Stefano Fontana, Filosofia per tutti. Una breve storia del pensiero da Socrate a Ratzinger, Fede & Cultura, Verona 2016, pp. 159.
“2.500 anni di storia della filosofia in 200. 000 caratteri” così si autopresenta sin dall’esordio quest’ultimo lavoro di Fontana, un agile libretto nato dalla temeraria proposta dell’editore Zenone che Fontana ha accolto e sviluppato con rara abilità.
Nello spazio di uno snello volume è delineato l’arco del pensiero occidentale, dalle sue origini greche alla post-modernità che viviamo, il tutto con linguaggio chiaro e divulgativo perché come scrive l’A. “la filosofia è semplice”. Ed è proprio vero, anzi si potrebbe pure eleggere la semplicità a valido criterio con cui valutare un’opera o un pensiero. Si, perché è del vero filosofo spiegare cioè rendere semplice ciò che potrebbe apparire complicato, non invece complicare ciò che al senso comune si presenta semplice. Le pieghe nel pensiero non sono segno di intelligenza, bensì di sua debolezza perché intelligere significa proprio penetrare l’oggetto indagato, vedere dentro, presentare pianamente ciò che ad uno sguardo non intelligente appare contorto. Basterebbe questo criterio per giudicare con severità molta, se non tutta, filosofia moderna e contemporanea. Ma non bruciamo le tappe e lasciamo a Fontana la parola: “Le verità della filosofia di San Tommaso, tolti i tecnicismi, sono le stesse verità che un bambino […] conosce con sicurezza”. Ecco la vera filosofia, semplice perché rigorizzazione del senso comune, apprensione onesta e schietta del reale. Tra il più grande dei filosofi tomisti e un bimbetto pre-scolare non c’è contraddizione di pensiero ma organico e coerente sviluppo.
Il volumetto di Fontana sottolinea un’altra caratteristica del sapere filosofico: il cogliere l’intero! La filosofia è scienza ma scienza specialissima che non indaga questo o quel particolare facendo astrazione da tutto il resto. La filosofia è scienza dell’intero, dell’essere e solo nell’intero comprende il particolare, solo nell’essere in quanto essere comprende l’essere questo o l’essere quello. Seguendo la lezione di Aristotele, Fontana pone la meraviglia di fronte all’essere che ci è davanti quale origine della filosofia. Così la filosofia è presentata ben altra da quella caricatura che ne ha fatto la modernità, filosofare è l’attività più umana che ci sia perché è dell’uomo, di ogni uomo, meravigliarsi e interrogarsi.
Con brevi pennellate l’A. scrive del primato dell’essere, di partecipazione e causalità, di finalità incrociando il pensiero dei grandi classici, Platone e Aristotele tra tutti. Ma il protagonista, si diceva, è il Logos, Logos Divino che nel grembo di Maria si è fatto carne. E allora la scienza filosofica non potrà che accostarsi al mistero del Verbo Incarnato traendone luce. Il tema è quello della filosofia cristiana che Fontana accoglie dal grande Gilson.
Vengono così le pagine su i Padri, la lotta anti-gnostica, Nicea e Agostino per giungere a quella che Fontana, con verità e non meno coraggio (di questi tempi!), chiama filosofia perenne, ovvero la matura espressione della filosofia cristiana nella grande Scolastica del ‘200, in particolare nell’opera dell’Angelico Dottore san Tommaso d’Aquino. Questa insuperata sintesi di filosofia classica, Divina Rivelazione, sapienza patristica e genio speculativo dei grandi maestri medioevali giustamente è detta filosofia perenne perché vertice del sapere teoretico dell’umanità in contenuto e metodo, realizzata armonia tra ragione e fede, baluardo di verità additato dal Magistero come medicina necessaria ai tempi moderni. La filosofia tomista non è sistema arbitrario, non è costruzione mentale di qualche pensatore, la sua perennità e grandezza stanno nell’essere rigorizzazione del sapere naturale dell’uomo. Come si diceva, tra la filosofia di san Tommaso e il pensiero di un bimbo o di un semplice contadino d’altri tempi non vi è contraddizione ma sviluppo nella comune adesione all’essere.
Alcune belle pagine sono dedicate alla presentazione di punti importanti del tomismo. Fontana scrive del senso comune, dell’essere e dell’essenza, dell’anima umana, dei trascendentali, della legge naturale.
Se fino ad ora il libro di Fontana ha come narrato i progressi della filosofia dai primi vagiti in greco alla maturità del ‘200 cristiano, da pagina 59 inizia un’altra storia, quella della crisi che giunge sino alla post-modernità dei nostri anni. Così dal nominalismo/volontarismo di Ockham è un lungo succedersi di secoli nei quali l’errore si radicalizza e si manifesta via più. È l’errore della modernità, il passaggio dalla meraviglia al dubbio, dalla realtà alle idee, dall’essere al pensiero/volontà/emozioni. Fontana, in questa sua lucida presentazione, nella quale succintamente ci parla di Cartesio e dell’empirismo, di Kant e dell’idealismo tedesco, di Hegel, Nietzsche ed Heidegger, di Popper e Habermas, dell’illuminismo e positivismo, di storicismo e marxismo, fa sua la diagnosi di padre Cornelio Fabro il quale, più di altri, ha saputo cogliere l’unità nell’errore della modernità. E il trascendentale moderno, il principio di immanenza è entrato nella stessa teologia cattolica, non lo nasconde Fontana parlando della filosofia cristiana del ‘900. È entrato con il modernismo, prima, condannato da san Pio X e poi dilagato nel post-Concilio con il rahnerismo. Lo stesso personalismo cattolico contemporaneo, nota Fontana, presenta non pochi punti critici.
Chiudono il libro le pagine dedicate al tentativo ratzingeriano di salvare l’Occidente dal nichilismo cui si è condannato, di ristabilire la centralità del Logos.
Scorrendo questa storia della filosofia, che è anche una teologia della storia, appare chiarissimo l’invito a ritornare al realismo classico-cristiano, alla filosofia dell’essere, al genio di san Tommaso e a all’eredità millenaria di quanti hanno coerentemente proseguito sino ad oggi, spesso nella marginalità, l’opera della grande Scolastica.
Don Samuele Cecotti
3 commenti:
Grazie per il libro e per la presentazione.
Appena comprato!
Mi era capitato di leggere, rimanendomi impresso, che la crisi del tempo moderno non riguardi tanto la teologia quanto la filosofia che la ispira.
In particolare la filosofia ha compiuto una svolta nel rapporto tra la verità e la libertà per dare pienezza alla dignità dell'uomo nel suo cercare la felicità.
Per secoli si è ricondotto la dignità dell'uomo all'adesione al vero, al buono e al bello (la felicità perfetta consiste nella contemplazione di Dio, rispetto alla quale ogni distanza è causa di insoddisfazione), con la libertà come mezzo delle scelte per giungere alla verità (quindi la libertà come mezzo e non fine).
In questo quadro un uso scorretto della libertà può portare lontano dalla verità, depauperando la dignità: il vero e il falso non sono ugualmente dignitosi, soprattutto nelle conseguenze (infatti l'uomo è un essere "sociale") che dissemina.
Pertanto, posta una Verità, non può essere un "diritto dell'uomo" rimanere nell'errore...
Tutto questo dipende dalla natura stessa dell'uomo: una natura aperta a Dio e capace di Cielo, corrotta dalle conseguenze del peccato originale e dei successivi e chiamato a trovare in Dio ciò che da solo non potrebbe per ritrovare la piena comunione con Lui, nostra beatitudine, per l'oggi e per l'eternità.
Poi la libertà è diventata il fine e la dignità dell'uomo si è risolta lì, negando la propria natura, il che è possibile in teoria, ma non può essere vero in pratica. Abbiamo deciso di ritenerci differenti da quel che siamo (casuali, discendenti di scimmie, padroni dei nostri pensieri tutti ugualmente validi, rivolti alla natura e indifferenti al soprannaturale, molto competenti in ciò che è di Cesare, buoni attori con ciò che è di Dio, comunque destinati al nulla secondo le leggi della scienza...). Comunque restiamo quel che siamo. Ma la teologia oggi non lo sa più dire, essendo filosoficamente svoltata... Con Kant la mente si è separata dalla verità, relativizzandosi. Poi il materialismo ha fatto il resto e la nostra vita si è ridotta alla natura: solo Terra poco o niente Cielo; solo visibilia, poco o niente invisibilia. Molto mondo e secolo, desacralizzando tutto.
Un libro così è molto utile per comprendere la svolta. Il nostro antropocentrismo nega l'inferno, proprio perchè facendoci noi "dio" non pensiamo certo a crearci "grattacapi".
Per la libertà-fine l'inferno è un assurdità... Chi può essere così sciocco da sceglierlo?
L'inferno per la Verità non contrasta affatto la misericordia di Dio: Dio ci offre incessantemente grazie in attesa di una nostra decisione per Lui. Ci aiuta. Si è persino incarnato e si è lasciato crocifiggere per salvarci, chiedendoci fede e conversione.
Lui rispetta la nostra libertà, dono Suo, prendendo atto dell'uso fatto del talento.
Dio non diventa "cattivo" in quanto giusto. L'inferno è parte integrante dell'amore di Dio. Rappresenta la sua negazione, così che vi si attui la giustizia.
Oggi celebriamo Cristo re dell'universo. Non è un regno senza senso.
Ecco perchè la filosofia "svoltata" è andata in crisi, trascinando la teologia.
Nel regno il popolo ha destituito il Re e ci facciamo giustizia da soli...
Buona festa.
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