Traduco da
National Catholic Register una intervista all'Arcivescovo di Noia, rilasciata il 27 giugno 2012 e pubblicata il 1° luglio successivo. Se la mettiamo insieme alla altrettanto recente
Lettera indirizzata alla FSSPX, abbiamo uno sguardo più completo sull'orizzonte romano e sugli effetti degli
aggiornamenti introdotti dal Concilio, che praticamente ci mettono di fronte ad un difficile, se non impossibile
dialogo tra sordi, anche se di diverso, rispetto ad altri, c'è che l'arcivescovo ha letto Amerio e De Mattei... Mi sono limitata ad inserire una sola chiosa; attendo le vostre osservazioni.
Il newyorchese segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede parla del suo nuovo ruolo e delle sfide che lo aspettano.
di
Edward Pentin, 07 gennaio 2012
Nello sforzo di mantenere il dialogo aperto a una possibile riconciliazione, Papa Benedetto XVI ha nominato l’arcivescovo Americano J. Augustine Di Noia vicepresidente della commissione incaricata di aiutare a riportare la Fraternità San Pio X nel seno della comunione con Roma.
Il sessantottenne domenicano, newyorchese, nativo del Bronx, attualmente segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, diventa pertanto vicepresidente della Commissione Pontificia Ecclesia Dei. Il 27 giugno ha parlato col corrispondente di “Register” Eduard Pentin del suo nuovo incarico, di alcune delle difficoltà che dovrà affrontare per restaurare la piena comunione tra la Fraternità e la Chiesa e delle sue speranze per un esito positivo.
Dato che non ha ancora cominciato a lavorare per la commissione, l’Arcivescovo Di Noia ha preferito non commentare le notizie che sono trapelate a proposito di una lettera della Fraternità in cui si troverebbe scritto che la San Pio X trova il preambolo dottrinale “chiaramente inaccettabile”. Si suppone che il documento sia alla base della riconciliazione con Roma.
Qual è stata la Sua reazione quando è stato nominato? L’incarico le è giunto a sorpresa?
È stata una sorpresa, ma eventi di questo tipo lo sono sempre. Essere nominato [segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede] è stata una sorpresa.
Che stadio ha raggiunto il dialogo tra il Vaticano e la Fraternità San Pio X?
Sinceramente, non lo so. Devo ancora approfondire molte cose riguardo ai temi che sono stati trattati durante il dialogo. Quando sono arrivato qui, ho studiato la storia della riforma e ho osservato più da vicino il Concilio [Vaticano Secondo], pertanto sono venuto al corrente delle obiezioni che sorgono da quel mondo. Ho letto libri sul Concilio di Romano Amerio e Roberto De Mattei e, ovviamente, ho studiato il Concilio per anni; quindi, in questo senso, sono in possesso di un quadro d’insieme a partire dal quale sono in grado di parlare con loro dei loro problemi.
Un altro fattore autobiografico molto importante per me è il fatto che ho vissuto la mia intera vita religiosa, prima di venire qui a Roma, in un priorato domenicano, a Washington e a New Haven, Connecticut. In quei luoghi si è vissuto l’ermeneutica della continuità e della riforma, se la posso descrivere in questi termini. Non ho mai sperimentato il Concilio in termini di rottura. È interessante considerare che solo da quando ho cominciato a leggere testi appartenenti alla letteratura e all’interpretazione tradizionalista ho cominciato a capire che, in un certo senso, vi sono dei problemi reali. Ma se si smette credere che lo Spirito Santo preservi la Chiesa dall’errore, si perde ogni speranza.
Non importa che interpretazione venga scelta, la fazione che la promuove, e quali che siano state le intenzioni degli autori dei documenti del Concilio: i concili non possono mai essere indotti in errore. Tutti i documenti sono fondati. Lo scisma non è la risposta giusta. Comprendo le posizioni della Fraternità, ma la soluzione non è l’uscita dalla Chiesa.
Se è così, perché ritiene che alcuni cattolici hanno preferito aderire a una tradizione “congelata”, così com’era, piuttosto che entrare in piena comunione?
Onestamente, lo ignoro: posso solo fare delle speculazioni. Rispondendo alla domanda sul perché si è tradizionalisti, mi sentirei di dire che dipende dalle esperienze personali di ciascuno. La [riforma della] liturgia è stato un fattore determinante poiché ha rappresentato una rivoluzione, uno shock per molta gente. Molti si sono sentiti abbandonati, come se la Chiesa avesse lasciato la loro nave ancorata al porto. Le ragioni sono quindi molto complicati e variano a seconda del tipo di tradizionalismo, tra una nazione o una cultura e l’altra e in base al contesto.
Un altro problema è rappresentato dal fatto che non si riesce a riconoscere un elemento molto semplice della storia della Chiesa: non tutte le controversie ideologiche devono per forza dividere la Chiesa. Così, per esempio, gesuiti e domenicani, nel XVI secolo, si sono trovati in profondo disaccordo sulla teologia della Grazia. Alla fine, il Papa ha intimato a entrambe le fazioni di smettere di affibbiarsi l’un l’altra l’etichetta di eretici. Egli disse: “Potete mantenere le vostre opinioni teologiche”, ma rifiutò di dare indicazioni dottrinali, schierandosi per gli uni o per gli altri. Si tratta di un esempio molto interessante perché ci mostra che il cattolicesimo è abbastanza vasto da poter includere un ingente numero di diversità teologiche e di dibattiti. Ogni tanto la Chiesa interverrà, ma solo quando si renderà conto che si sta cadendo nell’eresia e quindi ci si sta separando dalla comunione con essa.
In passato, Lei ha lavorato da vicino con Papa Benedetto XVI. Quanto è importante per lui questa riconciliazione?
Il Papa spera sempre nella riconciliazione – è il suo lavoro. Il ministero petrino consiste soprattutto nel compito di preservare l’unità della Chiesa. Quindi, indipendentemente da qualsiasi interesse personale Papa Benedetto possa avere, egli condivide la stessa preoccupazione che già Giovanni Paolo II nutriva. Come Lei sa, si è trovato coinvolto in questa vicenda sin dall’inizio.
Il Papa sta facendo dei passi indietro per raggiungere un compromesso, ma non cederà sul punto concernente l’autenticità degli insegnamenti del Vaticano II come atti del magistero.
La Fraternità San Pio X sostiene che il Concilio Vaticano Secondo non ha promulgato alcun insegnamento infallibile e immutabile. Era pastorale, non dogmatico. Se le cose stanno realmente così, perché è così importante che essi siano d’accordo con quanto affermato dal Concilio?
Nel Concilio ci sono molte cose dogmatiche. La sacramentalità dell’ordinazione episcopale, per esempio, è uno sviluppo dell’insegnamento del vescovato, ed è pertanto dottrinale.
Tradizionalmente, le dottrine sono state pronunciate come canoni con anatemi. Nel Concilio le modalità d’espressione sono altre, ma esso è certamente dotato della pienezza del magistero ordinario e ne è una riformulazione. È ricco dal punto di vista dottrinale. Ma si è cercato di chiarificare che cosa il Concilio di Trento o il Vaticano I ha lasciato aperto a proposito della Scrittura e della Tradizione?
Qua e là ci sono degli sviluppi dottrinali. E la Fraternità pensa ovviamente che l’intero insegnamento sulla libertà religiosa sia uno strappo dalla Tradizione. Ma persone molto argute hanno cercato di evidenziare come si tratti di una considerevole evoluzione.
Quel che ho cercato di affermare è che tutto quel che essi devono fare è affermare che nel Concilio non c’è nulla di contrario alla Tradizione e che ogni testo controverso o parte di esso deve essere letto nel contesto del Concilio – e letto alla luce della Tradizione. Mi sembra che, nonostante le loro difficoltà, dovrebbero essere in grado di farlo.
Come risponde alla tesi secondo la quale se i documenti del concilio non sono né infallibili né immutabili, non sono nemmeno vincolanti?
Dire che essi non siano vincolanti è una mera sofisticheria. Il Concilio contiene stralci del magistero ordinario che è de fide divina.
Ora, la costituzione pastorale “Sulla Chiesa nel mondo moderno” [Gaudium et Spes] fa dei commenti sulla natura della cultura che tutti, generalmente parlando, ritengono oggi eccessivamente ottimistici. Beh, questo non è de fide divina. Si tratta di qualcosa di molto impreciso. Ma il Concilio è pieno del magistero ordinario. Quando lavoravo alla conferenza dei vescovi [americani] e si discuteva, per esempio, sulla Veritatis Splendor, la gente mi chiedeva: “È infallibile?”, ed io replicavo: “La domanda più importante è: è vera?”.
Quel che volevo mettere in risalto era l’eccessiva insistenza sull’infallibilità, che ha indotto anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a decidere di non definire più nulla infallibile perché quel che succede è che poi la gente dice: “Devo credere solamente in ciò che è stato definito infallibilmente”. Il che è molto poco. È per questo che esiste una distinzione tra il magistero ordinario e quello straordinario. Il magistero straordinario è quel che la Chiesa definisce: si tratta quasi sempre della composizione di controversie che avevano generato disaccordo. Probabilmente la Chiesa non avrebbe mai conferito a Maria il titolo di Madre di Dio se Nestorio non l’avesse negato. Ma nel contesto del magistero ordinario, ci sono molte cose mai definite che crediamo siano de fide divina. È per questo che si è parlato di magistero ordinario, nel tentativo di uscir fuori da questa lettura riduzionista che asserisce che si può credere solo in ciò che è infallibile. Ebbene, il Concilio ha insegnamenti vincolanti. I Padri scrivono in qualità di vescovi della Chiesa in unione con il Papa; è per questo che il Concilio è così importante.
Eppure l’allora Cardinale Ratzinger aveva puntualizzato che il Concilio non dovrebbe essere visto come una sorta di “superdogma”.
Le sue parole non miravano a definire infallibilmente delle dottrine; ciò è quanto Ratzinger ha detto, ma non ha mai affermato che il Concilio non contenga grandi quantità di magistero ordinario.
Solamente le costituzioni dogmatiche sono definite, per l’appunto dogmatiche: la Divina Rivelazione [Dei Verbum], la Lumen Gentium. Sicuramente queste due, ma anche altre.
Quale sarebbe l’impatto positivo di un’eventuale riconciliazione tra la Fraternità San Pio X e la Chiesa?
I tradizionalisti che si trovano attualmente all’interno della Chiesa, come ad esempio la Fraternità San Pietro, hanno soddisfatto le richieste del Papa: che nelle solennità della liturgia da essi scelta per le celebrazioni, i suoi membri siano testimoni della continua vitalità della tradizione liturgica precedente al Concilio, che è il messaggio della Summorum Pontificum. Il punto è: non si può affermare che il Novus Ordo sia invalido, ma la loro celebrazione secondo il Messale del 1962 è qualcosa che rimane attraente e nutre la fede, anche quella di coloro che non hanno esperienza di essa. E questo è un fattore molto importante.
Ho cercato di trovare un’analogia che possa spiegare questa situazione. È un po’ come la Costituzione Americana, che può essere letta in almeno due modi differenti: gli storici si interessano al suo contesto storico: agli estensori, alle loro intenzioni, al loro background e alle varie ricerche storiche che sono state effettuate sulla Costituzione stessa. Così, studiando la Costituzione dal punto di vista storico, si può far molta luce sul suo significato.
Tuttavia, quando la Corte Suprema utilizza la Costituzione, quando cioè essa viene letta come un documento vivo su cui le istituzioni di uno Stato sono fondate, la lettura che ne viene fatta è differente. La stessa cosa vale per quanto riguarda il pensiero degli estensori, come anche quello degli esperti di cui si sono avvalsi – gli estensori sono un esempio parallelo ai vescovi, gli esperti ai periti [teologi al servizio dei partecipanti a un concilio ecumenico].
Le diverse letture sono indipendenti tra di loro. Ho l’abitudine di ripetere che le intenzioni dei Padri del Concilio non hanno importanza: quel che conta è come le si applica oggi. Si tratta di un documento vivente.
Eppure è proprio il modo in cui le si applica a costituire un problema.
È molto importante che i teologi e quanti rivestono alti carichi comprendano che il Concilio è stato interpretato in modi fortemente distruttivi e discontinui. Sto leggendo un libro di Louis Bouyer, scritto nel 1968, intitolato “La decomposizione del Cattolicesimo”. E poi c’è Xavier Rynne, che ha forgiato la visione occidentale del Concilio con i suoi articoli su The New Yorker.
Il Papa ne ha parlato tante, tante volte, ma vede, in parte i tradizionalisti stanno reagendo giustamente contro le interpretazioni stravaganti del Concilio da parte dei progressisti.
Cos’altro possono apportare di positivo?
Se verranno accettati dalla Chiesa e reintrodotti nella piena comunione, saranno una sorta di testimonianza vivente della continuità. Potranno sentirsi ben felici di stare all’interno della Chiesa Cattolica, fungendo da vivi testimoni del fatto che la continuità prima e dopo il Concilio è reale.
Ma questo avverrà solo se ottempereranno alle condizioni poste dal Vaticano?
Il punto è un altro. Non si tratta di un editto – fermatevi al rosso, andate avanti al verde – perché l’essere membri della Chiesa in piena comunione con essa implica la fede nel fatto che lo Spirito Santo preservi la Chiesa dall’errore e che la comunione col Soglio di Pietro è una parte della realtà dell’essere in piena comunione, non un fatto accidentale.
Quindi, se ottempereranno a quanto è loro richiesto, dovranno farlo avendo i requisiti di veri Cattolici, non solo di essere d’accordo con quanto il Papa dica o faccia… Essi dovranno dire: “Sì, credo che la Chiesa sia preservata dall’errore dallo Spirito Santo”. Allora io potrò dire: “Va bene, dunque: siete Cattolici”.
Molti membri della Fraternità hanno insistito sulla parola “errore”. “Errore” è una parola molto vaga nella Tradizione Cattolica. Ci sono diversi livelli d’errore: questo termine può voler dire che sei eretico, o semplicemente che sei avventato nei tuoi giudizi.
Adesso che Lei ha assunto la posizione di vicepresidente dell’Ecclesia Dei, non è ben chiaro chi sostituirà.
C’era già stato un vicepresidente per un certo tempo: Monsignor Camille Perl. Tuttavia, è stata meramente riempita una posizione che era rimasta vacante da tre anni. Non so con esattezza quando Monsignor Perl sia andato in pensione.
Alcuni hanno sostenuto che il nuovo incarico Le sia stato affidato per aiutare a preparare una struttura canonica per la Fraternità San Pio X nel caso in cui si riconciliasse con la Chiesa. Ciò ha qualche relazione con il grande lavoro che Lei ha svolto per aiutare a creare l’ordinariato Anglicano?
Non lo so; il Papa non mi ha rivelato perché mi ha scelto. Sono stato coinvolto nell’ordinariato sin dal principio. Ho lavorato sotto il segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, coinvolto in discussioni che hanno portato alla formazione dell’ordinariato, ma non sono un canonista. Non ho avuto un ruolo diretto nella redazione della costituzione ma ho davvero esperienza, forse nel dialogo.
Gli Anglicani giunti a Roma per cercare la piena comunione sono spesso venuti a visitarmi. Pertanto immagino di avere qualche dono particolare che li attragga verso di me. [Ride.]
In che misura ciò che viene avvertito come un indebolimento del dogma extra Ecclesiam nulla salus (nessuna salvezza al di fuori della Chiesa) costituisce un elemento rilevante del problema, come asseriscono alcuni tradizionalisti? La comprensione attuale del dogma contraddice le sue precedenti definizioni?
Non so se il Concilio possa essere biasimato per questo o se piuttosto non si debba puntare il dito contro l’emergere di una corrente teologica che ha enfatizzato la possibilità di salvezza dei non Cristiani. Ma la Chiesa l’ha sempre affermata e l’ha sempre negata… [Karl] Rahner, col suo “Cristianesimo anonimo”, ha avuto un effetto disastroso su questa questione. Ma il Concilio non altera l’insegnamento della Chiesa.
Eppure essi dicono che lo alteri?
Questo è un esempio molto pertinente di due delle cose che abbiamo menzionato: il pericolo di interpretarlo come è stato interpretato da Rahner invece che alla luce dell’intera Tradizione.
I tradizionalisti lamentano il fatto che non si proclama quasi più la salvezza.
Ralph Martin è d’accordo con questa affermazione. Ci troviamo all’interno di una crisi, poiché la Chiesa è stata contaminata dall’idea secondo la quale non ci dovremmo preoccupare né entrare in ansia se non prendiamo troppo sul serio il mandato di proclamare Cristo scrupolosamente. Ma la colpa non è del Vaticano II, bensì della cattiva teologia. La Dominus Iesus è stata una risposta parziale a quel ramo della teologia della religione. Indubbiamente la storia della necessità dell’extra Ecclesiam nulla salus è lunga. Ma si parlava di eretici, non di non credenti. Questa formula si riferisce alla piaga delle eresie. Ha una sua storia.
Il Concilio ha detto davvero che ci sono elementi di Grazia nelle altre religioni, e non credo che questo concetto debba essere ritrattato. Li ho visti e li conosco – ho incontrato Luterani e Anglicani che sono sante persone.
Alcuni tradizionalisti affermano che nella Chiesa moderna l’umanesimo secolare ha spesso la meglio sulle asserzioni dogmatiche. Per esempio, il Santo Padre ha detto che non avrebbe revocato la scomunica al Vescovo [Richard] Williamson se avesse saputo che era antisemita. Ma anche se l’antisemitismo è abominevole, i tradizionalisti dicono che è un punto di vista e non una posizione dogmatica. Eppure i politici cattolici possono contraddire liberamente il dogma e rimanere in comunione con la Chiesa. Cos’ha da ribattere a questi argomenti?
Si tratta di una trappola. Edward Norman, nel suo eccellente libro Secularization (Secolarizzazione), afferma che indubbiamente quella che lui chiama la secolarizzazione interna, l’umanesimo secolare, ha definitivamente invaso parti della Chiesa. Probabilmente la Fraternità San Pio X ha ragione su questo punto: io stesso potrei fornire una lista di esempi probabilmente ancor più lunga di quella che essi stessi potrebbero stilare.
Tuttavia, cercare di difendere Williamson su queste basi è disgustoso e indegno. Forse che un politico è la stessa cosa che un Vescovo? Non scherziamo: questa è spazzatura, sofisticheria.
Vogliono una scomunica di massa per tutti quelli che sono a favore dell’aborto? Eppure uno di loro, un Vescovo, proclama apertamente una posizione che la Chiesa sta disperatamente cercando di sopprimere all’interno di sé: l’antisemitismo. [
Ci risiamo coll'impropria identificazione, e quindi confusione, con l'antisemitismo della dovuta distinzione delle fedi e ci risiamo ancora coll'ignorare che il riduzionismo di Mons. Williamson - esecrabile ma tra l'altro non negazionista - riguarda un fatto storico e non un dogma di fede; per cui parlare di mantenimento della scomunica in questo caso è del tutto senza senso.]
Nella dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede che ha accompagnato la Sua nomina, è stato detto che la Sua esperienza “faciliterà lo sviluppo di certi provvedimenti liturgici desiderati” nella celebrazione del Messale Romano del 1962, comunemente conosciuto come Rito Tridentino. Ci potrebbe chiarire questo punto?
Vi sono due cose: essi vorrebbero aggiungere al calendario molti santi, ma il Messale Romano è fisso. Sarà necessario un dialogo tra di loro e la Congregazione per la Dottrina della Fede sul modo in cui incorporare elementi del calendario Romano e su come si sia trasformato negli ultimi cinquant’anni. Poi c’è la questione dei prefazi: il vecchio Messale Romano del 1962 ha un numero molto limitato di prefazi, ed essi vorrebbero anche incorporarne alcuni dei nuovi. Ma stiamo parlando dell’edizione del 1962: chi può rivedere l’edizione del Messale del 1962?
In effetti il Novus Ordo, il Messale Romano attuale, è una revisione del Messale Romano del 1962. Quindi la questione è: come possono farlo? Non lo so, ma questo lavoro dev’essere fatto. Abbiamo già svolto due riunioni tra i rappresentanti della Congregazione e quelli dell’Ecclesia Dei per discutere sul modo in cui potrebbe essere fatto.
Sono state menzionate le Sue buone relazioni con la comunità ebraica. Fino a che punto lo sono?
Ho da tempo una relazione affettuosa con i vari leader ebraici, che dura ininterrottamente dai tempi in cui mi trovavo negli Stati Uniti lavorando alla conferenza dei vescovi. Mi sono venuti a trovare tutti gli anni. Non so se essi abbiano detto qualcosa in pubblico, ma per telefono si sono mostrati molto contenti. Sanno quanto sono attento alle loro preoccupazioni.
La Nostra Aetate (un documento che a detta di molti avrebbe contribuito a migliorare le relazioni tra Ebrei e Cattolici) è un problema per la Fraternità.
Sì, ma ricordi: se si prende in esame una costituzione in maniera corretta, da giuristi, vi sono due modi di interpretarla: il senso lato e il senso stretto della legge, che possono anche essere sostenuti in contrapposizione tra di loro da due avvocati. Analogamente, se la Fraternità vuole interpretare in senso stretto questo tipo di documenti conciliari, è libera di farlo da un punto di vista teologico. Ma ciò non significa che debbano per questo rimanere fuori dalla Chiesa e che possano presentare argomenti contro persone che si appoggiano sulla teologia.
Se la Fraternità ritiene che la Nostra Aetate è mal interpretata, deve scendere in campo e combattere per mostrare la sua corretta interpretazione: invece di ritirarsi, deve giocare la partita.
La riconciliazione potrà avvenire in tempi brevi, visti e considerati i problemi spinosi nella Chiesa e nella cultura?
Ho la sensazione di sì. Ricordi che fin quando Benedetto XVI ha pronunciato il suo famoso discorso alla curia a dicembre del 2005 parlando dell’ermeneutica della continuità, tale argomento era quasi un tabù. Pertanto Papa Benedetto ci ha liberati per la prima volta.
Oggi si può criticare [il teologo Cardinal Henri-Marie] De Lubac, [il Cardinal Yves] Congar, [Padre Marie-Dominique] Chenu. E molti giovani stanno scrivendo tesi e libri che prima erano in un certo senso impensabili. Direi pertanto che la lettura dominante progressista del Concilio è in ritirata, e prima non lo era mai stata. Ma la fraternità deve anche abbracciare l’insistenza sulla continuità.
I tradizionalisti devono smettere di vedere il Concilio come rottura e discontinuità.
[Lo storico Roberto] De Mattei opera una distinzione. Il Concilio è stato avvertito come una rottura, ma dottrinalmente e teologicamente deve essere letto nella continuità – altrimenti non si può far altro che gettare la spugna.
Pensa che la Fraternità San Pio X tema che le sue rivendicazioni non verranno più ascoltate se si riconcilierà?
Come potrebbero non essere salvaguardate? Chi è che detta loro il da farsi? L’unica cosa che dico loro è: il Vaticano II non è un distacco dalla Tradizione.
Lei è ottimista o pessimista a proposito della riconciliazione?
Né l’uno né l’altro; semplicemente, non lo so. Penso che sarà un atto di Grazia.
Difatti, chiederò ai Domenicani di cominciare a pregare. Spero che si arrivi in porto. Il Papa non vuole che la situazione rimanga così com’è – un’altra setta, un’altra divisione.
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Edward Pentin è il corrispondente a Roma per
The Register. Il suo blog si trova su NCRegister.com
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[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]