Come già annunciato qui, la sera del 15/03/2017, il Card. Robert Sarah è intervenuto a Trieste, nella Cattedrale di San Giusto martire, sul tema “Credo la Chiesa una e santa” per la serie di incontri della “Cattedra di San Giusto per il tempo di Quaresima 2017”. Ne riprendiamo il testo dalla trascrizione sul sito della diocesi a cura del Vescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi.
Qui la Conferenza del Card. Gerhard Müller: “Credo la Chiesa cattolica e apostolica”, 22 marzo
“Credo la Chiesa una e santa”
Conferenza di S.Em. Robert card. Sarah
Prefetto della Congregazione per il culto divino
Prefetto della Congregazione per il culto divino
Il tema che mi è stato assegnato per questa meditazione, “Credo la Chiesa una e santa”, si rivolge all’ambito ecclesiologico, portando l’attenzione in particolare su due aspetti essenziali della Santa Chiesa, quali la sua intrinseca unità e la sua incorruttibile santità. Prima di addentrarci a riflettere su tali dottrine, desidero mettere in evidenza la loro cornice ed anche il loro fondamento, che sono dati dalla fede. Che la Chiesa è una e santa, è oggetto della fede cattolica. Il primo vocabolo del titolo della presente meditazione è la parola “Credo”. Sappiamo che il Simbolo della fede Niceno-costantinopolitano, frutto dei primi due concili ecumenici (325 e 381), che recitiamo nelle solennità liturgiche durante la celebrazione dell’Eucaristia, inizia proprio con il verbo “credere”. Nel testo greco originale del Concilio di Nicea I e poi del Costantinopolitano I, i Padri conciliari utilizzarono il plurale: “Noi Crediamo”. La versione liturgica ha adottato il singolare: “Credo in un solo Dio…” con quel che segue.
Queste due espressioni – “crediamo” e “credo” – non si oppongono, anzi si integrano a vicenda ed esprimono due importanti aspetti della fede cattolica. Non c’è o l’“Io credo” oppure il “Noi crediamo”; non c’è opposizione tra la dimensione personale e quella comunitaria della fede. Per questo, il Catechismo della Chiesa Cattolica intitola la sua Prima Sezione esattamente così: «“Io credo” – “Noi crediamo”». E nel capitolo terzo di tale Sezione, intitolato «La risposta dell’uomo a Dio», il Catechismo dedica diverse pagine a spiegare la relazione, all’interno dell’atto di fede, tra l’aspetto personale e quello ecclesiale. Rimandandovi alla rilettura personale di quelle pagine del Catechismo, strumento imprescindibile per la formazione cattolica, qui mi limito a ricordare che l’atto di fede si inserisce sempre nella Chiesa e non può mai essere individualistico. Noi crediamo in Dio; ognuno di noi crede personalmente e non può delegare ad altri l’atto di fede. D’altro canto, noi crediamo la fede della Chiesa, come diciamo nel Rito del Battesimo: «Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa, e noi ci gloriamo di professarla». Come si vede, il Rito battesimale non oppone la nostra fede a quella della Chiesa: si tratta dell’unica fede, della stessa fede. E infatti, chiunque crede, lo fa per la mediazione molto concreta e visibile della Chiesa, che custodisce e trasmette la fede. Ciò che noi crediamo proviene dagli Apostoli – questo è certo. Ma in concreto chi ce lo ha insegnato? Innanzitutto la mamma ed il papà, i nonni, il parroco, i catechisti e così via. La mia fede è la fede che mi è stata offerta dalla Chiesa, la quale con l’aiuto dello Spirito Santo la custodisce e tramanda perfettamente intatta per tutti i secoli.
Con queste prime riflessioni siamo di fatto già entrati in ambito ecclesiologico, a partire dal tema del credere, dal tema della fede. Ma c’è un secondo aspetto previo cui desidero fare cenno, sempre collegato con la parola “Credo”, anzi più precisamente con le prime parole: “Credo la Chiesa”. Nel dirle, noi cattolici affermiamo che la Chiesa è un mistero della fede. Se la Chiesa fosse una realtà puramente umana, appartenente al mero ordine naturale e sociale, non potremmo dire “Credo la Chiesa”; dovremmo limitarci ad espressioni di tenore più modesto, come per esempio “Constato che la Chiesa esiste”, o “Vedo che la Chiesa compie certe opere”… In altre parole, saremmo nel campo puramente fenomenico e non nel mondo soprannaturale dei misteri rivelati, i quali sono conosciuti, anzi “riconosciuti” solo dalla fede che si basa sull’autorità di Dio che rivela, e non sono oggetto di mera osservazione né rappresentano la conclusione cui giunge mediante ragionamenti il nostro intelletto.
È indubitabile che la Chiesa possegga anche una componente umana e visibile – che in passato veniva comunemente indicata con la parola “società”. Ma è altrettanto indubitabile che l’essenza della Chiesa non si limita ai soli aspetti visibili, perché anzi, ancor più importanti sono gli aspetti invisibili: il fatto ad esempio che la Chiesa è Sposa di Cristo, o che è il suo Corpo Mistico. Insomma, la Chiesa Cattolica è di certo anche un corpo sociale, osservabile per via storiografica, fenomenologica, sociologica… ma essa è prima di tutto un mistero della fede soprannaturale. Non a caso il primo capitolo della “Costituzione Dogmatica sulla Chiesa” del Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, è intitolato proprio così: «Il mistero della Chiesa». La Chiesa è mistero perché proviene dal mistero della Santissima Trinità: popolo radunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, come diceva l’africano san Cipriano di Cartagine. Ed è mistero perché il suo Fondatore non è Pietro – un uomo – bensì Gesù Cristo, l’Uomo-Dio. Gesù ha fondato la Chiesa sugli Apostoli, in particolare sulla roccia, su Pietro. Ma il Fondatore è Lui, Cristo. La Chiesa, dunque, non appartiene a Pietro. Pietro è solo la roccia sulla quale Gesù edificherà la Sua Chiesa (Cf. Mt 16, 16-18). La Chiesa è di Cristo. per questo crediamo la Chiesa, prolungamento del mistero di Cristo, vero Dio – vero uomo.
Questa osservazione sul carattere misterico della Chiesa è importante, perché non manca oggi una tendenza che vede nella Chiesa una sorta di aggregazione umana – se vogliamo usare la nota descrizione di Papa Francesco: una ONG (Organizzazione Non Governativa). Coloro che intendono la Chiesa in questa prospettiva orizzontalistica, non possono capire le dinamiche nascoste della grazia che fluisce invisibilmente ma realmente (molto realmente e concretamente!) dal Capo, che è Cristo, alle membra del suo Mistico Corpo. Costoro invece vedono nella Chiesa un’associazione benefica, impegnatissima nel risolvere i problemi sociali della fame, della giustizia e della pace, o una potenza diplomatica, un agente politico e, magari, anche un attore di un certo peso in ambito di finanza internazionale. La componente istituzionale della Chiesa, che ha di certo il suo valore, non esaurisce l’intera essenza della Chiesa. Sebbene i vescovi e il Papa abbiano anche un certo peso politico e diplomatico, sarebbe estremamente riduttivo, anzi sbagliato, considerarli principalmente da questo punto di vista, quasi che essi fossero dei leader mondani, che parlano e agiscono in accordo ad una logica, quando non addirittura ad un’ideologia e ad una agenda umane.
Vorrei condividere qui l’avvertimento, anzi l’ammonizione che, nel mese di ottobre scorso, faceva in modo privato l’imam Yahya Pallavicini, presidente del COREIS[1], professore a l’Università Cattolica ed uno dei più rappresentativi dell’Islam: “La Chiesa nel suo attuale slancio verso i valori della giustizia, dei diritti sociali e della lotta politica o ideologica per sradicare la povertà se dimentica la sua anima contemplativa fallisce la sua missione e verrà abbandonata dai suoi fedeli perché non verrà riconosciuta in essa il suo specifico”.
Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato che i vescovi sono successori degli Apostoli, araldi del Vangelo e ministri di Cristo ed amministratori dei misteri di Dio (1Cor 4, 1). Compito della Chiesa e, in particolare, delle sue guide spirituali, non è dunque quello di “formulare un progetto” o di “dettare una linea”, né di “ispirare determinate azioni sociali e politiche”. Questa visione pecca per difetto. La Chiesa al contrario deve, come ricordavo all’inizio, custodire e trasmettere integro il deposito della fede, come dice san Paolo a Timoteo: “Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi” (2Tm 1, 13-14). La Chiesa deve celebrare i Sacramenti per la gloria di Dio e la santificazione delle anime, e guidare gli uomini alla vita eterna, ammaestrandoli ed aiutandoli ad osservare i comandamenti del Signore. Sono questi i compiti che Cristo risorto diede infatti agli Apostoli: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che io vi ho comandato» (Mt 28,19-20). È per svolgere questi compiti, e non altri inventati da noi e ritenuti più graditi alla mentalità secolare, che Cristo conclude assicurando alla Chiesa il suo costante aiuto: «Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo». Cristo è con la Chiesa, “opera insieme a noi” (cf. Mc 16,20), quando noi rimaniamo fedeli all’indole della Chiesa ed alla sua missione.
Tutto ciò sottolinea il primato della grazia divina. Se la Chiesa è ciò che è, essa lo deve innanzitutto al dono gratuito e soprannaturale di Dio. Certo, questo dono diventa subito e sempre anche un compito a noi affidato. Ma ciò avviene sempre dopo. La grazia è innanzitutto preveniente: la Chiesa nasce per un’iniziativa gratuita di Dio, non per nostro merito. La grazia poi, accompagna: se noi rispondiamo positivamente alla vocazione ecclesiale, lo facciamo liberamente – certo – ma sempre e solo sotto l’influsso della grazia. Infine, la grazia porta a compimento, porta al fine ultimo, cioè alla salvezza eterna, questo nostro sforzo di cooperare con Dio in quanto suo Popolo eletto. È proprio questo mistero della grazia che spiega anche le caratteristiche di cui Cristo ha voluto adornare la sua mistica Sposa. Di solito, in molte culture che posseggono simile tradizione, il corredo e la dote della sposa vengono approntati dai suoi genitori, in altre culture il corredo e la dote sono provveduti dal futuro sposo. Nel nostro caso, invece, siccome Cristo è sia Sposo, sia Fondatore, cioè Creatore della Chiesa, Egli stesso ha provveduto la dote ed il corredo mistico della sua Amata. Nel fondare la Chiesa, Cristo Signore l’ha dotata di una gran quantità di doni e di caratteristiche, che sono necessari allo svolgimento della missione apostolica, in vista della salvezza delle anime la quale, come ricorda nella sua conclusione il Codice di Diritto Canonico, rimane la legge suprema nella Chiesa.
Orbene, nel ricco corredo, nell’ampia dote che Cristo ha preparato per la Chiesa, troviamo anche quattro caratteristiche di grande rilievo, al punto da essere messe in evidenza nel già menzionato Simbolo della fede Niceno-costantinopolitano. I teologi le chiamano “note” o “proprietà” della Chiesa e questo perché manifestano la Chiesa Cattolica, distinguendola da altre realtà – e in questo senso si chiamano “note”, perché la rendono nota, conosciuta. Inoltre si chiamano proprietà, perché sono elementi essenziali della natura della Chiesa, ragion per cui dove c’è la vera Chiesa, ci sono sempre anche queste proprietà. Il Simbolo della fede ne enumera quattro: Una, Santa, Cattolica ed Apostolica. È da ricordare, tuttavia, che vi sono numerose altre note individuate dai teologi. Ad esempio, i grandi teologi controriformisti Johannes Eck, Stanislao Osio e san Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, enumeravano nei loro trattati una quindicina di note ecclesiologiche, al punto tale che si sviluppò nella teologia dell’epoca persino una via notarum, cioè un modo per contrastare la visione protestante sulla Chiesa proprio attraverso lo studio e l’illustrazione delle note proprie alla vera Chiesa di Cristo.
Ma lasciamo da parte queste pur interessanti informazioni e torniamo a dedicarci ad una riflessione teologica di carattere più meditativo e sapienziale, come abbiamo fatto sin qui. Vorrei innanzitutto osservare che le quattro note principali della Chiesa sono tra loro chiaramente distinte, eppure vanno sempre insieme, perché sono in relazione di unità organica, come le membra in un organismo. Possiamo, certo, distinguere il braccio dalla gamba, ma l’organismo sano e integro li possiede sempre entrambi. Così è delle proprietà della Chiesa. Ad esempio, la nota della santità e dell’unità – di cui qui ci interessiamo in particolare – sono distinte, ma non sono separabili. A livello esemplificativo, possiamo notare che non ci può essere un cristiano che viva volontariamente in peccato mortale, ossia che non sia santo, e pretenda tuttavia di essere pienamente inserito nell’unità soprannaturale della Santa Chiesa. Chi pecca gravemente, si separa da Dio e da Cristo e, per questo, sebbene non a livello formale e canonico (non è scomunicato), si separa dalla Chiesa a livello soprannaturale. Perciò il Concilio Vaticano II ha ricordato che con il Sacramento della Penitenza il peccatore perdonato ritorna in comunione, cioè in unità soprannaturale, sia con Dio sia con la Comunità ecclesiale, dai quali si era allontanato per la sua ribellione[2]. L’unità delle note ecclesiologiche, come si intuisce, andrebbe tenuta presente, pertanto, anche quando si affrontano temi legati all’ammissione dei fedeli alla ricezione dei Sacramenti.
Una seconda osservazione generale sulle note della Chiesa consiste nel riprendere quanto prima ho solo accennato: ogni proprietà ecclesiologica è sempre sia dono divino, sia compito a noi affidato. Che la Chiesa sia una è merito e dono di Cristo, non nostro. Questa unità costitutiva rappresenta però anche un appello alla nostra responsabilità, nell’impedire le divisioni tra noi. Soprattutto le divisioni dottrinali, morali, liturgiche, disciplinari, divisioni nella Fede e nella Carità. Analogamente, la santità della Chiesa è dono di Cristo, ma si capisce che anche noi siamo chiamati ad impegnarci nella nostra santificazione. “Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” (1Ts 4, 3). E così via. Il Catechismo si esprime al riguardo con queste parole:«È Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede alla sua Chiesa di essere Una, Santa, Cattolica e Apostolica, ed è ancora Lui che la chiama a realizzare ciascuna di queste caratteristiche»[3].
Passiamo ora a meditare sulle due prime note menzionate dal Simbolo della fede: la Chiesa è una e santa. La radice e la ragione dell’unità della Chiesa è innanzitutto la Santissima Trinità. “Che stupendo mistero! Vi è un solo Padre dell’universo, un solo Logos dell’universo e anche un solo Spirito Santo, ovunque identico; vi è anche una sola vergine divenuta madre, e io amo chiamarla Chiesa” scrive San Clemente d’Alessandria (Paedagogus, 1, 6)[4]. Il Decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, Unitatis Redintegratio, al n. 2 insegna: «Il supremo modello e principio di questo mistero [della Chiesa] è l’unita nella Trinità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo». Lo stesso testo, poi, attribuisce allo Spirito Santo un ruolo particolare nella preservazione di questa unità soprannaturale, dicendo: «Lo Spirito Santo, che abita nei credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce quella meravigliosa comunione dei fedeli e tanto intimamente tutti unisce in Cristo da essere il principio dell’unità della Chiesa». Il Battesimo, innestandoci in Cristo, ci dona l’unità del suo Corpo Mistico: «Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo Corpo, giudei o greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,13); «Un solo Corpo e un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo» (Ef 4,4-5).
Oltre agli agenti principali dell’unità, che sono le Tre Persone divine, alla Chiesa sono stati donati anche agenti umani, in particolare gli Apostoli, che sono segno e strumento dell’unità nella Chiesa. Qui si nota che l’unità, da dono, diventa compito, dovere e responsabilità. È nell’unione con gli Apostoli e con i loro successori che si manifesta e si preserva il dono della Chiesa una. Ancora il mio conterraneo san Cipriano di Cartagine, verso l’anno 250 ha scritto queste celebri parole:
Habere iam non potest Deum Patrem, qui Ecclesiam non habet matrem. Si potuit evadere quisque extra arcam Noe fuit, et qui extra Ecclesiam foris fuerit evadet – Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre. Se si fosse potuto salvare qualcuno fuori dell’arca di Noè, si potrebbe salvare qualcuno anche fuori della Chiesa[5].
Vi è un’unità costitutiva della Chiesa Cattolica e questa unità è anche salvifica: chi permane in essa, sarà salvato. In base a questa convinzione, nella sua Epistula 51, 2 – inviata a papa Cornelio (251-253) – lo stesso San Cipriano scrive: «C’e una sola Chiesa Cattolica, che non potrà essere né spaccata, né divisa». Sorprende questa salda convinzione, in un’epoca in cui c’erano molte divisioni e scismi tra i cristiani. Ma Cipriano attesta con le sue parole la certezza della nostra fede cattolica nell’unità della Chiesa: nonostante le tante e dolorose divisioni tra i cristiani, non c’è e non può mai esistere la divisione della Chiesa[6]. I cristiani, sì: si dividono. È accaduto tante volte, purtroppo, nella storia. Ma la Chiesa è una. Ciò che non può essere diviso in se stesso (la Chiesa), può risultare lamentabilmente diviso in noi.
Come si intuisce, l’unità della Chiesa è dunque un fatto permanente ed inscalfibile; verrebbe da dire che è un dato “trascendente”, “metafisico”, nel senso che non è il frutto dello sviluppo storico. Dalla sua nascita al momento del cuore trafitto di Cristo morto sulla croce per la nostra salvezza, l’unità della Chiesa è davvero un dono di Dio tramite lo Spirito Santo[7]. Se l’unità ecclesiale fosse punto di arrivo e non punto di partenza della Chiesa, si dovrebbe pensare che tale unità sarebbe il frutto dell’unione, o della federazione di diverse Chiese e gruppi cristiani. Questa concezione federativa è però estranea alla dottrina ecclesiologica cattolica, che infatti l’ha respinta in diverse occasioni. La Chiesa è una ed unica sin dal suo sorgere e tale rimane per grazia di Cristo, nonostante tutto.
Essendo chiaramente un dato oggettivo e non una realizzazione storica progressiva, l’unità della Chiesa possiede anche elementi oggettivi e non soltanto soggettivi per essere riconosciuta e vissuta. Gli elementi oggettivi dell’unità sono indicati sinteticamente in un brano degli Atti degli Apostoli:
[I cristiani] erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli Apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel Tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. (At 2,42-47)
Come si nota, i sentimenti, quali la «letizia», la gioia o il «senso di timore», non bastano a caratterizzare la comunione della Chiesa. San Luca sottolinea gli elementi oggettivi della comunione: l’insegnamento apostolico (unità di fede), la preghiera e particolarmente la Liturgia Eucaristica (unità di Culto), la vita comune con i concreti atti che ne conseguono (unità di carità). Non vive dunque nell’unità comunionale della Chiesa chi desidera farne parte, ma chi è inserito in questi elementi oggettivi dell’unità. Non è estraneo ai nostri giorni, nell’animo anche di molti cattolici, un certo sentimentalismo ecclesiologico, per cui l’unità viene capita come un “volersi bene”, un “camminare insieme”, un coltivare “bei sentimenti di accoglienza” verso gli altri. Certo, volersi bene è importante, ma ancora non basta. Ognuno di noi può fare l’esperienza di provare buoni sentimenti di amicizia e di volere bene ad un amico che pratica un’altra religione, o che fosse persino agnostico o ateo. Tali sentimenti, pur lodevoli, di certo non costituirebbero motivo sufficiente per ritenere che entrambi apparteniamo all’unità della Chiesa. Ci vogliono elementi oggettivi, quali il Battesimo, la professione della stessa dottrina di fede, l’ubbidienza ai legittimi pastori, ecc. Solo in base ad elementi certi, oggettivi ed anche esternamente verificabili, possiamo dire di far sviluppare anche in noi questo dono dell’unità. Allora, e solo a queste condizioni, siamo uno nella Chiesa una. Un altro esempio riguarda il caso, già prima accennato, di chi commette peccato mortale. Non basterebbe a costui un vago sentimento di volersi convertire in teoria, ma non in pratica. Ci vuole una vera conversione ed un reale, effettivo ed oggettivo ritorno all’unità mistica ecclesiale, che si concretizza in un segno esternamente verificabile, come è il Sacramento della Confessione. Con questo secondo esempio, tocchiamo il tema della santità, intimamente connesso a quello dell’unità, come si è detto.
Il Concilio Vaticano II insegna che «La Chiesa […] è per fede creduta indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito Santo è proclamato “il solo Santo”, amò la sua Chiesa come sua Sposa e diede Se stesso per essa, al fine di santificarla (cf. Ef 5,25-26) e la congiunse a Sé come suo Corpo e l’ha riempita del dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio. Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo il detto dell’Apostolo: « certo la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate»[8] (1Ts 4,3; cfr. Ef 1,4). L’avverbio “indefettibilmente” attrae la nostra attenzione: significa che questa qualità della Chiesa, la santità, al pari dell’unità rimarrà integra sino alla fine dei tempi, ossia fin quando sussisterà la stessa Chiesa. Possiamo inventare delle eresie, trafficare la Parola di Dio per renderla più accettabile al mondo secolarizzato e decadente, possiamo infangare la Chiesa con le nostre corruzioni umane, ma la Chiesa di Cristo rimarrà indefettibilmente Santa.
Nella prerogativa della santità, si rispecchia la natura di Dio stesso e di Cristo Gesù. Nella Bibbia, “santo” in senso primario ed assoluto è Dio solo. Ricordiamo il canto dei Serafini, contemplati dal profeta Isaia. Essi eternamente stanno dinanzi al trono di Dio cantando l’inno trisagio. Isaia descrive in questi termini la visione:
Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il Tempio. Sopra di Lui stavano dei Serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il Tempio si riempiva di fumo. (Is 6,1-4)
Dinanzi alla maestosità di simile visione, il profeta si sente venir meno. In particolare, lo colpisce il contrasto tra la sua piccolezza, il suo stato di misero uomo e cioè di peccatore, e la santità perfetta dell’Onnipotente. Perciò Isaia prorompe nel grido: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti» (v. 5).
L’uomo non può accostarsi a cuor leggero e senza stupore e tremore al Dio tre volte Santo. È anzi necessario che noi stiamo davanti al Signore sempre prostrati, in ginocchio ed in spirito di adorazione, di sacro e santo timore, nonché di profondissimo rispetto. Per questo Mosè dovette togliersi i sandali prima di potersi avvicinare al Roveto ardente (cf. Es 3,5). Ricordiamo ancora che il Nuovo Testamento usa per la nostra parola «santo», il termine greco hagios che deriva dal verbo haxiomai, cioè «rabbrividire». Troviamo quindi una continuità di insegnamento tra Antico e Nuovo Testamento: dinanzi alla santità trascendente di Dio, l’uomo deve rabbrividire, deve cioè assumere un contegno rispettoso e adorante, deve lasciarsi bruciare dal roveto ardente, dal fuoco dell’Amore di Dio e stare in silenzio ed in contemplazione.
Nel Nuovo Testamento si aggiunge però anche una componente di maggior prossimità di Dio all’uomo. Lo vediamo ad esempio nell’istituzione dell’Eucaristia: segno che Dio vuole stare sempre vicino a noi, anzi diventiamo la dimora di Dio, il tempio della Santissima Trinità. Per questo un bel libro dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, dedicato a meditazioni eucaristiche, si intitolava in tedesco Gott ist uns nah, Dio ci è vicino. Rimane però anche nel Nuovo Testamento la dimensione della santità di Dio, che va rispettata, amata ed adorata. Per questo, anche dinanzi alla celebrazione ecclesiale dell’Eucaristia, è importante che all’amore per il Signore che si offre al Padre per noi e che rimane con noi nell’Ostia consacrata, si impronti anche la nostra rispettosa condotta verso il dono eucaristico. La maggiore vicinanza della santità di Dio a noi, non può comportare una diminuzione del senso adorante e rispettoso. Al contrario, dovrebbe alimentarli. Scriveva al rispetto san Giovanni Paolo II:
Se la logica del «convito» ispira familiarità, la Chiesa non ha mai ceduto alla tentazione di banalizzare questa «dimestichezza» col suo Sposo dimenticando che Egli è anche il suo Signore e che il «convito» resta pur sempre un convito sacrificale, segnato dal sangue versato sul Golgota. Il convito eucaristico è davvero convito «sacro», in cui la semplicità dei segni nasconde l’abisso della santità di Dio […]. Sull’onda di questo elevato senso del mistero, si comprende come la fede della Chiesa nel Mistero eucaristico si sia espressa nella storia non solo attraverso l’istanza di un interiore atteggiamento di devozione, ma anche attraverso una serie di espressioni esterne, volte a evocare e sottolineare la grandezza dell’evento celebrato[9].
Anzi l’Eucaristia che celebriamo ci trasforma radicalmente. Diventiamo “Ipse Christus, il Cristo stesso”. L’Eucaristia ci fa diventare una sola cosa con Cristo. La dinamica di questo cambiamento radicale effettuato in noi, è stato illustrato magnificamente da Papa Benedetto XVI:
“L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione ». Egli «ci attira dentro di sé». La conversione sostanziale del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di «fissione nucleare», per usare un’immagine a noi oggi ben nota, portata nel più intimo dell’essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà[10]” .
Soprattutto attraverso l’Eucaristia, Cristo, Uomo e Dio, partecipa la sua santità alla Chiesa, sua Sposa e suo Corpo Mistico. La santità oggettiva della Chiesa, come la sua unità, è dono di Cristo. Per questo il Nuovo Testamento chiama i fedeli cristiani, ossia i battezzati, semplicemente i «santi», ossia coloro che hanno ricevuto in dono la santità.
Qui conviene fare una breve riflessione. Ai nostri giorni si parla tanto di santità, anche se a volte si usano espressioni diverse, come ad esempio, «testimonianza», «martyria», o altre parole simili. Questo perché il Concilio Vaticano II ha ricordato che nella Chiesa tutti i battezzati sono chiamati alla santità e non solo alcune classi di fedeli, quali ad esempio i monaci o i ministri ordinati[11]. Chiaramente questo insegnamento è assolutamente veritiero. Bisogna però ricordare che la santità del cristiano – al pari della nota ecclesiologica corrispondente – è sia dono che compito. Cioè è una santità innanzitutto donata e poi anche vissuta con il nostro libero impegno personale. Prima di tutto c’è il dono oggettivo: la grazia della santità, dataci già all’inizio della nostra vita cristiana, mediante il Battesimo. Per questo motivo, è necessario ricordare che la santità è sì, certamente, anche una meta da raggiungere con il nostro sforzo. Ma prima di questo, la santità è il punto di partenza. Prima di essere culmen, momento finale e apicale della vita del cristiano; essa è fons, sorgente da cui scaturisce anche la possibilità per me di essere santo. Siamo santi perché il Signore è santo e ci dona gratuitamente, prima di ogni nostro merito, la santità. Solo in seguito a ciò, noi possiamo e dobbiamo mantenerci e crescere nella santità. D’altro canto, è risaputo che simile sforzo è possibile solo con l’aiuto della grazia divina, che precede, accompagna e porta a compimento la nostra libera cooperazione, come già si notava in precedenza.
Tutto ciò va detto perché ai nostri giorni, assieme alla corretta sottolineatura del fatto che tutti i battezzati ricevono la vocazione alla santità, è subentrata anche una visione meno corretta, che suggerisce che la santità è il risultato della nostra azione. È anche questo. Ma non è solo questo, né è principalmente. Prima di tutto è la santità di Dio in noi. Di conseguenza, essere santi, più che raggiungere una santità che è alla fine del percorso, significa custodire e difendere dagli attacchi del Maligno la santità che è già dentro di noi, nonché crescere e portare frutto in essa.
E così, possiamo capire ancora una volta che la morale cristiana non coincide con il volontarismo, con il senso del dovere, con il puro impegno solidale: cose spesso lodevoli – sia chiaro – ma che rimangono su un piano naturale. Per noi cristiani la morale parte da Dio, dal suo dono di santità in noi; ci vuole Santi come Lui, nostro Padre, è Santo: uno splendido e terribile dono al quale il Signore ci invita a corrispondere liberamente. Pertanto, i valori morali non sono luoghi utopici, irraggiungibili in concreto. Ciò potrebbe essere se la santità consistesse nell’asintotico procedere verso un fine perfetto, che non fosse però alla nostra portata. In simile prospettiva, i valori morali, e anche i comandamenti divini, rimarrebbero un ideale irraggiungibile o delle indicazioni di direzione, degli orientamenti, ma non mete possibili. Invece, i comandamenti ed i valori possono e devono essere vissuti in concreto, proprio perché viverli non significa tanto raggiungerli, quanto accoglierli, accettarli e custodirli, perché già ci sono stati dati. Il compito è espressione del dono. Ad esempio, si sente oggi dire che la fedeltà degli sposi e l’indissolubilità del matrimonio sono bellissimi ideali che però in concreto, almeno in certi casi, non è possibile attuare. In realtà, è necessario pensare in modo opposto, dato che la fedeltà e l’indissolubilità non sono frutto dell’impegno degli sposi: esse sono già date, molto concretamente e realmente, all’inizio della vita coniugale, mediante il Sacramento del Matrimonio. Non c’è nulla da raggiungere; è già donato. L’impegno necessario degli sposi consisterà piuttosto nel custodire con amore, con fedeltà ed in modo integro tali doni, giorno dopo giorno, senza permettere al Maligno e al mondo di portarseli via.
La nota della santità della Chiesa, poi, è alla base anche della ben nota dottrina della «Comunione dei santi». Nei primi secoli con la parola “santi” usata in questa espressione, si intendevano piuttosto gli uomini santi delle origini, in particolare gli Apostoli. Perciò inizialmente Comunione dei santi indica il legame con i primi uomini scelti da Cristo. In questo senso, la nota della santità si collega con quella della apostolicità. Nel Medioevo, poi, con “santi” si intendono le “cose sante”, in particolare i Sacramenti. Quindi si mantiene la comunione ecclesiale per la comune partecipazione agli stessi santi Segni. I Segni santi confermano la Chiesa nella sua santità, così come, nel primo significato dell’espressione, la comune dottrina della fede, che ci viene dagli Apostoli, santifica i credenti nella verità. Questi due modi di intendere l’espressione non vanno contrapposti, perché sono entrambi veri. Per rimanere e crescere nella santità, la Chiesa ha bisogno sia della sana dottrina apostolica, sia della grazia oggettivamente prodotta dai Sacramenti. Nella dottrina e nei Sacramenti ci viene sempre di nuovo ridonata quella santità oggettiva della Chiesa, che partecipata a noi diventa santità soggettiva dei credenti. E siccome questa santità che ci è data è in se stessa incorruttibile, perché nonostante i nostri peccati, la Chiesa rimane sempre Santa, dobbiamo sforzarci, con l’aiuto di Dio, di non rovinare in noi ciò che non può essere scalfito in se stesso. Cioè, dobbiamo custodire la nostra santità personale, per evitare che la santità oggettiva della Chiesa, la quale non è toccata dalle nostre mancanze, sia cionondimeno messa in dubbio da coloro che, vedendo la nostra pochezza, sono tentati di attribuirla alla Chiesa in quanto tale. Ecco perché sant’Ambrogio ci ammonisce dicendo che quando pecchiamo «Non in se stessa [..] è ferita la Chiesa, ma in noi». Ma proprio per questo, continua il grande Vescovo di Milano, «facciamo attenzione affinché la nostra caduta non divenga una ferita per la Chiesa»[12].
Cari fratelli, a conclusione di questa meditazione, non mi resta che augurare a me ed a voi tutti, a questa Chiesa diocesana di Trieste, al suo Vescovo, ai suoi sacerdoti e a tutti i suoi battezzati, che possiamo permanere sempre nell’unità e santità della Chiesa Cattolica, questa meravigliosa, soprannaturale Famiglia di Dio, alla quale il Signore, senza alcun nostro previo merito, ci ha chiamati come membra vive. Chiediamo al Signore, per intercessione di Maria Santissima e di san Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale, di cui tra pochi giorni celebreremo la solennità liturgica, questa grazia: che il dono oggettivo dell’unità e della santità della Chiesa siano sempre ben custoditi in noi e portino frutti abbondanti che maturino per la vita eterna.
_______________________________[1] Comunità Religiosa Islamica
[2] Cf. Lumen Gentium, n. 11
[3] CCC n. 811
[4] CCC n. 813
[5] San Cipriano, De unitate Ecclesiae, 6
[6] Anche a Roma, il sacerdote teologo Novatus, si è opposto al Papa Cornelio per la sua troppa misericordia e il recupero e la riconciliazione dei cristiani che avevano ceduto alle persecuzioni. Si è fatto eleggere papa formando così gli scismatici novaziani. Papa Cornelio, confortato dalla solidarietà di San Cipriano, è morto a Civitavecchia dove è stato esiliato dall’imperatore Gallo nel 253, e fu sepolto nel cimitero di San Callisto.
[7] Cf. CCC n. 766[8] Lumen Gentium, n. 39
[9] Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 48-49
[10] Benedetto XVI, Esortazione Apostolica post sinodale Sacramentum Caritatis n. 11, 22 febbraio 2007.
[11] Cf. Lumen Gentium nn. 39-41
[12] Sant’Ambrogio, De virginitate, 48
49 commenti:
Una notizia che reputo vergognosa, apparsa oggi, su quel giornalaccio che è il piccolo di Trieste, che riguarda la conferenza che il Cardinale Muller terrà domani sera in cattedrale di San Giusto alle 20,30.
Spero che coloro che seguono questo sito e che abitano in FVG vengano a Trieste, una chiesa piena sarebbe la migliore risposta a quei signori modernisti e sinistrorsi, grazie
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Trieste, raccolta firme contro l'arrivo del cardinale "anti-Bergoglio", Gerhard Müller
Un gruppo di fedeli si oppone all’invito del vescovo al teologo che critica Papa Francesco e non collabora sulla pedofilia
TRIESTE. Pontificare “ex cathedra” non dovrebbe essere consentito a un cardinale. Tanto più se la Cattedra è quella di San Giusto. Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, già vescovo di Ratisbona, è atteso domani 22 marzo alla Cattedra di San Giusto in cattedrale, alle 20.30, ospite desiderato di monsignor Giampaolo Crepaldi e indesiderato da una parte della comunità diocesana triestina.
http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2017/03/21/news/trieste-raccolta-firme-contro-l-arrivo-del-cardinale-anti-bergoglio-gerhard-muller-1.15066598?ref=hfpitsea-1
"Una , santa, cattolica e apostolica/ Unità delle Persone divine nella Trinità/ Unità costitutiva della Chiesa". Non sono convinto della bontà di questa traduzione. Piuttosto che Unità, direi Unicità. Diversamente sembra che tre Dei, o tre Persone divine, stando unite insieme, formino il Dio cristiano, mentre si dovrebbe allontanare il sospetto che il Dio cristiano sia lo stesso Dio di altre religioni, diversamente conosciuto. Analogamente si dovrebbe dire che la Chiesa fondata da Gesù è una sola e nessuno ne può fare o riformare un'altra, piuttosto che sottolineare la necessità dello stare insieme e la natura comunitaria della Chiesa. Da notare poi che il Simbolo Niceno/costantinopolitano è usato anche dagli orientali scismatici, per cui tutti dovrebbero professare l'unicità della vera Chiesa, che per ciascuno sarebbe la propria, escudendo giustamente la denominazione di Chiesa alle altre comunità. L'attuale, erronea traduzione di Una fa sfumare questa rigorosa verità in una affermazione generica e ambigua, utile al compromesso ecumenico.
TEOFILATTO
"Unità" riferito alle "Tre persone", che sono "uguali e distinte" mi sembra più che giusto. Credo ci poter dire che "Unicità" indica l'"unica" loro sostanza...
Cara mic, detto come scrive lei, è correttissimo, ma nel testo sopra suona poco chiara quell'espressione "Unità nella Trinità delle Persone". Letteralmente può andare, ma suona male, non so se mi spiego. Alle orecchie poi di un musulmano, o di un cattolico poco istruito può mettere fuori strada. Avrò forse una sensibilità troppo esigente, ma in questo genere di cose, come le traduzioni dei testi liturgici, bisogna essere assolutamente scrupolosi. Parimenti nelle conferenze dei dotti.
TEOFILATTO
A proposito di Chiesa e CVII.
Rileggendo il libro di De Mattei, Concilio Vaticano II, ho come l'impressione di un gruppo di discoli d'oltralpe e italiani che fanno passaparola, si ritrovano a casa di amici, piccoli e grandi colpi di mano in assise, insomma uno spettacolo penoso per sacerdoti dai quaranta agli ottanta anni. Ragazzacci. Invecchiati. Allora mi son detta per quale motivo diventare cattolici? Avevano un'ampia scelta altrimenti. L'altra riflessione, unita a questa, spesso persone che hanno la vocazione religiosa sono strane. Non so chi, forse Guardini, disse che colui che può diventar santo può anche diventare un fuorilegge. Di questa particolarità si dovrebbe tener conto nei seminari. Sono persone speciali e, se non trovano come incanalare il loro essere speciali appunto, finiscono con distruggere quello che hanno intorno. Forse.
Il card Sarah, lui pure continua a citare passi commestibili tratti dal CVII. Perfino la famigerata Unitatis Redintegratio!
Sembra voler lanciare dei ponti verso la parte eretizzante della Chiesa, come per volerla convincere che il Concilio, che è un patrimonio tra loro comune, va letto valorizzando certi testi dottrinalmente in continuità a dispetto di altri che sarebbero da censurare, e che infatti non cita neppure.
Come dicesse: "Siamo dalla stessa parte, ma, se permettete in un certo qual modo io sono dalla parte più giusta: mi rendo conto che il Concilio è ambiguo (oltre che palesemente erroneo in alcuni suoi passaggi che mi guardo bene dal menzionare per motivi di diplomazia), ma io non lo rigetto per questo, lo accetto con la sua ambiguità, ma cercando di estrarne qualcosa di buono. Come raccomandava il buon GXIII, considero quel che ci unisce e non quel che ci divide. Date ascolto a me me che, a differenza dei tradizionalisti, vi offro una passerella, e sono più vicino a voi di quanto voi non pensiate, così come lo era BXVI anche se non ve n'eravate neppure accorti."
Il tempo passa e lui non si è ancora accorto che la massa dei suoi interlocutori si appella allo spirito del Concilio, non alla lettera, e tantomeno a quei passi della lettera che egli sembra voler presentare come autorevolmente paradigmatici.
La sete di Dio
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lombardia/mantova-rinunciano-alla-pausa-pranzo-per-pregare-tutto-esaurito-agli-incontri_3062136-201702a.shtml
Le monache e i pellegrini
La clausura illumina la realtà contemporanea.
Alle nove le monache si ritirano. Erano sei, 44 anni fa. Oggi sono più di settanta.
http://www.corriere.it/cronache/17_marzo_18/mistica-monastero-lago-qui-ascolto-dolore-mondo-75f5a738-0c1a-11e7-a9ee-e937d2fc7af8.shtml
Marius,
non si é accorto, lui e gli altri "rammendatori" del CVII, che la toppa é peggiore del buco. Sono strategie politiche. Ma qui la questione non é politica. Qui é in gioco la fede e la morale. Allora il linguaggio, e il pensiero, prima ancora, deve essere limpido. Si o no. Terzium non datur.
Anna
cito don Mauro Tranquillo, che rende perfettamente quello che penso e temo:
"....recentemente sembra rafforzarsi una certa opposizione all’attuale pontificato, in particolare sul tema della “famiglia” e connessi. In particolare, è stata di recente pubblicata un’intervista del Cardinal Burke rilasciata all’emittente France2. In essa il Cardinale dichiara di essere pronto a resistere a Francesco sulla questione dei divorziati risposati, ed esprime il principio che il Papa non può cambiare l’insegnamento della fede. Molto bene, diranno in tanti. In realtà, al di là delle intenzioni e della figura del presule americano, dobbiamo temere che non si tenti un “punto di raccolta” intorno alla versione ratzingeriana (o “conservatrice”) del Concilio, per farne la base di un’opposizione dialettica a Bergoglio. Dobbiamo temere che non si realizzi quanto avevamo profetizzato dopo l’elezione di Bergoglio : cioè che Ratzinger abbia riunito i “meno peggiori” intorno a un’interpretazione “ortodossa” del Concilio, impedendo così che l’opposizione al nuovo balzo in avanti, alla nuova antitesi bergogliana, si raduni intorno alla vera dottrina cattolica, e quindi anche al rigetto delle dottrine conciliari e della nuova messa. Quindi: bene che il Cardinal Burke si opponga alla comunione ai divorziati conviventi, ma sarà una guida e un eroe quando si opporrà a tutte le deviazioni contro la dottrina cattolica, comprese quelle di Ratzinger, dalla collegialità alla libertà religiosa. Bene ammettere che il Papa non può cambiare la dottrina, ma indispensabile ricordare che quello che fa Francesco oggi su un punto è già stato fatto dai predecessori su altre questioni.
Altrimenti avremo un inganno ulteriore e molto pericoloso per le anime di buona volontà, che crederanno di opporsi a Bergoglio in nome del Vaticano II e di Giovanni Paolo II. Et erit novissimus error peior priore...."
https://intuajustitia.blogspot.it/2017/03/note-dattualita-papa-francesco-in_20.html
Anna
Lasciamo stare lo spirito e pure la lettera, guardiamo i frutti. Risultato tangibile e visibile e comprensibile da ogni punto di vista. Guardiamo i frutti del CVII. Se tutto il tempo, per spiegarlo ed interpretarlo, fosse stato impiegato per imparare le lingue, oggi saremmo tutti poliglotti. E menomale che era pastorale! Chi su quelle carte ha voluto costruire il suo trono, il suo regno, sarà bene ritorni alla Croce.
Stupenda. Peccato non ci sia il video. Comunque vale la pena leggerla, stamparla, meditarla, rileggerla, rimeditarla ed attuarla nel concreto della vita, dei Sacramenti. Diffonderla ai fratelli è pura carità.
Anche ammettendo che su certi punti il papa argentino lavora su un terreno fertilizzato dai suoi predecessori, trovo particolarmente scorretto e anche menzognero paragonarlo a Giovanni Paolo II o a Benedetto XVI sui punti centrali e fondamentali della nostra fede che quei Papi hanno difeso con forza nel loro Magistero, anche se poi, è vero, è mancata loro la capacità, o possibilità, di metterlo in atto nella realtà del terreno lottando contro chi si opponeva e già lottava per la dissoluzione dei principi di base della Fede cattolica.
Ingiusto paragonare ad esempio il magistero liquido, il linguaggio, i metodi di Jorge Bergoglio al Magistero di Benedetto XVI , alla chiarezza e profondità del suo pensiero, e penso in particolare alla sua difesa della vita, della famiglia, alle sue udienze generali in cui ha ripreso i concetti di base della nostra religione, e mi ricordo, per averla sovente "palpata" tanto era forte, con che attenzione i fedeli presenti lo ascoltavano, si poteva sentire volare una mosca...
Il 99,99% dei cattolici nel mondo conosce e pratica solo la messa riformata, non son certa che "lottare CONTRO " la "nuova messa", considerando e predicando che è peccato mortale assistervi, contro il Vaticano II rigettandolo in toto, sia ciò di cui la Chiesa e i cattolici hanno bisogno in questo momento.
Preferisco le battaglie "per" che quelle "contro", partire dalla formazione, dar voglia a chi non la conosce di scoprire la Messa che è stata quella della Chiesa durante i secoli e fino al CVII mi sembra fondamentale e essenziale, forse la sola vera "battaglia" il resto seguirà.
Se spiegare come si è svolto iL CVII da chi è stato manipolato, e con che fini, se illustrarne le consegueze nefaste non è inutile, a mio umile avviso è lungi dall`essere prioritario per la massa dei fedeli oggi.
Il disastro attuale è tale, il caos e l`anarchia sono tali, che la Chiesa di Cristo, quella che conserva il Suo insegnamento, sembra "condannata" a diventare una Chiesa di nicchia che conserva preziosamente il Suo tesoro, in trincea, mantenendo la fiamma accesa, aspettando che dall`Alto venga la mano che risolleva e porta alla luce.
I veri servi di Dio hanno sempre piu' stimato le avversita' .
Padre Pio da Pietrelcina
Coalizziamoci :
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-insulti-ai-cardinali-e-nuova-chiesa-del-popolo--19320.htm
Mercoledì dedicato al patriarca S.Giuseppe sarebbe bene dedicare il S.Rosario per la conversione dei poveri peccatori e per i nemici della Santa Chiesa .
@ Anna
mi conforta vedere come la vediamo in ugual modo.
Pensavo proprio alle stesse cose leggendo un recente brano di Tosatti:
http://www.marcotosatti.com/2017/03/20/vaticano-lefebvre-a-un-passo-dalla-firma-dellaccordo-le-foto-della-possibile-nuova-sede-a-roma/
in particolare in queste righe che sto per citare, dove si vuol dar d'intendere agli ignari lettori che mons. Lefebvre sia stato quasi un antesignano di Ratzinger, un sorta di ratzingeriano ante litteram.
Dice Tosatti:
"Mi dicono buone fonti che La Fraternità San Pio X e il Vaticano sono a un passo dall’accordo. In realtà, secondo alcuni, mancano solo le firme; e si è in attesa che mons. Fellay dia gli ultimi ritocchi alla sua situazione interna, per giungere poi al grande passo: il rientro totale e ufficiale, come Prelatura personale, dei lefebvriani in seno alla Chiesa di Roma. In questo modo a Francesco riuscirebbe di portare a termine un percorso che aveva avuto inizio nel pontificato di Benedetto XVI, e che si era arenato per questioni teologiche; che però adesso sarebbero superate dalla disponibilità del Pontefice a non chiedere che tutti i puntini sulle “I” siano chiarie e definiti. D’altronde anche mons. Lefebvre scriveva che se il Concilio Vaticano II fosse interpretato nell’ermeneutica della continuità, non ci sarebbe nessun problema per una comunione totale con Roma. E non c’è nessun problema perché all’interno della Chiesa, come già diceva Benedetto, il Concilio sia letto in questo modo."
Quindi Tosatti cita, senza menzionarla nel dettaglio, una frase di mons. Lefebvre, una frase scritta!
Io dubito fortemente che mons. Lefebvre abbia usato un termine come "ermeneutica", e mi stupirebbe facesse parte del suo vocabolario, in quanto, da quello che nel mio piccolo ho potuto constatare, ha cominciato ad entrare in auge nel mondo ecclesiale extra-accademico sotto il pontificato di BXVI: si potrebbe dire che è stata una sua trovata ed era una sua specialità. Dove l'aveva pescata? Forse nella Scolastica? non credo proprio.
Come non credo proprio che BXVI e Monsignore avessero il medesimo retroterra culturale e attingessero alle stesse fonti.
Allora ci si può domandare, come mai si vuole piegare anche mons Lefebvre a questa visione politico-pragmatica-salvacapraecavoli che sembra il trend che si vuole far passare all'incontrovertibilmente lodevole fine di raccogliere il più gran numero di pastori e di pecore dispersi nella confusione imperante.
E che cavolo!
meglio una chiesa moderatamente e piamente semivaticansecondista che una bergogliana, ossia vaticansecondista tanghera e integrale;
quindi...
meglio una Chiesa semi-ariana che una ariana!
Amici miei,
Comprendo le visuali di Marius e Anna ma non si può ignorare la realtà prefigurata da Luisa.
Credo che, nel regno della prassi, anziché discutere, faremmo bene ad agire (come del resto stiamo già facendo: per Marius mi risulta) promuovendo e vivendo la pastorale tradizionale lì dove siamo....
Ovvio che la priorità è nel resistere e agire ad extra. Ma ad intra è indispensabile continuare il confronto e l'approfondimento, che si rivelano impossibili nell'agone egemone perché quanto sosteniamo e argomentiamo rimbalza regolarmente su muri di gomma o viene travisato. Non abbiamo più un linguaggio comune: è il regno della confusione oltre che della divisione.
Ed è altrettanto ovvio che è questo l'atteggiamento attuale della FSSPX, per lo meno in chi segue mons. Fellay (purtroppo la confusione e la divisione non l'hanno lasciata immune).
@Luisa
Personalmente nel rientrare nella Chiesa non c'è stato un qualcosa di particolare che mi abbia messo sull'avviso del deterioramento. No. Qualcosina che non mi suonava qui, qualcosina che non mi suonava là, fino ad arrivare all'urto dei nervi davanti alle corsette laiche in zona altare. Stupidaggini se vogliamo. Neanche poi approfondite. Solo che ad un certo punto fui satura. E intrapresi a percorrere una strada alternativa, cioè non fare quello che non mi suonava giusto. Questo per dire che nessuno di noi sa se,quando e come altri torneranno sulla retta via.Mi sembra che il nostro contributo qui, ai commenti, sia una buona cosa. Nessuno di noi sa quale delle sue parole arriverà al segno e di chi sarà quel segno e quando. L'altro giorno PP lamentava un'azione efficace che non c'è. L'azione efficace che io posso fare è qui alla tastiera. Ho pensato a scuole, giornali, ad imprese meritorie ma, non ho un'autonomia economica tale da esserlo foraggiando imprese di questo tipo.E poi la diversità di vedute con altri, pur avendo lo stesso Credo,è esperienza quotidiana per noi. Procediamo così. Che questa alla tastiera sia la nostra preghiera e la nostra offerta e il nostro atto di riparazione.Speriamo che molti altri ed altre si aggiungano a noi e diano il loro contributo, che è sempre originale, anche se gli argomenti si ripetono, le parole sono di ognuno e di ognuno è il quadro che ne esce. Argomenti che uno tratta da esperto e un altro ridice come può. Grazie per lo spunto offertomi. Buona giornata.
N.B. questo esercizio dà i suoi frutti: l'argomentare più coerente che ne discende, infatti le frecce vengono messe a punto ogni giorno e scambiate con altre più ficcanti. Direi mai, prendo l'iniziativa ma, sollecitata dall'esterno, vado come un treno, dove sono sono. Procedo, forte di sapere quello che dico, con calma e serenità, so che il merito non è mio e che Lui ascolta attento che non vi metta niente di mio.
Il disastro attuale è tale, il caos e l`anarchia sono tali, che la Chiesa di Cristo, quella che conserva il Suo insegnamento, sembra "condannata" a diventare una Chiesa di nicchia che conserva preziosamente il Suo tesoro, in trincea, mantenendo la fiamma accesa, aspettando che dall`Alto venga la mano che risolleva e porta alla luce.
Ricordo che lo dicevano già con altre parole Paolo VI e Benedetto XVI
Il 99,99% dei cattolici nel mondo conosce e pratica solo la messa riformata, non son certa che "lottare CONTRO " la "nuova messa", considerando e predicando che è peccato mortale assistervi, contro il Vaticano II rigettandolo in toto, sia ciò di cui la Chiesa e i cattolici hanno bisogno in questo momento.
Preferisco le battaglie "per" che quelle "contro", partire dalla formazione, dar voglia a chi non la conosce di scoprire la Messa che è stata quella della Chiesa durante i secoli e fino al CVII mi sembra fondamentale e essenziale, forse la sola vera "battaglia" il resto seguirà.
Se spiegare come si è svolto iL CVII da chi è stato manipolato, e con che fini, se illustrarne le consegueze nefaste non è inutile, a mio umile avviso è lungi dall`essere prioritario per la massa dei fedeli oggi.
Luisa, non si tratta eminentemente di lottare "contro", anche se in pratica in un certo senso risulta inevitabile, perché lottare "per" implica per sua natura che ci si opponga a ciò che è contrario agli scopi della propria lotta "per".
Così la FSSPX non fa campagne mediatiche "contro" la Messa riformata, ma promuove nella pratica solo l'autentica Messa Cattolica, all'occorrenza sconsigliando di frequentare quella non autentica, fornendo validissimi argomenti.
Cosa hanno bisogno i cattolici? Come ben dice Lei, la formazione: "dar voglia a chi non la conosce di scoprire la Messa che è stata quella della Chiesa durante i secoli e fino al CVII mi sembra fondamentale e essenziale, forse la sola vera "battaglia" il resto seguirà."
Non sono del tutto d'accordo sul finale, con quel "il resto seguirà".
Se non stiamo attenti attraverso l'acquiescenza generale c'è il rischio che si instauri e peggio si codifichi una nuova fase che a parole si vorrebbe magari intermedia di passaggio, ma che poi in pratica diventerebbe facilmente stabile, una cosiddetta giusta via di mezzo quale nuovo punto di riferimento.
Invece, assieme alla Messa di sempre, cioè l'autentica lex orandi, dobbiamo promuovere l'autentica lex credendi, altrimenti presto avremo (qua e là già è presente) una dicotomia, una compresenza nefasta tra una giusta lex orandi e una falsa lex credendi.
Noi dobbiamo enunciare e promuovere ciò che è giusto, senza preventivi sconti, perché è già la realtà stessa a procurare un inevitabile attrito contro la realizzazione dell'ideale. Se cominciamo già noi ad abbassare l'obiettivo, procuriamo noi stessi per primi questo attrito, invece di lubrificare l'ingranaggio.
Bisogna partire col piede giusto.
Ne accennava Mic sopra: non sto esprimendo sulla tastiera solo una tesi a cui credo, ma la sto applicando nella vita pratica e tocco con mano ogni giorno quanto è difficile tradurre l'ideale in realtà. In famiglia promuoviamo la Messa Tridentina, ma, attenzione, solo nelle situazioni in cui la lex orandi è coordinata alla lex credendi, incentivando il più possibile questa imprescindibile concezione.
Per far questo nel nostro piccolo abbiamo dato vita ad una cosa che tutti possono fare: un gruppetto di "catechesi tradizionale" in cui leggiamo insieme un testo del magistero di sempre. Abbiamo iniziato con la Pascendi di S.Pio X contro il modernismo.
Ci contiamo sulle dita di una mano, ma se molti di noi bloggers facessimo una cosa simile nel proprio ambito, un bel giorno si potrebbe tramite questo bel blog riconoscersi e (se son rose fioriranno) ...coordinarsi.
A me, da profano, il discorso è piaciuto molto, tanto che l'ho letto con attenzione, parla da cattolico, non come certi predicatori ambulanti....non penso neanche lontanamente che Ratzinger faccia flanella, non può fare niente, è controllatissimo, anche la posta a lui indirizzata, con la scusa delle misure antiterrorismo, e se scrive qualcosa deve avere l'autorizzazione del vdr,ed è tenuto all'oscuro di quello che si trama e ordisce in santamarta hotel, e questo l'hanno scritto in diversi che l'hanno incontrato al monastero, atteniamoci alla risposta data a Messori 'Io non posso fare niente, solo pregare'.End of. In RSM e Rimini sono in tournée Accattoli e Bianchi che illustrano l'AL e la misericordia franceschina, provocatori astengansi, cioè non sono ammessi dissensi/ dissenzienti, si viene buttati fuori, provare per credere. Anonymous.
Comprendo e condivido irina.
Quando un tema ci sollecita e ci spinge a fornire delle ragioni esprimendo le nostre convinzioni domande riflessioni, dobbiamo innanzitutto riordinare i pensieri e fare il punto dentro di noi, anche asdimilando e rielaborando i nuovi stimoli. E questo non può che giovare ad ognuno nel consentire un nuovo punto di partenza e a tutti nell'acquisizione di un sentire comune che rafforza sia la persona che la comunità attraverso le correnti di pensiero che si sviluppano e si diffondono, compreso il sensus fidei cristocentrico che è l'unico che salva.
Condivido Marius, le lotte pro e quelle contro sono la stessa lotta, le due facce della stessa medaglia. Una verità non può essere affermata senza implicitamente o esplicitamente rinnegare l'errore che la vuole negare, altrimenti si zoppica.... e alla fine si cade e poi rialzarsi da zoppi non è così semplice, anzi, si resta a terra.
La relazione del card. Sarah sembra ed è in tanti punti sicuramente profonda e al contempo semplice, quindi adatta a tutti, ciascuno potendo leggerla secondo il proprio livello di preparazione intellettuale, ciascuno potendovisi accostare secondo il proprio livello di progresso spirituale, senza che nulla risulti non comprensibile e senza che nulla risulti anche semplicizzato. Posso concordare ciò nonostante ancora con Marius relativamente alle sue considerazioni in merito alle citazioni del Vaticano II lì presenti. Non so e non voglio indagare sulle intenzioni che devo presumere lodevoli, a mio giudizio questo approccio è zoppicante (vedi sopra) ed il risultato sarà quello descritto da Don Tranquillo nel post riporato da Anna, quindi in realtà ci sarà l'illusione di due visioni contrapposte (una giusta, una sbagliata) ma gratta gratta l'illusione scompare e resta l'evidenza della matrice comune pur con le differenze e gradazioni nella prassi.
A margine sono "sorpreso" che un imam sia professore alla cattolica, magari ho letto male.
Riguardo all'idem sentire di Mons. Lefebvre con il card. Ratzinger, c'è questo contributo (parla Monsignore):
“Eminenza, anche se ci concedeste un vescovo, anche se ci concedeste una certa autonomia in rapporto ai vescovi, anche se ci concedeste tutta la liturgia del 1962, se ci concedeste di continuare con i seminari e la Fraternità come facciamo adesso, noi non potremmo collaborare, è impossibile; perché noi lavoriamo in direzioni diametralmente opposte: voi lavorate alla scristianizzazione della società, della persona umana, della Chiesa, noi lavoriamo alla cristianizzazione. Non ci si può intendere. Lei mi ha appena detto che la società non può essere cristiana” (Conferenza ai sacerdoti a Ecône, per il ritiro sacerdotale, 1° settembre 1987).
Marco P
Ci contiamo sulle dita di una mano, ma se molti di noi bloggers facessimo una cosa simile nel proprio ambito, un bel giorno si potrebbe tramite questo bel blog riconoscersi e (se son rose fioriranno) ...coordinarsi.
È da sempre uno dei nostri obbiettivi.... io ci spero!
Eminenza, anche se ci concedeste un vescovo, anche se ci concedeste una certa autonomia in rapporto ai vescovi, anche se ci concedeste tutta la liturgia del 1962, se ci concedeste di continuare con i seminari e la Fraternità come facciamo adesso, noi non potremmo collaborare, è impossibile; perché noi lavoriamo in direzioni diametralmente opposte:...
Citazioni di mons. Lefebvre come questa, fuori dal contesto e ad usum anti-accordo, non mi sembrano adeguate ai tempi che viviamo.
La Fraternità chiede e si prepara, non ad adeguarsi (e quindi a collaborare), ma a continuare ad essere quella che è continuando a fare ciò che fa.
Comprendo il timore di rischi e di incognite ma comprendo anche chi li accetta confidando nella Provvidenza senza venir meno alla fedeltà.....
Ho appena finito di rileggere, Il dibattito sulla liturgia, su CVII di R. de Mattei vi ricopio queste poche righe a p.252
"'Questi Vescovi e Cardinali in calzoni lunghi che non sanno stare cinque minuti senza sigaro o sigaretta in bocca, che si infischiano di tutte le proibizioni ('on est prié de ne pas fumer!') che passano sopra a tutte le riluttanze dei latini (vanno al bar o ad all'Albergo con tanto di insegne accompagnati da Signore!)sembra che abbiano ben altro da fare che pregare', osservava con amarezza il Vescovo di Pesaro."
Ho sottolineato parecchio altro; premesso che ho fumato per anni, sono rimasta senza parole. E noi siamo in riverenza davanti a questi sapienti? Ben ci sta, tutto quello che ne è seguito. Poi la tiritera del latino, lingua morta,lingue vive.Vi risparmio.
Invece volevo mettere in rilievo che per studiare il latino è necessario conoscere l'analisi grammaticale, l'analisi logica, l'analisi del periodo. Si fanno anche ora, in maniera "antologica" ma , per l'apprendimento del latino della Vulgata, per esempio, occorre saper maneggiare, questi strumenti,in modo approfondito ed esercitato. Ma c'è dell'altro: il pensiero ne trova giovamento, non solo perchè diventa più elastico per gustare la struttura di tutte le altre lingue ma, anche perchè diventa capace di affrontare il conoscere filosofico,teologico, storico..., con rigore tale da capire, altro esempio, la regola e la sua eccezione. Senza presumere che sia irrilevante scambiare il loro ordine e tramutare l'una nell'altra.
Ho appena finito di rileggere, Il dibattito sulla liturgia, su CVII di R. de Mattei vi ricopio queste poche righe a p.252
"'Questi Vescovi e Cardinali in calzoni lunghi che non sanno stare cinque minuti senza sigaro o sigaretta in bocca, che si infischiano di tutte le proibizioni ('on est prié de ne pas fumer!') che passano sopra a tutte le riluttanze dei latini (vanno al bar o ad all'Albergo con tanto di insegne accompagnati da Signore!)sembra che abbiano ben altro da fare che pregare', osservava con amarezza il Vescovo di Pesaro."
Ho sottolineato parecchio altro; premesso che ho fumato per anni, sono rimasta senza parole. E noi siamo in riverenza davanti a questi sapienti? Ben ci sta, tutto quello che ne è seguito. Poi la tiritera del latino, lingua morta,lingue vive.Vi risparmio.
Invece volevo mettere in rilievo che per studiare il latino è necessario conoscere l'analisi grammaticale, l'analisi logica, l'analisi del periodo. Si fanno anche ora, in maniera "antologica" ma , per l'apprendimento del latino della Vulgata, per esempio, occorre saper maneggiare, questi strumenti,in modo approfondito ed esercitato. Ma c'è dell'altro: il pensiero ne trova giovamento, non solo perchè diventa più elastico per gustare la struttura di tutte le altre lingue ma, anche perchè diventa capace di affrontare il conoscere filosofico,teologico, storico..., con rigore tale da capire, altro esempio, la regola e la sua eccezione. Senza presumere che sia irrilevante scambiare il loro ordine e tramutare l'una nell'altra.
La citazione si inseriva nel contesto della discussione e suoi sviluppi relativa al Vaticano II nell'intervento del Card. Sarah (articolo di Tosatti).
Non è ad usum anti-accordo
Che poi il suo significato sia chiaro anche a prescindere dal contesto per cui l'ho postata, questo è evidente e ciò, questa chiarezza, a me sembra adeguata ed ottima rispetto ai tempi che viviamo.
(se non pubblichi non fa nulla).
Marco P
"Citazioni di mons. Lefebvre come questa, fuori dal contesto e ad usum anti-accordo, non mi sembrano adeguate ai tempi che viviamo.
La Fraternità chiede e si prepara, non ad adeguarsi (e quindi a collaborare), ma a continuare ad essere quella che è continuando a fare ciò che fa."
Condivido in toto, mic.
Uscire dalle frasi dal loro contesto, troncarle, e servirsene a sostegno delle proprie opinioni, è una tentazione facile ma resta innanzitutto una mancanza di rispetto per chi le ha scritte o dette.
Ok, allora mons. Lefebvre e il card. Ratzinger erano d'accordo, quanto dice Tosatti è condivisibile e dimostrato in tante e ripetute occasioni e non si capisce come mai Monsignore abbia detto estemporaneamente quanto io ho inopinatamente riportato. Adesso però mi tolgo gli occhiali rosa, perchè mi è venuto il mal di testa.
(p.s. non ho capito quali vantaggi ci siano in una discussione a metterla sul personale, che cosa apporti come argomentazione, in un senso o nell'altro, sarà un mio limite).
Marco P
Che poi il suo significato sia chiaro anche a prescindere dal contesto per cui l'ho postata, questo è evidente e ciò, questa chiarezza, a me sembra adeguata ed ottima rispetto ai tempi che viviamo.
La frase di per sé a me sembra adeguata ed ottima rispetto ad ogni tempo. Se ho parlato dei tempi che viviamo e ho tirato fuori gli accordi è perché questo è un nervo sensibile e sono molti gli interventi che alla fine è lì che vanno a parare. E può darsi che lo stesso mons. Lefebvre oggi come oggi, la vedrebbe come mons. Fellay. Ovviamente alle condizioni che ho detto sopra (che sono quelle che mons. Fellay ritiene accettabili) e avuto riguardo alla situazione e alla forbice sempre più ampia che si va creando tra generazioni.
Se ne ho parlato è perché, di fronte alla sanior pars dei nostri pastori che continuano a citare parti commestibili del concilio, viene fuori la solita diffidenza. che nei confronti del concilio ha ragione di esserci, ma non nei confronti di chi lo prende senza fraintendimenti o concessioni al nuovo deviante, come mons. Schneider e il card. Burke.
Credo e spero che alla fine usciremo da questo nodo apparentemente inestricabile.
Ricordi che mons. Schneider esprime proprio questa consapevolezza, quando auspica che nella Chiesa si possa favorire e creare uno spazio e un'atmosfera spirituale per una disputa teologica serena?
Mi rendo conto che sarebbe molto più semplice tenere una ferma intransigenza senza dover fare tutte queste giravolte e relativi distinguo, su cui mi ostino perché mi sembra che non si possa ignorare la realtà tutta intera così com'è e non come vorremmo che fosse. E che ritengo ineludibili se si vuole (per me, anzi, si deve) tener conto del grave iato generazionale che in qualche modo va colmato.
Ma ora sono tanto stanca e mi viene voglia di gettare la spugna!
Ricordi che mons. Schneider esprime proprio questa consapevolezza, quando auspica che nella Chiesa si possa favorire e creare uno spazio e un'atmosfera spirituale per una disputa teologica serena?
Purtroppo, pur essendo non tanto auspicabile quanto ineludibile, ogni disputa teologica che non sia orientata alle storture dominanti risulta di fatto impossibile.
E' per questo che l'unica alternativa, per la tradizione, mi sembra sia oltrepassare le dispute e vivere senza remore la tradizione stessa, come si ostina giustamente a fare la Fraternità e come vorrebbe (e forse potrebbe) continuare a fare con una marcia in più con una situazione canonica diversa.
Il Concilio Vaticano II è uno dei Concili della Chiesa, uno dei tanti, è perfettamente esatto e innegabile che certi suoi testi redatti con un linguaggio volutamente ambiguo hanno permesso ogni libera interpretazione e applicazione , difficile negare la crisi del sacerdozio, le chiese e i seminari che si svuotavano, la follia distruttrice che ha sfigurato gli spazi sacri e la liturgia, il tradimento della Sacrosanctum Concilium ad opera di Bugnini e compagni sotto l`occhio apparentemente complice di Paolo VI che approvava i lavori e le decisoni del Consilium ( in quanti conoscono il famigerato paragrafo 7 della prima versione del 1969 del Messale Romano firmato Paolo VI?), è evidente che è in certi documenti del CVII che si trova la fonte dei mali attuali,
MA,
oggi nello scempio e dottrinale e liturgico, con l`ignoranza abissale della massa del "popolo di Dio", con la ribellione del clero, e le vari lobby che si sono infiltrate nella Chiesa e tirano i fili delle marionette a loro sottomesse, con i scismi (la chiesa del mio Paese ne è un esempio) non formali ma concreti, con una religione che è stata svuotata della sua essenza e un Vangelo riletto alla luce della cultura contemporanea( Bergoglio dixit) per rispondere ai bisogni della gente(!), con la Dottrina considerata un reliquato del passato incapace di rispondere a quei bisogni, troppo dura, una dogana da sopprimere, con i vescovi fedeli alla Dottrina considerati dei ribelli al papa...
come si può avere un`altra perspettiva se non quella di continuare a testimoniare e trasmettere la retta Fede, avere il coraggio di andare controcorrente, ognuno là dove si trova, come, se e quando può farlo, con umiltà, intelligenza e la lucida consapevolezza dei venti contrari, della realtà della situazione, sapendo che l`ultima parola spetta al Signore che tutto vede e solo sa perchè tutto ciò deve accadere nella Sua Chiesa.
Mic,
Dici bene: emerge diffidenza per il Vat. II e per rasserenare il clima occorrerebbe che questo potesse essere oggetto di dibattito, ma se viene citato ogni tre per due anche da pastori di riferimento, pur con tutte le sicuramente buone intenzioni, mi pare difficile che poi tale clima possa finalmente prender forma.
Lo iato generazionale non lo vedo perchè il buon seme è custodito anche da tante persone di etá giovane.
Il problema è generale e terribile per il numero emorme e preponderante di persone ormai avvelenate da decenni di assenza di buona dottrina e di commistione tra errore e vetitá.
Concordo, infine, ognuno deve vivere secondo Tradizione come può secondo la propria situazione particolare, nella situazione generale di estrema emetgenza.
Marco P
@ Chi ha "sfigurato" chi e che cosa?
Continuare a dire che la riforma di Bugnini e Paolo VI ha "sfigurato" la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla liturgia non è accettabile. La riforma ne ha semplicemente portato alle estreme conseguenze le innovazioni. La più grave delle quali, l'introduzione del principio della creatività nella Liturgia, mediante lo sperimentalismo e l'inculturazione (certo, in teoria sotto la supervisione di Roma, ove del resto stavano andando a comandare convinti sostenitori dell'uno e dell'altra). La creatività nella Liturgia è stata sempre respinta nei secoli dai Papi come un male pernicioso da evitare a tutti i costi. Al Concilio, il testo della Sacrosanctum Concilium che poi alla fine è passato fu letteralmente fatto a pezzi dai difensori della tradizione, da Ottaviani ai migliori liturgisti di allora.
Continuare a voler rinviare testardamente ogni apertura di discussione sul Concilio, facendo finta che il suo autentico spirito sia stato "tradito" (è un refrain che dura da 50 anni), significa solo ingannare se stessi e gli altri, per quanto possibile. Rimandare sempre la discussione sul Concilio e i suoi errori, è come disinfettare una ferita prodotta da un aculeo penetrato nella carne, fasciarla e lasciare dentro l'aculeo, che continua così a diffondere la sua cancrena.
PP
A questo punto, alla luce dei fatti, ritengo che l'unica cosa che tutti possiamo fare, oltre una sana e robusta preghiera, è dire la Verità e mantenere le nostre anime linde. Se non possiamo dire la Verità, silenzio (S. Escrivà). Facciamo i nostri commenti, ma senza presumere di arrivare alla soluzione, un esercizio per tenerci tonici,diffondendo la Verità in questo mondo di menzogna.Compito grandioso. Altra caratteristica dei tempi: il potere politico inaffidabile, dal quale non può arrivare nè esempio, nè aiuto di sorta. Unico aiuto la Santa Trinità, Maria Santissima, San Giuseppe ed il nostro Angelo custode. Immersi nella Comunione dei Santi.
@ mic
"...grave iato generazionale che in qualche modo va colmato..."
Anche questo, no problem, la Verità è Vita e Via, ci pensa lei a riempire i buchi nelle teste e nei cuori.
"Continuare a dire che la riforma di Bugnini e Paolo VI ha "sfigurato" la costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium sulla liturgia non è accettabile."
Dolente di dire qualcosa che non è accettabile per lei e senza dubbio per altri, ma continuo a dire che il Consilium ha tradito, con la sua interpretazione estensiva (Bugnini dixit pag.121), la Costituzione conciliare sulla Liturgia.
Ho letto il mattone di Bugnini sulla riforma liturgica, e l`ho fatto avendo il testo della Sacrosanctum Concilium sotto gli occhi, è chiaro e innegabile che i membri del Consilium, con l`aiuto dei loro consultori protestanti, si sono allontanati dal testo della Costituzione conciliare.
Non nego che per alcune novità son partiti da spiragli aperti, o socchiusi, ma altre sono il frutto della loro volontà già allora dissacratrice per togliere quelle famose pietre d`inciampo , dixit Bugnini:
""Dobbiamo togliere dalle nostre preghiere cattoliche e dalla liturgia cattolica ogni cosa che possa essere l'ombra di una pietra d'inciampo per i nostri fratelli separati, ossia i protestanti".
"La riforma doveva farsi affinché "la preghiera della Chiesa non fosse motivo di malessere spirituale per nessuno"
Fore che la Sacrosanctum Concilium ha previsto e voluto la violenza con la quale la riforma liturgica è piombata dall`alto sulle teste dei cattolici e che ho vissuto con grande sofferenza?
Forse che ha voluto il ribaltamento degli altari, la distruzione delle balaustre, la devastazione dello spazio sacro,
le nuove preghiere eucaristiche,fatte a tavolino,
la sostituzione dell`Offertorio,
la soppressione del latino e del gregoriano,
la Comunione sulla mano,
la baraonda che è diventata la "participatio actuosa" voluta dalla SC,
la trasformazione della liturgia in spettacolo?
http://www.fondazioneratzinger.va/content/dam/fondazioneratzinger/contributi/Nicola%20Bux%20-%20La%20riforma%20liturgica%20del%20Concilio%20Vaticano%20II%20e%20la
%20sua%20applicazione%20secondo%20%20Joseph%20Ratzinger.pdf
http://www.internetica.it/FSSPX-BUXLetteraAperta.htm
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/03/15/liturgia-ultima-resistenza-una-nota-del-professor-de-marco/
https://www.riscossacristiana.it/incontri-ravvicinati-del-terzo-tipo-con-un-diacono-di-cristiano-lugli/
IL VERO AMORE È VOLERE L’ALTRO SANTO. IL SUBLIME ESEMPIO DI SANTA LUISA DE MARILLAC
http://www.iltimone.org/35865,News.html
Per me e per Cristiano :
Oggi , durante l'Ora Santa preghiamo , con Gesu' che suda sangue , per questo diacono .
P.S. Ci incontriamo dalle 23:00 alle 24:00 in questo giorno dono del Signore .
@ "Non nego che per alcune novità sono partiti da spiragli aperti o socchiusi"
Lei e non è la sola usa spesso quest'espressione senza mai approfondire di quali "spiragli"si tratti, come se fossero state delle "fessure" tutto sommato poco pericolose, diventate tali solo per il tradimento del Concilio perpetrato da Bugnini (e Paolo VI, ma non lo si deve dire). In tal modo si occulta sistematicamente la questione di fondo e cioè che i cosiddetti spiragli aperti o socchiusi costituiscono in realtà contraddizioni radicali della tradizione e del Magistero della Chiesa sulla liturgia. A cominciare appunto dalla inaudita novità del principio della creatività in liturgia attraverso lo sperimentalismo e l'inculturazione (SC artt. 37-40), cose in passato sempre fermamente condannate dai Papi. E la definizione della Messa che viene data agli art. 47, 106, 109 della SC appare già tinta di protestantesimo, nel senso cioè del banchetto che celebra gioiosamente la Resurrezione del Signore. (Potrei continuare la lista).
Ora, il quadretto di comodo della riforma dovuta al tradimento di una mezza figura come il defuntno mons. Bugnini, un mero esecutore, non regge al buon senso perché non è pensabile che una rivoluzione liturgica di quella portata avvenisse contro la volontà del Papa del momento. Inoltre, che dire di Giovanni Paolo II il quale diceva sempre "per voi e per tutti", nonostante il testo della Institutio avesse mantenuto il "per multis" dell'O V?
Chi tradiva qui, chi dava il cattivo esempio, se non il Papa in persona?
Faccio un altro esempio. Amerio notava che la riforma liturgica aveva stralciato da certi Salmi "i versicoli che sembravano incompatibili con le vedute ireniche del Concilio, mutilando il sacro testo...Inoltre ha espunto interi versicoli dai testi del Vangelo nelle messe in 22 punti che toccano il giudizio finale, la condanna del mondo, il peccato [prof. Kaschewsky, Una voce Korr., 1982, n. 2/3 - I.U, par. 288].
Non c'era scritto nella Sacr. Conc. di fare questo, ma i tagli erano giustificati appunto in base allo "spirito irenico" che pervade il Concilio (e la Sacr. Conc.), approvato e diffuso da tutti i Papi conciliari e postconciliari,che mai hanno messo in discussione questi tagli.
PP
Lei e non è la sola usa spesso quest'espressione senza mai approfondire di quali "spiragli"si tratti, come se fossero state delle "fessure" tutto sommato poco pericolose,
Non ho la pretesa di avere la sua stessa formazione e preparazione ma ho invece quella di dire che il ritorno alla pratica della fede, quando ho ritrovato il disastro che mi aveva fatto scappare all`ennesima potenza, mi ha obbligata a studiare, ad approfondire, a cercare di capire , ho studiato sì, ho letto e riletto, in particolare appunto la Costituzione conciliare sulla Liturgia.
La Santa Messa è sempre stato il cuore della mia fede, non ho avuto bisogno che me lo si dicesse , vedere in che stato l`avevano ridotta, manipolata, "bricolée", come se fosse un giocattolo, ritrovare le conseguenze della volontà dissacratrice, distruttrice dei novatores, è stata una vera sofferenza, ho passato ore a leggere e studiare, e mi è parso evidente quanto e come il Consilium si è allontanato dalla Sacrosanctum Concilium.
Lo ripeto basta leggere il mattone di Bugnini per rendersene conto.
E aggiungo, devo essere una cattolica tradizionale sui generis, che io avrei potuto accettare la riforma liturgica se fosse stata fedele alla lettera della SC che, lo ripeto, non prevedeva affatto tutte le novità introdotte dal Consilium.
Cara Luisa,
Non le prevedeva esplicitamente, ma erano e restano consentite nei tanti "ma anche" che aprono la porta a cambiamenti ulteriori che si allontanano sempre più dal famoso "sviluppo organico" che lo stesso Ratzinger richiamò stigmatizzando la 'fabbrica a tavolino'... ed è forse per questo che ha sdoganato l'antico rito nel Summorum!
Non so con precisione chi abbia detto: il Reno si riversa nel Tevere. Congar? E non so se fu per scherzo. Ora di questa frasetta, innocente, comincio a vedere tutto il dramma.1)Il Reno per riversarsi nel Tevere avrebbe dovuto attraversare le Alpi e andare contromano. E sul contromano ho già detto. Anche facendo questo percorso, fuori del suo letto,l'inversione sarebbe dovuta avvenire alla sorgente. Dramma non dappoco.
2)Tracimando oltre le Alpi ed attraversando la pianura Padana si sarebbe portato dietro tutte le scorie incontrate fluendo.3)Arrivando al Fumaiolo, avrebbe incontrato il Tevere, alla sorgente anch'esso, inquinandolo. 4)Inquinati e inquinantesi lungo il corso insieme, sono entrati in Roma portatori di acqua avvelenata, da un percorso contro natura.
Cara Luisa,
Non si tratta di maggiore o minore preparazione, di aver letto maggior o minor numero di libri.
Si tratta di riuscire a superare quel sentimento di profondo attaccamento per la figura del Papa, per la Chiesa, per la Fede; quel sentimento che ci dice: non può esser così, è una cosa troppo orribile per esser vera, la Chiesa non può esser sprofondata tanto in basso; di strapparsi in un certo senso da se stessi per riuscire ad acquisire la dolorosa lucidità di giudizio indispensabile (io credo) in un frangente così drammatico come l'attuale.
PP
Grazie per la sua attenzione, PP, Non penso di avere quel sentimento, purtroppo ho la piena consapevolezza, penso di averlo anche fin troppo detto, del caos, dello scempio, di una chiesa sprofondata così in basso che oramai la scrivo con la c minuscola, perchè, e qui forse lei ha ragione, una parte di me pensa che quella chiesa non è quella di Cristo ma quella costruita da mani e volontà umane, senza nulla di sacro, profetizzata dalla Beata Emmerich, ma un`altra parte di me pensa che tutto ciò che sta succedendo alla Chiesa si iscrive in un disegno da Lui solo conosciuto.
Come lei dice a ragione la situazione è drammatica, se è la Chiesa di Cristo ad essere sprofondata così in basso, resta la preghiera e accettare di sentirsi un "paria", un alieno, in casa propria, ma se la chiesa che abbiamo sotto gli occhi non è quella di Cristo dov`è la Sua Chiesa?
Negli ultimi tempi abbiamo guardato un ecumenismo troppo somigliante al fenonemo dell'immigrazione. Ad esempio, il "ritorno" degli anglicani alla Chiesa sotto il pontificato di Benedetto XVI è stato uno ritorno che ha causato tanta perplessità che Mons. Brunero Gherardini ha scritto l'articolo:
""Anglicanorum Coetibus": Conversione o trasloco? Osservazioni postume".
http://chiesaepostconcilio.blogspot.com.br/2011/12/brunero-gherardini-anglicanorum-ctibus.html
Lo stesso se vuole fare con gli luterani, se è fatto con altri e se vede in movimenti come il Cammino Neocatecumenale (una sorta di movimento immigrante all'interno della Chiesa...), ecc. Detto questo domando:
Mons. Gherardini ha usato la parola trasloco, questo trasloco non può essere definito come una sorta di immigrazione?
Se non me sbaglio, come spiegare:
Le somiglianze tra l'immigrazione ecumenica/religiosa e politica/civile?
Quale la relazione con l'unità della religione e della città?
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