Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 10 dicembre 2015

Il motivo dell'Incarnazione e la nostra vita spirituale

Il motivo dell'Incarnazione e la nostra vita spirituale
La tesi tomista e quella scotista

La convenienza dell’Incarnazione

Innanzi tutto occorre precisare che l’Incarnazione non è assolutamente necessaria, perché Dio avrebbe potuto riparare le rovine del peccato di Adamo in maniera diversa[1]. Tuttavia ipoteticamente, ossia supposta la riparazione secondo le norme della giustizia, nessuna creatura - neppure un angelo - poteva riparare l’offesa infinita del peccato perpetuata contro Dio che è infinito. Quindi Dio ha voluto incarnarsi, dandosi il più possibile all’uomo ferito dal peccato originale e soffrire come uomo, dando alla sua sofferenza un valore infinito in quanto Dio.

San Tommaso insegna che “Il bene tende a diffondersi, a comunicarsi e quanto è più alto l’ordine cui appartiene tanto più abbondantemente e intimamente si comunica” (S. Th., III, q. 1, a. 1). Ora Dio è il sommo Bene infinito. Quindi è conveniente che in potenza Egli tenda a comunicarsi. Ma, mentre nell’agente determinato o non libero la diffusione o la comunicazione attuale del bene è necessaria (per esempio il sole necessariamente illumina e scalda), nell’agente libero (Dio, l’angelo e l’uomo) la tendenza passa all’atto liberamente e non necessariamente.

Perciò si reputa conveniente che Dio si sia comunicato liberamente in persona Filii ad una natura creata (la natura umana di Cristo) e ciò è avvenuto nell’Incarnazione del Verbo in cui il Figlio si è unito personalmente ad una natura umana.

Ciò non significa dimostrare la possibilità dell’Incarnazione poiché la sola ragione non può dimostrare né l’esistenza né la possibilità di un mistero soprannaturale, che sorpassa le forze di ogni natura creata, come dice la parola “sopra-naturale” ossia superiore alla natura.

Tuttavia la bontà e la tendenza di Dio a comunicarsi sono un motivo di convenienza o di non-impossibilità dell’Incarnazione e su questo punto non ci sono notevoli divergenze tra i teologi.

Il fine dell’Incarnazione

Il magistero professa solennemente che il Verbo “è sceso dal cielo e si è incarnato per noi uomini e per la nostra salute” (Credo niceno, DS 150). La S. Scrittura rivela che il Figlio è venuto nel mondo per salvare gli uomini. Già nell’Antico Testamento si legge che “il Signore verrà e vi salverà” (Is., XXXV, 4). Nel Nuovo Testamento viene dato un nome al Verbo incarnato: Gesù che significa Salvatore, il quale indica il suo fine di Redentore: “Tu gli porrai nome Gesù, poiché è Lui che salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt., I, 21). Inoltre l’angelo annunciò ai pastori di Betlemme la nascita di Gesù con queste parole: “Oggi è nato a voi nella città di Davide il Salvatore” (Lc., II, 11). Simeone ringrazia Dio per aver potuto vedere il Salvatore di tutti i popoli (Lc., II, 30). San Paolo compendia l’opera di Cristo così: “Gesù Cristo venne al mondo per salvare i peccatori” (I Tim., I, 15); similmente il quarto Vangelo: “Dio ha mandato il suo Figlio nel mondo affinché il mondo sia salvato per opera di Lui” (Gv., III, 17).

La salvezza dell’uomo è rivelata come subordinata alla Gloria di Dio. Infatti Gesù stesso confessa al Padre: “Ti ho dato gloria su questa terra, compiendo l’opera (della Redenzione) che Tu Mi hai dato da compiere” (Gv., XVII, 4). Mai, in nessun luogo della S. Scrittura si dice che l’Incarnazione sarebbe avvenuta anche senza il peccato originale.

Controversia sul motivo dell’Incarnazione

Secondo la scuola tomista il motivo dell’Incarnazione del Verbo è la Redenzione. Quindi, nella presente economia della salvezza, se Adamo non avesse peccato il Verbo non si sarebbe incarnato. Invece per la scuola scotista il motivo dell’Incarnazione è la glorificazione di Dio. Quindi il Verbo si sarebbe incarnato anche se Adamo non avesse peccato. Tuttavia avrebbe assunto un corpo impassibile poiché non ci sarebbe stata la necessità della Redenzione dell’uomo, ma solo la glorificazione di Dio.
Secondo l’Angelico (S. Th., III, q. 1, a. 3)[2], nel presente disegno della Provvidenza o in questo piano dell’economia della Salvezza, se Adamo non avesse peccato, il Verbo non si sarebbe incarnato, ma dopo il peccato originale il Verbo si è incarnato per offrire a Dio una soddisfazione adeguata al nostro riscatto.

La ragione teologica per cui san Tommaso insegna questa dottrina è che ciò che dipende dalla volontà di Dio e supera completamente la natura creata lo si può conoscere solo tramite la divina Rivelazione (contenuta nella Tradizione e nella S. Scrittura). Ora nella Rivelazione la ragione dell’Incarnazione è desunta dal peccato originale. Quindi è più conveniente dire che se Adamo non avesse peccato il Verbo non si sarebbe incarnato, ma che dopo il peccato originale Egli si è incarnato per offrire a Dio una soddisfazione adeguata per salvarci.

La S. Scrittura, come abbiamo visto sopra, insegna ciò. Nel Vangelo di S. Luca (XIX, 10) si legge: “Il Figlio dell’uomo è venuto a salvare ciò che era perso”. Lo stesso si legge in Mt., XVIII, 11; 1a Tim., I, 15; Gv., III, 17.

La Tradizione è concorde su questo motivo. Infatti S. Agostino (Sermo 174, n. 2; 175, n. 1) scrive: “Si homo non periisset, Filius hominis non venisset / se l’uomo non si fosse perduto il Figlio dell’uomo non sarebbe venuto”. La stessa dottrina è insegnata da S. Ireneo (Adv. haereses, V, 15, n. 1) e da S. Giovanni Crisostomo (In Epist. ad Hebr., Omelia 5, n. 1 ), da S. Ambrogio (De Incarnatione dominicae sacramento, I, 6, 56), da S. Leone Magno (Enarrat. in Psalm. CXIX, 2; Sermo LXXVII de Pentecoste, III, 2), da S. Gregorio Nazianzeno (Oratio trigesima sexta, 6; Oratio trigesima octava, 5) e da S. Atanasio (Adversus Arianos, Oratio secunda, 56) .

Duns Scoto (Reportata parisiensia, III, 7, 4, n. 5[3]) invece sostiene che se Adamo non avesse peccato, nel piano attuale della Provvidenza, il Verbo si sarebbe incarnato egualmente per manifestare la bontà divina, ma non avrebbe assunto una natura soggetta al dolore e alla morte. Tuttavia è sorprendente che in nessun passo della S. Scrittura si faccia parola della venuta di Cristo, prevista ab initio, in carne impassibili.

Certamente San Paolo rivela che l’intera creazione è ordinata a Cristo come fine (Col., I, 15-19). Tuttavia il versetti 15-17, di cui Scoto si serve come fondamento per la sua tesi, prescindono completamente dall’Incarnazione e parlano soltanto di Cristo in quanto Dio come Creatore di tutte le cose, fine della creazione e conservatore del mondo.

I tomisti (specialmente Capreolo e Tommaso de Vio) rispondono a Scoto che il fine ultimo dell’Incarnazione è la manifestazione della bontà divina tramite la Redenzione, che son due fini subordinati (l’Incarnazione alla Redenzione). Quindi l’obiezione scotista secondo la quale il fine è superiore al mezzo (concedo) e pertanto l’Incarnazione non può essere finalizzata alla Redenzione o alla salvezza dei peccatori, non sta in piedi in quanto la Redenzione è il fine prossimo e non ultimo dell’Incarnazione.

Il Credo di Nicea insegna che il Verbo si è incarnato “propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis / per noi uomini e per la nostra salvezza”.

I Padri ecclesiastici (S. Ireneo, S. Giovanni Crisostomo, S. Agostino) hanno commentato il Credo in questo senso: “si homo non peccasset, Filius hominis non venisset / se l’uomo non avesse peccato il Verbo non sarebbe venuto su questa terra ”.

Scoto sostiene che il Verbo sarebbe venuto egualmente (anche se l’uomo non avesse peccato), ma non in una natura passibile (“venisset, sed non in carne passibili”). Se così fosse l’insegnamento comune dei Padri latini e greci, sicut litterae sonant, sarebbe erroneo (ma ciò non è possibile, infatti il consenso moralmente unanime dei Padri su questioni di fede è segno di dottrina infallibilmente certa).
In breve Dio ha permesso il peccato di Adamo per un bene superiore che è l’Incarnazione redentrice subordinata alla manifestazione della bontà divina, che da ogni male trae un bene superiore. S. Tommaso lo insegna chiaramente: “Dio permette che avvengano i mali per tirarne un bene maggiore” (S. Th., I, q. 19, a. 3, ad 3). Capreolo lo conferma (In IIIum Sent., dist. I, q. 1, a. 3) e pure il Gaetano (In Iam, q. 22, a. 2, n. 7). La S. Scrittura lo rivela: “ove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rom., V, 20) e la Liturgia, nell’Exultet della Viglia pasquale, lo canta: “O felix culpa, quae talem ac tantum habere meruit Redemptorem”. Ora agli scotisti, i quali ritengono sconveniente il fatto che il peccato, odiato da Dio, sia l’occasione per l’Incarnazione che è la manifestazione più stupenda di Dio, i tomisti rispondono citando proprio l’Exultet della Viglia di Pasqua, che ci dà una prova ancora più grande dell’amore misericordioso di Dio, il quale vuol salvare anche ciò che sarebbe degno di perdizione.

Quindi è chiaro che il motivo dell’Incarnazione del Verbo è un motivo di misericordia, con cui si manifestano anche la bontà e la onnipotenza divina, come insegna la Liturgia: “Deus qui maxime parcendo et miserando omnipotentiam tuam manifestas” per cui l’ultimo fine dell’universo è la manifestazione della bontà di Dio.

L’ordine delle cose voluto da Dio, secondo l’Angelico, è il seguente:
  1. l’universo intero con tutte le sue parti;
  2. le sue parti fra loro coordinate: la natura, la grazia (col permettere il peccato di Adamo e la perdita della grazia) e l’Incarnazione del Figlio;
  3. la Redenzione come il fine dell’Incarnazione. Quindi noi uomini siamo subordinati a Cristo e Cristo come Verbo Incarnato a Dio (cfr. I Cor., III, 23). È evidente che Cristo è superiore all’umanità in quanto causa della sua Redenzione e salvezza, causa esemplare o modello di ogni santità e fine cui l’umanità è subordinata.
Perciò Dio ama Cristo più di tutto il genere umano, di tutti gli angeli e di tutto l’universo creato perché Cristo è vero Dio e quindi infinitamente superiore al creato (cfr. S. Th., I, q. 20, a. 4, ad 1). Il fatto, poi, che la SS. Trinità ha permesso l’Incarnazione del Verbo per la salvezza dell’uomo non solo non ha diminuito per nulla la sua dignità infinita di Persona divina, anzi proprio per questo il Verbo è divenuto il Vincitore glorioso. Questa eccellenza e questa gloria vincitrice del Verbo Incarnato non si oppongono per nulla al fatto che il Figlio si è incarnato, come insegna la Rivelazione e il Magistero, per la nostra salvezza: Qui (Verbum) propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis et incarnatus est[4].

L’Incarnazione redentrice e la nostra vita spirituale

Per quanto riguarda la nostra vita spirituale possiamo concludere che
  1. il motivo dell’Incarnazione fu la Misericordia;
  2. il Verbo incarnandosi non si è subordinato all’uomo, ma ha ristabilito l’ordine primitivo elevando di nuovo l’uomo all’ordine soprannaturale che aveva perso col peccato di Adamo;
  3. Gesù, nella sua vita intima, è innanzi tutto Salvatore (sacerdote che offre come vittima a Dio Se stesso sulla croce e nella messa).
Per farci santi dobbiamo imitare Gesù Cristo. Ora, in questo piano di salvezza in cui ci troviamo, Egli non è principalmente e essenzialmente (come vorrebbe Scoto) Re dei re, dottore supremo, capo del regno di Dio sulla terra. Quindi il motivo dell’Incarnazione fu la Misericordia redentrice per rialzare l’umanità decaduta dalla sua miseria. Perciò Gesù è principalmente Salvatore, sacerdote e vittima più che Re di gloria e corona del creato, e questo è il tratto più importante della sua fisionomia spirituale.
Dio ha previsto e decretato ogni cosa ab initio e se ha permesso il male del peccato adamitico lo ha fatto solo perché ne avrebbe tratto un bene maggiore: l’Incarnazione del Verbo, la Redenzione dell’umanità subordinata alla Gloria di Dio. Il decreto o il piano divino sul mondo o l’attuale piano divino era esteso sin dal primo momento a tutto ciò che doveva accadere, in modo positivo al bene e in modo permissivo al male: “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare ciò che era perduto” (Lc., XIX, 10).

È molto consolante per noi pensare che non solo i grandi dottori, i re, i capi, ma anche i più grandi peccatori pentiti che invocano il Salvatore possono trovare la salvezza attraverso la via che il Verbo ha seguìto: la via regale della santa croce.

In tal modo Dio non si è subordinato e sottomesso in un certo qual modo all’uomo, ma Egli rimane, nonostante si sia incarnato, infinitamente superiore a tutto il creato e alla salvezza di tutti gli uomini. L’Incarnazione è più preziosa della nostra Redenzione. Per di più Egli si è chinato sino a noi per innalzarci sino a Lui e questa è la proprietà della Misericordia: che il superiore si chini verso l’inferiore, non per subordinarsi a lui, ma per innalzarlo a Sé. L’Incarnazione è la più alta manifestazione della Potenza di Dio e della sua Bontà. L’Incarnazione canta la gloria di Dio più di tutto il firmamento.

Tutta la vita del Verbo Incarnato è ordinata alla sua morte in croce che piace a Dio più di quanto non gli dispiacciano tutti i peccati del mondo (cfr. S. Th., I, q. 20. a. 4, ad 1).

Da tutto ciò per noi ne segue che, nell’attuale economia della salvezza o nel piano presente della divina Provvidenza redentrice, non è secondario e accidentale portare la nostra croce appresso a Gesù (sacerdote e vittima), ma è l’elemento essenziale e principale della vita cristiana: “Chi vuol venire dietro a Me prenda ogni giorno la sua croce e Mi segua” (Lc., IX, 23).

Per essere santo e anche un grande santo non è necessario essere dottore, né apostolo o “uomo d’azione”; basta essere simili a Gesù crocifisso, come lo fu San Dismas: il buon Ladrone canonizzato da Gesù stesso: “In verità ti dico oggi stesso sarai con Me in Paradiso” (Lc., XXIII, 43). Certamente il prete per il suo ufficio deve innanzi tutto insegnare la dottrina ai fedeli, poi può santificarli dando loro i Sacramenti ed infine li conduce al Cielo facendo loro osservare le Leggi di Dio e della Chiesa, ma per esser un santo prete, personalmente, deve portare la croce ed essere come Gesù “sacerdote e vittima”.

Ecco perché nessuna idea o movimento cristiano potrà imporsi e portar frutti se non dopo aver superato molte prove: “Se il chicco di frumento, gettato a terra, non muore, rimane com’è, ma se muore porta frutto buono e abbondante ” (Gv., XII, 24).
“La necessità della croce[5] è proporzionata al grado di gloria al quale Dio vuol condurci. Alcune anime che chiamiamo a torto, con un senso di compassione, ‘tormentate’, vivono in mezzo a sofferenze quasi continue perché Gesù vuole condurle molto più in alto di altre anime non tormentate e facilmente contente. Più Dio ci ama più le croci che ci manda sono pesanti ” (R. Garrigou-Lagrange, Vita spirituale, Roma, Città Nuova, 1965, p. 172, postumo).
d. Curzio Nitoglia
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1. Nel piano attuale della Provvidenza Dio ha stabilito che il Verbo si incarnasse. Egli avrebbe potuto scegliere e stabilire un altro piano di salvezza, ma ha deciso l’Incarnazione.
2. Cfr. anche: In III Sent., dist. 1, q. 1, a. 3; In Epist. I ad Timot., I, lect. 4; De Veritate, q. 29, a. 4, ad 5.
3. In Opera omnia, 26 voll., Parigi, Vivès, 1891-1895.
4. Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, qq. 48-49; R. Garrigou-Lagrange, Le Sauveur et son amour pour nous, Paris, 1933, tr. it., Gesù che ci redime, Roma, Città Nuova, 1963; Id., De Deo Uno, Parigi, 1938; Id., De Christo Salvatore, Torino-Roma, Marietti, 1945; E. Hugon, Le mystère de la Rédemption, Paris, 1927; Id., Le mystère de l’Incarnation, Paris, 1931; P. Parente, L’Io di Cristo, Brescia, 1951; A. Michel, Incarnation, in D. Th. C., coll. 1146-1539, J. Rivière, Le dogme de la Rédemption, Paris, Gabalda, 1914; M. Cordovani, Il Salvatore, Roma, Studium, 1927; L. Billot, De Verbo Incarnato, Roma, Gregoriana, 1892.
5. Croce viene dal latino cruciari, che significa essere tormentato e crux, che vuol dire tormento.

21 commenti:

In dubio Lìbertas ha detto...

Ecco che il tomismo sfegatato di don Nitoglia, torna a risplendere. Pur riconoscendo l'immenso valore di tale approccio alla realtà, non solo dello spirito, ma anche del mondo, rivendico la mia libertà di seguire la Scuola Francescana (non riducibile al solo scotismo). Il razionalismo estremo, appunto del tomismo, è anch'esso un limite. La Scuola francescana è più mistica. La differenza fondamentale sta proprio nei limiti che il tomismo sembra "porre" [sic!]all'Onnipotenza Divina e al suo Amore. Mi riferisco proprio al dibattito sull'Incarnazione. Ed anche, suo corollario, a quello cosa sarebbe accaduto se il Sinedrio avesse riconosciuto in Gesù il Messia, Figlio di Dio e Dio Lui stesso. La Passione ci sarebbe stata ugualmente (affinché le profezie si compissero)? Oppure (se non sbaglio questa è la tesi di don Curzio), ci sarebbe stata già la Resurrezione dei morti, sarebbe finita la storia e noi non saremmo mai nati? Oppure Gesù sarebbe rimasto in mezzo a noi, da allora, noi saremmo nati lo stesso, e così via fino al compimento dei giorni stabiliti per questo mondo? Questa, se non sbaglio, è la tesi francescana. IN DUBIO LIBERTAS.

mic ha detto...

La ragione dell'Incarnazione è legata alla salvezza necessaria a causa del peccato di Adamo. Se Adamo non avesse peccato non ci sarebbe stato bisogno né della morte espiatrice né della risurrezione rigeneratrice. In questo caso l'Incarnazione avrebbe costituito comunque una Presenza più particolare di Dio, non solo Creatore ma Sposo dell'umanità. E il 'come' di questo mistero non lo credo indagabile con la sola ragione.

In dubio Lìbertas ha detto...

In questo caso l'Incarnazione avrebbe costituito comunque una Presenza più particolare di Dio, non solo Creatore ma Sposo dell'umanità.
SIA LODATO GESU' CRISTO!
Ecco sintetizzato in due parole ciò che la Scuola Francescana sostiene.

mic ha detto...

Perché è Cristo l'uomo culmine della Creazione che Dio ha pensato fin dall'inizio. E dunque è comunque l'umanità cristificata che rende a Dio la gloria perfetta.
Questo è il rapporto vero con Dio. Altro che il 'dio unico'....

sebastiano della fonte ha detto...

Lo spazio di un commento e certamente insufficiente a una esposizione esauriente ed efficace del mio punto di vista. Dopo avere trascorso molti anni da tomista ho scoperto la ricchezza del Beato Duns Scoto. Posso sintetizzare così: I. San Vincenzo di Lerino nelle quattro caratteristiche che dà per giudicare il pensiero di un Padre della Chiesa ossia se la sua teologia sia genuina o meno, inserisci anche una caratteristica che oggi è completamente dimenticata e cioè la santità della vita. Ora in questo caso sappiamo che sia Tommaso d'Aquino che Duns Scoto sono entrambi saliti alla gloria degli altari , non possiamo certo immaginare che la Chiesa abbia beatificato un propalatore di eresie. II . In qualche modo slegare l'incarnazione dalla necessità della redenzione non significa certamente deprimere la misericordia di Dio ma in questa ottica si spiegherebbe più efficacemente l'amore alto e liberamente gratuito di Dio nel comunicarsi all'uomo e nel permettere all'uomo di entrare mediante la sua umanità nel seno della vita trinitaria. III. In questa ottica si spiegherebbe meglio la ribellione di Satana in quale prima della creazione dell'uomo non ha accettato il fatto che il suo creatore eterno ineffabile e immenso avrebbe potuto in qualche modo assoggettarsi all'umiltà della condizione umana e questo a mio avviso spiega più efficacemente il perché della ribellione satanica. IV. Sappiamo anche che in questa ottica Sì esplica pienamente il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria Santissima, non a caso allo scotismo si appoggiarono i teologi che fecero corona a Papa Pio IX nella definizione di questo dogma. Una nota storica molto simpatica e che il papà stesso obbligo per 4 anni tutti i domenicani a cantare ogni sabato in processione verso l'altare della Madonna il Tota pulchra che come noto è un inno francescano, e questo come particolare riparazione per la loro ostinata opposizione alla proclamazione del dogma. Questo che ho citato è un piccolo aneddoto storico ma molto significativo.

sebastiano della fonte ha detto...

Da parte mia apprezzo moltissimo Duns Scoto sia come filosofo che a maggior ragione come teologo, mi sembra in qualche modo una sapiente sintesi tra la luce della verità di San Tommaso d'Aquino e il fuoco dell'amore di San Bonaventura, fuori dalla metafora in estrema sintesi potremmo dire che mentre in San Tommaso sembra risplendere la Verità, in San Bonaventura a risplendere il Bene. Duns Scotus mi sembra una sapiente sintesi appunto tra l'intelletto e la volontà. Da non dimenticare poi che l'esperienza dello sconto si inserisce nel solco della grande tradizione francescana, e non è un caso appunto che San Francesco sia il primo a,per cosi dire, fare esperienza di Gesù Cristo come bambino nell'evento del presepio di Greccio. La visione scotista mi sembra rispondere meglio alla necessità di uscire da quella contrapposizione noiosa tra la materia e lo spirito che ha fatto da padrona nella teologia morale di scuola gesuitica. La scuola francescana in generale e Duns Scoto in particolare a il merito profondo di avere riconciliato insieme l'idea del corpo che non è solamente oggetto di concupiscenze ma che nell'opera dell'Incarnazione attraverso il Verbo di Dio che si incarna nel seno verginale di Maria, viene elevato alla dignità di Sacramento, fino ad arrivare alla Santissima Eucaristia vero Cibus viatorum. Un'altra nota di carattere storico e il fatto che dall'evento di Greccio trae la sua origine l'iconografia della così detta Madonna del latte, per fare un esempio cito la celebre Madonna di Re in diocesi di Novara, iconografia che non disdegna di mostrare il Santo Bambino che prende il latte dal seno verginale della madre. Come dicevo all'inizio lo spazio di un commento non permette una visione organica di quanto vorrei dire, ma in estrema sintesi posso dire che a mio avviso la scotista apri le porte alla comprensione della vera tenerezza di Dio che ha bisogno come causa materiale anche della natura e del corpo umano, che non diventa più strumento di peccato ma mezzo di amore se visto e considerato alla luce di Cristo vero Dio e vero uomo.

Anonimo ha detto...

Discutere su cio' che sarebbe successo se il Sinedrio avesse riconosciuto in Gesu' il vero Messia, mi sembra del tutto accademico. A. R.

sebastiano della fonte ha detto...

Novissima notatio.
Importante ricordare all'interno delle scuole filosofiche e teologiche, il problema non sta mai nei grandi maestri ma eventualmente nei loro seguaci. Basti pensare ai due approcci così diversi tra Tommaso e Bonaventura e alla loro reciproca incondizionata e sincera stima. Papa Urbano iv nel 1264 commissionò sia a Tommaso d'Aquino che a Bonaventura da Bagnoregio la stesura dell'ufficio e della liturgia dell'intera ottava del Corpus Domini entrambi avevano composto un inno da fare ascoltare al Santo Padre in quale avrebbe scelto infine quale dei due inserire nella liturgia. Quando Bonaventura senti le prime parole della adoro te devote, presi su in uno stracció e non permise che venisse cantato tanta fu la sua ammirazione per l'opera dell'Angelico. Ecco dunque che la contrapposizione non avviene mai tra i grandi maestri i quali hanno come fine della loro speculazione solamente Gesù Cristo, basti ricordare il nihil Domine accipiam nisi Te ipsum di san Tommaso. Quello che deve accomunare i teoligi non è la difesa strenua delle proprie convinzioni,ma la ricerca appassionata della Verità,Gesù Cristo nostro Signore,termine ultimo del nostro pellegrinaggio terreno.
Per chi avesse desiderio o curiosità di gustare in grande sintesi la grandezza della scuola Dominicana e francescana ,con una buona conoscenza della lingua latina, suggerisco la lettura e la meditazione delle tue preghiere ti fanno parte del gratiarum actio, presente sia nel Messale Romano che nel breviario tradizionale, le quali possono dare efficacemente una visione delle peculiarità di entrambe le scuole non nel segno della vana curiositas, ma della contemplazione di Colui che si è fatto nostro cibo e nostro Sposo. Grazie a tutti della pazienza. S d F

mic ha detto...

mio avviso la scotista apri le porte alla comprensione della vera tenerezza di Dio che ha bisogno come causa materiale anche della natura e del corpo umano, che non diventa più strumento di peccato ma mezzo di amore se visto e considerato alla luce di Cristo vero Dio e vero uomo.

Questo in Cristo avviene comunque, a prescindere da Scoto, Tommaso e quant'altri. La spiritualità cristiana è ricca di pagine profonde in tal senso. In fatti, se, a causa del peccato originale, il corpo è divenuto strumento di peccato, in Cristo Signore e per effetto della grazia che agisce sempre nella natura, diviene strumento di salvezza.
In ogni caso, pensare all'Incarnazione a prescindere dal peccato mi sembra un'intuizione bellissima e del tutto rispondente al progetto originario di Dio per l'uomo, che poteva essere inscritto in una storia gloriosa fin dall'inizio mentre, a causa del peccato, è divenuta una "storia di salvezza", implicando anche il tragico rifiuto per via del dono della libertà...

sebastiano della fonte ha detto...

Sono pienamente d accordo con lei. Scusate alcuni errori di battiturA a causa del cellulare da cui scrivo. JesusChristus laudetur!

mic ha detto...

Discutere su cio' che sarebbe successo se il Sinedrio avesse riconosciuto in Gesu' il vero Messia, mi sembra del tutto accademico. A. R.

Capisco che possa apparire accademico, ma questa è un'altra sottigliezza ancora, che riguarda sempre l'Incarnazione per la salvezza a causa del peccato originale. Ed effettivamente è un mistero sul quale appare superfluo indagare.
Invece stavamo parlando della Incarnazione anche in assenza del peccato originale, per la gloria di Dio, che comunque corrisponde al progetto originario di Dio per la sua creatura.

Infatti, sia nell'uno che nell'altro caso ciò a cui si tende è rendere a Dio la gloria perfetta, sia come conseguenza della necessaria salvezza che senza bisogno di alcuna 'riparazione'. E sia nell'uno che nell'altro caso ciò può avvenire solo in Cristo. Soffermarsi su queste cose non è inutile né accademico perché tende a far sempre meglio approfondire e 'gustare' il mistero del rapporto unico che il Signore ha pensato e voluto da sempre con noi povere creature.

mic ha detto...

Ringrazio per gli spunti arricchenti, che accendono molte luci nel cuore filtrate dalla mente. E ringraziamo il Signore per l'opportunità di esprimerle e condividerle.

mic ha detto...

Jesus Christus nunc et semper laudetur.

lister ha detto...

"Soffermarsi su queste cose non è inutile né accademico perché tende a far sempre meglio approfondire e 'gustare' il mistero del rapporto unico che il Signore ha pensato e voluto da sempre con noi povere creature."

D'accordo Mic, però non è che si sta discutendo del sesso degli Angeli?
Alla domanda:
"cosa sarebbe accaduto se il Sinedrio avesse riconosciuto in Gesù il Messia, Figlio di Dio e Dio Lui stesso" io risponderei con le parole di Pirandello:
"Così è (se vi pare)"
Ancor meglio la saggezza popolare romana:
"Se mi' nonno avesse avuto una rota, sarebbe stato 'na cariola"
Ove, volendo formulare un'ipotesi inesistente (il Sinedrio che riconosce Gesù), se ne potrebbe trarre una conseguenza ancora più assurda. :)

Anonimo ha detto...

Diversi mesi fa intervenni in un topic su Don Nitoglia e il tomismo polemizzando sul razionalismo della scuola domenicana. Mi sembra opportuno, per completezza, sottolineare ora che la mia diffidenza si riferiva strettamente al discorso filosofico, mentre nelle questioni di fede divina e cattolica come l'Incarnazione, quella tomista rimane la posizione più lucida. Questo articolo è una perla ed è un bene che sia letto e meditato. Bisogna ripartire da una corretta Cristologia: fate bene a insistere.

Buon proseguimento.
Vincenzo

mic ha detto...

Lister,
son d'accordo con te rispetto a quell'ipotesi del sinedrio, ma per il resto credo sia una bella fonte di meditazione se non di contemplazione. Sempre cum grano salis, s'intende.

lister ha detto...

Sempre perfetta, Mic. Grazie.

Anonimo ha detto...

LEGGERE ATTENTAMENTE LA SUMMA TEOLOGICA DI SAN TOMMASO, PER NON FARE BRUTTA FIGURA:
S. Tommaso, parafrasando S. Agostino, scrive che “il mistero della incarnazione di Cristo si può considerare in due maniere. Primo, in generale: e in tal senso fu rivelato a tutti gli angeli al cominciare della loro beatitudine. La ragione si è che questo mistero è l'oggetto fondamentale a cui sono ordinati tutti gli uffici degli angeli; dice infatti l'Apostolo: "sono tutti spiriti addetti a ministrare, inviati a vantaggio di quelli che acquistano l'eredità della salvezza". E ciò avviene per mezzo dell'incarnazione. Era quindi necessario che gli angeli fin da principio avessero una cognizione generica di questo mistero. Possiamo poi considerare in una seconda maniera il mistero della incarnazione, cioè quanto alle sue precise circostanze. E in tal modo non tutti gli angeli furono ammaestrati su ogni particolare fin da principio: anzi, persino alcuni tra gli angeli superiori ne vennero a conoscenza soltanto in seguito”
la visione dell’Incarnazione sembra ammetterla lo stesso S. Tommaso persino per Adamo nello stato originale: “Infatti prima del peccato l'uomo ebbe la fede esplicita dell'incarnazione di Cristo in quanto questa era ordinata alla pienezza della gloria; ma non in quanto era ordinata a liberare dal peccato con la passione e con la resurrezione; perché l'uomo non prevedeva il suo peccato. Invece si arguisce che prevedeva l'incarnazione di Cristo dalle parole che disse: "Perciò l'uomo lascerà il padre e la madre e si stringerà alla sua moglie"; parole che secondo l'Apostolo stanno a indicare "il grande mistero esistente in Cristo e nella Chiesa"; mistero che non è credibile che il primo uomo abbia ignorato. Dopo il peccato, poi, il mistero di Cristo fu creduto esplicitamente non solo per l'incarnazione, ma anche rispetto alla passione e alla resurrezione, con le quali l'umanità viene liberata dal peccato e dalla morte”

Anonimo ha detto...


Come le parole: "percio' l'uomo lascera' il padre e la madre e si stringera' alla sua moglie" possano intendersi quale prefigurazione dell'Incarnazione da parte di Adamo, mi riesce tuttavia difficile capire. Queste parole non sono interpretate da S.Paolo nel senso che, stabilendo l'indissolubilita' del matrimonio cristiano, rappresentano la presenza nel matrimonio (elevandolo assai) della stessa unione che c'e' tra Cristo e la sua Chiesa? Ma tale significato sembra prescindere del tutto da quello del mistero dell'Incarnazione.
Confesso di non esser un competente in materia, mi rendo conto di fare affermazioni basate piu' sull'intuizione che su di uno studio documentato. Da questo punto di vista, non mi e' nemmeno facile afferrare il concetto di un'Incarnazione che sarebbe comunque avvenuta anche a prescindere dalla necessita' della Salvezza, in conseguenza del peccato di Adamo. Che sarebbe comunque avvenuta per la Gloria di Dio, anche se Adamo non avesse mai peccato. Ma l'Uno e Trino, per la sua Gloria, aveva bisogno dell'Incarnazione del Verbo? Certamente no. Se il Verbo si e' incarnato per render gloria a Dio, questo non sembra allora potersi considerare lo scopo essenziale dell'Incarnazione, rappresentato dalla Salvezza dell'uomo peccatore. Sarebbe uno scopo secondario, nella misura in cui tutto cio' che viene da Dio celebra la gloria di Dio, anche la sua giustizia, che manda all'inferno per sempre i peccatori impenitenti. A. R.

Anonimo ha detto...

Anonimo Anonimo ha detto...
Discutere su cio' che sarebbe successo se il Sinedrio avesse riconosciuto in Gesu' il vero Messia, mi sembra del tutto accademico. A. R.
Esiste (o almeno esisteva) una branca della Teologia,(i c.d. "FUTURIBILIA") che si occupa ANCHE di questioni meramente accademiche. Ma poi,è del tutto accademico, fino ad un certo punto. Quando Gesù sulla Croce implora il Padre :"Perdona LORO, perché NON SANNO quello che fanno", tale perdono è da ritenersi (lo dice appunto San Tommaso) direttamente proporzionale al grado ed alle caratteristiche di tale ignoranza. Il Sinedrio, volendo, aveva tutte le grazie necessarie e sufficienti per capire chi era Colui che avevano davanti. Non sapevano chi era, poiché avevano scelto di non volerlo sapere.

Anonimo ha detto...


@ Ma questo cosa c'entra?

anon. 7:53. Lei semplicemente afferma, cosa verissima, che il Sinedrio, che ha illegalmente condannato Gesu' a maggioranza non all'unanimita', "aveva tutte le grazie necessarie e sufficienti per capire chi era Colui che avevano davanti". Quest'affermazione riguarda la capacita' di comprendere la natura divina di Cristo da parte del Sinedrio (Il Vangelo di Giovanni dice che "molti dei capi credettero", pero' "tacquero per paura dei Farisei", cito a memoria, cioe' di Caifa e della sua consorteria). Non concerne, la sua affermazione, quello che sarebbe successo se il Sinedrio avesse creduto che Cristo era il vero Messia. Quello che sarebbe successo, una storia locale e mondiale certamente differente da come si e' svolta, come possiamo saperlo con sicurezza? Piu' di dire che la storia avrebbe mutato corso, in generale, non possiamo. Tanto per restare con i piedi per terra. O no? In questo senso speculazioni di questo tipo (futuribilia) mi sembranao del tutto accademiche. A. R.