Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 29 luglio 2015

Pierfrancesco Nardini. Peccato, non discriminazione

Una delle critiche più frequenti a chi si manifesta assolutamente non possibilista sulla Comunione agli omosessuali praticanti è che questa posizione (e quindi la posizione della Chiesa) sarebbe discriminatoria.

Il Dizionario Garzanti definisce “discriminare” come “discernere, distinguere, fare una differenza” e anche “assumere atteggiamenti, comportamenti, provvedimenti che, all’interno di un gruppo o di una società, ne isolano o danneggiano una parte”. Possiamo definirla quindi anche come “non permettere l’accesso a diritti che spettano come a tutti gli altri”.

Ora, in uno Stato non si è mai sentito (anche se, ultimamente, la certezza della pena, soprattutto per gli stranieri, in Italia è inesistente) difendere un chi commette un reato con l’argomento della discriminazione: “togliergli la libertà è una discriminazione”.

L’esempio è ben più calzante di quel che alcuni possono pregiudizialmente pensare, anche se ovviamente l’omosessualità non è un reato civile o penale per la Costituzione italiana, e spiego in che senso. Non si discrimina nessuno se gli si attribuisce quel che merita sulla base della sua condotta (se l’omicida è condannato all’ergastolo, metterlo in galera per il resto della sua vita è un diritto della comunità e la logica conseguenza delle sue azioni). Non vi è nessuna discriminazione, nessuna differenza rispetto a chi ha avuto una condotta diversa (l’uomo o la donna onesti e rispettosi della vita altrui).

Quello che si vuole dire è che non ci può essere discriminazione nel trattare diversamente due situazioni diverse.
Arriveremmo altrimenti ad una contraddizione, nei fatti oltre che in termini. Ed anche ad una vera discriminazione, opposta: quella di chi ha una condotta giusta e non vede punito chi invece non l’ha avuta.

Ecco, proprio questa contraddizione in termini e in fatto vorrebbe introdurre chi continua a urlare ai quattro venti che “la Chiesa deve prendere atto” della situazione odierna e aprire l’accesso ai sacramenti anche alle persone che praticano l’omosessualità. Gravissimo è il sentirlo da sacerdoti, vescovi e cardinali. Agli anticlericali (espressi e non) siamo abituati.

La Chiesa cattolica non discrimina nessuno. Da sempre infatti si distingue tra inclinazione omosessuale (che non è peccato, ma disordine) e pratica omosessuale (che invece è peccato grave). Se dunque una persona con tendenze e pratiche omosessuali si pente, si confessa con il proposito di non peccare più (Catechismo di San Pio X can. 358 e can. 369), quindi non ricade più nella condizione precedente, non ha nessun tipo di problema a ricevere la Comunione (Catechismo della Chiesa Cattolica, can. 1415; Catechismo di San Pio X can. 335). Così come chiunque confessi qualsiasi altro peccato grave.
Il problema, quindi, si sposta ed è ben diverso, e direi anche ben più profondo, della pratica omosessuale.

Quel che conta, e tanto, è il peccato (parola oggi dimenticata), conta lo stato in cui si trova chi si avvicina alla Comunione: se questi è in peccato mortale, non può riceverla. E ciò vale per qualsiasi tipo di peccato mortale, non solo per l’omosessuale. Il problema, in sostanza, è la recidiva.
Se una persona non si pente, persevera ostinatamente nel peccato (qualsiasi peccato grave non solo quello della pratica omosessuale), addirittura se ne vanta e ne fa una battaglia, non ha senso dare il perdono. Anzi, non è proprio possibile dare l’assoluzione. E questo per diritto divino.

Viene spiegato chiaramente dal Catechismo di San Pio X che tra gli elementi necessari per una buona Comunione esige l’«essere in grazia di Dio» (Catechismo di San Pio X can. 335; vedi anche Concilio di Trento, Sess. 12, can. 7 e can. 11, che insegna che per ricevere l’Eucaristia si richiede lo stato di grazia). Essere in grazia di Dio significa «avere la coscienza monda da ogni peccato mortale» (Catechismo di San Pio X can. 336). Ancora più efficacemente era stato spiegato da San Paolo quando aveva ammonito che ricevere la Comunione in peccato mortale equivale a mangiare la propria condanna (1Cor 11, 27-29).

Piccola parentesi su un altro elemento richiesto dal can. 335 del Catechismo di Papa Sarto: «sapere e pensare Chi si va a ricevere»: sembra sempre più chiaro, purtroppo, che molti non sanno Chi vanno a ricevere, che nella sacra Ostia c’è Nostro Signore Gesù Cristo (Catechismo di San Pio X can. 316 e can. 322). E questo influisce, e tanto.

Alla luce di quanto ricordato (qualcuno dovrebbe proprio imparare…) non ha senso parlare di discriminazione per gli omosessuali nel non poter ricevere la Comunione. Il senso invece è quello che nessuno può avvicinarsi a Cristo in stato di peccato mortale, qualsiasi esso sia. L’omosessuale che abbia compiuto pratiche omosessuali è uguale a chi ha rapporti sessuali al di fuori del matrimonio (adulterio) o a chi ha una vita sessuale disordinata (fornicazione): sono tutti in peccato grave (sebbene con differente gravità) e nessuno può ricevere la Comunione, senza la Confessione.
La preclusione non ha luogo perché è omosessuale, ma perché manca il vero pentimento.

Che la pratica omosessuale sia peccato grave (mortale) come gli altri sopra elencati (ed altri ancora) non ci sono dubbi.
La Chiesa lo afferma da sempre. E lo ha ribadito e riassunto nel Catechismo, quando al can. 2357 insegna che «[…] Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (v. Gn 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1Cor 6, 9-10; 1Tm 1, 10), la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona Humana, 8). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».

Ancora più importante è ricordare che l’atto sessuale tra persone dello stesso sesso rientra nei peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, dato che è peccato impuro (fornicazione) contro natura (stesso sesso). Non serve aggiungere altro.

Dai Dieci Comandamenti in poi questo è sempre stato insegnato in modo chiaro e inequivoco da Dio, da Cristo e dalla Sua Chiesa. Chi contestasse l’incontestabile sappia che non si è costretti ad essere cattolici, ma, se lo si vuole essere, si deve seguire quel che Cristo, tramite gli Apostoli e la Chiesa, ha insegnato, e lo si deve seguire integralmente, non manipolandolo a proprio piacimento, secondo quel che fa comodo. I cripto-protestanti possono tranquillamente entrare in una delle tante confessioni figlie di Lutero.

Alla luce di quanto esposto, il non poter assolutamente dare la Comunione a persone non con tendenze, ma con pratiche omosessuali, vi sembra discriminazione o la semplice applicazione delle Leggi di Cristo? Come non si griderebbe alla discriminazione per il ladro messo in galera, perché si dovrebbe credere ad una discriminazione per i peccatori di omosessualità esclusi dalla Comunione? Semmai, ci sarebbe anche qui, se ammessi, una discriminazione al contrario: quella dei fedeli in stato di grazia che non vedono differenza con quelli in peccato grave.

Viene da pensare che questo atteggiamento sia un ulteriore cavallo di Troia da regalare alla Chiesa e a chi propaganda l’omosessualismo.
Perfrancesco Nardini

1 commento:

Marco P. ha detto...

Si ricorda nell’articolo, giustamente, che è necessario “sapere e pensare Chi si va a ricevere”.
È di tutta evidenza che dopo lustri e lustri di prassi deviante dalla retta dottrina, ha attecchito ciò che già c’era in germe ma cui non era consentito di svilupparsi: con questo tipo di concime (….) la pianta della falsa dottrina è divenuta più rigogliosa che mai e da questa cadono frutti sempre più velenosi, prassi sempre più eterodosse. Questa maladottrina ha tra i suoi dogmi portanti quello secondo cui Dio perdona tutti (e quindi ad es. il “per tutti” nella consacrazione) e questo a prescindere (gli unici che non perdona sono quelli che si ostinano a volerLo mettere al di sopra di tutto e di tutti pensando – illusi! – di ottemperare così al primo e più grande comandamento). Insegna ancora che Dio è un amicone che chiude entrambi gli occhi, a prescindere dal nostro atteggiamento perché noi siamo fatalmente portati a sbagliare e non possiamo perciò far nulla per combattere questo stato di cose.
Quindi: Chi si va a ricevere ? si va a ricevere un simbolo: da un lato simbolo di tutta la comunità e dall’altro simbolo di un uomo giusto che visse e morì circa 2000 anni fa e che insegnò la tolleranza, il perdono, la fratellanza e tutto ciò a prescindere da qualsiasi condizione e da ogni sacrificio (horribile dictu!) richiesto.
Quindi se questa è la comunione (minuscolo) non fa problema distribuirla a chicchessia, qualsiasi sia la sua condizione, bestemmiatore, sodomita, divorziato, convivente, adultero, omicida, ladro, bugiardo, ubriacone, drogato, violento, etc etc.
Così si disconosce la vera Giustizia ma ciò che non si conosce non si può neppure amare. Si disconosce quindi anche la vera Bontà e la vera Bellezza, ed infine si disconosce anche la vera Misericordia. Per contro si idolatrano le deformazioni di questi attributi Divini in quella comunità dietro a cui si cela quello che vuol farsi adorare al posto di Dio, la simia Dei.
Ecco allora che il voler dare la Comunione a chi è in peccato grave e che grida vendetta al Cielo, è solo l’ultimo frutto derivante dall’accecamento in cui l’uomo moderno e postmoderno è prostrato e del quale però si compiace.
Se è giusto, come è giusto, combattere perché sia evitata questa ulteriore discesa nell’abisso è però ancor più urgente, necessario, vitale chiedere al Signore che ci tolga le squame dagli occhi perché possiamo vedere chiaramente dove ci troviamo, attraverso quale strada siamo giunti fino a qui (quali le cause, non solo remote ma prossime – dal movimento liturgico deviato agli insegnamenti conciliari ambigui, dall’abbandono del linguaggio definitorio all’obnubilamento del Dogma, dalla riforma di Bugnini avallata da Paolo VI, passando per la riforma della Settimana Santa, alla riforma dei riti dei sacramenti ed all’abbandono delle devozioni della Tradizione (ad es. rogazioni), dallo strapotere delle conferenze episcopali e dei consigli pastorali ai vari livelli introducendo così il democraticismo nella Chiesa, in antitesi con la Sua Istituzione che è Monarchica, ai pontificati compiacenti con la dottrina liberale - di tutto questo disastro dottrinale e morale) e quale via percorrere perché la Verità sia ripareggiata.