Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 31 marzo 2011

Il caso de Mattei: riflettere su Dio e sul male e la “dhimmitudine” laicista


Mi sono imbattuta sulla Rete in diverse fonti che attaccano lo storico Roberto de Mattei - docente presso l’Università Europea e vice-presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche - in ordine ad una sua recente conferenza a Radio Maria, estrapolando scientemente parole dal contesto e 'piegandone' il senso al volerle evidenziare in termini oscurantisti. Ma oltre a questo si è calcata la mano sul fatto che egli si esprimesse "in modo piuttosto anomalo per il suo ruolo" secondo "un punto di vista non particolarmente basato sulla scienza" (cito da La Stampa del 23 marzo scorso).

Non trovo per nulla estraneo al clamore mediatico sollevatosi - al quale non sono mancate persino testate televisive - il fatto che egli sia anche autore di un libro sul Concilio, che è una pietra miliare nell'ambito degli studi e ricerche che continuano a svilupparsi intorno al tema ed abbia tenuto un intervento di grande levatura nel corso del Convegno di Roma del dicembre scorso sul Vaticano secondo.

C'è anche chi è passato all'azione e si ha notizia di una petizione di benpensanti progressisti che chiedono le dimissioni di de Mattei; il che davvero ci pone nella logica dell'assurdo, che diventa possibile in un contesto in cui la cultura egemone di conio sia secolarizzato che progressista ha invaso la maggior parte degli scenari e degli ambiti della nostra vita civile e, purtroppo, anche ecclesiale.

Pur se è interessante, per riequilibrare la situazione, cogliere anche gli spazi concessi a de Mattei dal Corriere della Sera e da il Foglio o, tra le tante espressioni di solidarietà, leggere quelle di Francesco Agnoli o di Padre Serafino Lanzetta, penso non si possa negare di trovarci in pieno relativismo e sia il caso di aggiungere alcune riflessioni.

Innanzitutto chi critica dovrebbe documentarsi sui testi originali [vedi], dai quali emerge un discorso ampio e articolato, di grande spessore, da cui -come già osservato- sono state semplicisticamente ma scientemente estrapolate dal contesto alcune frasi prese a sé.

Inoltre non si vede perché uno scienziato non possa essere credente e perché mai la scienza debba rispondere soltanto a criteri deterministici, chiudendosi in un dogmatismo laico e razionalista.

Del resto il prof. De Mattei ha parlato come privato cittadino e non in veste di vicepresidente del Cnr ed ha rivolto riflessioni di tipo morale e filosofico ad un pubblico di nicchia cattolica quale quello di Radio Maria. In ogni caso per rivestire una funzione pubblica non credo si debba essere per forza agnostici o aderire al "credo" evoluzionista, che pure va per la maggiore e che anche scientificamente qualche pecca la sta mostrando. Anche questo fa parte del quadro.

Nel suo intervento, che per comodità di consultazione rendo disponibile a questo link, Roberto de Mattei non si limita al discorso filosofico o morale, ma sostiene che eventi catastrofici quali i terremoti devono essere studiati e compresi nei loro meccanismi scientifici, anche per fornire alle autorità politiche le strutture e i mezzi per rendere meno terribili le conseguenze di quegli eventi, che restano tuttora imprevedibili e inevitabili. Proprio come vicepresidente del CNR, egli sa bene che è compito della scienza e degli scienziati (anche quelli del CNR) occuparsi di certe cose.

Ma egli non si ferma qui e si pone anche il problema morale e filosofico dell'inesplicabilità degli eventi, terribili e angosciosi, che ci colpiscono tutti, laici e credenti, non soltanto in occasione delle catastrofi ma anche nella quotidianità, ad esempio di fronte ai più comuni incidenti o malattie o altri avvenimenti non dominabili, di certo non sempre causati da alcuna "colpa" da parte di chi li subisce.

E’ un problema non risolto da sempre. Tuttavia, il contesto laico cerca –anche a ragione- qualcuno o qualcosa cui attribuire colpe e responsabilità: la società, i ricchi, i poveri, il governo, la storia, ecc. I cristiani, invece, nella lettura dei fatti, oltre ed al di là delle responsabilità individuabili, si riferiscono a Dio e alla possibile imperscrutabilità di ciò che accade, proprio perché ogni evento tragico reca con sé non solo una dinamica identificabile, ma anche ragioni che non sono soltanto di questo mondo.

E' fin troppo chiaro che nella limitatezza ermeneutica deterministica e laicista si nasconde il rifiuto della metafisica. Si tratta di un problema di forma e di sostanza: la modernità fa perdere chiarezza accusando il dogmatismo normativo; ma accantonare la metafisica è significato e significa accantonare la fede che è messa in un angolo. Ciò non implica che sia necessario rimanere nell'orizzonte metafisico, ma che non lo si debba mai perdere di vista pur rimanendo con i piedi ben saldi nella realtà, altrimenti avremo l'uomo ad una sola dimensione, quella materiale, deprivato di tutto ciò che lo differenzia dagli altri esseri viventi su questa terra.
"O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?" (Luca 13,4)
Le parole di Gesù non vogliono forse dire: "Voi conoscete i diciotto di quel giorno. E sapete che non erano né più, né meno peccatori di voi o di altri. La morte violenta che li ha colti non viene da Dio, ma dal male che è entrato nel mondo col peccato e la morte che ne è conseguenza. E’ contro questo che dovete lottare, in me con me e per me a partire da voi stessi.” Pertanto, il cristiano ringrazia Dio del dono gratuito che ci fa del tempo in più che ci vuole concedere (e che altri non hanno avuto, ma di certo non manca loro la Sua Misericordia, che accompagna sempre la sua Giustizia) e se ne lascia interpellare convertendosi.

Dio ci benedica e ci dia Luce e Forza, per impedire che gli eccessi razionalistici non ci facciano profittare dei moniti che Egli ci manda e che le minacce e le incomprensioni del ‘mondo’ non ci inducano a tacere invece di difendere e diffondere la nostra Fede.

sabato 26 marzo 2011

Corrispondenza-confronto tra p. Giovanni Cavalcoli e P. Serafino Lanzetta sul Vaticano II

Il dibattito si è aperto il 13 gennaio 2011 con una Lettera aperta - da parte di Padre Giovanni Cavalcoli, OP a Padre Serafino M. Lanzetta, FI - che esprime riserve di ordine teologico in ordine alle questioni sviluppate dal convegno organizzato dai Francescani dell'Immacolata sul Concilio Vaticano II.

Padre Lanzetta risponde il 16 gennaio, con una Lettera aperta ricordando che le difficoltà sono riconducibili al modo di intendere il concetto di infallibilità del magistero e quindi all'esercizio magisteriale del Vaticano II, inteso come unicum e declinato nei suoi 16 documenti.

Il dibattito prosegue con altri scritti. Ho ritenuto, quindi, opportuno raccogliere i testi in un unico documento per comodità di consultazione, trattandosi di un'occasione importante per l'allargamento della discussione, che non mancherà di portare i suoi frutti. È bene che si continui a parlarne, ma soprattutto che se ne traggano piste di riflessione e di approfondimento.

E' proprio per questo che, nel registrare questo interessante confronto che ci introduce nel cuore dei problemi sul tappeto, mi permetto di inserire alcune chiose nell'intento di contribuire ad alimentare il dibattito anche qui sul blog perché si allarghino gli orizzonti della discussione e si faccia strada la consapevolezza delle ragioni, spesso negate, dell'attuale crisi nella nostra Chiesa.

Nel corso dei secoli molte sono state le insidie da affrontare per custodire e trasmettere il Depositum fidei apostolico, arricchito degli approfondimenti della Fede viva della nutrita schiera dei Padri e dei Santi e spesso proprio anche dal confutare e rigettare le eresie di volta in volta emergenti. Assistiamo quindi alla contrapposizione tra la fede della Chiesa e le varie eresie di ogni tempo. "Dopo il Vaticano II, però, -scrive P. Lanzetta- si assiste a qualcosa di nuovo: è la stessa Chiesa ad essere colpita da una profonda crisi. Una crisi d’identità. È nel suo interno che si mettono in discussione i dogmi: o li si vuole superare in nome di un meta-dogmatismo o – ciò che sembra abbia prevalso – li si vuole arrestare ad ogni costo al Vaticano I, per dare una svolta nuova all’Assise ultima: quella della conciliarità. Che presto diventa neo-conciliarismo."

Emerge chiaramente che p. Cavalcoli fa parte di quella schiera di teologi che manifestano la precisa volontà di riscattare il Concilio sia dai modernisti che dai tradizionalisti. Ciò rischia tuttavia di partire da una assolutistica presunzione di infallibilità del concilio, ritenendo le novità dottrinali già di per sé un avanzamento della Tradizione; per cui diviene necessario collocarsi oggi dopo di esse per riconoscere la Tradizione nel suo stadio avanzato in ragione del Concilio. E così la verifica delle innovazioni, ritenute infallibili, appare inutile o la si nega nel timore che risulti pregiudicata la bontà del Concilio. In sostanza non si vuol tener conto della peculiarità del Vaticano II, ovvero della sua natura, del suo fine e del diverso livello dei suoi documenti, e così si dogmatizzano tutti i suoi insegnamenti.

Ma, come sostiene p. Lanzetta, l’infallibilità si rivela solo nel magistero obbligante tutta la Chiesa, che richiede un atto di fede teologale, in ragione appunto della irreformabilità della dottrina. Per le altre dottrine bisogna tener conto dello spirito (della natura e del fine) del Concilio, e vedere in unità la materia trattata e il modo di esprimersi. Sembra fuori luogo attribuire sic et simpliciter la definizione di infallibile alle diverse dottrine/insegnamenti del Concilio. Il magistero ordinario perché autentico però rimane vincolante e richiede l’ossequio dell’intelletto e della volontà, pur essendo soggetto ad eventuali revisioni con l’ausilio della teologia, in ragione di una comprensione accresciuta dei dati.

Inoltre, sempre secondo P. Lanzetta, "non sono le innovazioni che, in quanto tali, fanno avanzare la Tradizione. È piuttosto la Tradizione, che progredendo in ragione del nuovo, in uno sviluppo omogeneo, dà alle cose nuove lo statuto teologico di dottrine o di insegnamenti, in ragione di quanto detto poc’anzi in riferimento al magistero, statuto che può ascendere fino al grado ultimo di irreformabilità. È la Tradizione ovvero la Chiesa-mistero, che accoglie le innovazioni ma al contempo le precede nel suo esserci già, a livello ontologico e cronologico. Questo può apparire un pensiero fissista, ma è quanto dire: c’è prima la Chiesa e poi la sua comprensione, prima Dio e poi l’uomo. Non è per il fatto che siamo di fronte ad un assise conciliare insegnante in modo solenne che avanza necessariamente la Tradizione."

domenica 13 marzo 2011

Due nuovi testi di Mons. Brunero Gherardini, altre pietre miliari per custodire la Tradizione tradita

L'Autore
Brunero Gherardini, prete della diocesi di Prato e canonico della Basilica di San Pietro, è stato Ordinario di Ecclesiologia nella Pontificia Università Lateranense. Tra i suoi numerosi libri ricordiamo i più recenti, vere e proprie pietre miliari per lo sviluppo della riflessione e della consapevolezza in ordine alla reale portata delle innovazioni conciliari: Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (2009), Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza della Chiesa (2010). Le sue ultime fatiche sono i due testi che presentiamo qui (2011)

Il libro
Brunero Gherardini, Quaecumque dixero vobis Lindau, 2011

«Se vuoi conoscere la Chiesa, non ignorare la Tradizione. Se ignori la Tradizione, non parlar mai della Chiesa

Alla domanda quale Tradizione?, questo libro risponde: non la Tradizione che raccatta strada facendo, specie dall’Illuminismo ad oggi, ogni novità, anche la più eversiva della sua identità, per potersi dire à la page e Tradizione vivente, ma la Tradizione che vive in quanto veicolata da Cristo e dagli Apostoli alla Chiesa perché essa l’accolga, custodisca, interpreti e trasmetta nei secoli fedelmente e integralmente, quale viene attinta alla sua duplice fonte orale e scritta, testimoniata dai Padri della Chiesa, insegnata dai grandi Concili, in special modo dal Tridentino e dal Vaticano I, e determinata dalla scienza teologica in armonia con gli sviluppi della Parola viva, eodem sensu eademque sententia.
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Il libro:
Brunero Gherardini Concilio Vaticano II. Il discorso mancato Lindau, 2011

L’Autore è convinto che il Discorso da fare, secondo il titolo di un suo precedente lavoro sul Vaticano II: Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento 2009 non sia per il cristiano d’oggi, per i preti, per la Chiesa stessa, un’opzione fra molte, ma una vera necessità. Ed è perciò dispiaciuto che, finora, nonostante l’incrociarsi delle cosiddette ermeneutiche, il Discorso sia mancato. Nel presente volumetto spiega la ragione di questa omissione, che individua non tanto nelle correnti postconciliari, quanto nell’orientamento assunto fin dall’inizio dai Padri conciliari.

Tra lo spirito con cui essi intrapresero la celebrazione del Concilio ed i sedici documenti maturati nel corso di esso c’è una logica perfetta: il rifiuto, infatti, degli Schemi ufficialmente preparati, con il quale il Concilio prese l’avvio, non poteva ingenerare che quei documenti, con quel loro indirizzo, quelle loro aperture. E da queste, proprio perché tali, non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura col passato. Ciò, sia ben chiaro, non comporta un no al Concilio, del quale l’Autore individua quattro distinti livelli, assegnando ad ognuno di essi un diverso valore [vedi anche].

Nonostante la necessità di ricorrere alla chiarezza per dir le cose come stanno, resta il fatto che il Vaticano II è un Concilio autentico, il cui insegnamento e le cui innovazioni, pur in assenza di valore dogmatico, costituiscono un innegabile magistero conciliare, e quindi supremo e solenne.

venerdì 11 marzo 2011

Liturgia in continua evoluzione? Nuovo 'attacco' alla Tradizione da parte dell'Osservatore Romano

Parto da una premessa per nulla estranea all'argomento presentato nel titolo, che sviluppo nell'esposizione successiva.

Premessa

Stiamo assistendo a grandi mutamenti anche nell'architettura sacra, emblema dell'iconoclastia del Sacro della nostra epoca. Il nostro Osservatorio sul Cammino neocatecumenale ci spinge a tornare sulla liturgia e sulla trasformazione delle chiese insieme allo stravolgimento degli spazi sacri per mezzo della "nuova estetica" kikiana. Si può facilmente constatare dalle foto facilmente reperibili di tante chiese fondate dal CN, come lungo l'asse principale della navata siano disposte in linea retta: il fonte (un pozza) battesimale, l'altare, l'ambone e da ultimo la sede presidenziale.
Questa disposizione non è casuale o semplicemente estetica, ma risponde ad un preciso criterio simbolico dell’iniziatore, atto a creare un forte senso conviviale per mezzo delle eucaristie neocatecumenali. Secondo lui, la chiesa-parrocchia (in sostanza, la Comunità NC che dovrà inesorabilmente sostituirvisi) è vista come una donna partoriente: l'altare rappresenta la pancia della donna; sulla mensa eucaristica, infatti, si svolge la «santa cena» e non si ripresenta al Padre, in modo incruento, l’offerta del sacrificio di Gesù, morto per la nostra salvezza ma ci si nutre del Suo Corpo e il Suo Sangue con riferimento alla Pasqua ebraica piuttosto che all’ultima Cena. L'ambone rappresenta la bocca della donna (dall'ambone infatti si proclama la parola del Signore); infine c’è la sede presidenziale che rappresenta la testa della donna. Il fonte battesimale è l’utero. Il presbitero è il semplice presidente dell'assemblea celebrante, una sorta di primus inter pares il cui carisma è quello semplicemente di ministro del culto. Viene a mancare la figura tradizionale dell’Alter Christus. Il sacerdote non presenzia più in vece di Cristo, ma simboleggia il Cristo, mentre il sacerdozio comune dei fedeli sostituisce, diluendolo sempre più, quello ministeriale. Se a qualcuno potesse venire in mente che "la donna" rappresenti Maria Mater Ecclesiae, se lo tolga subito dalla mente, perché essa rappresenta "la comunità", una sorta di ipostatizzazione di nuovo conio nella Chiesa di Cristo.

Tradizione negata e ulteriormente attaccata
Tutti questi elementi, estranei ad un autentico culto cattolico, trovano tuttavia delle assonanze nelle sperimentazioni favorite dal leitmotiv dell'ala progressista della Chiesa: "una costante preoccupazione della grande Tradizione cristiana: trasmettere fedelmente il nucleo della fede, aggiornando le sue forme celebrative per renderle comprensibili e significative nella vita della gente di ogni epoca."

Ho tratto queste parole da un articolo apparso sull'Osservatore Romano di questi giorni su un recente convegno svoltosi a Roma [vedi testo integrale], che risulta un condensato del pensiero dominante dell'ideologia vaticanosecondista in fatto di architettura e liturgia. I contenuti, peraltro fumosi e fortemente inneggianti all'innovazione sempre all'insegna dello spirito-del-concilio, ci sconcertano e ci allarmano non poco, visto il fatto che recentemente anche il Cardinal Canizares ha dichiarato che la "riforma della riforma" - che pare definitivamente abbandonata per lasciare il posto al "nuovo movimento liturgico" che viene "dal basso" [ne abbiamo già parlato qui] - significherebbe il recupero di una piena aderenza e "completamento" del dettato conciliare in tema di liturgia, ripreso proprio dall'Osservatore Romano. Eccone alcuni brani:
L'alto medioevo ci insegna che l'evoluzione del rito avviene stando dentro la storia
Storia del cristianesimo e liturgia; continuità e trasformazione nella liturgia; primi secoli fra tradizione e innovazione sono le tre tematiche che hanno attraversato e riassunto il convegno "Liturgie e culture tra l'età di Gregorio Magno e Leone III. Aspetti rituali, ecclesiologici e istituzionali" che si è svolto il 24 e 25 febbraio all'Università Europea di Roma. Pubblichiamo le conclusioni del vicedirettore del nostro giornale.

[...] Ma la liturgia è questione di vita o di morte per la Chiesa che, se non riesce a portarvi i fedeli e in modo che siano essi stessi a compierla, ha fallito il suo compito ed ha perso il suo diritto ad esistere.
[...]
Sarebbe importante una stagione nuova di entusiasmo e di sforzi da parte dei liturgisti convinti della bontà della riforma conciliare per comunicare meglio natura e senso della riforma stessa e allargare una cosciente e attiva partecipazione all'eucaristia e agli altri sacramenti. Spiegare la flessibilità già contenuta nel Messale romano approvato e l'importanza di una completa ricezione dell'ecclesiologia del Vaticano II e della Dei Verbum per sintonizzarsi seriamente con la liturgia della Chiesa. Nell'età della comunicazione multimediale e digitale l'afasia liturgica è un controsenso e una zavorra per la credibilità dell'annuncio cristiano.
[…]
La Chiesa ha bisogno ancora di tanti che si dedichino con passione alla liturgia e che sappiano mettere al centro della storia e del significato della vita la ricerca di Dio, come don Luigi Della Torre (1930-1996), un grande liturgista e pastore della diocesi del Papa. È stato uno di quei preti felici della propria vocazione e perciò liberi di spirito che meglio hanno tradotto in Italia la riforma liturgica conciliare in una nuova vita ecclesiale. Egli può suggerire un metodo e un percorso pastorale concreto. Era convinto che la liturgia proposta nella Sacrosanctum concilium fosse il catechismo per eccellenza di una buona vita cristiana perché la preghiera della Chiesa adegua la mente e il cuore dei fedeli alla Parola di Dio e spinge chi nel nostro tempo vi partecipa con sincerità, all'imitazione di Cristo.
Bene, un accenno al background di Don Luigi Della Torre, cui si riferisce Di Cicco:
“…soprattutto negli anni del dopoconcilio in cui era statu nascenti, il Cammino neocatecumenale attrasse esponenti di rilievo del rinnovamento liturgico e della cultura cattolica progressista. Fra questi simpatizzanti della prima ora vi fu don Luigi Della Torre, valente liturgista, parroco a Roma della chiesa della Natività in via Gallia, vicino al pensatore cattolico comunista Franco Rodano. La chiesa della Natività, col successivo parroco, ebbe rivoluzionata l´architettura del suo interno in conformità ai dettami di Kiko.”
Fonte: http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=765
Non mi soffermo sui singoli brani riportati, che trovano risposta nelle riflessioni che seguono, ma non posso non estrarre il termine “afasia”, che mi ha colpito come uno schiaffo (nella trascrizione sopra l’ho contrassegnato in grassetto). Se si è costretti a constatare un’“afasia liturgica”, si ha la prova evidente che in quella liturgia manca una Presenza, quella della Parola Viva, che parla e crea contemporaneamente, cioè nostro Signore in Corpo Sangue Anima e Divinità, il vero Protagonista della celebrazione. E aggiungo una chiosa:

L'articolo è pieno di tante belle parole, alcune anche auspicabili; ma se la Liturgia Eucaristica scaturita dal Concilio Vaticano II (è poi così vero leggendo meglio la Sacrosanctum concilium?) è il più evidente frutto della 'nuova Pentecoste':
  • non ci sfiora nessun dubbio, visti i risultati?
  • è necessaria soltanto un'azione apologetica da parte dei liturgisti o non anche un recupero di sana dottrina negli insegnamenti rivolti ai fedeli e nelle loro espressioni cultuali?
  • se le fughe in avanti sono state minoritarie perché ancora si attendono nuove espressioni attraverso il “nuovo movimento liturgico”?
  • se la salus animarum sosteneva e spingeva il Consilium, può esser solo frutto della generale scristianizzazione il fatto che dal 1970 almeno il 50% dei praticanti ha lasciato la Chiesa nella pratica e nelle convinzioni?
  • è proprio così ininfluente il modo di porsi della preghiera ufficiale della Chiesa?
  • è proprio così ininfluente la ecclesiologia proposta, direi in maniera subliminale, dalla Liturgica Riforma?
  • Riforma? Non ci ricorda qualcosa?
Riporto la riflessione - risale al 2007, ma rimane attualissima - di un nostro interlocutore col quale siamo entrati in dialogo autentico e che ora è ‘fuori’ dal cammino nc:
“Perché nel cuore e nella mente della gente c'è questo bisogno di “platealità”, cioè rendere una Liturgia accattivante? La risposta, credo, sta nel fatto che il materialismo ha comunque talmente permeato la nostra vita, che si è perso completamente il senso del Mistero sacro. Non si va ad una Liturgia perché è un avvenimento che interessa i piani spirituali e che quindi ci proietta nell'Assemblea Celeste, ma ciò che conta è la forma; una forma che deve essere piacevole e può esserlo solo se il cerimoniale viene adattato ai nostri gusti.
Tanto per restare in tema-blog, è chiaro che le celebrazioni nell'ambito del CN incorporano molto di questo bisogno che l'uomo ha di adattare la Liturgia ai propri gusti, introducendo segni e modi di comportamento nuovi. Non voglio con questo alimentare nuove polemiche, ma mi sembra che anche il dire “riscopriamo le origini” sia come congelare l'azione del Signore nella storia appunto alle origini.
Infatti o consideriamo che il Signore interviene nella storia soprattutto attraverso la Liturgia e che pertanto è lo Spirito Santo a guidare i cambiamenti attraverso i secoli illuminando la Chiesa (intesa in questo caso necessariamente come Papa, Cardinali e Vescovi ed ai quali si deve obbedienza). Il resto è inventiva personale, forse anche buona ma siamo nel campo della discrezionalità del singolo individuo.”
Siamo stati sempre consapevoli, e lo abbiamo ripetutamente sostenuto, che proprio il clima conciliare ha favorito la proliferazione del cammino nc, mentre l'attuale cultura egemone modernista ne ha favorito un'approvazione a dir poco anomala. Un'anomalia che sta contribuendo non poco all'inquinamento della nostra Chiesa.

Prima del Concilio c'era una visione teocentrica della vita, della religione, del mondo. Dal Vaticano II, la visione è diventata antropocentrica. “Cosa serve all'uomo?”, al posto di che culto dare a Dio?” in cui c'è tutto ciò di cui ha bisogno l'uomo in Dio.

Stiamo parlando della Chiesa 'visibile', peraltro non di tutta. Diciamo che parliamo della Chiesa che ha preso in mano un potere che governa impropriamente con la 'pastorale', cioè con la prassi (distorta) anziché con una dottrina definitoria e in continuità con la Tradizione. Quella parte di Chiesa, che dobbiamo riconoscere nostro malgrado mutata, NON PUO' essere LA CHIESA, ma una sua contraffazione.

A questo punto non ho risposte, se non affidar tutto al Signore e custodire la Fede, cercando di diffonderla finché posso. Infatti non dò per scontato che la 'mutazione' di cui è stata oggetto la Chiesa, per il fatto che al momento appare vincente e maggioritaria, è la parte da cui stare. La Verità non sta nel consenso dei più e, solo scegliendo secondo coscienza, scegliamo secondo Verità. Se scegliessimo secondo la moda del tempo, lo faremmo a nostro rischio e pericolo... E’ per questo che, per quanto mi riguarda, ho rinunciato da un pezzo, e realisticamente, a riporre speranze in questa 'pastorale' apostata che ha potuto ritenere ammissibile quella che non è altro che una pseudo-rivelazione non apostolica. Non posso che prenderne atto; ma non potrò mai aderirvi né in coscienza né in spirito e verità...

E tuttavia a questo punto mi preme puntualizzare la sempre maggiore evidenza delle due (e forse più, purtroppo) anime riconoscibili nella Chiesa visibile del nostro tempo, nella quale è ormai difficile orientarsi e districarsi dal garbuglio di innovazioni e mistificazioni spacciate per spirito conciliare, che la cultura egemone sta continuando a tessere e portare avanti, tentando di delegittimare qualunque voce cerchi di 'mostrare' le Verità cattoliche senza travestimenti né modernisti né da cosiddetta 'nuova pentecoste'.

E mi preme anche sottolineare come queste diverse anime si siano di fatto alleate coniando la vulgata di un tanto fantomatico quanto improbabile “protestantesimo Tradizionalista” ponendosi come “conservatori”... del Concilio! Infatti i conservatori di oggi sono coloro che intendono conservare il cosiddetto spirito del concilio facendo di esso - che ha messo in un angolo i Dogmi assoggettandoli ad una assurda evoluzione - un intoccabile nuovo "superdogma"...

Osservo che il termine “conservatore" non si addice alla Tradizione, che 'conserva' nel senso che 'custodisce', il "Depositum Fidei" Apostolico; ma nello stesso tempo non conserva alcun tipo di fissismo, che non le si addice in quanto essa è VIVA nel senso, insegnato da mons. Gherardini, della “continuità evolutiva”, che esclude tutti quei criteri immanentistici che si sono imposti, dall’Illuminismo ad oggi, sia alla filosofia che alla teologia. Gli Apostoli ci hanno lasciato quanto da Cristo avevano ricevuto ratione ecclesiae, non i carismi personali ma le verità riguardanti la Fede e la Chiesa. So di averlo già detto, ma repetita iuvant.

I Padri la chiamano Traditio Dominica o Traditio Apostolica “lo Spirito Santo vi ricorderà tutte le cose che vi ho insegnato io” (Gv 14, 26). L’insufflatio dello Spirito [Presente nella Chiesa: dove c'è il Figlio, c'è anche il Padre e lo Spirito Santo] non ha per oggetto una o più, ma “quaecumque dixero vobis”: tutte le cose, acquisizioni sempre più approfondite, nova et vetera (Gv 16,13).