Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 23 agosto 2024

Mons. Agostini sul Pellegrinaggio a Covadonga 2024

Pubblichiamo il commento di Mons. Marco Agostini, Cerimoniere del S. Padre, che ha accompagnato i pellegrini e celebrato la Messa principale del Pellegrinaggi da Oviedo al Santuario di N. Signora di Covadonga concluso lo scorso 29 luglio. Diversi precedenti a partire da qui. Qui un video.

Mons. Agostini sul Pellegrinaggio a Covadonga 2024.

Al tempo del disconoscimento e dell’oblio delle radici che hanno fatto grande per Fede e civiltà l’Europa, l’annuale pellegrinaggio Nostra Signora della Cristianità di Covadonga rappresenta una controtendenza. Fotografie, video, testimonianze orali o scritte danno l’idea di che cosa sia stato, tuttavia è l’esperienza diretta del pellegrinaggio che conferisce la precisa coscienza d’aver preso parte a qualcosa d’inatteso, sorprendente e grande.

Covadonga è la meta, il punto d’arrivo d’un itinerario fisico e di Fede, immagine “della città posta sul monte” (Mt 5, 14-15) alla quale tutti aneliamo nel nostro peregrinare terreno. Ma prima di divenire un traguardo, Covadonga è stata un inizio, un punto di partenza: una delle radici cristiane dell’Europa! La Santa Grotta custodisce il simulacro della “Regina di questa montagna che tiene per trono la culla di Spagna” (Inno di Covadonga).
La Basilica è monumento solenne a Dio, alla Santissima Vergine e a un simbolo dell’identità iberica e della cristianità europea: offerta grata delle genti di Spagna e d’Europa alla Santissima Vergine che si degnò di visitare questo teatro della storia incoraggiando il Re Pelagio e suoi trecento la notte prima della battaglia che segnò l’inizio della Reconquista cattolica e lo sbarramento all’islamizzazione dell’Europa.

Come innumerevoli cristiani lungo i secoli, con tale comprensione serrata nella mente, quasi duemila giovani e giovani famiglie hanno pellegrinato a questo luogo a piedi, per tre giorni, percorrendo i cento chilometri che separano Oviedo dal Santuario. E’ indelebile il ricordo del lungo cordone colorato di pellegrini che ha solcato sentieri assolati, inabissandosi in boschi ombrosi, riaffiorando alla luce come fonte risorgiva, accarezzando in un dolce saliscendi la morfologia della terra asturiana. Al garrire delle bandiere e degli stendardi, all’ondeggiare delle croci, all’eco di preghiere, giaculatorie, inni e famigliari conversazioni, si mescolava la fatica, lo stento, il sudore, il sangue di piedi in difficoltà, unitamente alle lacrime e al sangue di cuori in pena per la Chiesa, per l’Europa e per il mondo. Nulla di nuovo per un pellegrinaggio cattolico dove Fede e vita si compenetrano, gioia e sacrificio s’accompagnano, redenzione ed espiazione rimuovono peccati e pene, dove la Grazia perfeziona la natura, in special modo, col Sacramento della Confessione amministrato senza interruzione da numerosi Sacerdoti.

“Pane vero” dei pellegrini è stato il “Pane degli Angeli” ricevuto nelle solenni e antiche Messe che hanno ritmato i giorni del pellegrinaggio di questa nuova generazione di figli della Chiesa. Questi figli hanno ritemprato le loro forze abbeverandosi, alla stessa maniera dei trecento di Gedeone (Gd 7,1-8), nel vasto fiume delle Tradizione. Imponente spettacolo vedere ed essere parte di una moltitudine che impara e vuole unire il proprio sacrificio a quello incomparabile di Cristo sulla Croce che si perpetua nel Santo Sacrificio dell’Altare. Uno spettacolo che non lascerebbe indifferenti, se fossero stati lì, anche i più sofisticati detrattori. Ho visto lacrime solcare i volti freschi, benché affaticati, di questi ragazzi mentre in ginocchio e a mani giunte ricevevano la Santissima Eucaristia.

E finalmente la meta, desiderio sognato alla partenza, agognato con sofferenza lungo il cammino: “Ora i nostri piedi si fermano alle tue porte Gerusalemme” (Sal 122,2). L’arrivo è sempre qualcosa di epico, momento di emozioni sconfinate che traboccano dal cuore di chi ha particolarmente faticato. Le campane che suonano a distesa, la musica del grand’organo, la possanza del canto. Qui, spesso, si radica il nobile sentimento che, nell’esuberanza della giovinezza, cancella la fatica e consolida la decisione di voler tornare di nuovo, l’anno prossimo, alla Grotta della Santina, nella casa della Madre, tra queste imponenti montagne, nel rigoglio delle foreste, tra lo scrosciare delle cascate. Te Deum laudamus, Te Dominum confitemur è l’inno risuonato, in un luogo così speciale, innanzi al Santissimo Sacramento. Grazie alla Trinità Santissima, principio e fine della creazione per aver iniziato e concluso questo cammino, parabola dell’esistenza reale. Grazie per la Niña – così, con devota passione, gli asturiani chiamano Nostra Signora – patrona e propiziatrice di ogni vittoria ieri, oggi e sempre. Grazie per la Chiesa particolare di Oviedo e per quella universale, madre e bella sempre, nonostante i peccati dei propri figli. Da questa radice cristiana dell’Europa è scesa, dentro e fuori la basilica, la Benedizione del Santissimo Sacramento sull’impegno dei pellegrini a costruire il Regno dei Cieli già su questa terra, nelle chiese, negli spazi civici e nelle case, nonostante l’avversità dei tempi e il mugghiare oscuro del mondo.

Agli infaticabili organizzatori Sacerdoti e laici, a coloro che ci hanno ospitato con cordialità e a quanti hanno reso possibile a vario titolo una così straordinaria esperienza, il grazie più sentito.

10 commenti:

Anonimo ha detto...

"È stato giustamente notato che una delle caratteristiche dei romani, quasi un segreto della perenne grandezza della Città Eterna, è il rispetto alle tradizioni. Non che tale rispetto significhi il fossilizzarsi in forme superate dal tempo; bensì il mantener vivo ciò che i secoli hanno provato esser buono e fecondo. La tradizione, in tal modo, non ostacola menomamente il sano e felice progresso, ma è al tempo stesso un potente stimolo a perseverare nel sicuro cammino; un freno allo spirito avventuriero, incline ad abbracciare senza discernimento qualsiasi novità; è altresì, come suol dirsi, il segnale d'allarme contro gli scadimenti."

(dal discorso di Sua Santità Papa Pio XII ai professori ed allievi del Liceo Ennio Quirino Visconti, di Roma del 28/2/1957).

Anonimo ha detto...

OT
Il veliero affondato a Porticello: si dice che molti dei defunti siano morti in trappola nelle cabine, che non sono riusciti ad aprire perché il veliero era già piegato di 40 gradi ed essi avrebbero dovuto arrampicarsi fino alla cima della porta. O ho capito male o c'è qualcosa che non quadra. Le porte si chiudevano con una serratura o marchingegno elettronico/ AI quindi erano inapribili causa elettricità saltata? Poi se l'acqua era dentro la cabina nuoti non ti arrampichi. Tuttavia temo che l'apertura e la chiusura della porta fosse di questi apri e chiudi con AI che riconosce l'iride di chi entra ed esce. Se così realmente fosse, tragica lezione mondiale a non mettersi mani e piedi alla mercè della AI. Torniamo alla vecchia serratura o al vecchio catenaccio. I costruttori sono inviperiti per la loro immagine, il Capitano è quasi ai domiciliari in albergo. Per di più il veliero è finito in una fossa profonda 50 metri, anche il recupero delle salme non è stato facilissimo. Il nocciolo della questione è per quale motivo non sono riusciti ad uscire dalla cabina? È stato suonato un allarme? È stata una trappola solo per i defunti?
m.a.

Anonimo ha detto...

EUCARISTIA

Non è per restare nel ciborio d'oro che Gesù discende ogni giorno dal cielo, ma per trovare un altro cielo che gli è infinitamente più caro del primo: il Cielo della nostra anima.

~Santa Teresina di Lisieux

Anonimo ha detto...

Ora i defunti li hanno trovati sparsi, loro hanno provato a scappare ma, non ce l'hanno fatta. La moglie di Lynch ce l'ha fatta.  Con l'andare del tempo la narrazione diventerà univoca, tranquillizzante per tutti, attori e spettatori. Una preghiera per i defunti.

Silente ha detto...

Può darsi che mi ricordi male io, ma mi sembra che la Santa Messa di sempre, che concludeva nella cattedrale il pellegrinaggio a Covadonga, sia stata vietata dal Vaticano e sostituita con la messa modernista. Sempre se mi ricordo bene, sicario del misfatto il vescovo locale. E allora perchè questi toni trionfalistici di costui, probabilmente anch'egli complice dello sciagurato divieto?
Silente

mic ha detto...

Del divieto davamo notizia qui
https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2024/07/covadonga-pellegrinaggio-2024-il.html?m=1

Il comunicato è del monsignore che ha accompagnato il pellegrinaggio e, insieme ad altri sacerdoti, ha assicurato la Messa al campo ogni giorno e anche quella solenne in conclusione, purtroppo non in cattedrale a causa del divieto.

Anonimo ha detto...

“I martiri degli ultimi tempi saranno i più grandi di tutti, perché i primi hanno combattuto contro gli Imperatori, ma gli ultimi combatteranno con Satana”.

~ Sant'Agostino d'Ippona

Anonimo ha detto...

Del c.d. "Santo Padre", così come chiameremmo "Onorevoli" anche quei Deputati indegni di ricoprire la loro carica?

Articulus stantis et cadentis ecclesiae ha detto...

La cosa davvero preoccupante è che sembra che a Roma e in molte Diocesi , negli ultimi anni, l'"articulus stantis et cadentis ecclesiae" sia diventato il rifiuto del Rito antico della Messa.
(Andrea Sandri)

Anonimo ha detto...

"La liturgia non è un giocattolo dei papi; è l'eredità della Chiesa. La Messa antica non riguarda la nostalgia o il gusto personale. Il Papa dovrebbe essere il custode della Tradizione."
Mons. Robert Mutsaerts vescovo ausiliare di Den Bosch, Olanda