Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 25 novembre 2016

Fabio Adernò. MISERICORDIA ET… VERITAS

Ringrazio Fabio Adernò, noto per essere tra i più giovani avvocati del Tribunale Apostolico della Rota Romana, per averci inviato questo suo Commento giuridico-pastorale circa alcuni contenuti della Lettera Apostolica a conclusione del Giubileo Straordinario. Molti gli elementi di riflessione e approfondimento.

MISERICORDIA ET… VERITAS
Commento giuridico-pastorale circa alcuni contenuti della Lettera Apostolica a conclusione del Giubileo Straordinario.
di Fabio Adernò
Avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana

Lo sciame di commenti che si è diffuso allo scoccare di mezzogiorno di lunedì 21 novembre scorso circa il contenuto della Lettera Apostolica Misericordia et misera (MM), con la quale Papa Francesco traccia un bilancio dell’Anno giubilare straordinario della Misericordia appena conclusosi e comunica alcune Sue disposizioni, impone in coscienza agli “addetti ai lavori” un doveroso e necessario commento di ordine giuridico-pastorale, atto a chiarire alcuni punti che, malintesi da buona parte dei mezzi di comunicazione, possano apparire, prima facie, controversi quantomeno nella loro comprensione.
Il nostro non vuol essere un commento all’intera Lettera Apostolica – per cui si rimanda alle parole di Mons. Fisichella durante la conferenza stampa di presentazione del Documento pontificio – ma ci si limita ad offrire un servizio ermeneutico limitatamente al n. 12, il cui contenuto riguarda direttamente il Diritto Canonico.

Il capitolo è denso, e per agilità verrà diviso in due parti, che verranno commentate disgiuntamente, quantunque l’argomento sia sostanzialmente il medesimo.
Ecco la prima parte del testo:
«In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione.» (MM, 12, par. 1).
Ricollegandosi direttamente a quanto espresso nel capitolo precedente, nel quale tra l’altro scriveva «Il Sacramento della Riconciliazione ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono.», il Santo Padre esterna una Sua concessione graziosa disponendo che «tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero» godano della «facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto», come già disposto per l’Anno Giubilare.

Alcune premesse.
  1. Innanzitutto l’aborto procurato resta un peccato grave e rimane recensito sotto la categoria canonica di “delitto”. Non si dà in alcun modo – perché non può darsi – l’ipotesi che possa essere stravolto il contenuto essenziale del can. 1398 del vigente Codice di Diritto Canonico che così testualmente recita: «Qui abortum procurat, effectu secuto, in excommunicationem latae sententiae incurrit».
    Papa Francesco, diversamente da quanto sostengono alcuni azzardati commentatori, non ha toccato il contenuto della Norma universale (di diritto divino, e dunque immutabile), e l’aborto resta un delitto canonico contra hominis vitam et libertatem (cf. CIC, lib. VI De sanctionibus in Ecclesia, p. II De poenis in singula delicta, tit. VI), sanzionato con la pena canonica determinata della censura cioè della scomunica latae sententiae, ovverosia automatica ipso facto commissi delicti, nella quale incorrono anche i complici a mente del can. 1329 («§2. Incorrono nella pena latae sententiae annessa al delitto i complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non sarebbe stato commesso e la pena sia di tal natura che possa essere loro applicata, altrimenti possono essere puniti con pene ferendae sententiae.»).
    A tal proposito è quanto mai salutare ricordare, inter multiplices, quanto autorevolmente scrisse S. Giovanni Paolo II nella Lett. Enc. Evangelium vitae (le sottolineature sono ns.): «Il più recente Magistero pontificio ha ribadito con grande vigore questa dottrina comune. In particolare Pio XI nell'Enciclica Casti connubii ha respinto le pretestuose giustificazioni dell'aborto; Pio XII ha escluso ogni aborto diretto, cioè ogni atto che tende direttamente a distruggere la vita umana non ancora nata, «sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine»; Giovanni XXIII ha riaffermato che la vita umana è sacra, perché «fin dal suo affiorare impegna direttamente l'azione creatrice di Dio». Il Concilio Vaticano II, come già ricordato, ha condannato con grande severità l'aborto: «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti». La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che si macchiavano della colpa dell'aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l'aborto la pena della scomunica. Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea quando sancisce che «chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae», cioè automatica. La scomunica colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza. Di fronte a una simile unanimità nella tradizione dottrinale e disciplinare della Chiesa, Paolo VI ha potuto dichiarare che tale insegnamento non è mutato ed è immutabile. Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi — che a varie riprese hanno condannato l'aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina — dichiaro che l'aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale. Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa.» (n. 62).
    Tale dichiarazione – gravida d’Autorità Apostolica – è incontrovertibile poiché ad essa soggiace il Diritto divino positivo e naturale.

  2. Ciò premesso, l’innovazione contenuta nella disposizione papale risiede unicamente nel modo e non nel merito con cui la Chiesa tratta il delitto d’aborto procurato. Fin’ora, infatti, a mente del can. 1355, §2, la remissione della pena latae sententiae è riservata all’Ordinario nei confronti dei «propri sudditi» e di «coloro che si trovano nel suo territorio o vi hanno commesso il delitto»; all’Ordinario del luogo si aggiunge anche «qualunque Vescovo tuttavia nell'atto della confessione sacramentale».
    Con la nuova disposizione – che dovrà trovare anche attuazione con una necessaria modifica della previsione normativa di cui sopra – si concede (dunque non si riconosce) a tutti i sacerdoti quella potestà che, a tutt’oggi, è stata riservata ai Vescovi.
Certamente, da tale disposizione si apre un ventaglio di questioni quantomeno problematiche, a ragione di una più ampia visione di ordine ecclesiologico, alle quali cercheremo di dare risposta.

La remissione della pena connessa all’aborto procurato è stata riservata ai Vescovi perché il delitto ha una connotazione antiecclesiale, e pertanto la Chiesa, nella sua disciplina, non avrebbe potuto non tener conto di detta classificazione.

Addirittura nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (cfr. c. 1450, §2), pur senza effetto latae sententiae, si dispone che l’assoluzione di questo peccato sia riservato al Vescovo eparchiale (cfr. c. 728, §2).

È comunque doveroso notare che, per prassi – oltre ai casi previsti ex lege (cfr. cann. 508 e 566, §2) – ciascun Vescovo fino ad oggi, annualmente, ha concesso ai sacerdoti della propria Diocesi in cura d’anime delle facoltà speciali, specificandone il numero, grazie alle quali si poteva rimettere la censura prevista dal can. 1398, svolgendo così anche una forma di accertamento diretto sulla vita pastorale della porzione di Popolo di Dio sottoposta al suo Ministero, manifestando esplicitamente la sollecitudine e la paternità dell’ufficio episcopale.

La questione terminologica è essenziale, posto che «in re canonica numquam fit qaestio de meris nominibus».

Spiace molto, invero, che nel testo della Lettera sia contenuta l’espressione «ostacolo» (ripetuta anche nelle altre lingue in cui risulta redatto il documento, carente tuttavia della versio typica latina) a riguardo dell’attuale normativa, e dunque, implicitamente, si tenda a classificare quasi come un “impedimento” l’intervento intermedio dei Vescovi, e quindi l’esercizio del munus Episcopalis, prestando il fianco ad una visione dualistica diretta del rapporto Papa-Sacerdoti, quasi l’Episcopato fosse scomodamente “frapposto” fra le due entità.

Certamente il Romano Pontefice gode di una potestà che, tra l’altro, è indiscutibilmente immediata (cf. can. 331), ma questa forma velata di de-episcopalizzazione della struttura ecclesiastica rappresenta un argomento di riflessione non di poco momento, che potrebbe pericolosamente condurre ad una visione ecclesiologica distorta della teologia cattolica, la quale, invece, ha sempre visto nei Successori degli Apostoli quell’anello di congiunzione necessaria, essenziale, imprescindibile tra Chiesa e fedeli, evitando ogni bipolarismo che potrebbe definirsi presbiteriano ante litteram, confidando nella immancabile innervatura gerarchica.

Inoltre, questo filo diretto tra Papa e Sacerdoti altera di fatto l’equilibrio gerarchico che fin’ora è stato mediato dai Vescovi proprio in materia sacramentale di foro interno. Il vigente can. 967, §2, stabilisce che spetta all’Ordinario del luogo di incardinazione o di domicilio, la facoltà di concedere la facoltà di ricevere abitualmente le confessioni («vi concessione Ordinarii loci»). Pertanto la disposizione della Misericordia et misera, de facto et de iure, scavalca il diritto proprio dell’Ordinario del luogo. Anzi, il seguente can. 969, §1, è ancora più diretto e severo quando afferma che «Solus loci Ordinarius competens est qui facultatem ad confessionem quorumlibet fidelium excipiendas conferat presbyteris quibuslibet» («Solo l’Ordinario del luogo è competente a conferire a qualunque presbitero la facoltà di ricevere le confessioni di qualsiasi fedele», ibid.). La medesima considerazione si può fare circa i Superiori di un Istituto Religioso o di una Società di Vita Apostolica clericali di diritto pontificio che godano di potestà di governo esecutivo nei confronti dei propri sudditi (cfr. cann. 968, §2 e 969, §2).

Con questa disposizione, dunque, si esautorano gli Ordinari propri (Vescovi e Superiori religiosi) dall’esercizio del diritto stesso dal quale promana la potestà di confessare lecitamente (che il Codice Piano-Benedettino considerava come potestà delegata perché in capo al Vescovo) e viene meno, di fatto, la vigilanza degli stessi sulla idoneità di cui al can. 970, così come anche il conseguente diritto di revoca (cfr. can. 974, §1), perché non potrebbe l’Ordinario modificare una concessione del Romano Pontefice.

Si potrebbe obbiettare che la disposizione papale investa solo il caso dell’aborto procurato, e che per il resto la disciplina rimanga invariata. Abbiamo buoni motivi per credere sia così, ma di fatto non si può non constatare lo iato che viene a rappresentarsi in questa materia così delicata, perché, ragionando per sillogismi, se qualsiasi sacerdote può rimettere la censura a seguito di aborto procurato, a fortiori egli può dirsi investito di una facoltà abituale semel pro semper, indipendentemente dal prudente giudizio di idoneità dell’Ordinario o delle specificità delle dinamiche di ciascuna realtà ecclesiale di cui l’Ordinario (Vescovo o Superiore) è garante e moderatore (cfr. cann. 381, §1 e 392).

Alla luce di queste considerazioni, ci torna in mente il subliminale contenuto del M.P.“Come una Madre amorevole” (4 giugno 2016) circa la rimozione dell’Ufficio Ecclesiastico “per grave causa”, nella quale – a nostro avviso impropriamente – si equipara l’ufficio episcopale (cf. can. 375) a qualsivoglia ufficio ecclesiastico di cui al can. 145 (ufficio che, invece, promana dall’autorità episcopale, e di cui il can. 193 prevede la rimozione), sollevando una enorme questione sulla stessa natura del Munus episcopalis già chiaramente sancito dalla Cost. Dogm. Lumen gentium (cf. n. 27), dal Decr. Christus Dominus e da tutti i documenti della Tradizione della Chiesa, siccome necessariamente ricorda la Nota explicativa praevia a Lumen gentium. Non intendiamo comunque trattare qui quest’altra complessa questione, che riportiamo solo ai fini di utilizzarla come chiave di lettura possibile, che ci auguriamo sia solo “di scuola”, anche se «Ubi eadem est ratio, idem quoque ius statui oportere» (I. Gothofredus, Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis, lib. VIII, tit. 13, §3).

Il rapporto, infatti, che sussiste tra Papato ed Episcopato è forse tra gli argomenti più complessi possano esserci nell’Ecclesiologia, ma ne è anche connotato essenziale: perciò spiace leggere il termine «ostacolo» riferito alla mediazione del Vescovo, quando è invece lo stesso Papa Francesco che ha ribadito – ad esempio – la necessità che i Vescovi si occupino direttamente dei processi matrimoniali (cf. M.P. Mitis Iudex, 8 settembre 2015).

Non essendo questa la sede per discettare su questo e tornando sull’analisi terminologica, veniamo ora al contenuto specifico del testo in esame.

Il Papa – notavamo – estende sotto forma di norma universale la disposizione straordinaria concessa a tutti i sacerdoti durante l’Anno del Giubileo della Misericordia, conferendo, dunque, una facoltà che, di fatto, diventa habitualis.

Andando con ordine.
  1. Il testo dice «a tutti i sacerdoti».
    Cosa si intende?
    «Ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus» (glossa “Pretium”, Dig. 6.2.8), ricorda la Dottrina.
    Il vigente Codice di Diritto Canonico distingue da una parte «quilibet sacerdos» (cfr. cann. 976 e 986, §2) o «quilibet presbyter» (cfr. can. 969, §§ 1-2) e dall’altra «confessarius» (cfr. cann. 986, §2; 978, §2; 980; 981; 982; 983, §1; 984, §1) o «minister legitimus» (cfr. can. 959) o ancora «minister approbatus» (cfr. can. 976).
    Tipicamente nell’Ordinamento canonico si adopera il termine «sacerdos» o «presbyter» per indicare colui che, quantunque insignito di potestà d’Ordine non gode contestualmente della potestà di giurisdizione, poiché, essendo l’assoluzione una estrinsecazione di detta ultima potestas (che promana dall’Autorità Ecclesiastica e non ex ipso facto Ordinationis, cfr. can. 969), sebbene non nel senso tecnico di cui al can. 129 (cf. (cfr. Communicationes 10, 1978, 56), non ha ancora la facoltà di assolvere, e dunque non è ancora pienamente «minister sacramenti paenitentiae» (cfr. can. 966).
    Il sacerdos diventa minister sacramenti quando gode della facultas, ex ipso iure o vi concessionis. L’unica eccezione nella quale il sacerdos può assolvere licite è il caso del pericolo di morte del penitente (cfr. can. 976) laddove quilibet sacerdos, anche se privo della facultas, «valide et licite absolvit a quibusvis censuris et peccatis, etiamsi praesens sit sacerdos approbatus» (ibid.). Per cui tale disposizione riguarda ogni sacerdote in virtù della personale ed indelebile potestas sacra. Addirittura, al can. 986, §2, si sottolinea l’obbligo di ricevere le confessioni «urgente necessitate»: «Quilibet confessarius obligatione tenetur confessiones christifidelium excipiendi et in periculo mortis quilibet sacerdos».
    Ci sarebbe, dunque, da chiedersi se la concessione della facoltà riguardi tutti i sacerdoti che agiscono come ministri legittimi o approvati (perché hanno ricevuto la facoltà dall’Ordinario o dal Superiore) oppure, nella sua formulazione generica, la facoltà sia concessa simpliciter a tutti i sacerdoti, e dunque anche coloro ai quali è interdetto l’esercizio della potestà d’ordine (cfr. can. 1338, §2) ma che comunque possono (e devono: «tenetur»), per diritto universale, assolvere i fedeli in caso di pericolo di morte (cfr. cann. 976 e 986 § 2).
    Verrebbe pertanto a configurarsi, a seguito della concessione pontificia, quantomeno limitatamente al peccato di aborto, la rimozione della proibizione di esercitare la potestà, con conseguente conferimento della facoltà di assolvere fuori del caso di pericolo di morte e di rimettere la censura, atteso che l’aborto, oltre ad essere un peccato, è anche un delitto sanzionato in modo determinato.

  2. Il testo continua e, nell’inciso aggiunge: «in forza del loro ministero».
    La specificazione parrebbe dirimente la questione, nel senso che col termine «ministero» si sia voluto indicare il suo «esercizio» e pertanto riferirsi a tutti coloro i quali sono sacerdoti e che mai hanno perso il carattere indelebile che il sacramento dell’Ordine imprime (cfr. can. 1008), giacché la potests ordinis non è cancellabile ma solo impedibile (cfr. can. 1338, §2) e dunque prescinde da qualsiasi loro condizione (dunque anche scomunicati, sospesi, apostati, privati, insomma, dello stato clericale (cfr. cann. 290-293)).
    Tuttavia l’espressione «ministerium» con il suo aggettivo «ecclesiasticum» (cfr. can. 281, §§ 1 e 3) – oppure al plurale «ministeria» con l’aggettivo «sacra» (cf. can. 232) – suole indicare anche l’occupazione concreta che il chierico compie nella Chiesa, gli officia che si adempiono e per i quali si merita un sostentamento adeguato (cfr. can. 281, §1 per i sacerdoti e can. 281, §3 per i diaconi a tempo pieno: «plene ministerio ecclesiastico sese devovent»).
    È pertanto plausibile che l’espressione «in forza del loro ministero» voglia indicare soltanto la qualifica di « ministri sacri », status che nella Chiesa che si ottiene mediante la Sacra Ordinazione ricevendo i tria Munera Christi (docendi, regendi e sanctificandi) e che costituisce il fondamento della potestas ordinis, che mai – dicevamo – può essere perduta (cf. can. 1338, §2); ne consegue che con la potestas ordinis anche il ministerium e le facultates e tutte le potestates non si possano perdere ontologicamente (simul stabunt) e, pertanto, si possono esercitare validamente, quantunque illicite. Nel caso, dunque, si aggiungerebbe la concessione delle liceità dell’esercizio del diritto posseduto.
    Epperò, qui, si apre nuovamente la questione problematica, perché questa osservazione è valida per tutti i sacerdoti, dunque anche per coloro i quali sono dimessi dallo stato clericale, attesa l’indelebilità del carattere e la conseguente persistenza ontologica della potestas ordinis.
    È nostro avviso, tuttavia, che le parole del testo vadano interpretate in senso stretto, cioè in riferimento ai soli sacerdoti che non versano in stato di irregolarità canonica, questo perché quell’esercizio cui si riferisce la concessione pontificia riguarda, hic et nunc, l’esercizio ordinario del ministero, e non quello straordinario, che si configura solo urgente necessitate, già contemplato dall’Ordinamento ai cann. 976 e 986, §2, salvo sempre il prescritto del can. 144, §1.

  3. A detti soggetti, dunque, si concede «la facoltà di assolvere quanti hanno procurato il peccato di aborto».
    La questione terminologica è veemente.
    Rileviamo, innanzitutto, che l’Ordinamento canonico non contempla alcuna facultas absolvendi di natura assoluta, ma solo una facultas absolvendi vel non absolvendi ontologicamente connessa alla potestas Ordinis, che, pertanto, non può essere concessa da nessuna potestà, foss’anche pontificia, ma è contenuta implicite nel munus sanctificandi che si riceve con la Sacra Ordinazione.
    Il Codice vigente, invece, tratta con rigore della facultas ad confessiones christifidelium excipiendas (cfr. cann. 967, §1; 967, §2; 968, §1; 968, §2; 969, §1; 969, §2; 970-973; 974, §§1-4; 976; 986, §2), riferendosi in modo inequivoco ad una determinazione dell’esercizio di detta potestà ad opera del Superiore gerarchico.
    La terminologia usata, dunque, tanto nella Misericordia et misera quando nella Lettera “La vicinanza” (1 settembre 2015) appare deficitaria di una menzione esplicita della potestà di rimettere la censura.
    Il testo, infatti, parla solo di «peccato di aborto» e non di delitto. Il già citato can. 1398 ricorda che l’aborto è un delitto (lo si deduce dal titolo codiciale sotto cui è rubricato) che viene sanzionato con una pena canonica medicinale (censura) determinata, cioè la scomunica latae sententiae, e come tale la remissione della stessa abbisogna di una specifica potestas poenam remittendi (cfr. can. 1354 § 2).
    Alla luce di ciò è chiaro, dunque, che oltre alla cosiddetta facultas absolvendi, meglio definita facultas ad confessiones excipiendas, dovrebbe deve essere concessa la potestas remittendi poenam, perché altrimenti si configurerebbe un’assoluzione imperfetta (che investirebbe solo la colpa e non la pena) e dunque invalida ai fini sacramentali.
    Le previsioni normative vigenti, infatti, conferiscono al Vescovo, al Canonico penitenziere o altro sacerdote costituito «ad idem munus implendum» (cfr. can. 508), ai cappellani negli ospedali, nelle carceri e nei viaggi in mare (cfr. can. 566, §2), la facultas censuris latae sententiae non reservatis neque declaratis absolvendi, facendo salvo il noto disposto del can. 976.
    Se vogliamo considerare l’ultima disposizione papale in questo senso, non possiamo non ritenere come necessario una maggiore e più precisa esplicitazione della natura della facoltà concessa, onde evitare incertezza e confusione tra i fedeli e tra i sacerdoti stessi, specie in materia sì grave e delicata.

  4. Notiamo, infine, che il testo parla ancora di «assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto».
    Al di là della precisazione semantica che non si “procura” il peccato ma è l’aborto ad essere procurato (e del resto, lo stesso Codice parla di «chi procura l’aborto ottenendo l’effetto»), il punto essenziale è che per l’Ordinamento si assolve – cioè si rimette, si scioglie – la colpa e la pena: il colpevole rimane sempre il soggetto destinatario della misericordia e della giustizia di Dio. Dunque si rileva una imprecisione formale che potrebbe far incorrere in una cattiva interpretazione sostanziale, siccome del resto hanno fatto molti inopportuni commentatori, ritenendo erroneamente che l’aborto fosse stato, de facto, derubricato.
    Assai lodevole è l’attenzione paterna del Papa nei confronti di chi è ferito dal peccato, ma la carità importa anche chiarezza espressiva, specie a confronto col dato normativo di un sistema giuridico, perché altrimenti si confonderebbe il fine coi mezzi e viceversa, e si snaturerebbe l’atto più alto della Giustizia di Dio per il tramite del Ministero compassionevole della Chiesa.
    Questo anche alla luce di quanto scrive lo stesso Papa Francesco di seguito: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione» (MM, 12; la sottolineatura è ns.).
    Così dicendo, dunque, il Papa ricorda la gravità del peccato e, contestualmente, la necessità del pentimento del fedele che si accosta al Sacramento, condizione questa necessaria per la validità della confessione (cfr. can. 959).
    È importante, infatti, sottolineare che peccando il peccatore infligge una ferita alla Chiesa (cfr. ibid.) quale Corpo Mistico di Cristo, e pertanto è necessario il ministero della Chiesa stessa per la riconciliazione (cf. anche, tra gli altri, Lett. Enc. Redemptor hominis, 4 marzo 1979; Esort. Ap. Reconciliatio et paenitentia, 2 dicembre 1984).
Fatte queste dovute considerazioni, passiamo ora al secondo argomento contenuto nel n. 12 della Lett. Ap. Misericordia et misera.

Scrive Papa Francesco:
«Nell’Anno del Giubileo avevo concesso ai fedeli che per diversi motivi frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X di ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale dei loro peccati. Per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa. » (MM, 12, 2 par.)
Il 5 settembre 2015 avevamo già scritto (vedi qui) circa la decisione presa dal Papa all’inizio dell’Anno Santo, e ne avevamo fatto ampio commento, sostenendo che quella disposizione certamente non sarebbe rimasta una concessione ad tempus.

Papa Francesco, inserendo l’argomento nel contesto del n. 12, intende inquadrare il riconoscimento della liceità delle confessioni impartite dai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale S. Pio X nel più ampio contesto del clero cattolico, considerando di fatto quei sacerdoti alla stregua di qualsivoglia prete cattolico non impedito canonicamente.

Nel nostro scritto abbiamo discettato diffusamente sul contenuto e sui risvolti giuridici di detto riconoscimento; oggi, alla luce della disposizione papale – facendo salvo il principio che «Privilegia Summi Pontificis ipse solus interpretari potest et debet» (G. De Ockham, Opera politica, cap. II, IX) – non possiamo che concludere addirittura che se ogni sacerdote godrebbe (alla luce delle nostre riflessioni il condizionale è d’obbligo) di facoltà che da speciali sono diventate abituali come quella specifica di rimettere la censura latae sententiae, i sacerdoti della Fraternità S. Pio X, non solo godono di questa facoltà (giacché contemplati nella locuzione «tutti i sacerdoti») – di cui, per altro, a nostro avviso, godevano già licite e pleno jure sin dalla Lettera “La vicinanza” del 1° settembre 2015, giacché, come sopra ricordavamo Ubi lex non distinguit… – ma addirittura – si potrebbe dire per una eterogenesi dei fini – essi giungano a godere, in linea di principio, delle più ampie facoltà che permettano loro «ubique terrarum confessiones excipiendi» quasi Cardinali di S.R.C. (quantunque certamente non siano contemplati nel disposto del can. 967, §1) poiché anche qui vige il principio che «Ubi eadem est ratio, idem quoque ius statui oportere» (I. Gothofredus, cit.).

Alcune considerazioni a margine, inoltre, è forse opportuno aggiungerle.

È stato precisato, all’inizio di questo commento, che non si intendeva – perché non ci compete – esprimere giudizi di valore sul contenuto della Lett. Ap. Misericordia et misera, poiché ci si prefiggeva un commento di ordine squisitamente giuridico. Tuttavia, lo stesso tonus dell’attuale Pontificato importa anche necessariamente delle considerazioni di ordine pastorale, giammai disgiunte da quelle giuridiche.

«Conceptum in utero qui per abortum deleverit, omicida est» (Papa Stefano VI, Consuluisti de infantibus, DS 670).

Fermo restando il principio per il quale il Santo Padre giammai ha inteso intaccare la gravità intrinseca dell’atto immorale, peccaminoso, violento contro il bene supremo della vita, infrazione al V precetto del Decalogo che è l’aborto, non si può nascondere la problematicità dell’eco mediatica scaturita da una maldestra, e forse anche faziosa, interpretazione strumentale del documento, ed è necessario da parte di ogni buon cattolico affermare con forza e coraggio la verità che la Chiesa ha sempre custodito, tramandato e difeso, e cioè che «Fin dal concepimento il bambino ha diritto alla vita. L’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è una pratica «vergognosa», gravemente contraria alla legge morale. La Chiesa condanna con la pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana» (CCC, 2322; cfr. Cost. past. Gaudium et spes, 27).

Questo insegnamento è immutabile, poiché – come già si ricordava – è di Diritto Divino, naturale e positivo.

Il gesto ampiamente paterno del Papa si deve leggere nell’osservanza del principio secondo cui il Munus Petrinum è il primo garante della suprema Lex Ecclesiae cioè la Salus animarum (cfr. can. 1752), quella stessa salus che la Chiesa, nella sua millenaria esperienza e saggezza, ha ricercato anche attraverso la comminazione delle pene di scomunica, proprio per sottolineare, con estrema e profonda carità e misericordia, la gravità di taluni atti che infliggono una maggiore e più profonda ferita alla sua integrità di Sposa Immacolata di Cristo.

Nel pieno rispetto, dunque, di quanti fino ad oggi hanno speso la loro vita per combattere il crimine dell’aborto anche e soprattutto innanzi agli Stati laicisticamente insensibili e indifferenti, di quanti, come i medici obiettori, hanno offerto un servizio ed una testimonianza piena, concreta, totale alla Verità di Cristo, ed in nome di tutti i bambini non nati, è doveroso ribadire pro viribus che l’aborto rimane un delitto odioso, sanzionato dalla Chiesa con le misure che nella sua sapienza ha ritenuto necessarie, e che il fatto che, benignamente, il Santo Padre abbia voluto estendere le facoltà di assolvere il peccato e rimettere la pena, non implica neanche lontanamente che detto delitto abbia perso la sua gravità, la sua dolorosa incidenza nella realtà ecclesiale e nella comunità umana.

Il fatto che, in conseguenza di questo atto papale, sia ottenibile da qualsiasi sacerdote l’assoluzione, non giustifica e non perdona quanti sono prepotenti assertori di presunti diritti all’autodeterminazione, né si potranno tollerare istanze volte al mancato riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza di quanti non intendono cooperare al delitto contro la vita umana.

Il messaggio che, confidiamo, possa passare, dev’essere un messaggio di amore, del Padre misericordioso che si china sulle pecorella smarrita, sul figlio che, sinceramente pentito, ritorna a casa. Le sanzioni che la Chiesa infligge a quanti infrangono i precetti di Dio sono espressione della misericordia e della giustizia di cui essa è tutrice, ed è nel servizio più profondo e completo alla giustizia che si rende una vera e propria opera di misericordia: «Per quae peccat quis, per haec et torquetur» (Sap 11, 17).

Il Santo Padre Francesco costruisce ogni giorno ponti verso l’umanità, chiedendo di tornare fiduciosa tra le braccia del Padre. È compito di ogni buon cattolico non vanificare questi sforzi rendendo un servizio alla Verità, affinché l’adesione a Cristo sia ancora più consapevole e piena, nel rispetto della Legge di cui Egli stesso ha garantito che neanche uno iota verrà mutato (cf. Mt 17, 20), e testimoniare sempre con più coraggio, davanti alle sfide della modernità, la salutare fermezza della Croce di Cristo: «Dum volvitur orbis stat Crux».
Fabio Adernò

33 commenti:

Anonimo ha detto...


OT
https://www.lifesitenews.com/news/russian-orthodox-leader-gay-marriage-transgenderism-pose-a-significant-thre

Anonimo ha detto...

LA NUOVA CHIESA USA DUE METODI,,UNO PER I FEDELI cretini che HANNO BISOGNO DI CREDERE, ED UNO PER I FORMATORI CHE SONO INVECE furbi, i quali STORICAMENTE (SIC) sanno che NON esiste ciò che dagli amboni e negli imbonimenti per il popolo dicono , due lingue opposte, la storia e la scienza che SECONDO LORO sono il contrario della fede. Mah.... io non ci sto.

irina ha detto...

Rimane da chiarire se qualcuno esperto,cioè con conoscenza approfondita del Diritto Canonico,del CCC, delle Encicliche pregresse attinenti al tema in esame, legga,si confronti con l'autore approfonditamente, quindi corregga PRIMA che lo scritto sia stampato, distribuito, per essere poi recepito in modo INEQUIVOCABILE dal Popolo intero di Dio.

mic ha detto...

L'amico protestante del papa nella cabina di regia dell'Osservatore Romano
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/11/25/lamico-protestante-del-papa-nella-cabina-di-regia-de-losservatore-romano/

Anonimo ha detto...


# Ottimo articolo

Un articolo di cui c'era bisogno, scritto da chi ne capisce, in questa delicata e difficile materia. Pero' un articolo difficile per noi semplici fedeli. L'articolo fa giustamente notare l'uso di un linguaggio a volte non preciso da parte del Papa.

Due domande di chiarimento:

1. Con questo articolo 12, il sacerdote che assolve dal peccato di aborto, leva contestualmente anche la scomunica latae sententiae oppure no? E se non la leva e l'assolto rimane ancora scomunicato, abbiamo allora "assoluzione imperfetta", che toglie (se ho capito bene) la colpa ma non la pena?

2. Nel caso del peccato di aborto la pena e' l'inferno. Allora, se resta, dopo l'assoluzione, la scomunica, e la assoluzione risulta imperfetta, questo peccatore pur assolto deve andare lo stesso all'inferno? Mi sembra impossibile.

Grazie degli eventuali chiarimenti.

irina ha detto...

@ mic 10:42,

letto articolo di Magister e rimando a Paolo Ricca.
Vuoi vedere che saranno proprio i protestanti più seri, cioè cristiani studiosi e timorati di Dio, che diranno NO a quel pasticciaccio brutto del volemosebbbene?

Anonimo ha detto...

OT. Su "La Verità" di oggi, pagine 10 e 11, c'è un articolo di Pieto la Porta su vari retroscena: Vaticano, Bergoglio, Bertone, Clinton, Trump, IOR eccetera. Non è davvero possibile riassumerlo... il senso è che un confidente anonimo (un prelato) avrebbe rivelato da tempo che l'establishment Vaticano aveva puntato tutto sulla vittoria della Clinton - e l'ambiente liberal avrebbe colonizzato tutta l'area vaticana che gestisce banche e finanza - e ora potrebbero esserci conseguenze dovute all vittoria di Trump.

La frase che mi ha stuzzicato più di tutto è questa:

"I maltesi non sono stati scelti da Bergoglio ma imposti da Washington. Le metodologie sono le stesse con cui sono stati infiltrati gli agenti che complottarono contro il Papa Emerito."

I maltesi sarebbero i prelati maltesi che sono stati messi in posizioni di responsabilità della gestione di banche e finanze.

La Verità è a pagamento; si può comprare anche solo il numero di oggi.

--
Fabrizio Giuidici

Anonimo ha detto...

@Irina

In realtà Ricca in questa circostanza ha avuto cose da ridire, ma in altri casi si è dimostrato ben accomodante. Se ci si vuol fare un'idea di certi protestanti etc... che potrebbero essere più attaccati ad una tradizione (non cattolica, con tutti i limiti evidenti, ma non sincretista) cercate "Sentieri valdesi" (o roba del genere). Sono un gruppo di Valdesi che ha già criticato le decisioni del sinodo valdese di apertura ad omosessuali, eccetera. Uscì un articolo critico su La Croce, subito dopo l'incontro di Francesco con i valdesi di due anni fa.

che caos! ha detto...

A quanto mi risulta ogni qualvolta i sacerdoti della FSSPX durante la confessione sono incappati davanti a peccati particolari da assolvere,si sono rivolti al Santo Uffizio(insomma all'organo competente) il quale ha sempre concesso poi l'assoluzione. Questo mi pare abbia sempre confermato che le assoluzioni date dalla FSSPX anche fuori dall'anno della misericordia siano state considerate valide dall'autorità. Diciamo che tra il dire ed il fare c'è un bel zibaldone.

Anonimo ha detto...

it.radiovaticana.va/news/2016/11/25/al_via_in_vaticano_lavori_commissione_su_diaconato_femminile/1274726

Grazie a Fabrizio Giudici per la news.

AUCTOR ha detto...

Ringrazio per l'apprezzamento.

Rispondendo ad "@Anonimo".

L'imprecisione rilevata nel testo dà vita esattamente a detta problematica della assoluzione imperfetta considerato che trattasi non solo di peccato (dunque rilevante principaliter in foro interno) ma anche contestualmente di delitto (che dunque rileva in foro esterno).
La censura prevista, infatti, è la scomunica perché il delitto infligge una ferita esterna al Corpo Mistico, perché considerato come omicidio ("foeticidium" scrivevano i Commentatori al Codice Piano-Benedettino del 1917).
Si configura pertanto una figura analogica della scomunica "nemini reservata".
Nei commentari di diritto penale canonico si ricorda che "Reservatio in censuris est avocatio absolutionis censurae ad iudicium Superioris; quare impedit ne inferior possit liberare a censura per eius absolutionem” (WERNZ-VIDAL, Ius Poenale ecclesiasticum, tomus VIII, ed. II, p. 274, n. 253, Romae 1951).
L’assoluzione della censura – insegna la Dottrina di sempre – si può dare tanto in foro interno quanto in foro esterno. Se data in foro esterno essa investe anche il foro interno, ma se si dà solo in foro interno “vinculum poenale per se solum tollitur apud Deum, manente vinculo apud Ecclesiam, quae per se in suo foro externo potest ita absolutum tamquam censuratum habere, donec in ipso externo satisfactionem dederit, si opus fuerit” (Ibid., p. 280, n. 259), specie se si considera che l’aborto è un delitto esterno e non un delitto occulto, nel quale – va ribadito con forza – incorrono, matre non excepta, i “procurantes abortum”, vale a dire chi “directe”, “studiose”, “ex industria”, “sive actione physica sive morali” ovvero per mandato, concorre alla realizzazione dell’aborto (cfr. Ibid., p. 548).
Questo perché? Perché essi producono un danno permanente – l’interruzione della vita – che non può essere rimediato in alcun modo, se non appunto attraverso la pena pubblica.
La riduzione della remissione al solo foro interno, dunque, crea un significativo problema di ordine sostanziale (morale e sacramentale), poiché di fatto (quantunque non de jure) si depotenzia l’effetto odioso del peccato delittuoso.
Per quanto concerne la seconda domanda, secondo la logica resta fermo il principio che se la pena non è rimessa insieme alla colpa (cosa che avviene in confessione, ordinariamente, alle condizioni previste), la pena rimane. Si tratterebbe, tuttavia, di una abnormità, che l’Ordinamento canonico non potrebbe tollerare, fermo anche il prescritto del can. 144, che riguarda appunto la “supplenza di facoltà” da parte della Chiesa. Pertanto, essendo la salvezza delle anime la legge suprema della Chiesa, è evidente che, ricorrendo le opportune condizioni, sarà Dio stesso a scegliere di salvare l’Anima o di dannarla. Ma questa considerazione per così dire “escatologica” non può farci cullare in un atteggiamento di pericolosa ambiguità terminologica ed espressiva.
In più il Santo Padre esprime una ratio, che è quella di un effetto più immediato dell’azione misericordiosa del perdono di Dio, dunque, ferma restando la nostra osservazione circa la necessità di un chiarimento della nuova disposizione con chiari e inequivoci termini canonici, è logico considerare come implicito che si voglia intendere una assoluzione perfetta comprensiva anche della remissione della pena.
F.A

Anonimo ha detto...

...
Ebbene, anche l’estensione a tutti i sacerdoti della facoltà di assoluzione dell’aborto, con la sua pretesa di evidenziare un grande valore (la misericordia di Dio), ma trascurando il fatto che i fedeli possono aver bisogno anche di una censura per rendersi conto della gravità del peccato, potrebbe essere il segno di una progressiva ideologizzazione della Chiesa.

http://querculanus.blogspot.it/2016/11/dalla-sapienza-allideologia.html

Anonimo ha detto...


@ Ancora sulle risposte del dr. Aderno'

Ringrazio delle esauriente risposte. Dalla profonda dottrina in esse esposta, ho dunque capito quanto segue;

I - nonostante la terminologia poco soddisfacente si deve ritenere che il Papa abbia effettivamente autorizzato il confessore a rimettere anche la scomunica quando assolve dal peccato di aborto volontario. Innovazione profonda.

II - per la seconda questione, ci si deve rimettere alla misericordia di Dio, che non puo' trarre conseguenze aberranti dalle pur giuste norme della Chiesa. Il penitente cui non sia stata rimessa la scomunica dovra' quindi attendere il giorno del giudizio per sapere se se l'e' cavata? Chiedo scusa se mi esprimo in modo non scientifico. Facciamo un esempio.

Una donna, macchiatasi del peccato di aborto volontario, si pente, si confessa, viene assolta dal sacerdote senza che la scomunica (per un insieme di circostanze) le sia stata tolta. Poco dopo muore. Muore quindi da scomunicata. Chi muore da scomunicato va in ogni caso all'inferno? Non credo. Pero' scomunicata per un peccato sia pure molto grave per il quale le era stata data l'assoluzione. Appena morta, Nostro Signore in teoria dovrebbe mandarla all'inferno perche' la pena e' rimasta ma la sua misericordia lo impedisce per l'evidente assurdita' della cosa. Quindi, Purgatorio?
Ma quale pena e' rimasta? Le pene qui, come ha spiegato magnificamene il dr. Aderno', sono giustamente due. Per il peccato (foro interno) e per il delitto (foro esterno). La dannazione eterna non dovrebbe esser prevista solo per il peccato mortale? Se e' prevista solo per il peccato allora la donna che non ha avuto rimessa la scomunica ma e' stata assolta non puo' piu' andare all'inferno. Se muore restando nella condizione di scomunicata, e' logico pensare che sconti questa condizione con un periodo di Purgatorio, quale giusta punizione per il carattere "delittuoso" del suo peccato, ormai cancellato (il peccato) dalla misericordia divina grazie alla confessione e all'assoluzione, visto che la sanzione per quel carattere "delittuoso" e' rimasta e l'autorita' non l'ha ritirata.
Pero' con la nuova normativa di Papa Bergoglio tutta questa casistica scompare, visto che ormai il confessore assolvendo puo' rimettere ipso facto la scomunica, che continua ad esser inflitta per il peccato di aborto.

irina ha detto...

@ Anonimo 13:49
@ mic

Grazie, cercherò. Sì, lo so che sono di manica larga, cercherò questo "sentiero valdese" su internet. Mentre ero fuori ho pensato ad una sorta di alleanza con tutti i cristiani che si rifiutano di adorare il vitello d'oro e di farsi strumento di questa cieca globalizzazione dalle politiche aberranti.Sua Santità il Patriarca Kirill, ha preso le distanze dal porcile occidentale, ad esempio. Spero che quanti sanno e possono, prendano in considerazione questa possibilità di rafforzare il muro uniti, ciascuno secondo la sua tradizione, la sua storia, per arginare la cosificazione dell'essere umano.

Aloisius ha detto...

Eccellente argomentazione, approfondita e completa.
Ad essere sincero, non riesco più a credere alla buona fede di questo papa.
Non dovrei pensarlo ne'dirlo, ma è quello che provo.

Più si approfondiscono le sue varie affermazioni, più emerge un'abilità straordinaria di questo papa ad inserire sempre qualche parola capace di creare scompiglio nella dottrina, sempre.

Scompiglio che, come evidenziato nell'ottimo articolo, si ripercuote persino nel sistema giuridico ecclesiastico che da quella dottrina promana.
Un'ambiguità che non può essere casuale, come una gaffe, ma puo'essere solo ben ponderata, studiata, voluta, per rimanere nell'ambito giuridico, dolosa.

Lo confermano l'entusiasmo dei nemici della Chiesa ai suoi discorsi, la capacità di quelle parole ad aprire varchi inquietanti, ad essere facilmente manipolabili, l'inerzia del papa a correggerle e il suo silenzio che le alimenta.
Una capacità che, se non fosse papa, definirei diabolica.





Alfonso ha detto...

"Un articolo di cui c'era bisogno, scritto da chi ne capisce, in questa delicata e difficile materia. Pero' un articolo difficile per noi semplici fedeli. L'articolo fa giustamente notare l'uso di un linguaggio a volte non preciso da parte del Papa."
Difficile? Per me molto di più, quasi incomprensibile! "Eccellente argomentazione, approfondita e completa" : nessun dubbio! Ma mi permetto di dire che se trattando argomenti di per sè semplici, da medico, mi esprimessi con il linguaggio medico-scientifico strettamente tecnico, ma corretto e veritiero, anche un sapiente avvocato non ci capirebbe un acca! Mi scusi avvocato. Ma anche la sua conclusione non mi riesce chiara. Leggo: "Il messaggio che, confidiamo, possa passare, dev’essere un messaggio di amore, del Padre misericordioso che si china sulle pecorella smarrita, sul figlio che, sinceramente pentito, ritorna a casa. Le sanzioni che la Chiesa infligge a quanti infrangono i precetti di Dio sono espressione della misericordia e della giustizia di cui essa è tutrice, ed è nel servizio più profondo e completo alla giustizia che si rende una vera e propria opera di misericordia: «Per quae peccat quis, per haec et torquetur» (Sap 11, 17). Il Santo Padre Francesco costruisce ogni giorno ponti verso l’umanità, chiedendo di tornare fiduciosa tra le braccia del Padre. È compito di ogni buon cattolico non vanificare questi sforzi rendendo un servizio alla Verità, affinché l’adesione a Cristo sia ancora più consapevole e piena, nel rispetto della Legge di cui Egli stesso ha garantito che neanche uno iota verrà mutato (cf. Mt 17, 20), e testimoniare sempre con più coraggio, davanti alle sfide della modernità, la salutare fermezza della Croce di Cristo: «Dum volvitur orbis stat Crux»."
Mi chiedo: quale novità si introduce? A me pare la riaffermazione della misericordia senza se e senza ma? Trovo irritante soprattutto la riaffermazione del programma di costruzione di ponti sempre ed ovunque? Ma basta, ne siamo più che subissati da anni di propaganda! Si vuole forse sostenere che finalmente, anche laddove si può ciò che si vuole, abbiano compreso che la misericordia e la giustizia nella Verità non possono essere disgiunte? Non ci credo!
Il messaggio che viene recepito effettivamente è : "ho peccato, mi pento, chiedo perdono, sono perdonato, il Padre misericordioso mi riaccoglie fra le Sue braccia e così tutti, in primis il "Santo Padre Francesco" , siamo felici e contenti, e l'Inferno resta vuoto. Rifaccio questa retorica domanda: se poi dovessi commettere nuovamente altri peccati, dovrei forse preoccuparmene? No, assolutamente, perchè il "Santo Padre Francesco" certamente mi perdonerà sempre, senza limite, incondizionatamente, perchè lui sono certo che considera restrittivo il comando di Gesù di perdonare: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), così come non dubito che egli sia veramente alla sequela di Cristo che, sulla croce, chiese perdono al Padre per coloro che gli davano la morte!"

mic ha detto...

Alfonso, credo necessario, in alcuni casi, per approfondire seriamente, anche il linguaggio tecnico. D'altronde il ventaglio di riflessioni offerto è sia specialistico che divulgativo.
Personalmente amo approfondire il più possibile. E questo testo di certo lo consente.

Grazie per il suo contributo di riflessione.

Anonimo ha detto...

L'articolo de La Verità che citavo ieri è disponibile ora integralmente sul blog del giornalista:

http://www.pierolaporta.it/bergoglio-predica-poverta-inquatta-denari/#more-14032

--
Fabrizio Giudici

Anonimo ha detto...

Molto interessante l'articolo di Piero la Porta, vorrei solo sottolineare questo passaggio: "Il «pretino» aggiunge: «I maltesi non sono stati scelti da Bergoglio ma impostigli da Washington. Le metodologie sono state le medesime con le quali infiltrarono gli agenti che hanno complottato contro il Papa emerito». Chiaro, no? o andiamo avanti a far finta di niente? si.ra mic?

Cesare Baronio ha detto...

http://opportuneimportune.blogspot.it/2016/11/misericordia-et-misera-cui-prodest.html

Anonimo ha detto...


Sempre con la mania di spiegare la crisi della Chiesa con i complotti cioe' dall'esterno invece di indagare come si deve le cause interne, per esempio, nel caso del "Papa Emerito", la sua cattiva teologia, dovuta alla ripulsa del pensiero classico e di S. Tommaso, alla sua dipendenza dal pensiero filosofico contemporaneo, per esempio da quello del profeta del dialogo, Martin Buber, pensatore ebreo a chiare tendenze gnostiche, da lui Ratzinger sempre lodato. A. R.

Anonimo ha detto...

@Anonimo delle 11:22

L'articolo è pieno di cose interessanti su cui meditare, ma dobbiamo comunque prendere tutto con le pinze. È inevitabile che il "pretino" mantenga l'anonimato, ma questo purtroppo aumenta il margine di incertezza sulle notizie riportate, diciamo perlomeno sui dettagli.

Un'altra cosa che mi ha incuriosito, anche perché questa non penso di averla interamente capita (se l'ho capita bene, in realtà, è un'altra cosa esplosiva), è detta i questo passaggio:

Dicono che i tedeschi aiutino molto le missioni in Africa.
«È vero», conferma Pretino, «anzi è stato più vero in passato. Da qualche tempo i biglietti per trasmigrare dall’Africa in Italia sono lowcost. Qualcuno ha deciso di svuotare le Chiese africane di energie vitali. La prospettiva di un papa africano, ricorrente ai tempi di San Giovanni Paolo II, oggi è labile.


--
Fabrizio Giudici

Anonimo ha detto...

@AR

Guardi che i complotti non sono dall'esterno ma dall'interno della Chiesa. La teologia di Ratzinger non c'entra nulla con il forzato suo allontanamento.

mic ha detto...

La teologia di Ratzinger non c'entra nulla con il forzato suo allontanamento.

Che il suo allontanamento sia stato forzato è tutto da dimostrare. Tanti indizi non costituiscono una prova certa....
E dovrebbe spiegare in che senso e quale aspetto della sua variegata teologia non c'entra con l'abdicazione che, fino a prova contraria, è un allontanamento volontario....

Anonimo ha detto...

Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto acerba e terribile guerra muovano, in questa nostra età, contro la Chiesa cattolica uomini congiunti fra loro in empia unione, avversari della sana dottrina, disdegnosi della verità, intenti a tirare fuori dalle tenebre ogni mostro di opinioni, e con tutte le forze accumulare, divulgare e disseminare gli errori presso il popolo. Con orrore certamente e con dolore acerbissimo ripensiamo tutte le mostruosità erronee e le nocive arti e le insidie con le quali si sforzano questi odiatori della verità e della luce, peritissimi artefici di frodi, di estinguere ogni amore di giustizia e di onestà negli animi degli uomini; di corrompere i costumi; di sconvolgere i diritti umani e divini; di scuotere e, se pur potessero, di rovesciare dalle fondamenta la Religione cattolica e la società civile.
Pio ix
Qui pluribus
http://www.totustuustools.net/magistero/

Anonimo ha detto...

E' già stato tutto ampiamente dimostrato che l'allontanamento di Ratzinger è forzato. Solo che molte persone, anche frequentanti questo blog, non hanno interesse a vedere tutte le prove di questo suo allontanamento perchè altrimenti dovrebbero ammettere che Bergoglio non è Pontefice, cosa che per loro è inconcepibile. Preferiscono fare interminabili discussioni sulle eresie quotidiane Bergogliane ma non ammettere che Bergoglio è un nemico di Cristo e della Chiesa. Alla si.ra Guarini non interessa la salvezza eterna delle anime, a lei interessano le discussioni dottrinali che possano mettere in mostra le conoscenze teologiche, ma tutto ciò è un'esercizio fine a sè stesso e non finalizzato alla dimostrazione chiarissima che Bergoglio non è Pontefice. La Si.ra Guarini continua come un disco rotto a dire che non ci sono prove dell'allontanamento ma sà benissimo che ciò che lei afferma è falso.

Anonimo ha detto...

@mic

A lei risulta, Si.ra Guarini, che la teologia di Ratzinger comprendesse la comunione ai divorziati risposati, il "divorzio" nel matrimonio sacramentale, l'assolvimento del peccato di aborto da parte dei sacerdoti, l'esempio di Lutero quale grande "spirituale personaggio" e tutte le altre eresie che in questi quasi quattro anni Bergoglio stà portando avanti? La teologia di Ratzinger prevedeva la profanazione dei Sacramenti?

mic ha detto...

Signor Anonimo,
che ha l'abitudine di apostrofarmi per nome dalla sua cattedra appunto anonima, ho eccezionalmente pubblicato questi ultimi post, che mi astengo dal commentare perché chiunque può verificarne i toni sprezzanti e i contenuti sofisti non esenti da fanatismo.

Ignora i fiumi di articoli e commenti da noi scritti sulle distorsioni di Bergoglio, così come su tutte le complesse questioni riguardanti l'abdicazione di Benedetto XVI.

Le affermazioni apodittiche le lasciamo a chi mostra segni di fissazioni incoercibili.

mic ha detto...

La ragione per cui ho pubblicato è che di 'fissati' come questo qua su ce ne sono tanti in giro non solo per il web...
Credo che la fatica maggiore, oggi, in una navigazione a vista e procellosa come non mai, sia proprio quella di rimanere fondati nella Verità, grati per la luce ricevuta, chiedendo continuamente, insieme alla fortezza, la prudenza e l'equilibrio...

mic ha detto...

Il fatto che la teologia di Retzinger non contempli le ultime storture bergogliane non esclude che alcune parti (es. falso ecumenismo portato a conseguenze inaudite) non contengano dei bachi, più volte individuati e illustrati.
L'insegnamento della Chiesa non riguarda solo il matrimonio e i valori non negoziabili.

Anonimo ha detto...


@ Giusto un piccolo esempio dei "bachi" menzionati da Mic

Il Papa mando' un messagigo augurale al primo forum cattolico-musulmano, esprimendosi in termini coranici:
"Possa Dio, Colui che e' misericordioso e compassionevole, assisterci in questa missione perche' siamo la stessa famiglia, anche se con diversita'". Promuoveva quindi un "lavoro comune" con i maomettani. E' noto che nel Corano si nomina spesso Allah con questi due appellativi: il misericordioso e il compassionevole (o il clemente). Nelle varie Sure di quel testo tanto "misericordioso" e "clemente" per la verita' non sembra. Comunque, interessa qui rilevare che l'autore dell'elogio in stile coranico era Benedetto XVI (vedi: Il Corriere della Sera del 7 novembre 2008).
Si vuole ricordare la timida critica espressa da Ratzinger nei confronti dell'islam, la cui reazione lo impauri', ragion per cui non vi insistette. Si vuole invece dimenticare la sua continuazione dell'ecumenismo disastroso inaugurato dai Papi precedenti, giustificato a piu' riprese con la falsita' (una vera e propria eresia, credo) del "adoriamo lo stesso Dio, in quanto tutti figli di Abramo". Colpe gravi, queste, non controbilanciate dalla poche cose buone che ha fatto. A. R.

Anonimo ha detto...

questi bachi sono infinitamente distanti nella gravità di ciò che stà accadendo poichè ora si attaccano direttamente i Sacramenti e quindi la possibilità delle anime di salvarsi. Ma questo per quelli che continuano a ragionare in termini di "bachi" ha poca importanza. E' veramente grave ciò che si afferma su questo blog perchè è una opera di sostegno a chi stà conducendo le anime alla perdizione eterna, vale a dire Bergoglio. Mai nessun Pontefice ha inteso il suo ministero a questa diabolica opera. In termini evangelici siete dei "filtratori di moscerini ed ingoiatori di cammelli" (il cammello bergogliano). I contestori di Ratzinger mi trovino un "baco" nella Teologia Sacramentale, ma poichè non lo possono fare, si accaniscono su altro pur di infangare la figura di un Grande Pontefice quale è il Papa BXVI. Voglio proprio vedere da che parte staranno questi "farisei" quando lo scisma li obbligheranno a scegliere.

mic ha detto...

Anonimo,
qui non si sta facendo il totalizzatore pro o contro Bergoglio o Ratzinger, ma si legge la realtà alla luce del Magistero perenne, senza paraocchi né tifoserie di alcun genere. E mi pare evidente dalla parte di Chi stiamo.
In ogni caso sarebbe opportuno ricentrarci sul tema specifico in discussione, peraltro attuale e scottante quanto basta.