Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 17 luglio 2015

Venerdì 17 luglio. Preghiera di Riparazione e proposta di lettura della settimana

Oggi, venerdì, è il giorno dedicato alla Preghiera di Riparazione. Vi ricordiamo le preghiere, complete delle Litanie del Sacro Cuore, che [trovate qui].

Sta proseguendo la devozione riparatrice dei cinque sabati per il Cuore Immacolato: potete leggere o scaricare da qui, la guida compilata da Don Marino Neri.

Aggiungiamo di seguito la proposta di lettura formativa di questa settimana, sempre tratta dal Libro della mia vita di Santa Teresa d'Avila.
Troverete gli altri avvisi su Riscossa Cristiana.


Santa Teresa d’Avila, “Il libro della mia vita”
Capitoli 15 e 16
(Vedi Precedenti: cap. 10  – cap. 11cap. 12cap. 13 – cap. 14 )

CAPITOLO 15

Prosegue nel medesimo argomento e dà alcuni consigli circa il modo di procedere nell’orazione di quiete. Dice che ci sono molte anime che giungono a questo grado di orazione, ma poche lo oltrepassano. Le cose di cui si parla qui sono molto necessarie e utili.

  1. Adesso torniamo al nostro argomento. Questa quiete e raccoglimento dell’anima sono cose che si avvertono chiaramente per la pace e l’appagamento che producono, con grandissima gioia e riposo delle potenze spirituali e con soavissimo godimento. Sembra all’anima, non essendo mai giunta più in alto, che non le resti altro da desiderare e molto volentieri direbbe con Pietro che lì è il luogo dove fissare la sua dimora. Non osa muoversi né spostarsi, perché le sembra che quel bene le debba sfuggire di tra le mani; a volte non vorrebbe nemmeno respirare. Poveretta, non capisce che, come non poté far nulla per attirarsi quel bene, meno ancora potrà fare per conservarlo più di quanto il Signore vorrà. Ho già detto che in questa orazione di raccoglimento e di quiete non mancano di agire le potenze dell’anima; ma l’anima è così appagata di Dio che, mentre dura tale stato, anche se la memoria e l’intelletto si scombussolano, poiché la volontà è unita a Dio non perde la pace e la tranquillità, anzi a poco a poco essa riporta al raccoglimento l’intelletto e la memoria. Infatti, benché non sia del tutto immersa in Dio, è così occupata a contemplarlo, senza saper come, che le altre due potenze, per quanti sforzi facciano, non possono toglierle il suo appagamento e la sua gioia; tanto più che, senza molta fatica, essa si va adoperando perché questa piccola scintilla di amore di Dio non si spenga.
  2. Piaccia a Sua Maestà di darmi grazia di far ben comprendere questa cosa, perché sono molte, moltissime le anime che arrivano a questo stato, e poche quelle che vanno avanti e non so di chi sia la colpa. Certamente non è Dio a venir meno, poiché se Sua Maestà dà la grazia di giungere fin qui, non credo che cesserà di concederne molte altre, se non a causa della nostra colpa. È molto importante che l’anima, arrivata a questo punto, si renda conto della grande dignità del suo stato, della somma grazia che il Signore le ha fatto, e di come ben a ragione debba distaccarsi dalla terra, visto che la sua bontà sembra renderla ormai cittadina del cielo, se non resta quaggiù per sua colpa. Sventurata lei se torna indietro! Io penso che sarà per precipitare in basso – come avrei fatto io, se la misericordia del Signore non mi avesse salvata – perché nella maggior parte dei casi ciò avverrà, io credo, per gravi colpe, essendo impossibile lasciare un sì gran bene senz’essere accecati da un grave male.
  3. Prego pertanto, per amore del Signore, le anime alle quali Sua Maestà ha concesso così grande grazia di giungere a questo stato, di conoscersi bene e di valutarsi molto, con un’umile e santa presunzione, per non ritornare alle pentole d’Egitto. Se per debolezza e perversità, per indole misera e vile, ricadessero – come feci io –, abbiano sempre presente il bene perduto, siano diffidenti e camminino con timore, perché ne hanno motivo, perché se non tornano all’orazione andranno di male in peggio. Questa io chiamo vera caduta, abbandonare la strada che è stata fonte di tanto bene. Parlando a queste anime non dico già che non debbano più offendere Dio e non cadere in peccato (anche se sarebbe giusto che chi ha cominciato a ricevere tali grazie se ne guardasse bene, ma siamo tanto miserabili!). quello che raccomando vivamente è di non lasciare l’orazione, perché è lì dove si capisce ciò che si fa e dove si riceve dal Signore la grazia del pentimento e la forza per rialzarsi. Mi si creda, mi si creda davvero: allontanandosi dall’orazione, si corre grave pericolo. Non so se dico bene, perché – come ho già fatto osservare – giudico in base alla mia esperienza.
  4. È, dunque, questa orazione una piccola scintilla del vero amore di Dio che il Signore comincia ad accendere nell’anima, volendo che essa intenda gradatamente in che cosa consista quest’amore pieno di dolcezze. La quiete e il raccoglimento, ossia tale piccola scintilla, se viene dallo spirito di Dio e non è un piacere suscitato dal demonio o prodotto dai nostri sforzi (per quanto riesca impossibile a chi ha esperienza non capire subito che non è cosa da potersi acquistare da noi stessi, ma la nostra natura è così avida di piaceri che fa ogni tentativo per alimentarla, pur restando assai presto senza alcun calore, perché per quanto voglia attivare il fuoco così da ottenere questo piacere, sembra non faccia altro che gettarci acqua per smorzarlo) se, dunque, questa piccola scintilla è accesa da Dio, per piccola che sia, scoppietta ben forte, e se non la soffochiamo per colpa nostra, è lei a dar l’avvio al grande fuoco dell’ardente amor di Dio che sprigiona fiamme, come dirò a suo luogo, e che Sua Maestà suscita nelle anime perfette.
  5. È, questa scintilla, un segno e un pegno che Dio dà all’anima di averla scelta ormai per grandi cose, perché si prepari a riceverle, è un grande dono, molto più grande di quanto io possa dire. Ripeto, conosco molte anime che giungono fin qui, ma quelle che passano oltre, come dovrebbero, sono così poche che ho vergogna a dirlo; non già che siano poche in senso assoluto, anzi, devono essercene molte, perché se Dio ci sopporta, è per qualche cosa; dico solo quello che ho visto. Desidererei vivamente avvertirle di badare a non nascondere il loro talento, perché sembra che Dio le abbia scelte per profitto di molte altre, specialmente in questi tempi in cui sono necessari forti amici di Dio a sostegno dei deboli; pertanto, quelli che riconoscono in sé questa grazia, si reputino davvero tali, se sanno conformarsi alle leggi che richiede una buona amicizia anche nel mondo; altrimenti, come ho già detto, temano ed abbiano paura di far male a se stessi, e Dio voglia che sia soltanto a se stessi!
  6. Ciò che deve fare l’anima durante l’orazione di quiete non è altro che attendervi con dolcezza e senza strepito. Chiamo «strepito» l’andar cercando con l’intelletto molte parole e considerazioni per render grazie di questo beneficio e rivangare il mucchio dei propri peccati e delle proprie mancanze per convincersi di non esserne degna. Tutto questo altera la quiete, perché l’intelletto si sforza di rappresentare le cose e la memoria si agita per ricordarle. Non c’è dubbio che queste due potenze a volte mi stanchino perché, pur avendo poca memoria, non mi riesce di dominarla. La volontà operi con calma e prudenza, e intenda che con Dio non si negozia bene a forza di braccia, e che questi ragionamenti sono come grossi pezzi di legna messi senza discernimento sulla scintilla per soffocarla; lo riconosca e con umiltà dica: «Signore, che posso fare io qui? Che ha da vedere la serva con il padrone e la terra con il cielo?» e altre parole d’amore che la circostanza le suggerisca, convinta della verità di quello che dice. E non badi all’intelletto, che è un seccatore, e se essa vuol renderlo partecipe di ciò che gode o si sforza di indurlo al raccoglimento – perché molte volte la volontà si troverà in quiete e unita a Dio, mentre l’intelletto sarà in gran scompiglio – è meglio che lo lasci andare, anziché corrergli dietro, e se ne stia a godere di quella grazia, raccolta in sé come ape prudente. Se, infatti, nell’alveare non entrasse nessuna ape e se ne andassero tutte per darsi la caccia a vicenda, difficilmente si potrebbe fare il miele.
  7. L’anima, pertanto, se non fa attenzione a questo, perderà molto; specialmente se ha l’intelletto acuto, perché è allora quando esso comincia a coordinare discorsi e a cercar ragioni, pensando anche un pochino, se sono ben argomentate, di far qualcosa di buono. La sola ragione che qui può valere è intendere chiaramente che non ce n’è nessuna perché Dio ci faccia una grazia così grande, all’infuori, unicamente, della sua bontà. Cerchiamo di capire, piuttosto, che gli siamo molto vicini, chiediamo grazie a Sua Maestà e preghiamo per la Chiesa, per coloro che si raccomandano alle nostre preghiere e per le anime del purgatorio, non con rumore di parole, ma con vivo desiderio di essere esauditi. È un’orazione che comprende molte cose e mediante la quale si ottiene di più che con molti ragionamenti dell’intelletto. La volontà ridesti in sé alcune considerazioni offerte dalla stessa ragione nel vedersi tanto migliorata, per ravvivare il suo amore, e compia, insieme, alcuni atti d’amore chiedendosi, per esempio, che cosa debba fare per colui a cui deve tanto, senza peraltro – come ho detto – dar adito alla voce dell’intelletto, applicandolo alla ricerca di profonde ragioni. Giovano di più, a questo proposito, alcune pagliuzze poste qui con umiltà (e saranno meno che paglie, se le poniamo noi), che meglio attizzano il fuoco, anziché molta legna ammonticchiata con argomentazioni dottissime che – a nostro avviso – in un Credo soffocherebbero la fiamma. Questo avviso è utile per gli studiosi che mi hanno comandato di scrivere perché, essendo tutti, per la bontà di Dio, arrivati qui, può darsi che perdano il tempo in applicazioni della sacra Scrittura e, sebbene la dottrina sia loro di gran vantaggio prima e dopo, in questi momenti di orazione c’è ben poca necessità di essa, a mio parere, e serve solo ad indebolire la volontà, perché l’intelletto allora ha la percezione di essere vicino alla luce, con così assoluta chiarezza che anch’io, pur essendo quella che sono, sembro un’altra.
  8. E così, stando in questa orazione di quiete, benché non capisca quasi nulla di ciò che recito in latino, specialmente del Salterio, mi è accaduto non solo di capire il versetto come suona in lingua volgare, ma anche di andare oltre e gioire di penetrare il senso del versetto stesso. Lasciamo stare il caso in cui dovessero predicare e insegnare, perché allora conviene servirsi della dottrina per aiutare quei poveretti di scarsa istruzione come me. La carità è sempre una gran cosa, soprattutto quella di giovare alle anime, facendolo apertamente per amor di Dio. Ma, in questi momenti di quiete lascino riposare l’anima nella sua pace, mettendo da parte le lettere; verrà il tempo di giovarsene al servizio del Signore, e di apprezzarle tanto che per nessun tesoro vorrebbero aver tralasciato di istruirsi, unicamente per servire Sua Maestà, essendo in ciò di molto aiuto per loro. Ma davanti alla sapienza infinita, mi credano, vale più un piccolo sforzo di umiltà e un atto di essa, che tutta la scienza del mondo. Qui non c’è da argomentare, ma da riconoscere sinceramente che cosa siamo e presentarci con semplicità davanti a Dio il quale vuole che l’anima si riveli sprovveduta, come lo è infatti al cospetto di lui, che si umilia tanto da sopportarla vicino a sé, pur essendo noi quello che siamo.
  9. L’intelletto si muove anch’esso per ringraziare Dio in parole ornate, ma la volontà, tenendosi quieta e non osando nemmeno alzare gli occhi, come il pubblicano, farà più buon ringraziamento di quel che l’intelletto, mettendo a soqquadro la retorica, può forse fare. Infine, in questo stato non si deve lasciar del tutto l’orazione mentale, neppure certe preghiere orali, che alcune volte, volendolo e potendolo, si possono fare. Dico così perché, quando la quiete è profonda, difficilmente si può parlare, e lo si fa solo con grande sforzo. Si sente, a mio parere, quando lo spirito viene da Dio o è procurato da noi stessi con un inizio di devozione dataci da Dio e per la quale vogliamo, come ho detto, passare a questa quiete della volontà; in tal caso non produce alcun effetto, tutto finisce presto e si resta nell’aridità.
  10. Se proviene dal demonio, ritengo che l’anima dotata di esperienza se ne accorgerà, perché lascia inquietudine, poca umiltà e poca disposizione per gli effetti prodotti dallo spirito di Dio, nessuna luce nell’intelletto né fermezza nella verità. Ma può fare poco o nessun danno, se l’anima indirizza a Dio la gioia e la dolcezza che prova in quello stato e pone in lui ogni suo pensiero e desiderio, come si è già dato avviso. Il demonio non può guadagnare nulla, anzi Dio permetterà che, a causa dello stesso diletto che produce nell’anima, perda molto, perché questa, pensando che venga da Dio, si darà spesso all’orazione, con vivo desiderio di lui. E se è un’anima umile e non curiosa, né ha cura dei diletti, ancorché spirituali, ma amante della croce, farà poco conto del piacere procurato dal demonio, mentre non potrà fare altrettanto se è spirito di Dio, che terrà, invece, in gran stima. Tutto ciò che presenta il demonio è una menzogna come lui, ma se vede che l’anima, per effetto di quel piacere e di quel diletto si umilia (perché di questo deve molto preoccuparsi: procurare in tutte le cose spirituali di uscirne con grande umiltà), non tornerà spesso all’assalto, vedendo che ne esce sconfitto.
  11. Per questo e per molte altre ragioni, ho consigliato, parlando del primo grado di orazione – cioè il primo modo di attingere acqua –, che è importantissimo che le anime, entrando in orazione, comincino a distaccarsi da ogni genere di diletti e vi entrino risolute ad aiutare Cristo a portar la croce, come buoni cavalieri che senza soldo vogliono servire il loro re, ben sicuri di averne una ricompensa. Teniamo gli occhi costantemente fissi su quel vero ed eterno regno che aspiriamo a guadagnarci. È cosa molto importante averlo sempre presente, e specialmente in principio, mentre dopo si vedrà così chiaramente che, anziché cercare di ricordare la caducità delle cose di questo mondo, il nulla del tutto e il nessun conto che deve farsi del riposo terreno, sarà necessario, per vivere, dimenticarlo.
  12. Sembra che queste considerazioni siano troppo terrene e lo sono, in verità, tanto che chi è già progredito nella perfezione terrebbe a disonore e si vergognerebbe se dovesse pensare di abbandonare i beni di questo mondo per il fatto che hanno fine, mentre, anche se durassero sempre, sarebbe felice di lasciarli per Dio; e con gioia tanto maggiore quanto più squisiti essi fossero, e più duraturi. In tali anime l’amore è ormai cresciuto ed è lui ad agire. Ma per i principianti tali considerazioni sono cosa di grandissima importanza – e non le ritengano vili, perché è grandissimo il vantaggio che se ne trae –; per questo insisto tanto. Ne avranno bisogno anche coloro che sono già molto avanti nell’orazione, in quelle circostanze in cui Dio vuol metterli alla prova e sembra che li abbandoni perché, come ho già detto e non vorrei che lo si dimenticasse, in questa vita che viviamo, anche se diciamo che l’anima cresce, e in verità cresce, non cresce come il corpo. Ma, mentre un bambino, dopo essere cresciuto ed aver acquistato una gran corporatura, preso ormai l’aspetto di un uomo, non torna a calare e ad avere un corpo di bambino, qui, invece, il Signore fa che questo avvenga (a quanto ho visto io per me, non so se per altri). Dev’essere per umiliarci a fin di bene e perché non ci accada di trascurarci mentre stiamo in questo esilio; pertanto, chi si trova più in alto, ha da temere di più e da fidarsi meno di sé. A volte, coloro la cui volontà è ormai così strettamente unita a quella di Dio che, pur di non commettere peccati, quando si vedono assaliti da tentazioni e presunzioni, si lascerebbero tormentare e soffrirebbero mille morti, per evitare il pericolo di offenderlo, hanno bisogno di giovarsi delle prime armi dell’orazione e tornare a pensare che tutto finisce e che c’è il cielo e l’inferno, e altre cose di tal genere.
  13. Ritornando, dunque, a quello che dicevo, è fondamentale, per liberarsi dagli inganni e dai piaceri del demonio, avviarsi con decisione, fin dal principio, a seguire la via della croce, e a non desiderare altro, poiché nostro Signore stesso indica questo cammino di perfezione, dicendo: «Prendi la tua croce e seguimi». Egli è il nostro modello; non avrà nulla da temere chi segue i suoi consigli unicamente per compiacergli.
  14. Dal profitto stesso che costaterà in sé, capirà che non è opera del demonio, perché, se anche tornerà a cadere, c’è una prova della presenza del Signore, ed è il fatto di rialzarsi presto, con altri  segni che ora descriverò. Quando si tratta dello spirito di Dio, non è necessario andar cercando considerazioni da cui ricavare umiltà e confusione, perché è lo stesso Signore a darcele, in un modo assai diverso da quello con cui potremmo acquistarle mediante le nostre povere considerazioni, che non sono nulla in confronto della vera umiltà piena di luce che il Signore insegna, tale da generare una confusione che annienta. È notevolissima la conoscenza che Dio ci dà di noi stessi, affinché comprendiamo che non possediamo alcun bene di nostro; e tanto più chiaramente quanto più grandi saranno le sue grazie. Ci infonde un gran desiderio di progredire nell’orazione, e non lasciarla, per quante difficoltà possano sopravvenire. L’anima, pertanto, è disposta a tutto, sicura, pur con umiltà e timore, della sua salvezza. Non il timore servile, subito scacciato, ma, al suo posto, un sincero timore riverenziale, molto accresciuto. Vede nascere in sé un amor di Dio senza alcun interesse egoistico, desidera momenti di solitudine, per godere maggiormente di quel bene.
  15. Infine, per non stancarmi, questa grazia è il principio di ogni bene, è il tempo in cui i fiori sono ormai sul punto di sbocciare. L’anima lo vede ben chiaramente e per nulla ormai potrà indursi a credere che Dio non sia stato con lei, fino a quando torni a costatare le proprie colpe e imperfezioni, ché allora teme di nuovo. Ed è bene che tema, sebbene ci siano alcune anime cui giova di più credere con certezza che quanto avviene è opera di Dio, che non tutti i timori possibili; perché, se per loro natura sono inclini all’amore e alla gratitudine, il ricordo della grazia ricevuta da Dio le farà tornare a lui più facilmente che non il pensiero di tutti i castighi dell’inferno; almeno così accadeva a me, benché tanto spregevole.
  16. Siccome i segni dello spirito buono saranno descritti in seguito, non ne parlo ora qui, tanto più che mi costa molta fatica esporli con chiarezza. Credo che col favore di Dio riuscirò, in questo, a dir qualcosa di buono perché, a parte l’esperienza da cui ho imparato molto, sono cose su cui ho sentito alcune persone assai dotte e di gran santità, alle quali è doveroso prestar fede. Così le anime che per bontà di Dio arriveranno a questo stato potranno evitare le tribolazioni in cui mi sono trovata io.

CAPITOLO 16
Parla del terzo grado di orazione e spiega via via cose assai elevate: ciò che può fare l’anima che arriva a questo grado e gli effetti che operano tali grazie così grandi del Signore. È molto utile per elevare lo spirito a lodare il Signore e per consolare molto le anime che sono arrivate qui.
  1. Cominciamo ora a parlare della terza acqua con cui si irriga questo giardino, cioè l’acqua corrente di fiume o di fonte. Ciò costa molto minor fatica, benché dia un po’ da fare immettere l’acqua nei canali. A questo punto il Signore vuole aiutare il giardiniere in modo tale da prenderne quasi il posto e far tutto lui. È come un sonno delle potenze dell’anima: esse non si perdono del tutto, ma non capiscono in che modo operino. Il piacere, la dolcezza e la gioia sono incomparabilmente maggiori di quelli dello stato precedente, perché l’acqua della grazia arriva alla gola, tanto che l’anima non può né sa come andare avanti né tornare indietro: vorrebbe godere dell’eccelsa gloria. È come uno con la candela in mano, cui manca poco per morire della morte tanto desiderata. In quell’agonia sta godendo con la maggiore gioia esprimibile: mi sembra che non sia altro se non un morire quasi completamente a tutte le cose del mondo e stare già godendo di Dio. Non so quali altri termini usare per dire e spiegare questo; l’anima non sa in tale stato cosa fare, se parlare o tacere, se ridere o piangere: è un glorioso delirio, una celeste follia, da cui si desume la vera sapienza, ed è, per l’anima, un modo di godere deliziosissimo.
  2. Questa orazione il Signore me l’ha data largamente, credo cinque o sei anni fa, molte volte, ma siccome non la capivo, né l’avrei saputa esprimere, avevo deciso fra me, giunta a questo punto, di parlarne assai poco o nulla. Capivo bene che non era un’unione completa di tutte le potenze e vedevo anche molto chiaramente che era qualcosa di più della precedente, ma confesso che non sapevo precisare né intendere quale fosse questa differenza. Credo che si debba all’umiltà della signoria vostra, nel voler ricorrere a una persona così molto incapace come sono io, se il Signore mi ha concesso oggi, subito dopo la comunione, questa orazione, senza che io potessi far altro, e mi ha ispirato questi paragoni, insegnandomi il modo di esprimermi e ciò che in questo stato deve fare l’anima. Fui meravigliata di capire tutto in un attimo. Molte volte mi ero sentita come fuor di me, ebbra di quest’amore, e non avevo mai potuto intender come ciò avvenisse. Capivo bene che era opera di Dio, ma non riuscivo a capire come egli operasse perché, a dire il vero, le potenze gli sono quasi del tutto unite, ma non sono così assorbite in lui da non poter operare. Ho gioito moltissimo per averlo ora capito. Sia benedetto il Signore per avermi così favorita!
  3. Qui le potenze non possono far altro che occuparsi completamente di Dio. Sembra che nessuna osi muoversi né potremmo smuoverle noi, a meno che con molto sforzo non volessimo distrarci, ma credo che neanche in tal caso potremmo riuscirci. Si dicono molte parole in onore di Dio, ma senza ordine (se il Signore stesso non vi pone ordine, perché l’intelletto qui non serve a nulla); l’anima vorrebbe gridare le sue lodi, e scoppia di gioia; è in preda a un’inquietudine piacevole. I fiori già sbocciano, già cominciano a emanare profumo. L’anima allora vorrebbe che tutti la vedessero e si accorgessero della sua gioia, per lodare Dio e aiutarla a glorificarlo e per renderli partecipi del suo gaudio, incapace di sopportarlo da sola. Mi sembra che sia come quella donna di cui parla il Vangelo che voleva chiamare e chiamava le vicine. Credo che tale sentimento doveva provare il re profeta Davide quando suonava e cantava sull’arpa le lodi di Dio. Di questo glorioso re io sono molto devota, e vorrei che lo fossero tutti, specialmente i peccatori come me.
  4. Oh, mio Dio, come si sente mai un’anima che si trova in questo stato! Vorrebbe essere tutta lingua per lodare il Signore; dice mille santi spropositi, riuscendo sempre a contentare chi la tiene così. Io so di una persona alla quale, pur non essendo poetessa, accadeva di improvvisare strofe molto sentite nelle quali manifestava la sua pena; esse erano elaborate dal suo intelletto, ma erano solo uno sfogo dell’anima che, per godere maggiormente della gioia che una così deliziosa pena le dava, se ne lamentava con il suo Dio. Vorrebbe che tutto il suo corpo e la sua anima le si lacerassero per manifestare il godimento che in quella pena prova. Quali tormenti, allora, le si potranno presentare che non le sia piacevole affrontare per il suo Signore? Vede ora chiaramente che i martiri non ci mettevano niente del loro nel sopportare i tormenti, perché sa bene, l’anima, che la forza viene da un’altra parte. Ma quale sarà la sua pena nel rientrare in se stessa per vivere nel mondo e dover tornare alle cure e agli impegni che esso impone di adempiere! Mi sembra, pertanto, di non aver esagerato nel parlare, sempre in modo inadeguato, della gioia di cui il Signore vuole che in questo esilio goda un’anima. Siate per sempre benedetto, Signore, e tutte le creature vi lodino in eterno! Vogliate ora, mio Re, ve ne supplico, poiché quando scrivo queste cose non sono fuori di questa sana, celestiale follia, per vostra bontà e misericordia – avendomi voi fatto questa grazia senza alcun merito mio –, vogliate, dunque, che tutti coloro con cui dovrò trattare siano pazzi del vostro amore, o concedetemi di non trattare più con nessuno, o fate che io non tenga più in alcuna stima le cose del mondo, o tiratemi fuori da esso. Non può più, mio Dio, questa vostra serva sopportare tanti tormenti come quelli che soffre nel vedersi lontana da voi. Pertanto, se deve ancora vivere, non vuole riposo in questa vita e vi prega di non darglielo. Quest’anima vorrebbe sentirsi ormai libera; il mangiare la distrugge, il dormire l’angoscia; vede che il tempo le passa nel trascorrere una vita comoda, mentre nulla la può far vivere bene fuori di voi; le pare di vivere contro natura, perché ormai non vorrebbe più vivere in sé, ma in voi.
  5. Oh, mio vero Signore e gloria mia, quale leggera e pesantissima croce avete preparato per coloro che giungono a questo stato! Leggera perché è soave, pesante perché arriva il momento in cui non si ha la capacità di sopportarla, eppure non si vorrebbe esserne liberi, se non fosse per vedersi già con voi. Se poi l’anima si ricorda che non vi ha servito in nulla e che, vivendo, vi può servire, vorrebbe caricarsi di una croce assai più pesante e non più morire sino alla fine del mondo. Non fa nessun conto del suo riposo, pur di rendervi un piccolo servizio; non sa che cosa desidera, ma bene intende che non desidera altra cosa che voi.
  6. Oh, figlio mio (è così umile che vuole chiamarsi così colui al quale è diretto questo scritto, da lui stesso ordinatomi), tenete solo per voi le cose in cui vostra signoria veda che esco dai limiti, perché non c’è argomentazione valida a non farmi perdere il buon senso, allorché il Signore mi trae fuori di me stessa, né credo d’essere io a parlare da quando questa mattina mi sono comunicata; mi sembra un sogno quello che vedo e non vorrei vedere altro che anime malate della stessa malattia della quale ora io soffro. Supplico la signoria vostra: diventiamo tutti pazzi per amore di colui che per nostro amore fu chiamato tale! La signoria vostra dice di amarmi, voglio che me lo dimostri col disporsi a ricevere da Dio questa grazia; perché pochissimi sono coloro che io non veda pieni di eccessiva prudenza per ciò che loro conviene. Può anche darsi che io ne abbia più di tutti; non me lo permetta la signoria vostra, padre mio, che mi è anche padre oltre che figlio, perché è il mio confessore, colui al quale ho affidato la mia anima, e mi disinganni con saggia franchezza, che oggi nel mondo è così poco di moda.
  7. Vorrei che tra noi cinque, che ora ci amiamo in Cristo, stabilissimo un accordo e, come altri oggi si uniscono in segreto per andare contro la Maestà divina e ordire cattiverie ed eresie, cercassimo di riunirci alcune volte per disingannarci reciprocamente, avanzare proposte circa il nostro possibile emendamento e compiacere meglio Dio, poiché non c’è nessuno che conosca così bene se stesso come ci conoscono quelli che ci guardano dal di fuori, se lo fanno con amore e con l’occhio sempre attento al nostro profitto. Però, dovremmo riunirci «in segreto» perché un tale linguaggio è fuori moda. Perfino i predicatori compongono i loro sermoni in maniera da non scontentare nessuno. L’intenzione sarà buona e sarà anche bene agire così, ma in tal modo pochi si emenderanno. Perché mai non sono molti quelli che per le prediche lasciano i pubblici vizi? Sa che cosa ne penso? Perché coloro che predicano hanno troppa prudenza. Non la perdono poiché non ardono del gran fuoco dell’amore di Dio, di cui ardevano gli apostoli, e così la loro fiamma scalda poco. Io non dico che debba essere così grande come quella degli apostoli, ma vorrei che fosse più viva di quello che vedo. Sa la signoria vostra cosa sarebbe di molta importanza a questo scopo? Aver in odio la vita e in poca stima l’onore: agli apostoli non importava, pur di dire una verità e sostenerla a gloria di Dio, perdere o guadagnare; infatti, chi sinceramente rischia tutto per Dio, tollera con lo stesso animo l’una e l’altra cosa. Non dico che io sia tale, ma vorrei esserlo.
  8. Oh, che gran libertà considerare una schiavitù dover vivere e trattare secondo le leggi del mondo! Non appena la si ottenga dal Signore, non c’è schiavo che non rischi tutto per riscattarsi e tornare in patria. Siccome è questa la vera strada, non bisogna fermarsi nel percorrerla, non potendosi mai raggiungere così gran tesoro finché non sia finita la vita. Il Signore ci dia, a tal fine, il suo aiuto. La signoria vostra strappi quanto ho scritto, se le sembra opportuno, oppure lo consideri come una lettera per lei, e mi perdoni l’eccessiva temerità.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie per questo assiduo ricordare! Aiuta chi ha già iniziato e chi apprende oggi.