Sono lieta di condividere, nella nostra traduzione da OnePeterFive, la meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente [vedi]. Precedenti qui - qui - qui - qui - qui - qui - qui.
Diebus Saltem Dominicis:
non ci sono concesse vacanze nella vita di preghiera
P. John Zuhlsdorf
P. John Zuhlsdorf
Oggi dovrò essere breve… anche più breve del solito. Sento forti grida di gioia anche attraverso il mio monitor. In breve, “mi sono successe tante cose” negli ultimi due giorni: il mio ritardo e la mia brevità dipendono da questo. Anche se non fa molta differenza se riceverete questo articolo prima o dopo la Messa. È una buona pratica quella di rivedere i testi della Messa domenicale nei due giorni seguenti della settimana, prima di passare all’anteprima della domenica successiva, il tutto per una piena comprensione, una partecipazione consapevole e attiva, durante le Messe e tra di esse. Non ci sono concesse vacanze nella nostra vita di preghiera.
In questa terza domenica dopo l’Epifania, la nostra lettura dell’epistola nel Vetus Ordo è la continuazione della Lettera di Paolo ai Romani che abbiamo ascoltato la settimana scorsa. Egli ci esorta ad agire con carità verso chi ci fa del male: “non ripagare il male con il male”. Dobbiamo “vincere il male con il bene” (Rm 12, 20-21). Paolo cita Proverbi 25, 21-22, ove si legge:
Nel Vangelo secondo Matteo 8, 1-13, Gesù scende dalla montagna dopo il “discorso della montagna” e una folla immensa continua a seguirlo. Incontrano un lebbroso che implora la guarigione. Già in Matteo 4 il Signore aveva esorcizzato e guarito un gran numero di malattie di ogni sorta. Il passo parallelo di Luca 5 dice che l’uomo era “pieno di lebbra”. Dobbiamo concludere che era terribilmente sfigurato e che si vedeva immediatamente che era lebbroso. Probabilmente la gente era terrorizzata da lui perché chi vi avesse avuto contatto sarebbe diventato ritualmente (non moralmente) impuro e incapace di offrire sacrifici. Inoltre, i riti di purificazione erano gravosi. Ma aveva paura anche perché non sapeva che la malattia di Hansen (la lebbra) non si trasmette facilmente da persona a persona attraverso il contatto o la vicinanza: ci vuole invece un contatto prolungato. Inoltre, non sapeva che il 95% delle persone, almeno al giorno d’oggi, sono naturalmente immuni. In ogni caso, questo pover’uomo, spinto certamente dal dolore e dalla speranza, chiede a Gesù di guarirlo, credendo pienamente che Egli lo possa fare.
Dopo questo incontro, un altro uomo — dall’altra parte dello spettro — si avvicina a Gesù credendo pienamente che Egli possa operare una guarigione miracolosa. Questa volta si tratta di un centurione romano. Anch’egli era per gli ebrei una specie di lebbroso, poiché il contatto con lui avrebbe comportato l’impurità rituale. Era “al di fuori” della comunità. Ben lungi dall’essere malato e oppresso, era un comandante militare sano e professionale, un po’ come un moderno sottufficiale. Fonti antiche affermano che i centurioni dovevano avere almeno 30 anni, erano scelti per la loro stazza e forza, destrezza con spada, lancia e scudo, sapevano leggere e scrivere ed erano severi nella disciplina. Troviamo diversi centurioni nel Nuovo Testamento: il centurione della Crocifissione — che nella mia immaginazione sarà per sempre John Wayne —, l’odierno centurione di Cafarnao, e Cornelio (in Atti 10), il cui battesimo è una pietra miliare nella storia della Chiesa primitiva insieme al battesimo dell’eunuco etiope. Per coincidenza, in Atti 10, 47, troviamo la frase: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?”. Si veda i miei commenti qui sopra a proposito del vietare o fornire acqua e fuoco. Mi vengono in mente il Battesimo e la Cresima, lo Spirito Santo che si muove sull’acqua e discende come fuoco. Tornando al Vangelo, sia il lebbroso che il centurione, reietti in modi diversi, soffrono. Il lebbroso soffre per la propria malattia. Il centurione soffre per la malattia di un altro, his pais in greco: il suo servo, descritto in greco come come “paralitico”, paralyticos e deinos basanizomenos: eccessivamente o terribilmente tormentato. Il verbo del participio, basanizo, significa letteralmente “torturare”.
Il loro bisogno era grande. Il loro bisogno ha alimentato la loro fede. La loro fede ha portato loro la grazia di un miracolo, l’uno vicino ai presenti, l’altro da lontano. È stato facile per la gente e per lo stesso lebbroso vedere la propria guarigione. Il centurione non aveva bisogno di vedere per credere. Si potrebbe rivolgere una domanda al lebbroso e al centurione — e a noi stessi. Se loro — noi — non fossero stati così afflitti, avrebbero cercato il Signore con tanta urgenza? Lo avrebbero cercato? In uno stato di conforto e benessere, potrebbero non aver fatto lo sforzo? Forse è stata proprio la loro afflizione a dirigerli a Cristo. È probabile. Anche molti di noi Vi sono spinti in questo modo.
Quanto diversi saremmo se pregassimo con lo stesso fervore nel conforto e nella pace come nell’ansia e nel dolore? Vogliamo le grazie trasformanti e la guarigione di Cristo quando siamo giù. Non faremmo bene ad essere altrettanto ferventi nella calma e nella salute? Anzi, forse ancora di più per via della gratitudine che dovremmo avere, che è molto facile da condividere? Non ci è concessa sosta nella vita di preghiera — della preghiera sincera — quando le cose vanno bene. Possiamo tenere presente nella mente e nel cuore ciò che Paolo scrive ai Tessalonicesi, che abbiamo approfondito poco fa (1 Ts, 5):
Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere; perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo e il Signore ti ricompenserà.Ammucchiare carboni ardenti sulla testa di qualcuno non sembra un gesto molto caritatevole. Cosa significherà? Nei tempi antichi era di fondamentale importanza mantenere acceso il fuoco in casa. Si faceva un grande sforzo per accumulare i carboni nella cenere durante la notte e riaccendere il fuoco più tardi. Fornire cibo, bevande e fuoco erano modi per soddisfare i bisogni reali dei propri vicini. Ai cittadini romani si infliggeva la pena dell’esilio per mezzo di un decreto di aquae et ignis interdictio: privazione dell’acqua e del fuoco. Venivano negati gli strumenti di sopravvivenza essenziali e proprio per questo si era costretti a lasciare la zona o morire. Il gesto contrario a questo era la consuetudine secondo cui, il giorno del suo matrimonio, una sposa era ricevuta dal marito con acqua e fuoco, a significare che egli si sarebbe preso cura dei suoi bisogni. Quindi, ammucchiare carboni sulla testa di una persona è l’esatto opposto della crudeltà. È un modo per risvegliarla al proprio vero sé. Come diceva Sant’Agostino, la tua gentilezza brucerà l’odio del tuo nemico.
Nel Vangelo secondo Matteo 8, 1-13, Gesù scende dalla montagna dopo il “discorso della montagna” e una folla immensa continua a seguirlo. Incontrano un lebbroso che implora la guarigione. Già in Matteo 4 il Signore aveva esorcizzato e guarito un gran numero di malattie di ogni sorta. Il passo parallelo di Luca 5 dice che l’uomo era “pieno di lebbra”. Dobbiamo concludere che era terribilmente sfigurato e che si vedeva immediatamente che era lebbroso. Probabilmente la gente era terrorizzata da lui perché chi vi avesse avuto contatto sarebbe diventato ritualmente (non moralmente) impuro e incapace di offrire sacrifici. Inoltre, i riti di purificazione erano gravosi. Ma aveva paura anche perché non sapeva che la malattia di Hansen (la lebbra) non si trasmette facilmente da persona a persona attraverso il contatto o la vicinanza: ci vuole invece un contatto prolungato. Inoltre, non sapeva che il 95% delle persone, almeno al giorno d’oggi, sono naturalmente immuni. In ogni caso, questo pover’uomo, spinto certamente dal dolore e dalla speranza, chiede a Gesù di guarirlo, credendo pienamente che Egli lo possa fare.
Dopo questo incontro, un altro uomo — dall’altra parte dello spettro — si avvicina a Gesù credendo pienamente che Egli possa operare una guarigione miracolosa. Questa volta si tratta di un centurione romano. Anch’egli era per gli ebrei una specie di lebbroso, poiché il contatto con lui avrebbe comportato l’impurità rituale. Era “al di fuori” della comunità. Ben lungi dall’essere malato e oppresso, era un comandante militare sano e professionale, un po’ come un moderno sottufficiale. Fonti antiche affermano che i centurioni dovevano avere almeno 30 anni, erano scelti per la loro stazza e forza, destrezza con spada, lancia e scudo, sapevano leggere e scrivere ed erano severi nella disciplina. Troviamo diversi centurioni nel Nuovo Testamento: il centurione della Crocifissione — che nella mia immaginazione sarà per sempre John Wayne —, l’odierno centurione di Cafarnao, e Cornelio (in Atti 10), il cui battesimo è una pietra miliare nella storia della Chiesa primitiva insieme al battesimo dell’eunuco etiope. Per coincidenza, in Atti 10, 47, troviamo la frase: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?”. Si veda i miei commenti qui sopra a proposito del vietare o fornire acqua e fuoco. Mi vengono in mente il Battesimo e la Cresima, lo Spirito Santo che si muove sull’acqua e discende come fuoco. Tornando al Vangelo, sia il lebbroso che il centurione, reietti in modi diversi, soffrono. Il lebbroso soffre per la propria malattia. Il centurione soffre per la malattia di un altro, his pais in greco: il suo servo, descritto in greco come come “paralitico”, paralyticos e deinos basanizomenos: eccessivamente o terribilmente tormentato. Il verbo del participio, basanizo, significa letteralmente “torturare”.
Il loro bisogno era grande. Il loro bisogno ha alimentato la loro fede. La loro fede ha portato loro la grazia di un miracolo, l’uno vicino ai presenti, l’altro da lontano. È stato facile per la gente e per lo stesso lebbroso vedere la propria guarigione. Il centurione non aveva bisogno di vedere per credere. Si potrebbe rivolgere una domanda al lebbroso e al centurione — e a noi stessi. Se loro — noi — non fossero stati così afflitti, avrebbero cercato il Signore con tanta urgenza? Lo avrebbero cercato? In uno stato di conforto e benessere, potrebbero non aver fatto lo sforzo? Forse è stata proprio la loro afflizione a dirigerli a Cristo. È probabile. Anche molti di noi Vi sono spinti in questo modo.
Quanto diversi saremmo se pregassimo con lo stesso fervore nel conforto e nella pace come nell’ansia e nel dolore? Vogliamo le grazie trasformanti e la guarigione di Cristo quando siamo giù. Non faremmo bene ad essere altrettanto ferventi nella calma e nella salute? Anzi, forse ancora di più per via della gratitudine che dovremmo avere, che è molto facile da condividere? Non ci è concessa sosta nella vita di preghiera — della preghiera sincera — quando le cose vanno bene. Possiamo tenere presente nella mente e nel cuore ciò che Paolo scrive ai Tessalonicesi, che abbiamo approfondito poco fa (1 Ts, 5):
Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.Il che riecheggia molto la nostra lettura dell’Epistola ai Romani.
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[Traduzione a cura di Chiesa e post-Concilio]
[Traduzione a cura di Chiesa e post-Concilio]
A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
IBAN - Maria Guarini
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2 commenti:
Trovo assai nobile l'esempio del centurione, perché non chiede per sé ma per un suo sottoposto. Nel paragone che fa tra sé e Cristo mostra di considerarlo più di un santo guaritore, cone probabilmente il lebbroso e gli altri . Riconosce il lui un capo. La sua fede nobilita il potere che lui rappresenta, l' autorità dello stato.
25 gennaio, Conversione di San Paolo.
Come mai Paolo si è fatto cristiano?
Se fosse vero che l'antica alleanza sia ancora salvifica e valida, Saulo avrebbe solo dovuto smettere di essere un persecutore.
E invece si fa battezzare e comincia a predicare che NSGC è quel Messia di cui parla l'antico testamento.
E lui stesso dichiara, nella prima lettera ai Corinzi, che nessuno che sia sotto l'azione dello Spirito Santo può disconoscere Gesù Cristo come Messia.
La conversione di San Paolo dimostra la drammatica antitesi fra chi giustamente crede sia al nuovo che all'antico testamento e chi, falsamente, vuole tenere l'antico ma rigettando il nuovo.
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