Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 30 giugno 2014

Peccato e perdono nel disegno di Dio

Nell'editoriale del 24 giugno [qui], Sandro Magister ci ricorda che "il tema della misericordia di Dio non è una "scoperta" di Jorge Mario Bergoglio. È da sempre al centro della predicazione della Chiesa. Il cardinale Giacomo Biffi spiega perché, con una stupefacente citazione di sant'Ambrogio". 
E segnala il libro appena uscito: G. Biffi, "La multiforme sapienza di Dio. Esercizi spirituali con Giovanni Paolo II", Cantagalli, Siena, 2014, pp. 232, euro 14,00. 
Ne pubblica anche un brano, che riprendo di seguito

Peccato e perdono nel disegno di Dio 

Colui che nella tradizione cristiana ha espresso con maggior insistenza e vigore la convinzione che il peccato abbia nel disegno di Dio una sua preziosa positività, e pertanto faccia parte dall’inizio del progetto che ha dato l’esistenza a questo universo di fatto esistente, è stato, io credo, sant’Ambrogio.

sabato 28 giugno 2014

Cripto-lefebvristi o tradi-protestanti? Rifiutiamo le etichette e affermiamo il nostro essere cattolici.

Sull'ultimo editoriale di Corrispondenza Romana [qui] Roberto de Mattei respinge i più recenti sofismi dei neo FI. Lo fa, al solito, argomentando da credente e non affibbiando etichette o servendosi di slogan accusatori come quelli che vengono lanciati contro di lui e tutti coloro - noi compresi - che custodiscono e riaffermano i fondamenti della nostra Fede. E ci etichettano, quando non ci calunniano, senza mai confutarci nel merito...

[...] Le categorie di ortodossia e di eterodossia vengono accantonate come antiquate. E nascono nuove espressioni semantiche. Una delle più curiose è quella di “cripto-lefebvrismo”: un termine che il padre Angelo Geiger FI ha recentemente utilizzato sul suo sito americano per squalificare, oltre alla mia persona, un benemerito sito cattolico quale Rorate Coeli, colpevole di aver espresso la sua preoccupazione per quanto sta accadendo ai Francescani dell’Immacolata. Per padre Geiger tutto è normale e chi mette in dubbio questa normalità è un “cripto-lefebvriano”. [Ne ho parlato qui]

I giovani e la tradizione cattolica

MiL propone una riflessione del Prof. Enzo Fagiolo su giovani e tradizione [qui]. La riprendo perché condivisibile e da diffondere, in controdentenza con una temperie che tiene in apnea la spiritualità tradizionale.

Il papa, dichiarò mons. Graubner alla Radio Vaticana, come un recente articolo su ‘La Stampa’ [qui] ha ricordato, informato dai vescovi della repubblica ceska della crescente attenzione dei giovani per la liturgia tradizionale, ritiene sia comprensibile solo se prestata da parte delle vecchie generazioni per natura passatiste, altrimenti, una ‘moda’ transeunte [qui]. Giudizio identico a quello di tanta gerarchia che vuole ignorare quella riflessione critica, che le nuove generazioni, in tutti i campi, come sa chi è con loro tanti anni, hanno avviato sul fenomeno ‘sessantotto’ che ha strumentalizzato le giuste aspirazioni dei giovani tentando di annullare quel patrimonio di valori, anche religiosi, su cui si fondava la loro vera libertà.

venerdì 27 giugno 2014

Don Serafino Tognetti. Il valore della sofferenza e sugli applausi in Chiesa

Un nuovo libro di Padre Serafino Tognetti[1], uno dei miei carissimi interlocutori. Precedenti nel blog [qui] e [qui]. Avvenire ne pubblica una recensione ponendo l'accento su quella che in realtà è l'Appendice. E, in questa temperie, opportunamente. Riprendo il testo apparso su Avvenire, seguìto da un brano tratto dal libro: Serafino Tognetti, Mostrami, Signore, la tua via, Parva, 2013, pag. 146, 10 Euro

La Messa è finita. Nel sen­so che ormai pare stia an­dando a farsi benedire l’osservanza delle più ele­mentari norme liturgiche. Che non ci sia più religione in alcu­ne celebrazioni eucaristiche è una questione seria. E padre Se­rafino Tognetti, monaco e pri­mo successore di don Divo Bar­sotti alla guida della Comunità dei Figli di Dio, non può fare a meno di rilevarlo in questo pro­vocatorio volumetto. In appen­dice a un testo denso di stupo­re per il paradosso del cristia­nesimo la cui forza si sprigiona nella debolezza («Cercate voi in tutta la letteratura di tutto il mondo, antica e moderna, stu­diate tutte le religioni del mon­do e ditemi se trovate un re­agnello o una divinità che si fac­cia mite, vittima») ecco alcune osservazioni appassionate sul­la realtà sconfortante di certe Messe odierne. Sotto la sua len­te finisce quindi l’uso «ultima­mente in voga» di applaudire in chiesa.

giovedì 26 giugno 2014

Chiesa. Aperta la caccia ai conservatori.

Realistiche osservazioni di Tosatti su La Stampa [qui].

Speriamo di sbagliarci, come spesso ci accade, per fortuna; ma l’impressione che abbiamo da tutta una serie di piccoli segnali è che in realtà nella Chiesa di papa Francesco si sia aperta la caccia ai “conservatori”; un termine che come sempre in questi casi è abbastanza generico da poter essere utilizzato contro un’ampia gamma di persone.
Speriamo di sbagliarci, come spesso ci accade, per fortuna; ma l’impressione che abbiamo da tutta una serie di piccoli segnali è che in realtà nella Chiesa di papa Francesco si sia aperta la caccia ai “conservatori”; un termine che come sempre in questi casi è abbastanza generico da poter essere utilizzato contro un’ampia gamma di persone. Il caso più eclatante resta quello dei Francescani dell’Immacolata, un ordine commissariato d’autorità con modalità di estrema durezza e senza che siano mai stati fornite ragioni chiare, se non una generica accusa di deriva tradizionalistica.

mercoledì 25 giugno 2014

Petizione internazionale: “Papa Francesco, La preghiamo, incontri i Fondatori”

Partecipiamo anche noi alla Petizione internazionale al Papa per i Francescani dell'Immacolata. Richiamo l'attenzione sulla lettera del novizio pubblicata di seguito all'appello rilanciato anche da Antonio Socci dalla sua pagina Facebook [qui]

Supplica al santo Padre affinché voglia incontrare i Fondatori FI

Cari fratelli in Cristo, ecco a seguire una nuova petizione internazionale indirizzata direttamente al nostro amato papa Francesco. Domando a tutti voi di attivarvi numerosi per questa iniziativa.

Caro papa Francesco, siamo cattolici provenienti da diversi continenti, con eredità differenti, come anche differenti sono i cammini spirituali. Siamo accomunati dall'obbedienza all'autorità religiosa, dalla passione per la Madonna, l'imitazione di san Francesco e l'amore per Nostro Signore Gesù Cristo.

Abbiamo ricevuto larghe benedizioni dal carisma e dall'esperienza dei frati Francescani dell'Immacolata. Le nostre vite sono cambiate, i nostri cuori battono quando vedono quegli abiti celesti, il nostro desiderio ardente è la santità e la diffusione del sovrabbondante amore del Misericordiosissimo Cuore di Gesù. Sappiamo che è stato Lei a permettere e sovrintendere al commissariamento dei FFI.

Noi vogliamo obbedirle ma le nostre anime sono come strette tra spine di confusione e tristezza perché un fiorente Ordine religioso si sta sgretolando, i suoi Fondatori vengono trattati come la parte colpevole senza che vi sia nessuna accusa chiaramente dimostrata. Per questo noi Le scriviamo come alla nostra unica speranza. Sappiamo che Lei è stato informato del fatto che l'Istituto ha preso una deriva cripto-scismatica e che, all'interno di questo, vi è stata un cattivo governo (amministrazione) e cattivi comportamenti. Crediamo fermamente che queste accuse sono imprecise e che le fonti che Le stanno fornendo queste informazioni non sanno descrivendo i fatti in modo imparziale.

Con questa lettera noi La preghiamo, come figli davanti al loro padre, di incontrare personalmente padre Stefano M. Manelli e padre Gabriele M. Pellettieri, i fondatori dei Francescani dell'Immacolata. La supplichiamo almeno di offrire a questi due uomini un'ora del Suo prezioso e tempo e se si renderà conto che si tratta di due ostinati peccatori e non veri uomini di Dio, non meriteranno per questo ancor più la Sua misericordia?

Ma se troverà che hanno agito in buona fede e si renderà conto che le informazioni che ha ricevuto non erano vere, restaurerà la loro famiglia religiosa? Si preoccuperà anche di quello che sta succedendo alle Suore Francescane dell'Immacolata?

Caro Papa Francesco, stiamo imparando a sentirci felicemente sorpresi e commossi dalle Sue azioni. Speriamo che Lei ci possa sorprendere ancora. Offriamo per Lei tutte le nostre preghiere, sofferenze e buone opere. In Corde Matris.

PS: il responsabile del sito ha proposto di scrivere all'inizio, prima di proporre la supplica al Papa, che quella che segue è una petizione rivolta al santo Padre e si tratta di un'iniziativa lanciata dal sito anglofono http://pray4thefriars.wordpress.com/ tradotta in italiano in modo da permette un'adesione anche trai fedeli in Italia.

L'adesione consiste nell'invio del testo firmato o all'indirizzo email della Segreteria di Stato: vati023@genaff-segstat.va oppure a quello della Sala Stampa vaticana: lombardi@pressva.va.

LETTERA DI UN NOVIZIO

Sono il novizio che ha partecipato all'incontro del pontefice con i F.I.
A seguito di alcune ricostruzioni false passate alla stampa da una fonte "interessata" ad accreditare una certa visione dei fatti (una mia uscita dai F.I. stessi dovuta a una presunta contrarietà al Concilio Vaticano II), voglio solo testimoniare la verità:
- al Santo Padre, rimanendo in ginocchio e con molta emozione, ho detto: “Santità, come un figlio al padre: la prego il mio cuore è lacerato, abbiamo bisogno di pace, parli con padre Stefano Manelli.”. Poi mi sono alzato e ho detto: “Prego e soffro per Lei”. Il Santo Padre ha annuito ma non ha detto nulla;
- al padre maestro ho motivato la mia uscita, parlandogli in coscienza e con cuore aperto, di un forte malessere fisico e mentale e di preoccupazioni di ordine spirituale per la drammatica situazione conflittuale nell'Istituto, e la mia sfiducia in una risoluzione positiva di questa vicenda. Ho parlato chiaramente con il padre maestro in questi mesi difficili, e ci siamo lasciati con un abbraccio di pace, con un augurio di ritrovarci in tempi migliori, e con promesse reciproche di preghiere.
In fede Matteo Momi

Sentinelle, scegliamoci il libro e continuiamo a vegliare!

Le Sentinelle vegliano di nuovo a Roma
27 giugno alle 21 a Piazza San Silvestro!

Scendi in piazza con noi, difendi anche tu la libertà di parola!
Difendi il diritto di affermare che un bambino necessita di un padre e di una madre!
Difendi la libertà di educazione!
Veglia con noi, porta il tuo libro preferito e leggilo in silenzio!
Restiamo in silenzio oggi per poter continuare a esprimerci democraticamente domani!
"Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica se stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a se stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell'umanità" (Toro Seduto, capo Sioux)

Non mi serve la demagogia. Non mi servono i balletti e i letti predisposti nelle chiese. Potete soltanto ridarmi la fede di mio padre?

Leggo su Avvenire, il quotidiano dei vescovi [qui]:
Periferie che accolgono altre periferie. La Chiesa di Palermo offre quello che ha di più caro e prezioso per accogliere centinaia di migranti, che portano sul corpo e nell’anima i segni della paura, del dolore, del naufragio. Nella parrocchia di San Giovanni Maria Vianney Curato d’Ars, a Falsomiele, don Sergio Mattaliano e i volontari hanno svuotato l’aula liturgica dalle panche e l’hanno riempita di letti, così come il salone e le stanze del piano terra: 225 ragazzi africani hanno trovato rifugio sotto le braccia del crocifisso. [...]
E, su Traditio catholica [qui], questo testo di un sacerdote (peccato l'anonimato):
Non mancano altri locali per ospitare gli immigrati.
Perché non aprono loro le moschee?
" In questi giorni scorrono immagini diverse, sicuramente scaturite da un desiderio sincero di soccorrere i poveri.
( Secondo qualcuno si tratta invece di un furbesco business : soldi statali ed europei spacciati per carità cristiana - non c'è nulla di evangelico ... -  N.d.R. )
A me è tornata in mente l'immagine di mio padre, che entrava in una chiesa come se entrasse in in palazzo regale.
Anche quando era anziano e malato, voleva che lo si accompagnasse prima al tabernacolo, perché là c'era il Padrone di casa, il Signore. L'ho visto inginocchiarsi finché ha potuto, anche se con sofferenza.
Non molto tempo fa, in occasione di alcuni incontri pastorali, ho visto entrare in chiesa venti, trenta o più operatori, che dovevano percorrere necessariamente la navata per raggiungere il locale destinato alla riunione.
Ebbene, per tre sere nessuno ha pensato al tabernacolo, ad un segno di riverenza, ad una sosta.
Si attraversa una chiesa come si attraversa una pubblica via.
Poi penso che in quella stessa chiesa, una sera, ho visto tanta gente sculettare (perdonate il verbo, ma bisogna rendere plasticamente l'immagine) attorno all'altare, ed in mezzo un ostensorio che "ballava" seguendo il ritmo di quelle invocazioni.
E penso che ormai nelle chiese si fa di tutto, dai balli alle feste.
Si chiama fraternità, ma è sempre un momento di convivialità.
Le sagre non sono meno conviviali solo perché sono laiche.
Non mancano sale e ambienti in cui si può manifestare la propria gioia.
Non mi meraviglio, pertanto, dello spettacolo indecoroso al quale assistiamo, con alcune chiese ridotti a dormitori.
Non mancano sicuramente locali idonei ad accogliere chi è nel bisogno.
Il problema non è quello del gesto di carità, ma la percezione che ormai si ha del culto da rendere a Dio.
I luoghi destinati a questo culto finiscono per risentire della nuova sensibilità religiosa.
Eppure il Catechismo della Chiesa cattolica ragiona in termini totalmente diversi. Ai nn. 1160 - 1186 richiama il senso dell'edificio destinato al culto, la sua sacralità, la sua funzione.
Il problema - ribadiamo - non è il fratello da soccorrere.
Il problema è l'idea che ci siamo fatta del culto.
Cosa ancora più paradossale se consideriamo che siamo a pochi mesi dalla conclusione di un pontificato altamente illuminante e fecondo (per le generazioni che lo rileggeranno tra qualche secolo).
Non mi serve la demagogia.
Non mi servono i balletti e i letti predisposti nelle chiese.
Potete soltanto ridarmi la fede di mio padre? "
( Un Sacerdote )

martedì 24 giugno 2014

Meriam è libera. Deo gratias!

Ne avevamo parlato [qui], riportando l'appello di Antonio Socci. E oggi finalmente la buona notizia. Deo gratias!

“Meriam è libera, l’hanno rilasciata e ora sta tornando a casa”. Lo ha confermato alla Bbc Elshareef Ali, avvocato di Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la donna cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia per aver sposato un cristiano pur avendo padre musulmano. Oggi la sentenza è stata annullata dalla Corte d’appello. “Siamo molto felici e ora stiamo andando da lei”, ha aggiunto il legale.

Figlia di musulmano (in realtà cresciuta dalla sola madre, di fede cristiana ortodossa), Meriam ha sposato un cristiano. Il suo matrimonio era stato considerato illegale dal tribunale di Khartoum. Per questo era stata condannata anche a 100 frustate per adulterio. Madre di un bimbo di due anni, durante la carcerazione nel penitenziario di Omdurman, nella capitale sudanese, il 27 maggio, aveva partorito la piccola Maya.

Qualche giorno fa la Commissione nazionale per i Diritti umani sudanese aveva definito la condanna a morte di Meriam una sentenza in contrasto con la Costituzione, che prevede la libertà di culto. In precedenza Meriam era stata liberata dalle catene per ordine dei medici. [Fonte]

Oltre alle benedizioni sconce, baciamo le maaani....

Nel thread precedente abbiamo visto una inedita immagine: gli Anglicani non riconoscono l’autorità del Papa. Ciò non ostante Bergoglio si fa benedire dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, ricevuto in udienza il 16 giugno scorso. Ma di inedito e sconcertante c'è purtroppo anche altro.
Di seguito una carrellata di immagini molto più eloquenti delle nostre parole.

Il baciamano da sempre è un gesto di sottomissione, di riconoscimento dell'autorità superiore della persona a cui baciamo la mano. Che il papa distribuisca baciamani a destra e sinistra, come testimoniato nelle immagini che seguono (e in molte altre circostanze), non fa altro che sminuirne il ruolo nonché svilire l'Alta funzione che egli rappresenta.
Ci comunicava un lettore nei giorni del viaggio in Terra Santa: "È stato notato come Bergoglio stava per baciare l'anello a Bartolomeo? C'è da ringraziare la "fedeltà" di quest'ultimo al principio di identità e non contraddizione".
Più che l'anello, che i Patriarchi non portano è evidente il gesto del baciare la mano.
Le due immagini sono state tratte dal filmato. 
Imbarazzatissimo il Patriarca si è sottratto al bacio. Baciare la mano al vescovo, non solo è un atto d'omaggio ma è anche una professione di sottomissione. Del resto abbiamo visto Bartolomeo I al suo fianco, con pari dignità, al vertice del triangolo nei giardini vaticani, il giorno di Pentecoste, nel corso della recente improvvida performance.
Quella preghiera con Peres e Abu Mazen - oltre al Giovedì Santo con l'estromissione della Lavanda dei piedi, segno della istituzione del sacerdozio, dalla Cattedrale del mondo -, non ha forse profanato anche il momento solenne della Pentecoste: l'inizio della Chiesa fondata sullo Spirito del Signore Risorto dopo che ci ha ricollocati alla destra del Padre? Nella casa di chi dovrebbe rappresentarLo, chi pregano coloro che lo hanno rifiutato e ancora lo rifiutano e coloro che non ne riconoscono la Divinità nella SS Trinità? È la prosecuzione dello "spirito di Assisi" portato alle sue estreme conseguenze... Ma perché tutti osannanti e nessuno parla della sostanza invereconda? Ma perché non colgono l'illusione di una impossibile "pax sine Veritate", che diventa il motto identificativo della nuova Chiesa ecumenico-mondialista cui tende questo papa?
Da notare la presenza di Bartolomeo, sobria ma autorevole e con tutte le insegne della sua funzione (pastorale compreso), in contrasto stridente con la nuda, sciatta e pauperista figura di un papa che ha dismesso, insieme ai simboli, anche la sua alta funzione (la cui dignità non appartiene alla sua persona ma a Colui che rappresenta), tranne che per esercitarne il potere in modo arbitrario (vedi provvedimenti nei confronti dei FI).

Ci chiediamo se è normale che un Papa vada baciando le mani in ogni occasione.
Ad esempio, a "don" Michele De Paolis, fondatore della comunità Emmaus di Foggia: modernista, sostiene l'omosessualismo come il defunto Andrea Gallo e più volte ha esternato opinioni contrarie alla retta ragione e al Magistero solenne della Chiesa.

A costoro e a destra e a manca bacia le mani. Viceversa bastona e ignora i FI che amano la Tradizione, mentre riceve e conferma i dissidenti, insieme al kommissario picconatore. [qui]
E nello stesso tempo conferma un provvedimento contro la Messa Antiquior, che penalizza frati e fedeli nonostante si tratti di un diritto sancito da una legge universale, affermando un presupposto notoriamente falso. Vedi sue parole riportate da Tornielli: "viste le polemiche sull'uso esclusivo di quel messale". Patente falsità, visto che i FI, dall'introduzione del Summorum, sono stati sempre biritualisti.

Inoltre non s'inginocchia né alla Consacrazione né davanti al Santissimo, ma non manca di mostrarsi inginocchiato senza problemi in altre circostanze.

Ai posteri l'ardua sentenza, poiché latitano cardinali e vescovi stranamente silenti: indifferenti, timorosi, oppure conniventi?

Card. Giuseppe Siri. Il falso ecumenismo

[…] la differenza tra cattolici ed acattolici, per quanto si vogliano fratelli, sta sul piano della fede. Bisogna avere il coraggio di dirlo e di dirlo sempre. Usare tattiche scivolose quanto cortesi, sfumare tutti i contorni in un incerto crepuscolo che abolisca gli aspetti imbarazzanti, non è fare dell'ecumenismo. Esso è tale quando, coll'esercizio di ogni virtù, con tutti i sacrifici personali, con tutta la consistente pazienza, con la più affettuosa delle carità, mette dei termini chiari. Forse che sarebbe un ritorno alla unità piena tra i credenti, quello in cui il cammino venisse percorso lastricato di equivoci e di mezze verità? Ora è chiaro che si deve passare questo ponte - primato romano - e che, se non lo si passa coscientemente, non si raggiunge lo scopo unico e vero dell'ecumenismo. E si delinea il vero pericolo in tale entusiasmante materia. Ecco da chi è rappresentato il pericolo di fare dell'ecumenismo una accozzaglia di dottrine troncate. Ci sono scrittori che, abusando del nome di teologi o della dignità della ricerca, sgranano ad una ad una le verità della fede cattolica, sfaldano, ignorandolo, il Magistero. Essi fanno dubitare di sapere che la verità di Dio è una e perfetta, che negata in un punto - tale è la sua interna logica ed armonia - è giocoforza negare tutto. Non comprendono che Dio ha affidato tutto ad un Magistero, il quale è tanto sicuro e divinamente garantito che si può affermare «quod Ecclesia semel docuit, semper docuit». Forse hanno anche dimenticato che la visibilità della Chiesa e la sua realtà umana non la compromettono affatto, dimostrando la mano di Dio in quello che, affidato a mani umane, non reggerebbe oggi e sarebbe morto da tempo immemorabile. I nostri fratelli ci attendono, ma ci attendono nella luce del giorno, non tra le incerte ombre della notte!
(Cardinale Giuseppe Siri, da «Renovatio», XII (1977), fasc. 1, pp. 3-6)

lunedì 23 giugno 2014

Incontro con i FI e giusta ermeneutica del concilio

Che ne parli Tornielli [qui] sa di comunicazione "normalizzata", scarna e imprecisa.
Del resto già ci avevano rinviato ad una pagina Facebook redatta dai nuovi FI, in cui giganteggia l'immagine a lato, che mostra alcuni di loro in prima fila. Beh, si tratta di dissidenti e di alcuni in corso di "rieducazione". Infatti si parla di "una quarantina di seminaristi, novizi o studenti di teologia e filosofia, insieme ai loro formatori e al commissario pontificio, padre Fidenzio Volpi". E gli altri (la maggioranza), dove sono? Che fine faranno?
Di fatto il Papa questi non li ha per nulla ascoltati...
Probabilmente è una risposta al nostro "rumore"; ma non è altro che un ribadire, senza le precisazioni richieste, l'arbitrio sulla Messa Antica con inesattezze che sembrano non rettificabili a chi non vuol sentire (vedi la frase attribuita al papa: "viste le polemiche sull'uso esclusivo di quel messale", che è una falsità visto che i FI, dall'introduzione del Summorum,  sono stati sempre biritualisti).
E le altre motivazioni, vaghe e di certo non legate a specifici problemi di rilievo, non giustificano l'accanimento e la persistente penalizzazione nei confronti dell'ala più tradizionale, cioè di quella che appare ormai come l'irreversibile dissoluzione dell'Ordine e del suo carìsma originario..
Riporto alcuni passi dell'articolo. Cercheremo di approfondire e capir meglio.

[...] L'incontro si è svolto la mattina di martedì 10 giugno nella cappella della Casa

"Il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia": una definizione che fa la differenza...

Ricevo e pubblico, da parte di un lettore. È un'osservazione che apre un interrogativo. Di seguito aggiungo le mie osservazioni.

Il 31 maggio ho partecipato a Collevalenza alla beatificazione della fondatrice delle Ancelle dell'Amore misericordioso, "presieduta", dal card. Amato.
Nel libretto distribuito, p. 46 (vedi allegato) c'è la rubrica "RACCONTO dell'istituzione dell'Eucarestia". Trovo la formula ambigua: può far credere che la Messa sia una rievocazione storica come il Palio delle contrade! Mi sono ricordato che la stessa formula era usata nel libretto che ci fu distribuito alcuni anni or sono nel pellegrinaggio militare a Lourdes, cui partecipai con mia moglie su invito di un amico colonnello. Ci vogliono a poco a poco far dimenticare che la Messa non è una celebrazione storica, ma un rito che ci rende presenti al sacrificio di Cristo (o sbaglio?).
Con i miei migliori saluti. 

Il Libretto distribuito ai partecipanti riproduce esattamente la dicitura che nel Messale romano di Paolo VI effettivamente precede la formula consacratoria. E questo ci fa scoprire la differenza col Messale di Giovanni XXIII 1962, che sostanzialmente riprende il Rito di San Pio V.

Osservo che l'indicazione "Racconto" riportata nel titolo sostanzialmente richiama la normale definizione del "racconto evangelico" dell'Istituzione dell'Eucaristia. Ma ciò che nella lectio della Scrittura e nella predicazione è esatto definire racconto, nella Liturgia, e precipuamente nel canone, è Actio di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote. Dunque definirlo racconto, in questo caso è improprio e trae in inganno: la Consacrazione è il culmine del Sacrificio ed è un'Azione teandrica (umano-divina) del Figlio. Se nel Messale riformato è definita racconto, anche se poi riporta il titolo "Le Parole Consacratorie", già ne risulta enfatizzata la dimensione narrativa rispetto a quella riattualizzante della ri-presentazione incruenta al Padre del Santo Sacrificio del Calvario - vero e proprio 'memoriale' nel senso appunto riattualizzante dell'ebraico ziqqaron - consegnataci dal Signore: haec quotiescumque fecéritis, in mei memoriam faciétis (Quante volte voi farete queste cose le farete in memoria di me. Verbi al futuro, che è l'eterno presente di Dio).
Tant'è che nei libricini distribuiti non risulta la distinzione presente nel Messale tra il Racconto e le Parole Consacratorie.

domenica 22 giugno 2014

Don Ariel S. Levi di Gualdo. Dopo il sinodo il papa tornerà a indossare le scarpette rosse...

Pubblico volentieri il testo di don Ariel S. Levi di Gualdo apparso anche su Riscossa Cristiana. Tuttavia non posso non accompagnarlo con alcune chiose che di certo non meraviglieranno l'Autore, abituato alla mia schiettezza anche nei suoi riguardi. 
  1. Mi sembra che il titolo - e il sottotitolo -, pur partendo da analisi di tutto rispetto, vogliano porsi un obbiettivo che tutti ci auspicheremmo, se la realtà così com'è ce ne consentisse una piena e limpida constatazione senza doverci arrampicare sugli specchi. 
  2. Ritengo non sufficientemente realista una visione del post concilio come tradimento del concilio, perché non tiene conto che la crisi che stiamo vivendo non è altro che l'effetto dell'applicazione, da parte di esecutori consapevoli, di ambiguità e circiterismi disseminati nei documenti conciliari e volutamente inseriti per traghettare oltre il concilio le idee della nouvelle théologie e del progressismo storicista cui esse appartengono. Col risultato ormai evidente di inquinare la Tradizione perenne, sovvertendo lo stesso concetto del termine tradizione. [1] Non mi suona l'attribuzione di gossip&scoop (sia pur vaga e finalizzata alla citazione specifica) a siti cattolici contrapposti a La Civiltà Cattolica. È un'attribuzione che di certo non riguarda il nostro blog, del quale l'Autore apprezza stile e visibilità. E tuttavia mi suona male perché non posso ignorare che detrattori velenosi apostrofano in tal modo proprio questo blog, senza peraltro mai confutarci nel merito e nonostante noi siamo totalmente estranei a operazioni o a strategie di sorta.[2] Non mi suona del tutto anche perché sembra alludere ad una critica pessimista e non realista di esternazioni e gesti papali evocata anche dal sottotitolo. La nostra critica - che è soprattutto denuncia e apologia - come del resto quella di Riscossa cristiana, muove dalla difesa del Papa, del Papato e della Chiesa. Tanto più che qualunque osservazione esternata su queste pagine con dolorosa e argomentata costernazione è riferita al "dottore privato", da don Ariel stesso riconosciuto criticabile, in ordine a questioni di fede e di morale per nulla marginali (profanazioni liturgiche; i poveri carne di Cristo; il Vangelo da leggersi alla luce dell'oggi e non viceversa; il prevalere del sentimentalismo e del sensazionalismo sulla conoscenza; le plurime svalutazioni formali e sostanziali del primato petrino, solo per citarne alcune...). Per quanto riguarda me e i collaboratori di questa nicchia comunicativa, parliamo unicamente in base alla frequenza di parole e fatti che ci interpellano; mentre tacere o glissare su questi ed altri fondamenti della nostra fede significherebbe tradire il Signore che ce li ha consegnati e scritti nel cuore.
  3. Se è vero che nessun elemento dogmatico è stato modificato de iure, non possiamo ignorare le variazioni ormai senza controllo operate de facto da una prassi ateoretica e completamente sganciata dal dogma, non solo apertamente disprezzato, ma infine oltrepassato e sostituito dal nuovo super-dogma del nuovo inizio conciliare, che sfocia nel conciliarismo. 
  4. L'aggancio a punti di riferimento come Giovanni Cavalcoli e Antonio Livi, lo comprendo per la stima e la personale conoscenza che ho dei due validi studiosi; ma, mentre non esito a definirli efficacemente espliciti su alcuni aspetti, li riconosco quanto meno reticenti su altri. (vedi esempi su questo blog, rispettivamente qui e qui, insieme a pagine luminose di Antonio Livi: qui e qui)
  5. Il nodo del Sinodo è realistico e rappresenta una vera incognita. Tuttavia la questione non è l'unica sul tappeto. È semplicemente il bubbone più evidente della crisi con l'episcopato tedesco ed altro. Ma non possiamo certo ignorare che essa nasce da uno scollamento, già perpetrato, dalla dottrina che custodisce la verità. In ogni caso staremo a vedere dove ci porta. (Maria Guarini)
Note 
1. Oggi, messa all'angolo la metafisica, l'orizzontalismo antropocentrico rende possibile una nuova prassi ateoretica senza spiegazioni o con spiegazioni sommarie sganciate dalla tradizione perenne, espressione della 'tradizione vivente' in senso storicista portata avanti dal rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa in divenire (discorso Benedetto XVI 22 dicembre 2005), che ha preso il posto dell'oggetto-Rivelazione, immutabile e da inverare in ogni generazione. Prassi che di fatto incide nella sostanza più di quanto anche questo articolo non evidenzi (vedi punto 3) perché concretizza cambiamenti non più codificati su un impianto teoretico solido, ma direttamente concretizzati col rappresentarli in pubblico o da inedite cattedre mediatiche e, così, acriticamente o arbitrariamente recepiti dall'opinione comune.
2. Finora non ho fatto altro che ignorarli, e così continuerò, ché di solito è la cosa migliore da farsi. Ma stanno diventando la palestra di alcuni "normalisti" che gravitano anche qui, con le conseguenti deformazioni della realtà che registriamo sempre più numerose, insieme ad attacchi ad personam ed acrobazie dialettiche di vario genere con cui tentano di delegittimare i miei e nostri contenuti.

Dopo il Sinodo il papa tornerà a indossare le scarpette rosse
La teologia della speranza: una analisi ottimista
sul corso di certi eventi e parole di questo pontificato.


Noi parliamo una lingua che si fonda sul mistero di Cristo Dio incarnato, morto e risorto, che ci ha donato l’Eucaristia ed i Sacramenti di grazia, che ci ha inviato lo Spirito Santo, che siede oggi alla destra del Padre e che tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. Oggi però questa lingua pare non essere più comprensibile, perché il mondo parla linguaggi vuoti e vaporosi che negano l’idea stessa di cristocentrismo cosmico in nome di un omocentrismo terreno senza memoria storica, ma soprattutto senza Dio. Dunque il problema non è, quanto o meno sia il caso di rivestirci di “parole nuove” costruite sulla parola eterna e immutabile di Dio, per andare incontro al mondo ed essere infine assorbiti dalla mondanità evanescente, bensì quanto non si possa correre il rischio di rinunciare alla nostra lingua che ha una sua profonda struttura metafisica, per andare incontro al mondo e compiacere il mondo, per compiacersi nel mondo ed essere infine compiaciuti dal mondo, dimentichi del monito: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché i padri loro facevano lo stesso con i falsi profeti» [testo consultabile qui].

sabato 21 giugno 2014

E.M. Radaelli, La Chiesa ribaltata.

È mai possibile che il "papa emerito", per quanto conciliarista, possa vedere con animo sereno scempi del Signore, della Chiesa, del papato, del sensus fidei del popolo fedele, come quello - purtroppo l'ennesimo - di ieri? Mi riferisco alla profanazione del Corpus Domini, dopo quella del Giovedì Santo e della Pentecoste. Ed è mai possibile che vescovi e sacerdoti continuino a tacere? Osserva un lettore: è ancora vergognoso che nessun prelato, nessuno, né in servizio, né in pensione alzi forte la voce e dica ora basta! Ma tutti là a prendere la scia, a dichiararsi docili obbedienti e perfettamente in linea... Che questo avvenga per timore o perché d'accordo, agli occhi di Dio la cosa penso che cambierà poco, purtroppo per loro.
Ma ci sono laici che parlano e scrivono, e pensano e propongono. Per ora mi limito a presentarvi l'ultima fatica di E.M. Radaelli. Poi approfondiremo, appena sarò riuscita a mia volta a leggere.

Enrico Maria Radaelli, LA CHIESA RIBALTATA. Indagine metafisica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del Magistero di Papa Francesco. Prefazione di Antonio Livi. Edizione Gondolin, in-8°, Verona 2014, pp. 313 + XXI.

Il Signore, come sappiamo dalla Rivelazione, ha portato la legge dell’amore sulla terra. Ora, ci si può chiedere: c’è una qualche differenza tra insegnare la legge dell’amore e insegnare l’amore senza la sua legge?

Enrico Maria Radaelli, nella prima indagine a tutto campo finora pubblicata dei primi nove mesi di magistero di Papa Francesco, evidenzia come il “volume di misericordia” offerto dal linguaggio del Papa fosse già presente – e ben abbondante e operante – nella lunga vita della Chiesa che nei secoli l’ha preceduto. 

Il discepolo di Romano Amerio dimostra in questo libro che – per tornare alla domanda iniziale – un amore senza la sua legge rischierebbe persino – se solo fosse possibile, ma non lo è – il ribaltamento dell’essenza stessa della Chiesa.

La soluzione evidenziata però dall’Autore per tenere la Chiesa nella forma vera del suo insegnamento, e dare alla misericordia il volume massimo che sempre ha avuto, e non il minimo offerto da Papa Bergoglio, è a portata di mano.
______________________
Per richiedere il libro si può anche inviare una mail all'autore: info@enricomariaradaelli.it

venerdì 20 giugno 2014

La Lumen Gentium e la fuga dei Santi

And when the saints – go marching in…” (“E quando si fa avanti la gran marcia dei santi, vorrei esser fra i tanti quando marciano i santi”) A New Orleans, questo è uno spiritual che evoca ovazioni entusiastiche ad ogni partita di football, poiché i santi che marciano in campo sono gli atleti della locale squadra locale denominata appunto “I santi”; cosicché lo spiritual, diventato il loro inno, si suona ad ogni inizio di partita. Ed anche nel nome di una squadra di football e nel suo inno può far capolino la nostalgia dell’assoluto, il desiderio di essere fra i cittadini della città celeste dell’Apocalisse. Di questa città siamo cittadini anche noi; ed anche quello spiritual che riecheggia a ritmo di jazz sui marciapiedi di New Orleans può rinsaldare il vincolo fra i santi e quelli chiamati ad esserlo, tra chi ha già vinto il mondo  e chi, come noi, ancora ci sguazza dentro.

 In termini teologici questo vincolo si chiama comunione dei santi e la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium (LG) ne tratta nel capitolo VII, dove la Chiesa viene considerata nel suo triplice aspetto di Chiesa trionfante, militante e purgante. In quelle pagine LG si sofferma sull’unione di tutti i membri della Chiesa nell’unico Corpo mistico di Cristo ed in questo quadro trovano posto i santi ed il loro culto. La LG ne tratta in particolare nella parte conclusiva del capitolo VII. Immediatamente dopo un breve richiamo alla memoria dei defunti, LG traccia  un ancor più breve excursus storico sul culto dei santi (LG VII,50a), per poi riprendere le considerazioni sull’unione di Cristo e della Chiesa (LG VII,50b e c).LG  VII,51 è poi dedicato a considerazioni pastorali sulla  devozione ai santi. L’excursus in VII,50(a) e le considerazioni pastorali in VII,51 sono logicamente connessi, perché trattano entrambi della presenza dei santi nella vita quotidiana dei fedeli, sia in passato che (prevedibilmente) in futuro.

Va detto subito che in questo documento come in molti altri il Vaticano Secondo si richiama, e non una volta sola, al Magistero della Chiesa, ed in particolare ai canoni di Concili precedenti: il Niceno II, il Fiorentino, il Tridentino, il Vaticano I. Questi canoni vengono espressamente citati a proposito del culto dei santi, e basterebbero queste citazioni a consigliare una pausa di riflessione a chi vede nel CVII un evento in netto contrasto con la Tradizione cattolica. Accanto a queste espressioni del Magistero infallibile  ve ne sono altre tratte dal magistero ordinario dei papi, da Gelasio I a Pio XII. Tutto ciò è ineccepibile sul piano dottrinale, sul piano storico, però, e su quello metodologico-pastorale – cioè sul come portare queste verità alla conoscenza di tutte le anime, perché tutte ne traggano giovamento – c’è parecchio da dire, e dirlo bisogna; ciò è tanto più necessario in quanto la cura pastorale fu la vera ragion d’essere del Vaticano II, parola di Paolo VI nel discorso di chiusura della IV sessione il 7 dicembre 1965: “Ma per chi bene osserva questo prevalente interesse del Concilio per i valori umani e temporali non può negare che tale interesse è dovuto al carattere pastorale, che il Concilio ha scelto quasi programma” (Tutti i documenti del Concilio Vaticano II, ed. Massimo 1967, p. 976).

La dottrina della comunione dei santi in LG si regge dunque sui pilastri delle affermazioni dogmatiche dei concili precedenti e del Magistero ordinario. È dunque infallibile, e ci si attenderebbe che la LG vi dia il dovuto risalto; ma ciò non avviene, perché per tutti i canoni dei concili cui si fa riferimento (Niceno II, Fiorentino, Tridentino, Vaticano I) c’è un rimando in nota, ma non viene citato il contenuto. L’accesso al testo è dunque affidato alla buona volontà dei lettori, ed il testo è quello del Denzinger , che è un manuale rispettabilissimo ed utilissimo, ma pur sempre un manuale che oggi si può consultare comodamente online; ma ai tempi del CVII tale provvidenziale disponibilità era ancora in mente Dei ed i non specialisti faticavano ad aver accesso al contenuto del volume.

Ecco dunque il canone definitorio del Concilio Niceno II riguardo alle immagini: “Definiamo con ogni cura ed in tutta certezza che, così come la figura della vivificante e preziosa croce, sono anche da esporre le venerande e sacre immagini , tanto quelle dipinte ed a mosaico quanto quelle di altro materiale, nelle sacre chiese di Dio, nei vasi e nei paramenti sacri, su parete e su tavola, nelle case e nelle vie; così l’immagine del signor e Salvator nostro Gesù Cristo come quella di nostra Signora intemerata, la santa Madre di Dio, gli angeli onorati, e tutti i santi e gli uomini grandi.” (Denzinger 600; 302)

Questa la definizione che data dal 13 ottobre 787. Il Vaticano II vi rimanda, ma non la cita esplicitamente; se l’avesse fatto, sarebbe stata una sonora smentita per i moderni iconoclasti che in suo nome bandirono statue e quadri dei santi dalle nostre chiese.

Il Concilio di Trento nella sessione del 3 dicembre 1563 riafferma la dottrina del Niceno II e vi si richiama esplicitamente; ricorda inoltre altrettanto esplicitamente alcune espressioni fisiche di culto, quali imagines quas osculemur, coram quibus caput aperimus et procumbimus, cioè “le immagini che baciamo, innanzi alle quali ci scopriamo il capo e ci prostriamo”, poiché “attraverso tali atti si adora Cristo e si venerano i santi.” Ed il Tridentino non si preoccupa affatto della molteplicità di atti esteriori, la actuum exteriorum multiplicitate[m] paventata dal Vaticano II (LG VII, 51a).

Nella LG il Concilio Fiorentino è citato solo in relazione al suffragio dei defunti e la relativa nota 21 rimanda anche, senza distinzione, a testi di altri concili sulle immagini e sul culto dei  santi; la stessa mancanza di distinzione si rileva nel testo della LG, dove sono commiste la gloria celeste e la purificazione del purgatorio; ed a questo punto si fa strada il pensiero ribaldo che forse tale commistione, certo non propizia alla chiarezza, tende a dar l’impressione che anche nell’aldilà la vita spirituale è un continuo divenire, dal purgatorio al paradiso, e che un gran stacco fra i due in fondo non c’è.   

Nel capitolo VII, dunque, la LG con una mano dà, citando canoni validissimi e zittendo così quelli che vorrebbero demonizzare a tutti i costi il Vaticano II, ma con l’altra toglie, rendendo arduo l’accesso ai documenti citati ed in almeno un caso interpretandoli con estrema disinvoltura.

Accanto alla parte dogmatica, ineccepibile ma quasi irraggiungibile, c’è quella storica relativa al culto dei santi: un excursus, per la verità brevissimo, in LG VII,50(a). Vi sono ricordati la Madonna, i santi Angeli, gli Apostoli, i martiri di Cristo, tutti oggetto di particolare affetto e venerazione da parte della Chiesa (Ecclesia… peculiari affectu venerata est). Ai tempi di S. Pio X anche un bambino di sette anni sapeva che la venerazione resa alla Madonna non è la stessa che si rende ai santi, perché la dignità della Madonna è incomparabilmente superiore a quella di qualsiasi santo – e perciò in termini tecnici il culto della Madonna si chiama iperdulia e quello dei santi dulia, mentre a Dio è riservato il culto di latria o adorazione; ma una delle note caratteristiche dei documenti del Vaticano II è il sistematico livellamento della posizione di Maria Santissima in seno alla Chiesa, allo scopo abbastanza ovvio di sminuzzare ogni privilegio mariano, e pazienza se tali privilegi furono voluti da Dio Padre onnipotente. Nemmeno LG VII,50(a) è immune da questo morbo. Ma a parte ogni considerazione teologica su un tale livellamento, LG VII, 50(a) non tiene conto di un elementare dato storico: il canone della Messa era già fissato ben prima di papa Gregorio Magno, e la devozione a Maria aveva già allora un posto specialissimo, ma LG VII,50(a) non vi dà alcun rilievo. Tuttavia, in VII,50(d) LG nota che i santi sono inclusi nel canone della Messa e cita verbatim il canone, pur guardandosi bene dal sottolineare la posizione d’eccellenza che Maria riveste in quello stesso canone rispetto agli altri santi: Communicantes et memoriam venerantes in primis beatae Verginis Mariae, venerando in primo luogo la memoria della beata Vergine Maria. In questo modo LG VII,50(a) contraddice in pratica quanto viene poi affermato – ma solo indirettamente e per via di citazione – in LG VII,50(d).

E fosse questo il solo strafalcione di carattere storico di LG VII; ma ve ne sono altri. In LG VII,50(a), dopo i “martiri di Cristo” ricordati più sopra fra i santi, la vena si inaridisce ed i santi scompaiono. Da Costantino ai giorni del Concilio, non c’è menzione esplicita, non dico di santi, ma neppure delle fonti storiche che li riguardano, dal martirologio geronimiano a quelli storici all’agiografia moderna; e neppure si parla delle forme concrete di devozione in cui si è espresso il culto dei santi: reliquie, santuari, pellegrinaggi, ex-voto, processioni, immagini; tutti parte del vissuto della Chiesa da duemila anni a questa parte, e qui disinvoltamente azzerati in un vuoto storico dà le vertigini. Da Costantino in poi, per LG la Chiesa nella sua manifestazione storica e concreta, nella vita quotidiana dei suoi fedeli che hanno cercato di seguire Cristo fino all’eroismo, non esiste. e dopo Costantino, di santi non si parla più.       

C’è una nota di rimando ad opere agiografiche, una sola, che si penserebbe rimandi ai santi od al loro culto, ma non è così; perché quella nota 8 rimanda a santi e sante che non esistono e non sono mai esistiti. E mi spiego.

La nota 8 rimanda al Symposion (“Banchetto” ) di Metodio d’Olimpo. Sarebbe interessante vedere perché, fra tutti i padri e dottori della Chiesa, i redattori della LG abbiano scelto proprio lui. Dal punto di vista storico le notizie su Metodio sono poche e difficilmente verificabili; da quello dottrinale vi sono dubbi, perché – benché Metodio sia morto martire e sia stato venerato in alcuni luoghi come santo – alcune sue espressioni riguardo a Cristo sono più ariane che cattoliche, e si è quindi dubitato della sua ortodossia. Vi furono infatti due edizioni del Symposion, una filoariana, l’altra riveduta in senso ortodosso. Per di più, Metodio credeva al millennio, considerato da S. Gerolamo una fabula, un’esimia sciocchezza.  Ma è sopratutto la scelta dell’opera che desta sorpresa.
Nella LG i santi che imitarono Cristo nella verginità e nella povertà vengono immediatamente dopo la Beata Vergine, gli Apostoli e i martiri, ed il Symposion 
è un dialogo in lode della verginità, che di fatto considera la verginità la via maestra per arrivare alla perfezione cristiana. Ma in questo scritto, redatto nello stile del Symposion  di Platone anche se con intenti opposti, mancano i santi in carne ed ossa, veramente vissuti, con cui i fedeli possono identificarsi. Il Symposion di Metodio presenta invece una serie di personaggi, vergini consacrate riunite in un giardino ameno ad apprendere la via alla cristiana perfezione vista attraverso il prisma della verginità.  Di santi veri, però, non ce ne sono; a meno di annoverarvi Tecla, venerata in Asia Minore; ma i suoi “Atti” erano considerati apocrifi dalla chiesa di Roma già al tempo di papa Gelasio.

Difficile, insomma, spiegare il riferimento a Metodio. E qui un altro pensiero ribaldo: che la scelta di uno scrittore dottrinalmente dubbio sia stata voluta cinquant’anni fa per facilitare – come poi di fatto è avvenuto – l’accettazione di altri scrittori come Origene e Ticonio, ortodossi  in alcune loro opere, ma eretici in altre. Metodio in LG fu forse un passo verso una visione di chiesa inclusiva, in cui la distinzione fra eretico ed ortodosso diventa molto sfumata, per non dire inesistente; il tipo di chiesa che, se non erro, si sta proponendo adesso con la riabilitazione di Lutero.   

Il rimando ai santi storici evapora dunque, in LG VII,50, nel simbolismo e nell’allegoria; non a caso Herbert Musurillo, curatore dell’edizione di Metodio per Sources Chrétiennes, richiamandosi a Karl Rahner, scrisse un saggio sul valore simbolico del “Banchetto.”  Ma i santi sono sempre stati, nella storia della Chiesa, esempi concreti di vita vissuta; di quella vita si possono ignorare i particolari, si può persino ignorare il nome del santo, e dargli un nome fittizio, ma non si ignora il fatto essenziale: che quel santo diede la vita per Cristo. I martirologi più antichi la vedevano così: narravano tutti le gesta, cioè i fatti, dei martiri. E la sostituzione di figure poetiche nella LG alla presenza viva e reale di un santo avviene alla faccia della pastorale, perché i fedeli vogliono un santo vivo e vero al quale rivolgersi nelle loro necessità.

Anche nel culto dei santi ci furono abusi; se ne occupa la LG (VII,51a) e se n’era occupato il Concilio di Trento nel 1563 (Denzinger 1825; 988). Ma fra i documenti dei due concili vi sono notevoli differenze. Il Tridentino aveva riaffermato la validità degli atti esteriori di culto  purché essi rispecchino le disposizioni interiori ed aveva disposto che i prelati preposti alla cura d’anime istruissero i fedeli in proposito (Denzinger 984; 1821), mentre LG VII,51(a) afferma senz’altro che la devozione non consiste nella molteplicità di atti esteriori, ma nell’”intensità del nostro amore fattivo” (intensitas amoris nostri actuosi); e quando tratta del rapporto tra i santi ed i fedeli, cioè la comunione dei santi, LG VII,50(b) non fa parola della Chiesa se non in modo estremamente indiretto, attraverso una nota che rimanda al Vaticano I (nota 12). Il canone del Vaticano I citato nella nota 12 non tratta specificamente del culto dei santi, ma della natura della Chiesa, ed in quel contesto afferma che la Chiesa è maestra di santità (Denzinger 1794; 3013). Da ciò si può e si deve dedurre che la santità fiorisce nella Chiesa; ma questa verità, che dovrebbe essere offerta ai fedeli fino a diventare il loro pane quotidiano, non è affermata esplicitamente ma rintuzzata in una nota che a prima vista appare fuori tema – poiché il discorso di LG VII,50(b) è sul rapporto tra santi e fedeli, ma della Chiesa non si parla. In tale discorso si minimizza la presenza della Chiesa, mai citata come istituzione, e non si accenna neppure al dovere di istruire i fedeli nella devozione ai santi; ma la Chiesa è la sola che può e deve regolare il culto dei santi, prevenendo o limitando abusi.  Quando tale presenza istituzionale non c’è  e ci si limita ad una generica e non vincolante esortazione ai singoli vescovi perché rimedino ad abusi peraltro non definiti, avviene precisamente quel che è avvenuto: ciascuno fa a modo suo, e con il pretesto di eliminare gli abusi si sono di fatto eliminate quelle stesse devozioni ai santi che il Tridentino aveva caldamente approvato. Ne è risultata in molti, troppi casi, la fuga dei santi.

La riduzione di tutto il culto dei santi alle disposizioni interiori è – proprio dal punto di vista pastorale, cioè della cura d’anime, che dovrebbe essere il piatto forte del CVII – profondamente errata.

È errato il malcelato disprezzo per la cosiddetta “pietà popolare.” Ai tempi del concilio più di mezzo secolo di critica bollandista aveva lasciato il segno, e si diffidava di ogni forma del culto dei santi che non poggiasse su solide basi scientifiche o ritenute tali. Alla base di un tale atteggiamento c’era un equivoco: il ritenere che la conoscenza dei dati storici su di un santo equivalga alla fede in Dio manifestata attraverso il culto reso a quello stesso santo. Ma non occorre aver a disposizione dati scientifici inappuntabili per credere nell’intercessione dei santi; basta sapere che un santo c’è, e che per volontà di Dio intercede per noi; e, poiché siamo creature umane e non puri spiriti, la fede in Dio e nei santi trova manifestazione in espressioni esteriori. In un saggio pubblicato in Florilegium nel 1982, quando imperversavano le stroncature della “pietà popolare” vista come superstizione e contrapposta alla sofisticata pietà degli intellettuali, Leonard Boyle ebbe a dire questo: “Alla lunga, tutte queste espressioni [di pietà] non sono altro che flebili tentativi di fissare, in termini umani ed a vari livelli, la comune fede in Dio ed il rapporto di Dio con l’uomo ed il creato, sia che tali espressioni siano quelle di Anselmo nel suo Proslogion o quelle di un trovatore che strimpella sul suo strumento le lodi di Maria.” O come si espresse lapidariamente Brunero Gherardini a proposito di devozioni popolari e pietà intellettuale: “La sostanza è la stessa.”

Questa sostanza è la fede: il porsi di fronte a un Dio che supera infinitamente la nostra capacità di comprenderlo. Che ci si affidi alla medaglia di S. Antonio od alla consumata perfezione letteraria del Cantico spirituale, la distanza tra le nostre espressioni umane e la realtà di Dio resta incolmabile ed il ponte resta la fede, che è dono soprannaturale di Dio e virtù teologale. In questa luce la più sublime espressione di fede è inadeguata e di grana grossa: tutta paglia, come disse S. Tommaso dei suoi scritti.

Ora, proprio il rapporto tra culto dei santi e fede, che è il fulcro di tale culto, non viene affermato in LG. Oibò, non che lo si neghi; ma non se ne parla. Si dice invece (LG VII,50c) che “ogni genuina testimonianza d’amore da noi resa ai celesti per sua stessa natura tende e termina in Cristo” (omne enim genuinum amoris testimonium coelitibus a nobis exhibitum suapte natura tendit ac terminatur ad Christum) e più avanti contrappone agli atti di devozione ai santi “l’intensità dell’amore fattivo” (intensitas amoris nostri actuosi), LG VII,51(a). Non spiega però – e proprio in base a criteri pastorali, lo sforzo cioè di rendere la buona novella accessibile a tutti, queste cose bisognerebbe spiegarle – quando una testimonianza d’amore è genuina, e neppure quando l’amor actuosus è efficace. Sono cose lapalissiane, su cui però casca di botto l’asinello conciliare: nella comunione dei santi non c’è amore fattivo o genuino che non sia radicato nella carità, che – come la fede – è un dono, una virtù soprannaturale dataci nel battesimo con la grazia santificante. Senza queste virtù, intenso o no, l’amore sarà al più filantropia o un sentimento di compassione verso il prossimo.  

L’unica reale contrapposizione è quella fra le devozioni esteriori prive di fede, anche dette superstizioni, e quelle motivate dalla fede; o tra un’attività motivata dall’amor di Dio ed una dettata da semplici sentimenti di compassione; la contrapposizione, insomma, tra la natura umana e l’ordine soprannaturale che Cristo ci ha messo aportata di mano. La LG non nega tale ordine, ma neppure ne fa motto. Ma noi siamo semplici laici che hanno bisogno di sentirsi dire le cose in termini semplici. Si può e si deve farlo; cinquant’anni dopo, sarebbe un passo verso la tanto autorevolmente auspicata ermeneutica della continuità.  
(di Luciana Cuppo)

mercoledì 18 giugno 2014

Sia forte quel popolo che vuole battersi per la vita e la verità

Nell'articolo che riporto di seguito Danilo Quinto ci ricorda che la beatificazione di Paolo VI è la quadratura del cerchio. E sviluppa una riflessione che richiama la lettura veritativa di Benedetto XVI e anche di chi ama la Tradizione contro il relativismo morale e religioso.

Con l’annunciata beatificazione di Paolo VI, prevista il prossimo 19 ottobre – che segue le canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II - si chiude, per così dire, un cerchio. La Chiesa conciliare sembra conquistare tutto il campo e si compie quello che proprio Paolo VI delineò con il discorso di apertura della Seconda Sessione del Concilio Vaticano II, il 29 settembre 1963: «Sappia con certezza il mondo che è visto amorevolmente dalla Chiesa, che nutre per esso una sincera ammirazione ed è mossa dallo schietto proposito non di dominarlo, ma di servirlo, non di disprezzarlo, ma di accrescerne la dignità, non di condannarlo, ma di offrirgli conforto e salvezza. Se alcuna colpa fosse a noi imputabile per tale separazione, noi ne chiediamo a Dio umilmente perdono e domandiamo venia altresì ai Fratelli che si sentissero da noi offesi». Quel mondo al quale ci si rivolgeva viveva una crisi drammatica, senza precedenti. La modernità avanzava e imponeva i suoi dogmi, senza trovare più ostacoli. Non si volle intervenire per proclamare e indicare a quella modernità i principi della Verità e della Libertà. Si scelse consapevolmente di prostrarsi davanti ad essa. Servilmente.

martedì 17 giugno 2014

Sante Messe “tridentine” presso la Cattolica di Milano

Auguriamo, pregando, ai nostri amici una ripresa ulteriore delle celebrazioni per il nuovo Anno accademico.

...Nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, d’incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia”.
(Benedetto XVI, Lettera ai vescovi per presentare il «Motu proprio» sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970).
Volgono al termine, per quest’anno accademico, le celebrazioni della s. Messa "tridentina" presso l'Università Cattolica.
Le prossime celebrazioni avverranno:

Mercoledì 18 giugno, ore 17.45:
S. Messa nella memoria di s. Efrem il siro
Giovedì 19 giugno, ore 12.00:
S. Messa cantata nella Solennità del Corpus Domini
Cappella San Francesco
Primo piano, scala D

Celebrerà Don Konrad zu Löwenstein della Fraternità Sacerdotale San Pietro che dal 2009 assicura la celebrazione mensile della Santa Messa nella forma straordinaria del Rito Romano e con questa celebrazione ci lascerà, per dedicarsi a un nuovo apostolato. Siano dunque queste celebrazioni anche grato saluto di chi da anni ci accompagna e alimenta nella Fede.
Info: messatridentina.unicatt@gmail.com

lunedì 16 giugno 2014

L'ospedale, il dono della carità cristiana al mondo!

Dopo secoli di abitudine, si finisce per dare per scontato ciò che non lo è affatto. Sto parlando dell’istituzione ospedaliera, di cui tutti facciamo uso più volte nella vita. Ebbene, prima di Cristo l’ospedale non esisteva. O meglio: ve ne sono stati alcuni, sparsi qua e là, nel corso dei millenni. Sporadici, molto limitati nell’accoglienza, sovente a pagamento.

L’ospedale come luogo di ricovero, aperto a tutti, ricchi e poveri, e accessibile in ogni città, è nato da una nuova idea di Dio e di uomo. Quella cristiana. Come sempre infatti i dogmi religiosi non sono verità intellettuali astratte, che rimangono sospese per aria, ma hanno una ricaduta concreta nella vita di tutti i giorni.

Il valore del corpo

Cristo insegna all’uomo che Dio ha preso una carne: ciò redime la carne, tanto disprezzata dagli gnostici e dalle filosofie orientali. Mostra all’uomo che Dio ha scelto di soffrire: ciò redime il dolore, sovente visto solo e soltanto come maledizione e punizione personale. Dice all’uomo che è morto per tutti noi: ciò insegna l’uguaglianza tra gli uomini, sconosciuta a tutto il mondo antico. Cristo compatisce, guarisce, si prende cura: Carità infinita, infirmus et medicus nello stesso tempo come dicevano i medievali. Cristo insegna a prendersi cura dei più deboli. E ordina di fare altrettanto: «Euntes curate infirmos» (Luca 10,3-9)

Come ha scritto Gregorio di Skevra: «Ha avuto fame, Chi dà cibo a tutte le creature viventi; ha avuto sete, Chi ai suoi credenti dona l’acqua della Vita; ha sentito stanchezza, Chi è riposo degli affaticati; ha pianto, Chi asciugò ogni lacrima da tutti gli occhi».

domenica 15 giugno 2014

I nostri 'fratelli' (?) dell'(altro) Oriente?



Modera
MARCO POLITI
Giornalista

Interverranno
ALBERTO MELLONI
Università di Modena-Reggio Emilia

MARINELLA PERRONI
Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma

STEFANO BISI
Gran Maestro del
Grande Oriente d’Italia

Sarà presente
IGNAZIO INGRAO
Giornalista


Festa della Santissima Trinità. Simbolo Atanasiano

Oggi, nell'Ottava di Pentecoste, alla quale è unita da un misterioso legame, celebriamo la solennità che ha lo scopo di onorare il Dio unico in tre persone. Essa è venuta a prender posto nell'Anno liturgico, che si va completando nel corso del tempo.

Il simbolo atanasiano (Quicumque vult) è un simbolo della fede che prende questo nome perché attribuito dalla tradizione cristiana a sant'Atanasio (295-373), arcivescovo di Alessandria d'Egitto. È significativo soprattutto per la dottrina trinitaria, che esso esprime in maniera forte per combattere l'arianesimo.

Nella liturgia della Chiesa occidentale, prima della sostituzione del breviario, era recitato nell'ufficio domenicale di prima. Nel Rito Ambrosiano invece, viene usato come inno dell'Ufficio delle Letture, al posto del Te Deum, la Domenica della Santissima Trinità; mentre la Chiesa orientale non l'ha mai usato.

È stato tramandato in greco e in latino. La maggioranza dei critici ritiene che sia stato scritto originariamente in latino e non in greco; e non nel IV secolo, ma almeno un secolo più tardi. La teologia che ne traspare è molto vicina a quella di sant'Ambrogio da Milano.

Quicúmque vult salvus esse,  * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, *
absque dúbio in aetérnum períbit.

Fides autem cathólica haec est: *
ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, *
neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, alia Fílii, *
alia Spíritus Sancti:

Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, *
aequális glória, coaetérna maiéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, *
talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, *
increátus Spíritus Sanctus.
Immènsus Pater, imménsus Fílius, *
imménsus Spíritus Sanctus.
Aetérnus Pater, aetérnus Fílius, *
aetérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres aetérni, *
sed unus aetérnus.

Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, *
sed unus increátus, et unus imménsus.

Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, *
omnípotens Spíritus Sanctus.

Et tamen non tres omnipoténtes, *
sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, *
Deus Spíritus Sanctus.

Et tamen non tres dii, *
sed unus est Deus.

Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, *
Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, *
sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: *
ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: *
nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est:*
non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: *
non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.

Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: *
unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus: *
sed totae tres persónae coaetèrnae sibi sunt et coaequáles.
Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est, *
et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, *
ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad aetérnam salútem, *
ut incarnatiónem quoque Dómini nostri Iesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, *
quia Dóminus noster Iesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.

Deus est ex substántia Patris ante saécula génitus: *
et homo est ex substántia matris in saéculo natus.


Perféctus Deus, perféctus homo: *
ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Aequális Patri secúndum divinitátem: *
minor Patre secúndum humanitátem.
Qui, licet Deus sit et homo, *
non duo tamen, sed unus est Christus.

Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, *
sed assumptióne humanitátis in Deum.

Unus omníno, non confusióne substántiae, *
sed unitáte persónae.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo:
ita Deus et homo unus est Christus.

Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: *
tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad coélos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: *
inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.
Ad cuius advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis: *
et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam aetérnam: *
qui vero mala, in ígnem aetérnum.


Haec est fides cathólica, *
quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.
Amen.
Chiunque voglia salvarsi, * deve anzitutto possedere la fede cattolica:
Colui che non la conserva integra ed inviolata *
perirà senza dubbio in eterno.

La fede cattolica è questa: *
che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità.
Senza confondere le persone, *
e senza separare la sostanza.
Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio, *
ed altra quella dello Spirito Santo.

Ma Padre, Figlio e Spirito Santo sono una sola divinità, *
con uguale gloria e coeterna maestà.
Quale è il Padre, tale è il Figlio, *
tale lo Spirito Santo.
Increato il Padre, increato il Figlio, *
increato lo Spirito Santo.
Immenso il Padre, immenso il Figlio, *
immenso lo Spirito Santo.
Eterno il Padre, eterno il Figlio, *
eterno lo Spirito Santo
E tuttavia non vi sono tre eterni, *
ma un solo eterno.

Come pure non vi sono tre increati, né tre immensi, *
ma un solo increato e un solo immenso.
Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, *
onnipotente lo Spirito Santo.

E tuttavia non vi sono tre onnipotenti, *
ma un solo onnipotente.

Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, *
lo Spirito Santo è Dio.

E tuttavia non vi sono tre dei, *
ma un solo Dio.
Signore è il Padre, Signore è il Figlio, *
Signore è lo Spirito Santo.
E tuttavia non vi sono tre Signori, *
ma un solo Signore.
Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore: *
così la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori.
Il Padre non è stato fatto da alcuno: *
né creato, né generato.

Il Figlio è dal solo Padre: *
non fatto, né creato, ma generato.
Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio: *
non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente.

Vi è dunque un solo Padre, non tre Padri: un solo Figlio, non tre Figli: *
un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi.
E in questa Trinità non v'è nulla che sia prima o dopo, nulla di maggiore o minore: *
ma tutte e tre le persone sono l'una all'altra coeterne e coeguali.
Cosicché in tutto, come già detto prima, *
va venerata l'unità nella Trinità e la Trinità nell'unità.

Chi dunque vuole salvarsi, *
pensi in tal modo della Trinità.
Ma per l'eterna salvezza è necessario, *
credere fedelmente anche all'Incarnazione del Signore nostro Gesù Cristo.
La retta fede vuole, infatti, che crediamo e confessiamo, *
che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo.

È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall'eternità: *
è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre.
Perfetto Dio, perfetto uomo: *
sussistente dall'anima razionale e dalla carne umana.
Uguale al Padre secondo la divinità:*
inferiore al Padre secondo l'umanità.
E tuttavia, benché sia Dio e uomo, *
non è duplice ma è un solo Cristo.

Uno solo, non per conversione della divinità in carne, *
ma per assunzione dell'umanità in Dio.
Totalmente uno, non per confusione di sostanze, * ma per l'unità della persona.
Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo, *
così Dio e uomo sono un solo Cristo.

Che patì per la nostra salvezza: discese agli inferi: *
il terzo giorno è risuscitato dai morti.
È salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: *
e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti.
Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere con i loro corpi: *
e dovranno rendere conto delle proprie azioni.
Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna: *
coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno.

Questa è la fede cattolica, *
e non potrà essere salvo se non colui che l'abbraccerà fedelmente e fermamente.
Amen.

Attività editoriale del Papa emerito: su un quotidiano svizzero. Ma è un discorso di quando era cardinale

È uscito sul sito del Giornale del Popolo - quotidiano della Svizzera italiana [qui] l'editoriale firmato Joseph Ratzinger, mi segnalano già di recente edito sulla versione cartacea dello stesso. Lo riprendo di seguito.
Si tratta di un fatto curioso, perché sembrerebbe che il papa emerito si occupi anche si scrivere articoli perfino per giornali di periferia. Sempre che, naturalmente, il medesimo articolo non sia apparso anche su altri mass-media, cosa che finora non risulta. In realtà è stato ripreso un discorso di quando era cardinale, ma andrebbero citate le fonti, altrimenti restano ferme le osservazioni che seguono. Inoltre fatti del genere possono contribuire a tratteggiare in modo più preciso il nuovo ruolo di Benedetto XVI, configurandone una presenza attiva. In casi come questo, suo malgrado. Comunque il suo ruolo, da puramente contemplativo, ha già mostrato evidenze pubbliche: l'inaugurazione del monumento in Vaticano [qui]; il Concistoro del febbraio scorso [qui]; la concelebrazione nelle canonizzazioni (vedi immagine a lato); ricordiamo anche la lettera ad Odifreddi [qui].
Non parla dal soglio di Pietro, parla da uomo saggio. Due le parole chiave del suo testo: ragione e solidarietà nella condivisione di valori "che vanno al di là delle singole confessioni cristiane perché comuni a tutte". È vero che le uniche forze che possono sanare l’Europa e il mondo sono dove si fa entrare Dio nel mondo. E tuttavia la cosiddetta riconciliazione dell'Europa non sta avvenendo intorno alle sue Radici cristiane peraltro drammaticamente rifiutate.
Non fa una piega neppure la rilettura dei dieci comandamenti alla luce del messaggio cristiano e la necessità dell'affermazione del diritto. Solo che il Signore non ci ha insegnato una 'rilettura' dei dieci comandamenti secondo una nuova versione; ma è Lui che ha scritto e continua a scrivere nei cuori di chi Lo accoglie la vis trasformante della Legge, che da orientamento è diventata grazia e verità, effetto di un compimento unico e insostituibile: stat Crux dum volvitur orbis.

D-Day, Ratzinger: "Voi cosa fate per la pace?"
Joseph Ratzinger*

Questa è l’ora in cui ci mettiamo in ginocchio pieni di rispetto davanti ai morti della seconda guerra mondiale ripensando ai moltissimi giovani della nostra patria, al loro futuro e alle loro speranze che sono andate distrutte nel sanguinoso massacro della guerra. E come tedeschi ci tocca con dolore il fatto che il loro slancio ideale e la loro lealtà nei confronti dello Stato siano stati strumentalizzati da un regime ingiusto. Ma questo non macchia l’onore di questi giovani, nella cui coscienza soltanto Dio ha potuto guardare. Ognuno di loro sta davanti a Dio come singolo, con il cammino della sua vita e con la sua morte; ognuno sta davanti a quel Dio nella cui bontà misericordiosa noi sappiamo che sono custoditi tutti i nostri morti.