamento esterno delle tenebre la luce del bene che vince sul male, di Dio che proprio attraverso la Croce vince sul demonio, invece ieri mi è sembrata la glorificazione delle tenebre...

    - Non si comprendeva per nulla l'associazione tra le meditazioni e le Letture, per esempio la stazione della Veronica è stata associata al tema della prostituzione ("Beati i puri di cuore perchè vedranno Dio"...);

    - alcune lettrici avrebbero potuto avere anche degli abbigliamenti più consoni;

    - a parte lettura e meditazione (talora davvero con effetto stridente peggio di un gesso sulla lavagna, come quando un attore ha recitato con molto pathos la parte di Gesù sanguinante e crocifisso e subito dopo si sono messi a parlare di internet), preghiere canoniche della Via Crucis nessuna. L'unica preghiera è stata alla fine il Pater gregoriano cantato da una cantate pop prima della benedizione del Papa (togliendogli la parola);

    - Per essere sicura dovrei rivederlo e non ne ho nessuna voglia, ma a me è parso realmente di vedere dei figuranti che, in una Stazione in cui parlavano due fidanzati, rappresentavano anche delle coppie gay e la meditazione dei fidanzati era qualcosa del tipo Peace and Love che l'unione si fondi sull'amore!

    - questa non so come leggerla: ad una stazione è stata innalzata un'enorme Menorah centrale tra luci e fumi rossi, con un effetto istintivamente inquietante;

    - del Papa seduto sull'ostensorio con il simulacro di una mega ostia alle spalle ho già detto; non so se nei grandi raduni del passato è mai stata fatta una cosa così.

    In tutto questo ho apprezzato soltanto, a questo punto sul piano teatrale, alcune scenografie e particolarmente un grande telo col Volto sindonico.

    Ma di una roba come quella che si è vista ieri sera, chi verifica e assume la responsabilità dell'ortodossia del contenuto e del messaggio che viene veicolato? I Vescovi locali?

Parlano le immagini

Sì, le immagini parlano da sole. Ricordo che nel dibattito precedente è emersa la consapevolezza che andare avanti solo con la resistenza e la contrapposizione non porta da nessuna parte, anche perché chi dovrebbe ascoltare non ne ha alcuna intenzione, ma è fortemente intenzionato a portare avanti i suoi scopi sovvertitori della Realtà. Sarebbe dunque necessario mettere in campo un'azione di segno opposto che tuttavia appare realisticamente al momento non realizzabile per mancanza di referenti sia in campo politico che ecclesiale che possano farsi catalizzatori di forze anche trasversali che riconoscono la serietà e la gravità epocale della posta in gioco. Che ne pensate?
Intanto aggiungo, condividendole in toto, le osservazioni del lettore Silente che estraggo alla discussione precedente, perché meritano visibilità e attenzione:
Prima o poi questa legge liberticida e contro natura purtroppo passerà. Ma non dovrà passare la nostra capacità di resistenza contro il malvagio totalitarismo laicista e giacobino che ci impedirà di dire la verità (ma "loro" non erano i corifei della liberà di opinione?) Esiste il voto, esistono le piazze, esiste l'istituto del referendum, esiste il passaparola, esistono i samizdat, esiste l'obiezione di coscienza, esiste il coraggio di andrà in galera pur di non rinnegare la verità. Citare il Vangelo, nei suoi numerosi passi in cui viene condannata la sodomia, sarà reato. Avete capito bene: sarà reato citare il Vangelo.
C'è, nel merito, una incomprensione tragica della svolta epocale che questa legge rappresenta: per la prima volta, nella storia della nostra civiltà giuridica, sarà legalmente impedito di affermare una verità che, prima di essere di fede, attiene alla legge naturale.
Il tutto nel silenzio della Chiesa, dei cattolici, di tutti coloro a cui dovrebbe stare a cuore il diritto naturale. Qualche timido balbettio, qualche prudente opinione perplessa, tattica e imbarazzata. Pochi le voci decise determinate, tra cui, quella di de Mattei.
Invito tutti a seguire la questione, a non ignorarla, a individuare chi, in sede deliberante, alla Camera e al Senato, voterà contro e chi a favore. E a tenerne debito conto. E' una questione di civiltà.
Ripeto quanto ho già avuto modo di dire in un post precedente: se qualche "tradizionalista" dirà: "noi ci occupiamo di Messa in latino, lasciamo stare la politica", mandiamolo al diavolo. Se noi non ci occuperemo di politica, la politica si occuperà comunque di noi.  

Veilleurs francesi davanti all'Ambasciata d'Italia
Manifestazione a Roma 25 luglio

venerdì 26 luglio 2013

Marco Toti. La preghiera e l'immagine - L'esicasmo del monte Athos. XIII XIV secolo

Segnalo da Avvenire del 24 luglio (non metto il link perché il testo non è raggiungibile on line e l'ho trascritto da quello cartaceo) un'interessantissima recensione di un libro che vale la pena conoscere: Marco Toti, La preghiera e l'immagine - L'esicasmo del monte Athos. XIII-XIV secolo, Jaca Book, pag.200. Il titolo che ne dà Mario Iannacone è « Davanti alle icone il respiro diventa preghiera continua ».

Mi permetto di segnalare, per chi volesse un poco approfondire il tema delle Icone, su cui sarà bene tornare, un testo che ho scritto e condiviso anni fa:  «sguardo dell'uomo su Dio e sguardo di Dio sull'uomo».


Davanti alle icone il respiro diventa preghiera continua

Lungi dall'essere semplici quadri o rappresentazioni devozionali, le icone della tradizione bizantina sono veri e propri supporti di contemplazione da comprendere sulla base di una teologia spirituale e di una precisa pratica contemplativa. A tal proposito va considerata la particolare importanza dell'«esicasmo», la preghiera continua, conosciuta dalla tradizione cristiana orientale.

Il rapporto tra icona e preghiera è strettissimo ed esposto dal corpo teorico e pratico della Chiesa ortodossa. Di questo rapporto e dell'uso e significato delle icone si occupa Marco Toti in La preghiera e l'immagine: il metodo di orazione esicastico si formò nei monasteri del Monte Athos fra il XIII e il XIV secolo e comprende, tra l'altro, una prassi psico-fisica, una postura, l'invocazione del nome di Gesù, la ricerca del luogo del cuore, l'«onfaloscopia», una preparazione ascetica e spirituale severa.

Toti di occupa dell'origine di questa forma di orazione con particolare attenzione a due autori athoniti, Niceforo il Solitario e Gregorio Sinaita, che legarono il respiro alla preghiera con tecniche che trovano somiglianze in altri contesti religiosi. Problematici sono i raffronti con la tradizione del sufismo e dello sciismo, sui quali si possono azzardare alcune somiglianze di ordine superficiale, dato che la teologia cristiana è talmente diversa da quella musulmana.

Toti lega le icone alla pratica esicastica e alla contemplazione, illuminando sul loro uso come supporti di contemplazione e preghiera secondo prassi uniche e originali. Ne risulta che le icone in tutte le loro caratteristiche sono espressione dell'ascesi e della teologia esicastica. «Le e immagini, specialmente quando il beneficiario è in uno stato spirituale avanzato - scrive Toti - possono essere proiezioni sul piano dell'immaginazione di archetipi celesti [...] e in questo esse possono essere utilizzate in maniera creativa, e dare forma alle immagini dell'arte sacra e dell'iconografia".

Tale processo di creazione, che dagli archetipi scende alla materia mediante la preghiera, dà origine a una discesa come a un'ascesa e a loro volta tali immagini dell'arte sacra e dell'iconografia potranno essere usate come appoggi contemplativi. Degno di nota l'inserto iconografico, che riporta splendidi esempi di icone greche, russe e mediorientali, il cui significato e funzione pratico-operativa il libro illustra con argomentata chiarezza.

giovedì 25 luglio 2013

La legge sull’omofobia: una minaccia alla libertà di espressione

Il problema è globale e ineludibile. E ora vediamo cosa sta succedendo da noi.

Nei paesi dove è stato imposto, lo pseudo-matrimonio omosessuale è generalmente preceduto da due leggi che lo accompagnano: il riconoscimento dei diritti delle coppie gay e l’introduzione del reato di “omofobia”. Non manca, anche tra i cattolici, chi si illude che, concedendo queste leggi, sia possibile placare le rivendicazioni estreme ed evitare che si giunga al “male maggiore” del cosiddetto “matrimonio gay”. In realtà, quando si è concesso il male minore si è già concesso tutto, anche perché, nel caso della legge sull’omofobia, tra questa e lo pseudo-matrimonio gay non è facile stabilire quale sia il male peggiore.

La legge contro l’omofobia, presentata per la prima volta nel 1999 dal presidente del Consiglio D’Alema, e poi riemersa senza successo sotto i governi Prodi e Berlusconi, sarà associata al nome di Enrico Letta e del suo governo delle “larghe intese”? Quel che è certo è che il disegno di legge contro l’omofobia e la transfobia, approvato dalla Commissione Giustizia della Camera e ora in discussione al Parlamento, rappresenta una grave minaccia all’ordine naturale cristiano e alla libertà di espressione, non solo dei cristiani, ma di tutti i cittadini italiani.

L’idea di fondo è quella di punire chiunque si renda colpevole di “discriminazione” in base all’“orientamento sessuale”. I concetti di “discriminazione” e di “orientamento sessuale” sono privi però di valore giuridico e, soprattutto, di senso logico. Discriminare significa trattare una persona in modo meno favorevole di altra. Ma il principio di discriminazione regola i rapporti sociali. La discriminazione in sé infatti può essere una scelta buona o cattiva, a seconda delle categorie di riferimento: nella partecipazione a concorsi pubblici o privati, nella selezione per i corpi militari o per le competizioni sportive, come nella ammissione in un seminario cattolico, cambiano i criteri di scelta, ma una discriminazione è sempre presente. Perché non dovrebbe essere lecito, fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali della persona?

Altrettanto equivoco è il concetto di “orientamento sessuale”, definito dalla legge come «l’attrazione nei confronti di una persona dello stesso sesso, di sesso opposto, o di entrambi i sessi». Questa definizione è talmente ampia e generica da giustificare qualsiasi scelta che nasca dal desiderio del singolo individuo. Lo stesso dicasi dell’ “identità di genere”, definita a sua volta dal testo di legge, come «la percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico». Ma ciò che è più grave è che il legislatore pretende attribuire a questa libertà di orientamento sessuale la qualifica di “status” cioè di una situazione soggettiva portatrice di diritti in quanto tale, prescindendo da qualsiasi riferimento ad un quadro oggettivo di valori.

Se si afferma il valore illimitato della libertà di scelta, negando una legge naturale e morale che ne costituisca il limite, cade con ciò il concetto di devianza e di trasgressione. Una volta negata la legge naturale e ammesso il principio della assoluta libertà di orientamento sessuale, la via alla pedofilia, all’incesto e a ogni altra manifestazione di vita sessuale, oggi considerata come devianza, è aperta. Ciò che oggi è anormale, sarà la normalità del domani. E viceversa, ciò che oggi appare normale, domani sarà condannato come anormalità. Tutto è permesso perché tutto nasce dalla libera scelta dell’uomo, che non può essere limitata da norme assolute esterne alla sua volontà. Le norme esterne alla volontà dell’uomo sono quelle che chiamiamo leggi morali. Il fondamento della morale è la distinzione tra l’idea di bene e di male da cui scaturiscono le norme che indicano il bene da seguire e il male da evitare. Se non esiste un ordine morale, non esistono crimini assolutamente parlando, perché la nozione di crimine ha una dimensione morale che viene dissolta dal relativismo assoluto fondato sul primato della assoluta libertà dell’uomo di esprimere e realizzare i propri desideri.

Nelle leggi sull’omofobia, come quella in discussione in Italia, l’assoluto libertinismo viene inevitabilmente a coincidere con il massimo totalitarismo. In assenza di una morale e di un diritto oggettivo, la società si riduce infatti ad un luogo di conflitti, in cui i diritti del più debole vengono sacrificati all’egoismo del più forte. Non è necessariamente la forza di un individuo rispetto a un altro, come è il caso della madre e del bambino nell’aborto. Può essere la forza di gruppi organizzati, di poteri mediatici, di interessi finanziari. Gli omosessuali non sono cittadini inermi e indifesi di fronte alla legge come i bambini vittima dell’aborto, ma costituiscono un gruppo di potere: una lobby.

Questa lobby oggi impone il delitto di omofobia, domani potrà imporre di eliminare il reato di pedofilia in nome del libero orientamento sessuale dell’individuo che voglia scegliere di appagare il proprio desiderio sessuale con un bambino.Dall’articolo 1 della legge contro l’omofobia si evince che il bene giuridico inventato e tutelato non è solo l’omosessualità, ma la libertà di scelta di sesso illimitato, quanto a forme e compartecipi. Perché escluderne i minori come possibile oggetto? Se il bambino non-nato può essere soppresso in nome delle esigenze di realizzazione psicologica della madre, perché il bambino vivente non potrebbe essere fatto oggetto del desiderio di appagamento sessuale di un adulto, o di un gruppo di adulti, che democraticamente lo stabiliscano a maggioranza? Il nucleo del totalitarismo non sta nell’idea di limite e neppure nell’uso della forza, ma in quell’uso disordinato della forza che diventa cieca violenza, perché svincolata da riferimenti morali. In una parola, la radice del totalitarismo è il disordine, la confusione tra il bene e il male, tra ciò che può o non può essere fatto. L’idea dell’esistenza di un ordine assoluto di valori costituisce, al contrario, un oggettivo limite all’ arbitrio e alla violenza totalitaria.

Introducendo il reato di omofobia si sottrae alla famiglia la protezione di cui essa ha sempre goduto nel corso dei secoli e si trasferisce questa tutela giuridica agli omosessuali, riconosciuti come portatori di diritti in quanto tali. Per ottenere questo obiettivo è necessario un salto logico: il passaggio dai diritti umani ai diritti degli omosessuali. Gli omosessuali, come gli eterosessuali, essendo uomini, godono dei diritti di tutti gli uomini, ma non esistono, propriamente parlando, diritti degli omosessuali, come non esistono astratti diritti legati al sesso o all’età delle donne o degli uomini. Non esistono infatti diritti dove non esistono doveri. Esistono diritti delle madri, perché esistono innanzitutto i doveri delle madri (e dei padri), ma non esistono diritti delle donne, perché non esistono, né in astratto, né in concreto, doveri legati allo status femminile, e meno che mai a quello omosessuale. Gli unici diritti possibili si radicano sulla legge naturale e su istituzioni naturali come la famiglia.

Un tempo vigeva un ordine familiare cristiano, in cui l’omosessualità era messa al bando come immorale. La nuova legislazione vuole capovolgere la situazione di un tempo, ponendo ciò che un tempo era considerato devianza, come nuovo modello sociale e isolando come crimine, e quindi come devianza e anormalità, l’affermazione dei principi cristiani. La possibilità di definire anormale o deviante l’omosessualità, è soppressa per legge, perché  qualsiasi critica o riserva nei confronti delle persone omosessuali, delle loro attività e del loro stile di vita, sarebbe considerata una forma di ingiusta discriminazione. Pochi se ne rendono conto ma, nel XXI secolo, è iniziata anche in Europa l’età delle persecuzioni contro i difensori dell’ordine naturale e cristiano.
Roberto De Mattei
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[Fonte: Corrispondenza Romana]

GMG Rio. Bei gesti, bell'insegnamento. Ma cerchiamo di non fare confusione.

Ci risiamo. Quando finirà questa kermesse del pressapochismo, che persino sacerdoti e vescovi si ostinano ad ignorare, come se fosse cosa da nulla?
Riprendo da Korazym.org. Attraverso la cronaca riportata seguiamo il Papa nella sua visita all’Ospedale “São Francisco de Assis na Providência de Deus”, dove ha inaugurato il Polo di Attenzione Integrale alla Salute Mentale. Nell'occasione il pontefice ha pronunciato un discorso nel quale afferma - e ne facciamo tesoro -: “Non sono le cose, l’avere, gli idoli del mondo ad essere la vera ricchezza e a dare la vera gioia, ma è il seguire Cristo e il servire gli altri”.
Francesco ricorda poi la “conversione” del santo da cui l’ospedale prende il nome: “il giovane Francesco abbandona ricchezze e comodità del mondo per farsi povero tra i poveri” e ciò avviene dopo l’abbraccio a un lebbroso. “Quel fratello sofferente, emarginato – nota il Papa citando l’enciclica Lumen fidei – è stato «mediatore di luce [...] per San Francesco d’Assisi», perché in ogni fratello e sorella in difficoltà noi abbracciamo la carne sofferente di Cristo”. Così anche il Pontefice, in questo luogo di lotta contro la “dipendenza chimica”, intende oggi “abbracciare ciascuno e ciascuna di voi, voi che siete la carne di Cristo, e chiedere che Dio riempia di senso e di ferma speranza il vostro cammino, e anche il mio”.
Sui "poveri carne di Cristo" abbiamo lungamente dibattuto qui. Varrà la pena tornarci e chiarir bene le coordinate della nostra Fede.

Sulle parole di cui sopra osservo che riprendere e diffondere in tutto il mondo questa immagine di Francesco che  abbraccia il lebbroso come inizio della sua predilezione - che, ricordiamolo bene, è per madonna povertà prima che per i poveri -, può trarre in inganno. Perché ciò che va sottolineato è il fatto che non è quell'esperienza che ha indotto Francesco al suo cambiamento di vita, ma è quell'esperienza che è avvenuta proprio grazie al suo cambiamento di vita determinato dalla profonda conoscenza del Signore e dall'opera della Grazia nel suo cuore che ha reso possibile quel gesto e tutto quel che segue.

P. Serafino Lanzetta, FI. Principi non negoziabili

Principi non negoziabili
P. Serafino Lanzetta, FI

 Principi non opinioni

La riflessione cattolica sui principi non negoziabili – definiti tali e in modo lungimirante da Benedetto XVI – rischia oggi, nel panorama della modernità liquida, di essere fraintesa, quando non anche di presentarsi, all’interno dello stesso mondo credente, a più voci ma per lo più contraddittorie. Dignità inviolabile della vita, matrimonio tra uomo e donna, procreazione, educazione dei figli da parte della famiglia, libertà religiosa come incoercibilità della coscienza nella scelta della verità, sono principi che promanano dalla legge naturale e perciò sono i fondamenti dello stesso agire morale.

Oggi si cerca una via di dialogo perché non si scada in una sorta d’intolleranza morale, non si rischi di creare un muro cristallizzandosi su un bene che non è dogmatico ma razionale, come quello della morale naturale, precludendosi perciò la via del confronto sereno con i non credenti. Urgerebbe la necessità di trovare un’impostazione più condivisibile sui valori non negoziabili che, mentre non rinunci al patrimonio morale, non impedisca la valorizzazione di un dato centrale particolarmente sensibile che è la libertà di coscienza, ultimamente declinata come libertà di avvalersi di tutti i diritti dell’uomo, anche di quelli che diritti non sono.

mercoledì 24 luglio 2013

Il Patriarca Kirill parla forte e chiaro: Il matrimonio gay è un segno apocalittico

Un esempio che ci viene dall'Oriente cristiano.
Riprendo by Effedieffe da The Voice of Russia nella traduzione di Lorenzo de Vita:

Il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill ha dichiarato che il riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale sta conducendo l’umanità al giorno del giudizio.

Sulla Piazza Rossa di Mosca il Patriarca Kirill ha detto ai fedeli:
«Questo è un segno apocalittico, molto pericoloso... Significa che le persone scelgono un percorso di auto-distruzione».
Il Patriarca ha dato il suo assenso alla legge che vieta la propaganda omosessuale per bambini, recentemente firmata dal presidente Vladimir Putin, legge che prevede multe salatissime a chiunque sostenga un discorso di pratica omosessuale rivolto ai più piccoli.