Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 2 gennaio 2016

Il primato del Romano Pontefice, del Concilio imperfetto o dei Vescovi legati alla Tradizione?

IL PRIMATO DEL ROMANO PONTEFICE, DEL CONCILIO IMPERFETTO
O DEI VESCOVI LEGATI ALLA TRADIZIONE?
La dottrina del cardinal Gaetano
di don Curzio Nitoglia

La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice

Nell’articolo precedente su il «Primato del Papa, Collegialità o sola Traditio? “Quando un cieco guida un altro cieco”: un pericolo sempre in agguato» [qui] ho affrontato il problema in generale e alla luce della teologia tradizionale. Nel presente articolo lo affronto alla luce dell’insegnamento del cardinal Tommaso de Vio, detto Gaetano, riassunto mirabilmente da don Vittorio Mondello (ora arcivescovo emerito di Reggio Calabria) nella sua Tesi di Dottorato in Teologia, discussa il 2 luglio del 1963 alla Pontificia Università Gregoriana con il titolo La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice e poi stampata sotto forma di libro col medesimo titolo in, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965.

Conciliarismo e conciliaristi antenati del luteranesimo

Molti conciliaristi “erano spinti da amore sincero verso la Chiesa, la cui esistenza sino alla fine dei secoli ed il cui infallibile insegnamento vedevano compromesso dalla possibilità di un Papa poco capace di svolgere correttamente la sua funzione”[1].
Con Filippo il Bello sotto il pontificato di Bonifacio VIII[2] ci si è rivolti al Concilio o all’Episcopato per risolvere il problema sorto tra l’imperatore e il Papa e ha dato luogo alla genesi delle teorie conciliariste o Episcopaliste, che ritengono l’Episcopato (riunito in Concilio o sparso nel mondo) superiore al Papa[3].

Spesso, come si vede, nei tempi di crisi nella Chiesa, a causa di un Papa che non è ritenuto all’altezza del suo compito o per altri motivi, si pensa di risolvere la soluzione appellandosi non più al Papa ma al Concilio o all’Episcopato ritenuti superiori al Papa.

Non c’è Chiesa senza Papa, però - per i conciliaristi - non è necessaria una persona fisica, reale, vivente in atto. L’unico Capo inamovibile, realmente e fisicamente necessario in atto, della Chiesa è Gesù Cristo[4].

La tesi dei conciliaristi, episcopalisti o gallicani è quello di convocare un Concilio o di ricorrere ai Cardinali e ai Vescovi sparsi nelle loro diocesi per rimettere la Chiesa in ordine.
Molti conciliaristi erano spinti da amore sincero verso la Chiesa, la cui esistenza sino alla fine dei secoli ed il cui infallibile insegnamento vedevano compromesso dalla possibilità di un Papa poco capace di svolgere correttamente la sua funzione. Tuttavia per restaurare la Chiesa ne cambiavano la divina istituzione e da monarchica la rendevano democratica o aristocratica[5].

S. Agostino e il primato di Pietro

S. Agostino d’Ippona, che compendia e sublima il pensiero della Patristica greca e latina sulla Chiesa[6], di fronte al pericolo di frantumazione che correva la Chiesa nel suo tempo (donatismo e pelagianesimo) riuscì a risolvere il problema ecclesiologico tornando alla dottrina della Tradizione apostolica sul Primato di Pietro e mostrando come gli errori e le divisioni contemporanei non minano l’unità della Chiesa garantita dalla solidità della Pietra su cui Cristo l’ha fondata.

Secondo l’Ipponate la prima Sede è un elemento costitutivo essenziale della Chiesa. Il Papa assicura la vita, l’unità, l’apostolicità e la cattolicità della Chiesa, che è stata voluta e fondata da Cristo su Pietro e i suoi successori sino alla fine del mondo. Su Pietro la Chiesa trova la roccia su cui si fonda e che non la fa crollare[7]. Quindi coloro che non riconoscono in Pietro e nei Papi la roccia inespugnabile non riconoscono la Chiesa[8]. L’Ipponate prosegue: “Petrus petra, petra Ecclesia”[9]; insomma la Chiesa ha per fondamento Pietro, che è il Vicario di Cristo su questa terra. Gesù è il capo principale e invisibile mentre Pietro è il Capo secondario, subordinato e visibile della Chiesa. Quindi, Pietro, anche se roccia subordinata a Cristo e suo prolungamento storico su questa terra, nella catena ininterrotta di suoi successori impersona e sintetizza la Chiesa. Perciò “ubi Petrus, ibi Ecclesia” e “sine Petro, nulla Ecclesia”. Sempre S. Agostino scrive: “Ergo in Petri nomine figurata est Ecclesia”[10] e ancora: “Sic Petrus ab hac petra appellatus, personam Ecclesiae figuraret”[11]. Ma, come spiega S. Paolo “Petra autem erat Christus” (1 Cor., X, 4). Quindi la Pietra, che secondariamente è Pietro, principalmente è Cristo. S. Agostino, con uno dei suoi giochi di parole, spiega: «Non dictum est illi “Tu es petra”, sed “Tu es Petrus”. Petra autem erat Christus; quem confessus Simon, dictus est Petrus».

La Tradizione patristica, compendiata da S. Agostino, è la base (assieme alla Scrittura e al Magistero) su cui poggia la dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, che si trovò a vivere in tempi (Grande Scisma d’Occidente e Conciliarismo) in cui la Chiesa correva il pericolo di frantumazione. Egli (come l’Ipponate di fronte al Donatismo e al Pelagianesimo) riuscì a risolvere il problema ecclesiologico tornando alla dottrina della Tradizione apostolica sul Primato di Pietro e mostrando come gli errori e le divisioni contemporanei non minano mai l’unità della Chiesa, che è garantita dalla solidità della Pietra su cui Cristo l’ha fondata.

I Dottori della prima e della seconda Scolastica

In breve le necessità del tempo (Filippo il Bello, grande scisma d’occidente) spingono a dichiarare la superiorità del Concilio o dell’Episcopato sul Papa per ovviare al disordine creatosi nell’ambiente ecclesiale[12]. Tuttavia molti autori in ogni epoca (S. Tommaso d’Aquino e S. Bonaventura da Bagnoregio nella prima Scolastica medievale; i domenicani S. Antonino da Firenze, Giovanni di Torquemada, Gaetano, Ferrarense, Soto, Cano, Vitoria, e i gesuiti S. Roberto Bellarmino, Suarez nella seconda scolastica controriformistica[13]) hanno lottato per la riaffermazione della retta dottrina del primato del Papa sino alla definizione del Concilio Vaticano I, che ha tagliato la testa al toro ed ha segnato il trionfo definitivo della teologia e ecclesiologia romana (i gesuiti Franzelin, Billot, Passaglia, Mazzella, Palmieri, Zapelena).

I due campioni ecclesiologici della seconda Scolastica: Torquemada e Gaetano

Il Torquemada asserisce che come vi è una sola Chiesa, così vi è una sola origine del potere ecclesiastico e questi è il Papa (Summa de Ecclesia, Venezia, 1561, lib. II, cap. 17, fol. 130 ss. ). Tuttavia il Papa non è al di sopra di ogni legge, egli deve conservare, trasmettere e insegnare la Fede e la Morale rivelata e non inventarne una nuova (Summa…, lib. II, cap. 102, fol. 241). Ma il Torquemada fa notare che mettere il Concilio sopra il Papa è molto vicino alla teoria di coloro che ritengono il Papa inferiore al Concilio solo in caso di eresia[14] (Summa…, ; l. II, c. 48, f. 162; l. IV, c. 18-20, f. 390 ss.).

Dalle teorie conciliariste derivano tutti gli altri errori ancor più radicali che hanno portato alla rivolta di Lutero contro il quale si cimentò il Gaetano, ma invano.

Secondo don Vittorio Mondello La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice (Arti Grafiche di Sicilia, Messina, 1965), il Gaetano è il maggiore ecclesiologo che riprende, approfondisce e sorpassa la dottrina di Torquemada con i suoi lavori (Tractatus de Comparatione Auctoritatis Papae et Concilii, Roma, 12-X-1511, ediz. Pollet, Roma, Collegio Angelicum, 1936; Id., De Divina Institutione Pontificatus Romani Pontificis, Roma 18-II-1521, ed. Fr. Lauchert, in “Corpus Catholicorum”, 10, Munster, Aschendorff, 1925).

Nel De Comparatione[15], definito “un libro classico che resterà sempre come modello perfetto di apologetica cattolica” (A. Cossio, Il cardinale Gaetano e la Riforma, Cividale, 1902, p. XXXIV, nota 5) o “un aureo libretto” (V. Mondello, cit., p. 80), il Cajetanus confuta non solo il Conciliarismo radicale, che sostiene la superiorità assoluta o per sé del Concilio sul Romano Pontefice, ma anche il Conciliarismo mitigato, che sostiene la superiorità dell’Episcopato sul Papa solo eccezionalmente, ossia in caso di eresia del Papa. Infatti, secondo il Gaetano, il Papa nella Chiesa resta sempre (anche in situazioni di estrema gravità) il Capo supremo e il detentore di un potere veramente monarchico.

Gaetano: rapporto tra Pietro e gli Apostoli per capire meglio quello tra il Papa e i Vescovi

Tommaso de Vio (detto Gaetano) dimostra tale asserto facendo un paragone, su cui ritornerò in appresso più dettagliatamente, tra il potere di Pietro e degli Apostoli e quello del Papa e dei Vescovi:
  1. Pietro ha ricevuto il supremo potere ex officio o per la sua natura e per via ordinaria e quindi trasmissibile ai suoi successori i Papi; mentre gli Apostoli lo hanno ricevuto solo ex speciali gratia, ossia per la situazione particolare in cui si trovavano a vivere, cioè all’inizio della Chiesa cattolica. Esso è stato dato solo a loro e non è trasmissibile ai loro successori i Vescovi;
  2. Pietro è Vicario immediato e diretto di Cristo da Lui nominato e investito di tale potere; gli Apostoli sono solo legati, inviati, ambasciatori di Cristo e solo in maniera impropria o in senso largo possono essere chiamati “Vicari”[16];
  3. Pietro ha giurisdizione sugli altri Apostoli; mentre essi non ce l’hanno vicendevolmente su/tra di loro (“supra se invicem”).
Quindi il Papa come successore di Pietro e Vicario di Cristo ottiene il suo potere direttamente da Cristo e non dalla Chiesa ossia dal Concilio imperfetto, dall’Episcopato disperso nel mondo o tanto meno dai fedeli. Cristo ha fatto della Chiesa una Monarchia assoluta, che non può essere trasformata in Monarchia costituzionale come ha fatto la dottrina della Collegialità episcopale del Concilio Vaticano II.

Il Papa eretico?

Perciò secondo il Gaetano (Apologia de Comparata Auctoritate Papae et Concilii, Roma, Angelicum ed. Pollet, 1936, p. 112 ss.) il rimedio ad un male così grande e di ordine spirituale come “un Papa criminale”[18] e la crisi nella Chiesa in tempi di caos (v. grande scisma di occidente) è la preghiera e il ricorso all’onnipotente assistenza divina su Pietro che Gesù ha promesso solennemente.

Gaetano cita l’Angelico (De regimine principum, lib. I, cap. V-VI) in cui il Dottore Comune insegna che normalmente i più propensi a rivoltarsi contro il tiranno temporale sono i “discoli”, mentre le persone giudiziose riescono a pazientare fin che è possibile e solo come extrema ratio ricorrono alla rivolta. Quindi ne conclude che se occorre aver molta pazienza con il tiranno temporale e solo eccezionalmente si può ricorrere alla rivolta armata e al tirannicidio, nel caso del Papa indegno o “criminale” equiparabile a un “tiranno spirituale”[19], non solo non è mai lecito il “papicidio” e la rivolta armata, ma neppure la sua deposizione da parte del Concilio.

La promessa del primato

Nel suo secondo Trattato di ecclesiologia (De Divina Institutione Pontificatus Romani Pontificis, pubblicato dal dr. Fréderérich Lauchert, in Corpus Catholicorum, fasc. 10, Munster, ed. Aschendorff, 1925), ritenuto il miglior trattato ecclesiologico della seconda scolastica, il Gaetano dimostra il primato di giurisdizione del Papa basandosi sui due versi del Vangelo, riguardo la promessa del primato e il suo conferimento, contenenti le parole di Gesù: “Tu es Petrus” (Mt., XVIII, 18) e “Pasce oves meas” (Gv., XXI, 15) asserendo che esse son state dette da Gesù al solo Pietro e non a tutti gli Apostoli e quindi solo Pietro e i suoi successori hanno il primato di giurisdizione, come vedremo meglio in appresso.

Ora “pascere” vuol dire la potestà del pastore nel governare il suo gregge, non significa solo nutrire (come voleva Lutero[20]), ma indica la sottomissione delle pecore al pastore. Per di più Gaetano, rifacendosi a S. Ambrogio (In Lucam, I, 10, n.176) precisa che “pecore” (nel testo greco dei Settanta “eletti”) rappresentano i Vescovi (“eletti”[21] = chierici, che sono scelti o eletti da Dio per sacra vocazione), mentre gli “agnelli” sono i laici (senza sacra vocazione) o il popolo fedele (De Divina Institutione, cit., ed. Lauchert, 1925, p. 540) e quindi specifica che la ripetizione per due volte di “oves” andrebbe tradotta o compresa meglio con 
  1. oves/pecore” Apostoli/Vescovi;
  2. oviculas/pecorelle”, preti/chierici;
  3. agnos /agnelli” i semplici fedeli laici (v. De Comparatione…, cit. ed. Pollet 1936, cap. III, p. 19, nota 14).
Quindi il Papa è supremo Pastore non solo dei fedeli (agnos) e dei preti (oviculas), ma anche dei Vescovi (oves).
Il Papa soltanto (come successore di Pietro) è in senso stretto Vicario di Cristo, gli Apostoli lo sono solo in senso lato e improprio, è meglio chiamarli “inviati/missi” da Cristo[22]. Anche S. Tommaso d’Aquino (Summa contra Gentes, lib. IV, cap. 76) aveva sostenuto la medesima tesi. Il Gaetano dogmaticamente scevra la dottrina tommasiana e poi dà una acuta interpretazione esegetica dei passi evangelici su questo problema.
De Vio, da una parte, distingue Matteo XVIII, 18 da Giovanni XXI, 15 che compara a Matteo XVI, 18; poi, dall’altra parte, precisa che 
  1. le parole di Cristo son state dette al solo Pietro; 
  2. solo Pietro ha ricevuto da Cristo il sommo Pontificato su tutta la Chiesa; 
  3. questo sommo Pontificato universale è stato dato da Dio ai successori di Pietro[23].
Secondo Matteo (XVIII, 18) il primato è stato promesso solo a Pietro. Infatti Gesù ivi dice: “Io ti (a Pietro) dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la Mia Chiesa… A te (Pietro) darò le chiavi del Regno dei Cieli e ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei Cieli e ciò che tu scioglierai sulla terra sarà sciolto nei Cieli”.

I conciliaristi, i protestanti e i modernisti leggono il passaggio come se il primato sia stato promesso da Cristo a tutti gli Apostoli e non solo a Pietro. Infatti Pietro è l’immagine o il simbolo di coloro che ascoltano l’ispirazione di Dio e non è la persona fisica di Simone figlio di Giovanni. Quindi il primato è stato promesso a coloro che sono uditori della Parola di Dio e non a Pietro. Infatti subito dopo Gesù scaccia Pietro (“vade retro satana”) per indicare che egli è inferiore agli uditori della “Parola/Verbum”, ossia alla Chiesa spirituale. La Pietra rappresenta tutti i fedeli e non il solo Pietro, infatti subito dopo Pietro errò e rinnegò Cristo e Pietro rappresenta tutti gli Apostoli[24].

Il Gaetano (De Divina Institutione, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. IV, p. 11) li confuta assieme a Lutero dimostrando che le parole di Gesù sono rivolte esclusivamente a Pietro e che questi rispondendo a Cristo non rappresentava gli Apostoli, ma parlava a nome proprio per divina ispirazione.

È molto istruttiva l’esegesi che il Gaetano dà dei succitati passaggi. In primis egli spiega che mentre Matteo, XVIII, 18 parla di “chiavi che legano e sciolgono”, Matteo, XVI, 18 parla di chiavi che “aprono e chiudono” e collega specialmente quest’ultimo a Giovanni, XXI, 15 ove Gesù conferisce poi il primato promesso a Pietro in Matteo (XVIII, 18 e specialmente XVI, 18).

Infatti solo a Pietro son date le Chiavi del Regno dei Cieli ed inoltre il poter “aprire e chiudere” rappresentano l’azione totale delle Chiavi (Mt., XVI, 18), ossia il potere totale e la pienezza del potere che viene dato solo al Superiore che è Pietro; mentre agli Apostoli non vengono date le Chiavi del Regno dei Cieli, ma solo il poter “legare e sciogliere” (Mt., XVIII, 18), che rappresenta soltanto una parte minima ed inferiore del potere delle Chiavi del Regno dei Cieli (il potere giudiziario e non la potestà piena, suprema e assoluta), che viene data ai sudditi da Cristo tramite Pietro[25].

Louis Billot (De Ecclesia Christi, Roma, Gregoriana, 1903, tomo I, p. 538) riprende la distinzione del Gaetano e scrive che “in Matteo XVI, 19 vengono date a Pietro le Chiavi e il potere di usarle; mentre in Matteo XVIII, 18 viene dato agli Apostoli il solo uso di legare e sciogliere”. Mondello (cit., p. 92) nota che già Origene (Comm. in Evang. S. Matthei, XVI e XVIII) aveva fatto la distinzione tra “Chiavi” (potere) e “atti delle Chiavi” (uso del potere) e ne aveva dedotto l’autorità di Pietro sopra gli Apostoli. Come si vede la teoria gaetanista non è peregrina né originale, ma la si trova in nuce nella Tradizione Patristica e pienamente sviluppata alla luce della definizione infallibile del Concilio Vaticano I nella teologia della neo-Scolastica[26].

Inoltre se Gesù dice: “sei Beato Simone figlio di Giovanni” non poteva riferirsi a tutti gli Apostoli tra i quali vi era Giuda Iscariote che non può essere detto “Beato”. Secondo Pietro non poteva rispondere per tutti poiché il primato ancora non era stato promesso. Quindi resta la unica spiegazione che solo Pietro ha ricevuto la promessa e poi il conferimento del Primato[27].

Vittorio Mondello commenta: “La promessa di Cristo è fatta esclusivamente a Pietro, quindi, il supremo Potere è promesso solo a Pietro e a lui solo sarà poi conferito e, dopo di lui, ai suoi successori, i romani Pontefici”[28].

Il conferimento del primato

Solo a Pietro il primato è stato dato direttamente da Gesù. Il de Vio si basa sull’esegesi di Giovanni (XXI, 15 ss.) per dimostrarlo, con l’apporto della Tradizione patristica del Magistero e della ragione teologica.

«Dopo aver pranzato Gesù dice a Simon Pietro: “Simone figlio di Giovanni, mi ami più di questi (Apostoli)?”. Pietro gli risponde: “sì Signore, lo sai che Ti amo”. Gesù gli dice: “pasci i miei agnelli”. Cristo dice una seconda volta a Pietro… : “pasci i miei agnelli/[pecorelle]”…. Gesù gli dice per la terza volta… : “pasci le mie pecore”» (Gv., XXI, 15-19).

Innanzitutto il Gaetano confuta l’obiezione conciliarista e luterana secondo cui il compito di pascere o governare il gregge (fedeli e Apostoli/Vescovi) non è affidato alla persona fisica di Pietro/Papa, ma al carisma o alla qualità della persona di Pietro, che aveva confessato tre volte la virtù di carità. Di modo che se Pietro/Papa manca di questa virtù, carisma o qualità soprannaturale egli perde il primato e l’esse cum o l’esser Vicario di Cristo. Il cardinale di Gaeta cita le autorità dei Padri latini[30] e greci[31] e dei Dottori scolastici[32], che secondo Melchior Cano (De locis theologicis, Venezia, Bassani, 1776, II ed., Roma, ed. Cucchi, 1900, 3 voll.) sono un luogo teologico e la loro unanimità morale in materia di fede e morale è segno di dottrina certamente vera e non fallibile.

Gaetano nota che solo Pietro viene chiamato col suo nome e cognome o nome del padre (Simone di Giovanni), gli altri Apostoli no; Pietro è distinto esplicitamente da Cristo da tutti gli altri Apostoli quando gli chiede: “Pietro Mi ami più di questi altri?/ diligis Me plus his?”; solo Pietro si rattrista per la triplice ripetizione della domanda che era rivolta, quindi, solo a lui (De Divina Institutione…, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. VIII, p. 53 ss.).

Poi il Gaetano distingue in Pietro:
  1. la persona fisica;
  2. la sua qualità o la virtù;
  3. l’ufficio di Vicario di Cristo;
  4. il buon uso dell’ufficio[33].
Ora il primato è stato dato alla persona fisica di Pietro/Papa; il buon uso del potere gli appartiene in quanto ama Cristo più degli altri Apostoli. Ma “se in Pietro viene a mancare la qualità o la virtù, egli non userà più rettamente del potere datogli da Cristo, ma nello stesso tempo non lo perderà”[34].

Quest’ultimo asserto cozza direttamente contro il Conciliarismo mitigato, che ammetteva la perdita del Pontificato da parte di un Papa eretico o addirittura peccatore o inadempiente[35]. Quest’errore oggi è tornato in auge soprattutto con la teoria del sedevacantismo totale, che è un derivato del Conciliarismo. “Contro il fatto non vale l’argomento”.

Il rapporto tra Pietro e gli Apostoli

Il Gaetano, in primis, distingue gli Apostoli in quantum Apostoli e in quantum oves Christi e dice che non tutti i Dodici Apostoli (in quantum Apostoli) hanno avuto immediatamente da Cristo un potere eguale, ma solo Pietro ha ricevuto da Cristo il supremo potere su tutta la Chiesa come suo Capo.

In secundis il Cajetanus (De Divina Institutione, ed. Lauchert, 1925, cap. XIII, p. 73) distingue Petrus ut Apostolus e Petrus ut Pastor e spiega che Pietro/[Papa] come Apostolo è un testimone della vita di Cristo come tutti gli altri undici Apostoli, ma Pietro come Pastore è il Capo del gregge e dell’ovile, ossia della Chiesa sia quanto alle oves/pecore (undici Apostoli/Vescovi), sia quanto alle ovinculas/pecorelle (sacerdoti), sia quanto agli agnelli/agnos (semplici fedeli laici).

Certamente da Cristo il potere di giurisdizione è passato, direttamente e immediatamente, anche agli altri Apostoli (mentre sui Vescovi viene dal Papa e solo sulle loro singole diocesi non su tutta la Chiesa). Tuttavia sugli Apostoli Pietro ha un potere supremo di giurisdizione essendo il “Principe” e il “Pastore” degli Apostoli che, quindi, sono le “pecore” di Pietro in quanto Gesù gli ha detto “pasce oves meas” per cui da Pietro come Pastore, Capo e Principe procede l’autorità come la vita dal Capo si diffonde in tutto il corpo umano[36]. Quindi in quanto Apostoli i Dodici sono eguali (potere di Ordine e di giurisdizione), ma in quanto Pastore/[pecore] Pietro è il Capo e gli altri sono a lui soggetti.

Se il Gaetano si serve della distinzione succitata tra Apostoli e Pastore/pecore poi ritorna sulla questione (data la sua gravità) e l’approfondisce. Infatti tutti gli Apostoli hanno ricevuto immediatamente da Cristo il potere di giurisdizione su tutta la Chiesa. Tuttavia il Cajetanus suddistingue il potere di giurisdizione che i Dodici hanno ricevuto in maniera eguale e diretta da Cristo su tutta la Chiesa in: 
  1. giurisdizione “per via ordinaria”, e, in
  2. giurisdizione “per grazia speciale”.
Dunque risponde che per via ordinaria da osservarsi per sempre la Chiesa è una Monarchia con il Papa a Capo, ma per grazia speciale e solo per un certo tempo Cristo ha dato la giurisdizione su tutta la Chiesa e direttamente a tutti e Dodici gli Apostoli mediante una deroga eccezionale alla legge ordinaria e perpetua istituita da Cristo stesso (De Comparatione, cit., ed. Pollet, cap. III, p. 26, n. 30; p. 27, n. 34; p. 28, nn. 35-40).

Quindi Pietro ha ricevuto la giurisdizione per via ordinaria, gli Apostoli per via straordinaria o per grazia speciale. Pietro solo è Vicario di Cristo, gli altri Undici sono “missia Christo, delegati a continuare l’opera di Gesù. Perciò gli altri Apostoli non hanno potere giurisdizionale sopra se stessi ad invicem, ma solo sopra gli altri fedeli, invece Pietro ha potere sugli undici Apostoli. Infine il potere di Pietro durerà sino alla fine del mondo, quello degli Apostoli finisce con la loro morte[37]. La medesima dottrina è sostenuta da Francisco Suarez (Disp. X de Fide, Paris, Vivès, 1858, tomo XII, sez. 1, n. 12 ) e da S. Roberto Bellarmino (De Romano Pontifice, Milano, Battezzati, 1857, vol. I, lib. I, cap. 9)[38].

Occorre specificare che Giovanni di Torquemada (Summa de Ecclesia, Venezia, 1561, II, 54, fol. 169v – 171r) ritiene, per eccesso, che anche gli Apostoli, come i Vescovi, ricevono la giurisdizione da Cristo tramite Pietro (“non immediate a Christo, sed mediante Petro”). Pietro ha quindi una giurisdizione maggiore di quella degli altri undici Apostoli messi assieme. Egli ha ricevuto le Chiavi del Regno dei Cieli “prae omnibus et pro omnibus”, ossia prima e più di tutti gli altri Apostoli e per tutti gli Apostoli e i loro successori i Vescovi. “Il Torquemada nega che gli Apostoli abbiano immediatamente ricevuto da Cristo la loro missione e giurisdizione universale. A questo egli arrivò perché non afferrò la distinzione, che ha fatto poi Gaetano, fra la via ordinaria di trasmissione dei poteri e la via di prevenzione gratuita seguìta da Cristo per gli Apostoli ” (V. Mondello, cit., p. 107).

Il rapporto tra il Papa e i Vescovi

Dalla superiorità di Pietro sugli Apostoli ne segue a fortiori la superiorità del Papa sui Vescovi. Questa dottrina è fondata dal Gaetano sul fatto che il Papa è il legittimo successore di Pietro ed ottiene da Cristo direttamente tutti i poteri che Gesù conferì a Pietro. Ora siccome la Chiesa durerà sino alla fine del mondo mentre Pietro sarebbe dovuto morire, i suoi successori, cioè i Papi ottengono da Cristo i medesimi poteri che ottenne Pietro e li partecipano ai Vescovi sui quali hanno un primato di giurisdizione. “Pietro avrà perpetui successori nel suo ufficio di Pastore universale, gli Apostoli no” (Cajetanus, De Divina Institutione, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. XII, p. 70; Id. De Comparatione, cit., ed. Pollet, 1936, cap. III, p. 28, n. 39). Infatti i Vescovi succedono agli Apostoli, ma nominati dal Papa da cui ricevono il potere e non direttamente da Cristo, solo sulle loro singole diocesi e non su tutta la Chiesa.

Inoltre se nella Chiesa vi fossero due autorità eguali (il Papa e i Vescovi sparsi nelle loro diocesi o riuniti in Concilio) ci dovrebbe essere un’autorità superiore ad entrambe poiché “par in parem vim non habet”. Altrimenti la Chiesa non avrebbe più una costituzione monarchica, anzi sarebbe un’anarchia non essendoci un superiore. Siccome tutti (Vescovi, parroci…) ricevono la loro autorità dal Papa significa che egli solo è il supremo Capo della Chiesa e l’Episcopato è a lui subordinato e non collegialmente unito (Cajetanus, De Comparatione, cit., ed. Pollet, 1936, cap. III, p. 26, n. 32). In breve Cristo stesso ha fondato, direttamente e immediatamente, la Chiesa. Egli ne è l’unico Capo che si è scelto un Vicario in senso stretto, Pietro e quindi solo Cristo può giudicare il Vicario che Lui stesso si è scelto (Cajetanus, De Comparatione, cit., ed. Pollet, 1936, cap. I, p. 205, nn. 451-452).

Perciò secondo il Gaetano (De Comparatione, ed. Pollet, 1936, cap. VI, p. 44, n. 73; p. 45, n. 74) il Concilio senza il Papa è monco e imperfetto, come l’uomo morto in cui l’anima si separa dal corpo è monco e vive in uno stato contro-natura (S. Th., I, q. 89, aa. 1-8; I, q. 10, aa. 4-6, R. Garrigou-Lagrange, L’éternelle vie et la profondeur de l’ame, Paris, Desclée de Brouwer, 1949, I pars, capp. V-VI) in cui l’anima anela a riunirsi al corpo e viceversa (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 89, aa. 1-8; Suppl., q. 70, aa. 1-2). Ora non conviene che la divina Sapienza collochi in un corpo così monco e imperfetto (il Concilio senza il Papa) la suprema Autorità, ma il Concilio deve dipendere da un’Autorità a lui superiore che è il Papa. È per questo che durante il periodo di sede vacante (dopo la morte di un Papa e prima dell’elezione di un altro) la Chiesa esiste in maniera imperfetta. Essa ha bisogno di un Capo e chi lo nega cade nell’errore condannato già da S. Tommaso d’Aquino (Summa contra Gentes, lib. IV, cap. 76), non lo può aspettare indefinitivamente per mezzo secolo con sei Papi ritenuti nulli.

Quindi il Concilio imperfetto non può stabilire nulla contro e senza l’Autorità del Papa dalla quale esso dipende (Caetano, De Comparatione, ed. Pollet, 1936, cap. XII, p. 93, n. 194). S. Tommaso d’Aquino (S. Th., I-II, q. 90, a. 4; Id., Contra impugnantes Dei cultum et religionem, c. 4, ed. Mandonnet, IV, 56) insegna che i Vescovi in Concilio “nihil possunt statuere, nisi interveniente auctoritate Romani Pontificis”.

Il problema della Lumen gentium n. 22

La Costituzione del Concilio Vaticano II Lumen gentium su “La Chiesa” al n. 22 ripete parzialmente la dottrina tradizionale, espressa dal Gaetano e definita dal Concilio Vaticano II, riguardo ai rapporti tra Papa e Concilio, ma introduce anche delle novità, che sono in rottura oggettiva con la S. Scrittura, la divina Tradizione, il Magistero costante della Chiesa, l’insegnamento dei Padri, dei Dottori scolastici e dei teologi approvati dell’epoca post-tridentina.

La Lumen gentium, n. 22 a-b, recita: “Come Pietro e gli altri Apostoli costituirono un unico Collegio apostolico, allo stesso modo (pari ratione) il Romano Pontefice, successore di Pietro, e i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra loro uniti.[39] […]. Ecco il carattere e la natura collegiale[40] dell’ordine episcopale, i Concili ecumenici comprovano apertamente tale natura collegiale dell’Episcopato[41]. Tale natura è suggerita anche dall’antico uso di far partecipare più Vescovi[42] alla consacrazione di un futuro Vescovo[43]. Uno è costituito membro del Corpo episcopale in virtù della consacrazione sacramentale.[44] […]. L’ordine dei Vescovi, che succede al Collegio degli Apostoli nel magistero e nell’impero […] è pure soggetto di suprema (cioè, la più alta, che non ha eguali, ndr) e piena (totale o assoluta, cui non manca nulla nel suo genere e che può tutto da sola, ndr) potestà su tutta la Chiesa”[45].

Siccome il testo di Lumen gentium poneva dei seri problemi quanto alla sua ortodossia, Paolo VI fece aggiungere una Nota praevia (che invece fu messa dopo il testo, ossia era insieme “previa” e “posteriore”). La Nota praevia tuttavia non cancella le ambiguità e gli errori del testo di Lumen gentium ed anche in essa permane qualche ambiguità. Vediamole.

“Il Collegio non si intende in senso strettamente giuridico, ma è un ceto stabile[46]. […] Uno diventa membro del Collegio in virtù della consacrazione episcopale[47], e mediante la comunione gerarchica col capo del Collegio.[48] […]. Il parallelismo tra Pietro e gli Apostoli da una parte, e il Sommo Pontefice e i Vescovi dall’altra, non implica la trasmissione del potere straordinario degli Apostoli ai Vescovi. […]. Infatti deve accedere la canonica o giuridica determinazione da parte dell’autorità ecclesiastica. Il Collegio dei Vescovi è anch’esso soggetto di supremo e pieno potere sulla Chiesa universale. Il Collegio necessariamente e sempre cointende col suo capo[49] […]. Il Romano Pontefice è il capo del Collegio e può fare da solo alcuni atti, che non competono in nessun modo ai Vescovi”[50].

Come si vede la Collegialità (Lumen gentium, n. 22) è imparentata, anche se in maniera più sfumata o mitigata (grazie alla Nota praevia, che da una parte ha ribadito la sottomissione del Corpo episcopale al Papa, ma dall’altra ha mantenuto l’ambiguità del duplice soggetto adeguato, necessario e permanente del supremo potere di magistero e giurisdizione nella Chiesa universale), al Conciliarismo o gallicanesimo mitigato, il quale tende ad assegnare al Concilio ecumenico[51] una potestà suprema sulla Chiesa universale eguale a quella del Papa (cum Petro sed non sub Petro)[52].

La Collegialità episcopale di Lumen gentium, grazie alla Nota praevia, non arriva a tanto, però fa pur sempre del Corpo dei Vescovi, “col Papa e sotto il Papa” (Nota praevia), un “ceto stabile e necessario” avente “potestà suprema di giurisdizione e di magistero sulla Chiesa universale”, ma per la sola o antecedente consacrazione episcopale (novità che intacca il primato di Pietro), senza ribadire che la giurisdizione - secondo la dottrina tradizionale - viene da Dio tramite il Papa al Vescovo e poi il nominato viene consacrato. La dottrina tradizionale ha sempre parlato di episcopato monarchico o di episcopato subordinato, ossia sottomesso a Pietro come il corpo al capo, mentre con Lumen gentium si inizia a parlare di episcopato collegiale.

L’incidente di Antiochia

Alcuni conciliaristi e protestanti si son basati sull’incidente di Antiochia (Gal., II, 6-11; Atti, XVI, 14) in cui Paolo riprese Pietro per sostenere che gli Apostoli (compreso Paolo) avevano eguale potere altrimenti Paolo non avrebbe resistito in faccia a Pietro[54].

L’Aquinate aveva già spiegato che san Paolo essendo eguale a san Pietro quanto al potere di difendere la Fede e non quanto al potere di giurisdizione lo ha potuto riprendere pubblicamente senza farsi eguale a lui (cfr. S. Th., II-II, q. 33, a. 4, ad 2; In ad Gal., cap. II, l. 3, ed. Marietti, I, 542).

Gaetano (De Comparatione, ed. Pollet, 1936, cap. III, p. 22, n. 22) sostiene che quanto al potere di Ordine sacro tutti gli Apostoli sono eguali in quanto Vescovi, inoltre sono eguali quanto al potere difendere la Fede e alla giurisdizione in quanto Apostoli (cfr. S. Tommaso d’Aquino, In IV Sent., d. 24, q. 3, a. 2, qc 3, ad 1; S. Th., II-II, q. 33, a. 4, ad 2)[55].
d. Curzio Nitoglia

auguro a tutti un felice anno nuovo ricco di ogni grazia spirituale!
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1. V. Mondello, La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, 1965, p. 51.
2. Cfr. H. Jedin, Storia del Concilio di Trento, Brescia, Morcelliana, 1949, vol. I, p. 13 ss.
3. Cfr. J. Rivière, Le problème de l’Eglise et de l’Etat aux temps de Philippe le Bel, Lovanio, 1926.
4. Cfr. P. De Vooght, Le conciliarisme aux Conciles de Constance et de Bale, in “Le Concile et les Conciles”, Editions de Chevetogne, 1960, p. 146.
5. Come si vede la differenza tra Conciliarismo progressista, che sostiene la superiorità dell’Episcopato sul Papa come potere venente dal basso in maniera democratica, è diverso solo accidentalmente dall’Episcopalismo tradizionalista, che invece è conservatore poiché non si fonda sul popolo democraticamente inteso, ma sulla Tradizione aristocraticamente intesa, che tuttavia non è interpretata dal Papa e dal suo Magistero, ma dal clero, dall’Episcopato tradizionale e dai fedeli tradizionalisti. L’importante è che lo si faccia alla luce della “Tradizione” come la intendevano gli ortodossi scismatici greci o i Tradizionalisti fideisti francesi dell’8oo (cfr. J. Bainvel, De Magistero vivo et Traditione, Paris, 1905; G. B. Franzelin, De divina Traditione, Roma, 1870; preziosi gli articoli di P. Filograssi, in Gregorianum, 1950-1951 ).
6. Cfr. B. Gherardini, La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.
7. S. Augustinus, De baptismo contra Donatistas, II, 1.
8. S. Aug., De agone christiano, 31, 33.
9. Enarr. in Ps. 103, 3, 2.
10. Retractationes, I, 21.
11. In epist. Johann. ad Parthos, 10, 1.
12. Cfr. Ch. J. Hefele - E. H. Leclerq, Histoire des Conciles, Paris, Letouzey, 1912, t. VII, parte I, p. 218.
13. Anche il grande teologo domenicano, amico del Gaetano, Francesco de’ Silvestris detto il Ferrarese (il commentatore per eccellenza della Summa contra Gentiles di S. Tommaso d’Aquino, come il Gaetano lo è della Summa theologiae) scrisse una somma di ecclesiologia, anche se poco famosa, intitolata Apologia de convenientia institutionum Romanae Ecclesiae cum Evangelica libertate, Venezia, 1525.
14. Cfr. V. Mondello, La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, 1965, specialmente il cap. V, Il Papa eretico e il Concilio, pp. 163-194; vedi anche A. X. Da Silveira, La Messe de Paul, VI: Qu’un penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF, 1975, II partie, Hypothèse théologique d’un Pape hérétique, pp. 213-332.
15, Il De Comparatione consta di circa 100 pagine. Esso è diviso nel seguente modo: 
  1. tratta la Potestà del Papa in sé o assolutamente considerata (capp. 1-16); 
  2. la Potestà del Papa considerata per accidens o in certi casi particolari ed eccezionali, specialmente la possibilità ipotetica dell’eresia del Papa (capp. 17-23), in questa seconda parte del De Comparatione il Gaetano confuta come Conciliarismo mitigato la tesi di coloro che ritengono il Papa inferiore al Concilio e deponendo da esso nel caso di eresia (che è una mera possibilità per nulla certa e molto improbabile per il Gaetano). È una questione assai attuale e varrebbe la pena di tradurre l’opera del de Vio, almeno nella sua seconda parte che è molto più profonda, sicura ed esatta di quella di Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, La Messe de Paul, VI: Qu’un penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF, 1975, II partie, Hypothèse théologique d’un Pape hérétique, pp. 213-332. Ove tratta la questione del Papa eretico, anche Vittorio Mondello ha trattato la medesima questione alla luce del Gaetano in La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, cit., cap. V, Il Papa eretico e il Concilio, pp. 163-194.
16. Pietro è diretto, immediato Vicario di Cristo nominato da Lui a governare la Sua Chiesa universale avendo da Cristo l’autorità di Pastore supremo e superiore agli altri Apostoli, gli Apostoli sono inviati a fare le veci di Cristo nell’eseguire la sua opera di redenzione (v. Gaetano, De Comparata Auctoritate…, cit., ed. Pollet, 1936, cap. IV, p. 32, n. 46).
17. Cajetanus, De Comparatione Auctoritais Papae et Concilii, Roma, Angelicum, ed. Pollet, 1936, cap. II-IV.
18. V. Mondello, cit., p. 65, testuali parole.
19. V. Mondello, cit., p. 65.
20. M. Lutero, Resolutiones super propositionibus Lipsiae disputatis, 1519, Resolutio Lev 3, 315 in Luthers Werke, 50 tomi, Weimar, 1883 ss., tomo II, p. 195.
21. Eletti dal greco électoì significa in linguaggio biblico “coloro che Dio prescelse”. Nell’Antico Testamento eletti sono gli Israeliti (Ex., XIX, 4-9). Nel Nuovo Testamento il termine “eletti” indica i membri della Chiesa, chiamati ad una vocazione speciale e sacra. Cfr. H. Lesetre, in Dictionnaire de la Bible, II vol., coll. 1708-1712.
22. Cfr. l’ottimo studio di p. Michele Maccarrone, Vicarius Christi – Storia del titolo papale, Città del Vaticano, ed. Lateranum, 1952. L’Autore riassume mirabilmente il pensiero del Gaetano sul Papa come solo Vicario di Cristo da p. 273 a p. 289. Solo Pietro è diretto, immediato Vicario di Cristo nominato da Lui a governare la Sua Chiesa universale avendo da Cristo l’autorità di Pastore supremo e superiore agli altri Apostoli, gli Apostoli sono inviati a fare le veci di Cristo nell’eseguire la sua opera di redenzione (v. Gaetano, De Comparata Auctoritate…, cit., ed. Pollet, 1936, cap. IV, p. 32, n. 46).
23. Gaetano, De Divina Institutione, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. I, p. 2.
24. Cfr. M. Lutero, Resolutiones super propositionibus Lipsiae disputatis, 1519, Resolutio, Lev. 3, 304-309, 360, in Luthers Werke, 50 tomi, Weimar, 1883 ss., tomo II, pp. 390-435.
25. Gaetano, De Divina Institutione, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. V, p. 33-34 e 38.
26. Cfr. l’articolo “L’infallibilità del Papa nella seconda Scolastica” che verrà pubblicato prossimamente su questo sito.
27. Gaetano, De Divina Institutione, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. IV, p. 29-30, cap. VII, p. 53.
28. La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, 1965, p. 91; cfr. i due articoli che verranno pubblicati prossimamente su questo sito “Le prove del primato di Roma nel Cristianesimo primitivo. Oltre il corpo di san Pietro”; “Roma o Gerusalemme? Roma è sede di Pietro per diritto divino o ecclesiastico?”. [qui]
29. Cfr. M. Lutero, Resolutiones super propositionibus Lipsiae disputatis, 1519, Resolutio Lev 3, 313, in Luthers Werke, 50 tomi, Weimar, 1883 ss., tomo II, p. 195; J. Wicleff, condannato nel Concilio di Costanza, VIII sessione (DB 584-595),
30. S. Gregorio Magno, Epistularum, lib. V, Ep. XX, ad Mauricium Augustum, PL 77, 745 C, 746 A; S. Leone Magno, Epist. X, c. 1, PL 54, 629; Id., De electione et electi potestate, l. 6, c. 7, d. 19.
31. S. Giovanni Crisostomo, In Joann., Hom. 88, 1, PG, 59, 478; Teofilatto, Enarratio in Evang. Jo., c. 21, vv. 15-19, PG, 124, 309 A.
32. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentes, lib. IV, cap. 76.
33. Se il Cajetanus fa questa distinzione riguardo a Pietro, mi sembra del tutto lecito farla riguardo ai Papi “conciliari”, che hanno ricevuto l’ufficio di Vicari di Cristo anche se non ne hanno usato bene. Inoltre i Gaetano ammette che il cattivo uso della carica di Papa non fa perdere il Papato (De Comparatione, cit., ed. Pollet, 1936, cap. I, p. 16, nota 10; Id., De Comparatione…, cit., ed. Pollet, 1936, cap. I, p. 16, nota 10; V. Mondello, cit., p. 94).
34. Gaetano, De Divina Institutione…, cit., ed. Lauchert, 1925, cap. X; De Comparatione…, cit., ed. Pollet, 1936, cap. I, p. 16, nota 10.
35. V. Mondello, cit., p. 95.
36. Cajetanus, De Comparatione, ed. Pollet, cap. III, p. 24, n. 27; p. 25, n. 27 e 28, p. 26, n. 29.
37. Come si vede la dottrina del Gaetano è la confutazione previa della explicativa praevia voluta da Paolo VI per edulcorare la rottura di Lumen gentium con la Tradizione apostolica, patristica e scolastica.
38. San Roberto Bellarmino ha affrontato la questione del Papa nel suo capolavoro le Disputationes de controversiis christianae fidei adversus huius temporis haereticos (1586-1593, in 3 voll.). Nel I volume tratta la Chiesa, la quale ha un solo Capo supremo e visibile (non materiale o virtuale), il Papa, che come Vicario di Cristo e successore di Pietro ha il pieno potere di giurisdizione sul mondo intero, i Vescovi hanno potere solo nelle loro diocesi e lo ricevono dal Papa (Disputationes…, vol. I, De Romano Pontifice, Milano, Battezzati, 1857, vol. I, lib. I, cap. 5;). Cfr. J. de la Servière, La théologie de Bellarmin, Paris, 1909.
39. Si equipara il Corpo dei Vescovi al Collegio degli Apostoli, invece i Vescovi pur essendo successori degli Apostoli non ne hanno tutte la prerogative:
  1. la scelta diretta da parte di Cristo degli Apostoli;
  2. la giurisdizione data loro da Gesù sulla Chiesa universale.
40. La natura dell’episcopato è collegiale, quindi la Chiesa non è più monarchica.
51. Non è esatto perché nel concilio il Papa è il capo e i Vescovi sono il corpo a lui subordinato.
42. Dei tre Vescovi con-consacratori uno solo è il consacrante principale ed efficiente. La presenza degli altri due Vescovi non è necessaria alla validità della consacrazione, ma serve solo a dare maggior solennità alla cerimonia; essi non consacrano e non sono segno della natura collegiale dell’episcopato. Si può fare un’analogia con la Messa solenne, in cui la presenza del diacono e del suddiacono non è necessaria alla validità della Messa (poiché chi consacra è solo il sacerdote celebrante), ma dà solamente maggior solennità alla cerimonia.
43. Non è corretto. Il Papa prima sceglie il futuro Vescovo e gli dà la giurisdizione, poi spetta ancora al Papa il potere di consacrarlo, ma, se egli vuole, può delegare ad un Vescovo il potere di consacrare l’eletto all’Episcopato.
44. Non è esatto. Il Vescovo prima di essere consacrato deve ricevere la giurisdizione, che viene da Dio tramite il Papa.
45. Permane la novità di un duplice soggetto del sommo potere di magistero e giurisdizione nella Chiesa: Papa e Episcopato, il quale ultimo anche per la Nota praevia è “subiectum supremae ac plenae potestatis in universam Ecclesiam”. Mentre il soggetto è uno solo il Papa, che se vuole fa partecipare l’Episcopato al suo supremo e pieno potere, in maniera temporanea, e non alla pari (in maniera inadeguata) al Sommo Pontefice che è la causa del potere di magistero e di giurisdizione per partecipazione dell’Episcopato.
46. Che partecipa stabilmente e adeguatamente o alla pari al potere supremo di magistero e di governo del Papa? Non è esatto.
47. Non spiega che prima il Papa concede la giurisdizione nominando uno Vescovo e solo poi viene consacrato tale (v. nota seguente).
48. Infatti pospone la giurisdizione (o comunione gerarchica) alla consacrazione (o al potere d’ordine). Ribadisce la necessità della giurisdizione, ma non la antepone alla consacrazione episcopale, quasi che la giurisdizione venga al Vescovo immancabilmente solo perché consacrato.
49. Il “Collegio dei Vescovi”, che “necessariamente e sempre cointende col suo capo” è anch’esso “soggetto di supremo e pieno potere sulla Chiesa universale”. Questa è la grande novità della Lumen gentium, che permane anche nella Nota praevia. Il Papa non è più l’unico soggetto per sua natura del supremo potere di magistero e imperio nella Chiesa universale e solo se vuole può far partecipare, in maniera non adeguata o alla pari, al suo potere l’Episcopato riunito in concilio o sparso nel mondo, in maniera temporanea e per partecipazione o subordinatamente. La dottrina tradizionale era chiarissima, quella di Lumen gentium è per lo meno ambigua se non erronea gravemente in alcuni punti che permangono in rottura con l’insegnamento tradizionale, anche alla luce della Nota praevia, pur avendo quest’ultima cercato di ribadire alcuni capisaldi della dottrina cattolica.
50. Se
  1. “il Romano Pontefice è il capo del Collegio e può fare da solo alcuni atti, che non competono in nessun modo ai Vescovi”, come si può conciliare questo secondo asserto con il precedente, secondo cui
  2. “il “Collegio dei Vescovi necessariamente e sempre cointende col suo capo […] ed è anch’esso soggetto di supremo e pieno potere sulla Chiesa universale”?
Qui si risconta una palese contraddizione che sembra essere stata fatta espressamente per accontentare i padri conciliari di dottrina ortodossa con quelli di dottrina neomodernista. Ma ciò è impossibile “per la contradizion che nol consente” (Dante, Inferno, XXVII, 120).
51. Il Concilio ecumenico (CIC, 1917, can. 222-229) partecipa al potere supremo e pieno o totale del Papa e dunque non ha nessun potere totale e supremo indipendentemente dal Papa. Solo il Papa può indire un Concilio ecumenico. Cfr. A. Piolanti, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll., 167-173, voce “Concilio”.
52. Mentre il Conciliarismo o gallicanesimo radicale assegna all’Episcopato un potere, addirittura, superiore a quello del Papa (sine Petro et supra Petrum).
53. Cfr. U. E. Lattanzi, Il primato romano, Brescia, 1961.
54. Cajetanus, De Comparatione, cit., ed. Pollet, 1936, cap. III, pp. 20-21, n. 19.
55. S. Paolo nella Epistola ai Galati (II, 11) afferma: «Ho resistito in faccia a Pietro, poiché era reprensibile». il torto di Pietro viene definito già da Tertulliano come sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescriptione haereticorum, XXIII)». Secondo S. Agostino e S. Tommaso (Quest. disput., De Veritate, q. 24, a. 9; Quest. Disput., De malo, q. 7, a. 7, ad 8um), S. Pietro peccò venialmente di fragilità nell'osservare le cerimonie legali dell’Antico Testamento, per la troppa diligenza di non scandalizzare i giudei, provocando così lo scandalo dei pagani. E secondo la Rivelazione vi fu una resistenza pubblica di Paolo verso Pietro primo Papa. Quindi S, Pietro non errò contro la Fede, come volevano erroneamente i conciliaristi, i luterani e gli anti-infallibilisti durante il Concilio Vaticano I, però con il suo agire Pietro ha commesso un peccato veniale non di proposito deliberato, ma di fragilità.

15 commenti:

bernardino ha detto...

Quando un cieco guida un'altro cieco, si finisce in un baratro.
Una grande lezione di Don Curzio ricordando il Gaetano.

bernardino ha detto...

Molti, anzi troppi hanno dimenticato che il concilio vat.II è stato convocato, poi dichiarato da Roncalli come concilio pastorale e di aggiornamento (là dove qualcosa doveva essere aggiornata), poi nel tempo si è cercato di far passare per dogmatiche cose assurde ed impossibili,tanto che oggi la maggior parte della gente e del clero parla di un concilio superdogmatico, e ne sono convinti che lo fosse, che addirittura un concilio oppure i vescovi erano aldisopra del Papa. Allora bisognava a suo tempo dichiarare che l'assise Roncalliana era superdogmatica, e non dire concilio pastorale e di aggiornamento.

mic ha detto...

Bernardino, il problema è ormai dimostrato, nasce piuttosto dai cambiamenti paradigmatici operati in maniera a volte più immediatamente riconoscibile a volte subdola, attraverso alcuni contenuti dei documenti, completato attraverso il metodo e il linguaggio, che ha sovvertito, ad esempio, il significato di tradizione, ha fatto della prassi un assoluto arrivando a scinderla dall dottrina. Tant'è che oggi sembra prevalere il contro-spirito che c'era dietro e non era riconoscibile del tutto nel magma di interpolazione tra verità riaffermate e novità incuneate, di fatto attuate più o meno gradualmente e oggi esplose.

Anonimo ha detto...


@ L'incidente di Antiochia

In effetti Pietro sbaglio' piu' per fragilita' che per altro. Pero' si apriva una piccola fessura dalla quale sarebbe venuto un gran male, cioe' il riassorbimento del Cristianesimo nel Giudaismo. Questa era la posizione di S. Paolo, come risulta dalla Lettera ai Galati. Prima dice che non aveva costretto i suoi discepoli ("greci" ossia pagani) a farsi circoncidere "per non darla vinta a quei falsi fratelli intrusi, che furtivamente si erano introdotti fra di noi per spiare la nostra liberta', che godiamo in Gesu' Cristo, allo scopo di ridurci di nuovo in servitu" (Gal 2, 4). Allo scopo, cioe', di riassorbirci nel Giudaismo tramite l'imposizione delle pratiche esteriori della Legge, come intesa dai Farisei.
Al "Concilio di GErusalemme" Paolo, dopo una approfondita discussione, vide approvata la sua impostazione dalle "colonne della Chiesa" e cioe' da "Giacomo, Cefa (Pietro), Giovanni" (ivi, 2, 5-10). Perche' allora Pietro, in seguito, di fronte ai Giudei si metteva a simulare evitando di mangiare con i pagani per osservare le prescrizioni della purita' rituale farisaica? Di questo lo riprese subito dopo S.Paolo, pubblicamente.
"Ma quando Cefa venne ad Antiochia, io mi opposi a lui apertamente, perche' egli si era reso degno di biasimo. Infatti, prima che giungessero alcuni venuti da Giacomo [ancora legato a certi aspetti esteriori del Giudaismo], egli mangiava coi Gentili; ma quando giunsero quelli, si ritraeva e se ne stava da parte, per timore dei circoncisi. E tutti gli altri Giudei lo seguirono in questa dissimulazione, tanto che persin Barnaba si lascio' trascinare a dissimulare come loro. Ma quando mi avvidi che non camminavano rettamente secondo la verita' del Vangelo, in presenza di tutti io dissi a Cefa: - Se tu che sei Giudeo, vivi da Gentile e non da Giudeo, come mai costringi i Gentili a seguire la Legge dei Giudei? etc." (ivi, 11-14).
"Non camminavano secondo la verita' del Vangelo": non mettevano in pratica ("camminavano") nel modo corretto la Verita' Rivelata, modo che pur avevano approvato al Concilio di Gerusalemme. Non c'era dunque peccato contro la fede, ma cattiva applicazione della fede per paura degli uomini. Quindi, nessun attentato al primato di Pietro da parte di S. Paolo, solo rimprovero per una cattiva applicazione della norma, si potrebbe dire, gravida pero' di pessime conseguenze future e quindi da eliminare subito. Un rimprovero che ogni fedele battezzato e cresimato puo' fare al Papa, a cominciare naturalmente da quelli che hanno maggior autorita', i sacerdoti (cardinali, vescovi, sacerdoti). A. R.

Luís Luiz ha detto...

Molto erudito, ma inutile. Tutte le tenebre bergogliane spariscono, pluft, nell'aria quando si vede l'ovvio: Benedetto XVI è stato "rinunciato" in modo canonicamente irregolare, sotto pressione e probabilmente ricatto - Vatileaks, Swift, mafia di Saint-Gall, minaccie di scisma, lobby gay, carpet bombing mediatico diario, denunce contro l'Ior, aggresioni anche fisiche (messa di Natale 2009) ecc., dunque invalido (CIC 332, 2). Per non parlare delle irregolarità del Conclave denunciate da Socci e mai risposte, o dell'eresia publica, Urbi et Orbi, della negazione delle pene eterne e dell'imortalità dell'anima (intervista a Scalfari), mai negata anche dopo numerose richieste publiche di chiarimenti e dunque divenuta eresia formale. Bergoglio non è un pessimo papa, semplicemente non è papa. Buon 2016 a tutti.

mic ha detto...

Luis,
visto che nonostante i dubbi e le irregolarità - peraltro non impugnate da chi ne avrebbe titolo - comunque non ci sono soluzioni che noi fedeli abbiamo titolo ad invocare, questo papa ce lo dobbiamo tenere, continuando a sperare nel "ripareggiamento" della verità. Intanto, continuiamo a contribuire a che siano limitati i danni con la preghiera e la penitenza. E riaffermando la 'forma' che garantisce la sostanza.

Rr ha detto...

Mic,
tenere per ora dobbiamo tenercelo. Ma cio' non significa starlo a sentirlo, soprattutto quando non parla ex cathedra ( cioè sempre). Idem per quando scrive, lettere encicliche, esortazioni apostoliche, ecc., che di tutto si occupano, salvo che di dottrina. I motu proprio poi sono atti legislativi, e come tali, validi e legittimi solo se l'autorità che li proclama, è legittima. Altrimenti Non hanno alcun valore.
Rr

mic ha detto...

Cara Rosa sono d'accordo con te. Tant'è che puntualizziamo spesso le 'distorsioni', le 'elisioni' o i pressappochismi.

Il problema è che il "magistero liquido" si trasforma in dogma cangiante (anche se può sembrare un ossimoro perché il dogma non si evolve); ma il 'cambiamento' è diventato il nuovo dogma sostituendo la prassi alla dottrina e l'arbitrio del tiranno alla legge del monarca.
Non avete notato come anche nel recente Sinodo sono stati ignorati o citati monchi e dunque stravolti gli insegnamenti di Giovanni Paolo II ed altri? Penso che il criterio sia quello di considerare superato anche il magistero recente, in base allo storicismo più spinto.
Ecco perché nessuno raccoglie i nostri fondati rilievi, così come restano lettera morta le puntualizzazioni di Pasqualucci e quelle di Guido Ferro Canale sul Mitis iudex, che pubblicherò domani, ad esempio...
Siamo nelle sabbie mobili, ma non completamente senza appoggio (ancora).
Sono d'accordo che certi atti non abbiano valore; ma non perché l'autorità non sia legittima. Piuttosto perché non corrispondono ai requisiti richiesti. E tuttavia, purtroppo, non mancano di far danni incentivando una ingravescente deformazione che sta raggiungendo livelli non più sostenibili.

Rr ha detto...

Mic,
anche se tutti, io no.
Rr

mic ha detto...

Rosa,
Non ho detto che lo dobbiamo seguire quando dice castronerie o vagheggia.
Ho solo detto che, fino a prova contraria e nonostante tutto non possiamo dire con certezza che non è il Papa.
Certo è anomalo, e anche inedito, esprimersi in questi termini. Ma io non riesco a trarre conclusioni sedevacantiste.
Non so quando potremo avere qualche risposta ai tanti interrogativi. Al momento siamo centrati su "Petra" (per dirla con S.Agostono) al di la del Petrus attuale...

Silente ha detto...

Contingente fuori tema. Ieri era, tradizionalmente, la Festa di Maria, Santissima Madre di Dio. L'apostatico laicismo imperante nella Chiesa l'ha trasformata in una incongrua, anti-dottrinale, irenistica "Giornata della Pace". Tripudio di sodomitici stracci arcobaleno, prediche pacifiste intrise di melassa ma prive di Dio, sbavanti e transumantici "scambiamoci un segno di pace", ancor più enfatici ed ebeti del solito, da parte di fedeli pericolosamente afflitti da una inquietante sospensione del senso del ridicolo. E, soprattutto, del Sacro.

Nel frattempo, in Siria e in Iraq, le milizie cristiane si stanno battendo, armi in pugno, contro la barbarie dello Stato Islamico, a difesa delle loro chiese e dei loro villaggi. Magari con l'immaginetta della Madonna attaccata al calcio dei kalashnikov, come usavano i falangisti libanesi. Nel silenzio colpevole dei media, salvo pochi e coraggiosi giornalisti, e dell'opinione pubblica, anche cattolica.

Ecco, preghiamo per loro la Santissima Madre di Dio, Regina delle Vittorie. Che dia loro la pace, sì, ma una pace vittoriosa, non quella dei cimiteri. E che rinsavisca questi prelati, questo clero, questi fedeli "cattolici" dal loro ecumenico, autistico, cretinismo pacifista. E da molte altre cose ancora.

Gederson ha detto...

"Bernardino, il problema è ormai dimostrato, nasce piuttosto dai cambiamenti paradigmatici operati in maniera a volte più immediatamente riconoscibile a volte subdola..."

Cara Mic,

Sono d'accordo con te. È come la questione dell'ermeneutica: chi fa un'ermeneutica della rottura di un testo magisteriale comette un reato, chi fa questo di un testo conciliare comette un reato più grande. Ma la propria autorità parla di chi fa questo non come di chi fa un reato, ma come chi fa qualcosa normale (che non è stato possibile nei primi 20 Concili ecumenici). Quindi, chi legge gli autori che fanno questa pratica sono intossicati di una diversità di errore.

Basta ricordare la promozione del cardinale Kasper nell'ultimo sinodo. La sua "teologia in ginocchio" altra cosa non è che una teologia di rottura, una teologia criminale. Questo problema deriva di un'altro: sappiamo chi esiste un'ermeneutica della rottura, ma il magistero non ci dice che la pratica, quindi, come i semplice fedeli possono evitargli? Più difficile se torna evitare questo male quando se sa che nei gradi maggiore della gerarchia ci sono praticante della ermeneutica della rottura. Questa è la preoccupazione pastorale del Concilio?

Se leggiamo il controverso caso do Papa Onorio possiamo arrivare alla conclusione di che lui è stato condannato per la sua pastorale che è molto simile a pastorale del CVII, come se può leggere di ciò che dice in 1870 il Padre Valentino Steccanella, s.j.:

"Papa Onorio fu colpito di anatema insieme coi maestri del monotelismo da un Concilio ecumenico. — È vero: ma se egli fu condannato all'anatema insieme con essi, non fu condannato per la medesima colpa. Giacchè in quelli fu eresia, in lui no. La sua colpa fu di non aver condannato l'errore, come portava il suo uffizio di giudice supremo del domma; fu di avere seguitato mollemente il consiglio dell'eretico Sergio, imponendo il silenzio tanto a chi insegnava l'errore, quanto a chi insegnava la verità pel motivo addotto da Sergio, caritatevole in apparenza, di non mettere con una definizione ostacolo alla conversione degli eretici, e per non occasionare defezioni nei già convertiti. Esaminiamo i documenti, e prima quelli della sentenza di condanna". http://progettobarruel.comlu.com/novita/10/Papa_Onorio_I.html

La pastorale era molto diversa di ciò che il Concilio Vaticano II chiama "pastorale".

Un saluto dal Brasile

RAOUL DE GERRX ha detto...

Concernant le “sédévacantisme”…

Je dois avouer que, personnellement, cette question ne m’intéresse pas du tout. Je crois même que c’est une question absolument vaine. Certes, on peut en faire, comme de toutes les questions, un sujet de débat et de joute oratoire, mais on perd son temps, il y a mieux à faire.

Revenons à l’essentiel. « De quoi s’agit-il ? », comme disait Foch.

Le Chef de l’Église, c’est le Christ.
Peut-il y en avoir un autre ? Évidemment non.
Et le Pape, quand il y en a un en exercice, n’est jamais que son vicaire, c’est-à-dire son substitut.
Si le Pape, dans ses fonctions, fait ou dit quelque chose de contraire à ce qu’a fait ou dit le Christ, c’est, à l’évidence, un mauvais substitut, un mauvais serviteur. On peut même l’appeler un traître.
Or, depuis qu’il a été élu, Bergoglio ne cesse de faire et de dire des choses contraires à ce qu’a fait et dit Jésus (et, après lui, toute la tradition de l’Église — concernant le mariage, notamment, et la communion aux divorcés, mais on pourrait prendre d'autres exemples).
C’est donc, on peut le dire, un traître.
Un traître peut-il être considéré et respecté comme pape.
Le bon sens, la logique répondent : Non.
Voilà ma position.
Elle est simple ; simpliste, diront certains ; peu m’importe.
Papauté est synonyme de fidélité.
Si Bergoglio ne veut pas être fidèle à Jésus, s’il n’est pas capable se s’en tenir “mordicus” à ce qu’a fait et enseigné Jésus et, après lui, la Tradition, s’il prend, même, comme il ne cesse de la faire, le contre-pied de ses enseignements et leur préfère ses idées propres, qu’il s’en aille !
Il est certainement préférable qu’il n’y ait pas de pape plutôt qu’un pape pareil.

Rr ha detto...

Tres d'accord avec Raoul !
E aggiungo: io non sono sedevacantista, semplicemente perché un Papa legittimo c'è, Benedetto XVI. Quando questi tornerà "alla casa del Padre", come si dice, allora, qualora Bergoglio sia ancora VdR, mi porro' il problema del sedevacantismo.
Rr
PS: pur se il cosiddetto "sedevacantismo" mi affascina ogni giorno di più, anche perché l' aggettivo "sedevacantista" è sempre più usato come quelli " razzista", " antisemita", " nazifascista", "omofobo, islamofobo", "oscurantista, reazionario, retrogrado", ecc.ecc., da chi sta rovinando forse per sempre la nostra civiltà e cultura, oltre che la nostra Fede.

Anonimo ha detto...

No, Rr, non possiamo dire che la sede è vacante, purtroppo è okkupata tristemente dal vdr che anche oggi è riuscito a fare la sua bergoglionata, se voleva recarsi a Greccio per una visita privata, perché portarsi appresso un codazzo di fotografi, cameramen ed altro per essere sempre al centro dell'attenzione? Papa Benedetto andava spesso al santuario della Madonna salus populi romani, ma alle 6 di mattina e nessuno sapeva niente, perché deve sempre stare a galla come l'olio? Anche tappando tutto il tappabile torna sempre in superficie.......povero stomaco mio.....preferisco sedepunitivista, rende meglio. Lupus et Agnus.