L’impossibile inculturazione del messaggio evangelico nella modernità
Don Claude Barthe
Il discorso pronunciato da papa Francesco in occasione dell’udienza generale del 29 ottobre 2023[1] conteneva un tema di grande importanza: «Non serve dunque contrapporre all’oggi visioni alternative provenienti dal passato. Nemmeno basta ribadire semplicemente delle convinzioni religiose acquisite che, per quanto vere, diventano astratte col passare del tempo. […] “Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia” (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze,10 novembre 2015).»
Questo è stato, in fondo, il progetto esposto da Giovanni XIII in modo molto più prudente nel suo discorso inaugurale, Gaudet Mater Ecclesia [vedi], pronunciato in occasione dell’apertura dell’assemblea, l’11 ottobre 1962[2]: questo concilio non aveva come obiettivo quello di discutere del tale o tal altro punto di un corpus dottrinale già ben noto a tutti, bensì quello di esporlo in modo nuovo «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi»; perché una cosa è la venerabile dottrina, un’altra è il modo di esporla.
Secondo papa Francesco, la cultura moderna – quella della modernità – è dunque considerata capace d’esser evangelizzata ed anche di divenire uno strumento per esprimere il messaggio, come lo fu il materiale filosofico greco dei primi secoli. Rivendicazione in favore di un adeguamento al mondo contemporaneo, questa, vissuta dai protagonisti dell’epoca conciliare e post-conciliare. Essi hanno invocato gli sforzi, che la Chiesa aveva sempre compiuto, per dare al messaggio evangelico nuove traduzioni linguistiche e culturali, in modo tale da esser inteso da tutti i popoli, in tutti i tempi.
Bisognerebbe intendersi sul significato della parola cultura e sapere se si possa applicare allo stesso modo ad uno stato di civiltà classica e ad un altro senza trascendenza. Senza giocare a far gli spengleriani, è consentito constatare come si sia oggi immersi nel periodo ultimo di una cultura, la cui energia si è considerevolmente affievolita, divenendo tutt’al più tecnica, ed in cui l’arte, sua espressione privilegiata, ha perso ogni trascendenza, quando non diviene addirittura uno strumento di propaganda. Il fatto è che la civiltà moderna è stata in gran parte edificata contro la Chiesa e contro il cristianesimo: non si devono confondere le civiltà precedenti la missione cristiana con una civiltà di tipo nuovo, ampiamente caratterizzata dall’apostasia. È vero però che non è possibile fare astrazione dal luogo in cui la Chiesa parla, affinché sia intesa. Ma, così come è impossibile utilizzare Marx, come volevano i fautori della prima teologia della liberazione, quale strumento di doctrina sacra, come san Tommaso aveva fatto con la filosofia di Aristotele, allo stesso modo non è più realistico credere in un battesimo della cultura contemporanea comunemente condivisa, in cui qualunque ricerca metafisica ed a fortiori qualunque affermazione, anche naturale, sull’esistenza di Dio siano divenute insignificanti.
Nei suoi testi più «aperti», il Concilio ha creduto possibile un matrimonio tra la dottrina sacra ed i temi della tolleranza in senso moderno, del rifiuto del dogmatismo e del rigetto di qualsiasi esclusivismo, rivendicato dal pensiero teologico. Tale aggiornamento dottrinale è stato ovviamente parallelo a quello, che ha preteso la riforma della liturgia e che s’è unito ad una sorprendente banalizzazione ed immanentizzazione dell’azione cultuale.
Don Claude Barthe____________________________
[1] Udienza Generale del 29 novembre 2023.
[2] Solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962) | Giovanni XXIII.
6 commenti:
E quindi cosa si propone, di continuare a parlare di Agostino e San Tommaso? Sicuramente il Concilio è stato troppo ottimista, ma anche la cultura moderna essendo comunque una espressione umana può essere evangelizzata con linguaggi nuovi o superata da una nuova forma espressiva del cristianesimo che si effettivamente una nuova (non un “di nuovo”) cultura cristiana che si esprime con nuovi termini e linguaggi.
Parafrasando i pifferi di montagna, che andarono per suonare e furono suonati mi vien da dire andarono per inculturare e furono inculturati.
" la cultura moderna essendo comunque una espressione umana può essere evangelizzata con linguaggi nuovi… "
Mais ce qui fait sa modernité, n'est-ce pas précisément son hostilité au christianisme ? Et, plus encore qu'au christianisme, à la personne du Christ lui-même ?
Tout le problème est que le "monde moderne" NE VEUT PAS entendre parler du Christ.
Ce n'est pas d'une question de forme, d'usage, d'habillement, qu'il s'agit. Forme, usage, habillement, que l'on pourrait remettre au goût du jour, adapter (comme l'ont cru possible les pères de Vatican II, et comme le croient encore certains jésuites). C'est une question de FOND : l'homme moderne NE VEUT PAS du Christ. Il est, en cela, à l'image du judaïsme rabbinique — qui sait très bien ce qu'est le christianisme, MAIS QUI N'EN VEUT PAS, A AUCUN PRIX.
cultura cristiana che si esprime con nuovi termini e linguaggi
Un conto è esprimersi con nuovi termini e linguaggi, eodem sensu eademque sententia, un altro conto è usare termini ambigui e un linguaggio che esprime una falsa teodicea piena di 'circiterismi', per dirla con Romano Amerio...
# Non si tratta tanto di linguaggi quanto di contenuti.
I contenuti della fede sono sempre quelli, non possono esser mutati, ove sono affermati come "verità di fede divina e cattolica", secondo la dizione tradizionale.
Esempio: il matrimonio. Nostro Signore in persona ne ha fissato l'indissolubilità. Indissolubile e monogamico. Un Sacramento, attori gli sposi di fronte a Cristo, in chiesa. Il suo fine principale: la procreazione e l'educazione dei figli. Qui c'è poco da inculturare.
Deve restare oggi così come era duemila anni fa.
IL pensiero moderno offre un linguaggio più adatto per esprimere queste semplici verità? E quale sarebbe? Venga fuori.
Bisogna ricordare anche che il linguaggio dei concetti di origine aristotelica corrisponde il più possibile al ragionare dell'uomo comune: il rapporto di causa ed effetto, che utilizziamo tutti i giorni, nelle sue 4 forme anche senza saperlo; l'importanza dell'idea del fine per determinare la natura di una cosa o di un'azione - il fine e quindi (cristianamente) l'intenzione, nel caso dell'azione; la connessione e differenza tra l'essere e l'apparire e quindi tra sostanza e suoi accidenti, utilizzata nel dogma della transustanziazione.
A questo proposito, dopo il Concilio, soprattutto cardinali e teologi belgi e olandesi tentarono di utilizzare il pensiero moderno per eliminare l'espressione aristotelico-tomistica di "trans-substantiatio". Cercarono di applicare categorie di Husserl, tra l'altro. Ne venne fuori un pasticcio enorme, inconcludente. La nozione più chiara era quella di "transfinalizzazione". Abbastanza oscura per la verità, faceva tuttavia chiaramente capire che la conversione della Sacra Ostia corrispondeva ad una finalità posta dal sacerdote, non era un fatto miracoloso bensì un significato posto dal celebrante stesso. Faceva capire che questi, non avendo più la fede, si arrampicavano sugli specchi per render la Consacrazione un fatto soggettivo, del celebrante e magari dell'assemblea.
Il termine transsubstantiatio esprime perfettamente la conversione miracolosa della Sacra Ostia. Fu adottato nel XIII secolo (controllare), quando ci fu il recupero di Aristotele alla dottrina ortodossa. Ma non era "aristotelismus" come falsamente affermava Lutero, era una terminologia adottata perché colpì tutti per la sua capacità di spiegare esattamente quello che accadeva alla Consacrazione.
Spero che questi esempi siano sufficienti.
E nemmeno la liturgia si può "inculturare", al di là di modifiche molto piccole e non sostanziali. Come hanno sempre giustamente insegnato i papi sino a Pio XII incluso.
Bisogna anche tener presente che il pensiero contemporaneo non è più capace di un linguaggio coerente, è dominato dalle teorie "decostruttiviste" iniziate dalla decadente filosofia francese contemporanea, Derrida and Company. Ma già Heidegger ha delle colpe in questo senso. Partendo dall'arbitraria decostruzione di significato di un testo, cui sostengono si può far dire quello che l'interprete vuole, si è arrivati alla decostruzione della realtà in quanto tale, all'irrazionalismo più spinto (vedi il transgenderismo), un sistema di non-pensiero ideale per l'incoltura di massa "insegnata" oggi nelle università e scuole (a maggioranza ampiamente femminile, bisogna anche rilevare).
T.
@mic 07.01 19:07
Concordo sul fatto che il linguaggio attuale della Chiesa sia insufficiente e soprattutto troppo ambiguo.
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