Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 11 maggio 2016

Silenzio tra le generazioni. L’autismo ipermoderno.

Resta il significante, la parola nuda, destituita dalle ascendenze simboliche e filologiche, è rovesciato il significato. ...Le civiltà muoiono per indifferenza verso i valori che le fondano (Gòmez Dàvila). Noi siamo già oltre, e ci troviamo nel mezzo di un ribaltamento storico, epocale davvero, delle idee e delle verità su cui si è fondata una civiltà che, da Omero in poi, è la nostra ed è quella che, piaccia o no ai partigiani dell’equivalenza di tutte le culture, ha improntato decine di generazioni, producendo l’immensa maggioranza di ciò che l’umanità ha inventato, ideato, pensato, realizzato.
“è in azione una macchina psicotecnica della suggestione di massa che lavora con le parole e con i significati e ri/forma un’umanità plastica. C‘è nel suo vocabolario una legge segreta per cui oggi la guerra più terribile può essere condotta solo in nome della libertà e la disumanità più abietta in nome della libertà”. (Carl Schmitt)
Cose che ho presenti da tempo e che talvolta ho detto a sprazzi. Da incorniciare. Roberto Pecchioli su Blondet & Friends.

Silenzio tra le generazioni. L’autismo ipermoderno.

Quando i sociologi si uniscono agli statistici scoprono l’acqua calda, o il filo per tagliare il burro. L’ultima rivelazione di questi esploratori del labirinto della nostra società è che le varie generazioni non parlano tra loro, e specialmente i giovani, che nell’istogramma statistico sono quelli tra i 18 ed i 36 anni, non comunicano con le generazioni più anziane. Nessuna novità, nessuna sorpresa. Giriamo intorno all’argomento dagli anni 60, ed un regista italiano celebre al suo tempo, Michelangelo Antonioni fece dell’incomunicabilità il tema principale delle sue opere.

Questa è la modernità, ragazzi. La generazione del 68 rovesciò il tavolo, ma a suo modo comunicò, contestando i genitori, l’autorità, le convenzioni, il mondo borghese. Dopo le convulsioni degli anni Settanta, che furono una modalità estrema di relazione, improntata sullo schema amico- nemico e sull’uso della violenza e della prevaricazione, il potere di sempre ha ripreso il controllo della situazione. Il nuovo capitalismo antiborghese ha assorbito facilmente le pulsioni giovanili degli anni precedenti, orientandole al consumo, al piacere immediato, alla rivendicazione di sempre nuovi “diritti”.

L’unica “narrazione” ancora ammessa, per usare il lessico di Jean François Lyotard, inventore del postmoderno, è stata una forma volgarizzata della psicoanalisi, centrata sulla morte del padre ed il principio di piacere, adatta a trascinare  le generazioni in un limbo senza leggi morali, chiusi nel soggettivismo, dipendenti del feticismo delle merci e di un individualismo egoista ed egotista. Da quasi cinquant’anni è vietato vietare, da altrettanti si decostruisce, si demitizza, si deride ogni principio veritativo, si recidono legami e radici. Il nostro tempo è quello della morte del padre, quindi della legge, della trasmissione. Perché dovremmo parlarci? L’ipermodernità è formata da neo plebi istruite ed ignoranti dell’essenziale, desideranti, rivolte al consumo di tutto: esperienze, merci, corpi.

I giovani descritti dalla statistica sociologica sono la prima generazione dei figli del post Sessantotto e dei grandi sconvolgimenti sociali, familiari, antropologici degli anni successivi. I loro padri hanno ucciso i nonni, nessuno stupore che i figli li ignorino. È il solito discorso: chi taglia il legame con il “prima”, inevitabilmente, nega la possibilità del “dopo”. C’è solo un “durante”, un presente continuato e faticoso, un quadro puntinista senza l’arte di Georges Seurat nella “Domenica pomeriggio all’isola della Grande Jatte”, il capolavoro del “pointillisme”, peraltro, già rivela una certa indifferenza reciproca, la separatezza di singoli o piccoli gruppi che comunicano solo al proprio interno, o che, tutt’al più, si offrono allo sguardo altrui esclusivamente attraverso la moda o l’atteggiamento, oggi diremmo l’immagine.

La psicoanalisi freudiana, filosofia di serie C, ha inventato il complesso di Edipo, i suoi epigoni hanno preteso non di superare la contrapposizione con il padre, ma di abbatterne definitivamente, insieme con  l’autorità anche la figura. È del 1972 l’ “Anti Edipo” di Deleuze e Guattari, che accusa Freud di conservatorismo, ed invita ad andare fino in fondo, troncare ogni legame con il passato ed i padri. È andata così, con la complicità interessata di quel liberismo nuovo che ha compreso il vantaggio immenso di lavorare su generazioni plastiche, sradicate, possedute dalla “furia del dileguare”, cioè di liberarsi di ogni retaggio, idea ricevuta, tradizione, che Hegel, già all’inizio del XIX secolo, aveva individuato come fondamento della modernità nascente.

In più, c’è la tecnologia, che ha stravolto modi di vivere, di lavorare, di pensare la presenza nel mondo di intere masse umane. Lo verifica chiunque lavori da decenni ed abbia a che fare con giovani colleghi. L’esperienza non ha più l’importanza che ha sempre avuto, trasmettere conoscenze, segreti professionali, diventa sovente vano per l’evidente inutilità  di saperi tramontati, inservibili, e non si ha più l’autorevolezza per dirigere od organizzare, e, peggio ancora, non si sa né si vuole essere esempio. In famiglia non è diverso. Le famiglie sono sempre più spesso divise, ed allora vincono i sensi di colpa e le soluzioni più comode. I padri si trasformano in bancomat, nessuno è in grado di pronunciare quei no, che, unici, educano alla vita. Le madri tengono botta un po’ di più: l’istinto profondo del prendersi cura non ha ancora travolto il desiderio di realizzazione o di autonomia assoluta che femminismo, modernità e tempi hanno ispirato alla stragrande maggioranza delle donne.

Del resto, l’ultimo mezzo secolo è quello dell’uccisione del padre, non della madre, e della svalutazione , se non della ridicolizzazione del maschile. Nei mestieri, serve meno forza fisica, nelle famiglie è vietato vietare, insegnare, punire o semplicemente negare. Le biotecnologie stanno rendendo superflua persino la prestazione sessuale dalla quale scaturisce la paternità: bastano provette, siringhe ed una mesta polluzione masturbatoria in ambiente asettico. Come può essere preso sul serio un padre simile ? E perché discutere con lui, chiedere, interloquire, obbedire, dal momento che, screditato il legame di sangue e il fatto stesso di generare, la sua unica funzione nel mondo è stata quella di mettere a disposizione il seme?

Troppi adulti, peraltro, troppi padri, accettano di buon grado la retrocessione: nessuna responsabilità, nessun problema quotidiano, giacché educare, insegnare, semplicemente parlare con i più giovani è impegnativo, richiede costanza, empatia, sconfitte, capacità di fornire risposte, mettersi in gioco. Qualcuno forse pensa, mi avete ridotto così, adesso tenetemi come sono.

Eppure, se è falso il complesso di Edipo, e folle l’anti Edipo estremo dell’anarchismo libertario, vero e presente è Telemaco. Il figlio di Ulisse non conosce il padre, partito quando lui era un infante, ne ha sentito parlare, conosce la sua gloria, sa della forza e della legge che aveva saputo porre. Vede i Proci, i giovani pretendenti al trono spadroneggiare in casa sua, insidiare la madre Penelope, cospirare contro la sua stessa vita. Va in cerca del padre, non lo trova, ma infine si ricongiunge con lui, nel riconoscimento reciproco tra le lacrime, e lo affianca nel ristabilimento della Legge. Nel libro XVI dell’Odissea, Telemaco afferma: “Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre.”

Trattando con molti giovani, si avverte nei migliori tra loro questa mancanza, una nostalgia del padre e, in qualche misura della Legge. I più, purtroppo, non hanno il complesso di Telemaco, ma quello di Narciso, e la loro vita è scandita dalle mode, dall’apparire nei social network, dall’attesa delle varie vacanze e dagli sballi del fine settimana, dal riflesso della propria immagine, il triste amore di se stessi.

Costoro non hanno alcun interesse al dialogo tra generazioni, tutt’al più sono interessati alla competizione più frivola o spregevole con i coetanei. Sazi da morire, non sanno affrontare difficoltà e fatiche, smarriti, soli. Ma tutto parte dallo stesso problema: l’omicidio premeditato dei padri – in minor misura della madri – trasformato in suicidio assistito da parte degli interessati, e dalla chiusura autistica che ne è derivata.

Il mio, di padre, era un semplice tipografo e, come Socrate, sapeva di non sapere: però dava l’esempio. I principi di fondo della vita, l’amore per la famiglia, il rispetto degli altri, l’apertura alla trascendenza, l’accettazione serena della fatica ed anche della sconfitta, la capacità di fare rinunce, le praticava senza paroloni od atteggiamenti didattici. Oggi, nessuno ci parla di sacrificio, di fedeltà a qualcuno o qualcosa, di accogliere un destino.

Le madri della mia generazione, l’ultima a crescere prima, o durante, il grande rovesciamento di valori, ci insegnavano il sacrificio: erano loro stesse immagini del sacrificio. Possiedo ancora, dopo almeno 45 anni, un vocabolario di inglese che è la prima cosa che ho guadagnato con il “lavoro”. Mia madre mise un prezzo al fare la spesa, rifarsi il letto, lavare l’automobile e così via. Non ho mai dimenticato l’orgoglio di aver pagato io – erano poche migliaia di lire – il Piccolo Orlandi con la copertina rigida e l’Union Jack.  Quanto al consumismo agli albori, bastava dire che “era roba da signori” ed il nostro orgoglio identitario di figli di operai ed artigiani ci rendeva diversi, diffidenti verso le mode e gli oggetti simbolo: rimasi sbalordito dinanzi al desiderio per me inspiegabile delle mie compagne di liceo per un certo foulard francese. Non so se era “dialogo” nel senso odierno, ma quel modello di trasmissione, quella catena generazionale attivata dal senso comune, funzionava.

I padri presenti di questi anni sono “mammi” apprensivi esperti di cambio pannolini, ma non sono modelli, non sono esempi, nessun Telemaco è davvero interessato ad attenderne il ritorno: tutt’al più parteciperanno allo stesso videogioco, più spesso metteranno semplicemente mano al portafogli.

Ma poi, perché i più giovani dovrebbero discutere con le generazioni più anziane? L’orientamento comune, accettato per ripetizione coattiva, è che le idee nuove sono sempre migliori di quelle vecchie, esattamente come le merci. Il passato è abolito, padri e madri sono “genitore 1” e “genitore 2”, il principio di piacere ha travolto quello di realtà, ed anche intellettuali sinceramente preoccupati della deriva del tempo, come il docente e clinico psicanalista lacaniano Massimo Recalcati, vietano il ritorno di Ulisse. Tutt’al più chiedono, dopo il tramonto del padre, una figura che susciti, simbolicamente “il desiderio”, ovvero, nel loro linguaggio, qualcuno che testimoni la possibilità della legge, e della trasmissione. Proprio Recalcati afferma che il figlio “potrà ritrovare il proprio padre solo nelle spoglie di un migrante senza patria”[follìa allo stato puro]. (Il complesso di Telemaco, Feltrinelli, pag. 13).

Non è così, non può esserlo. Il silenzio delle generazioni non è solo il solipsismo di chi vive la vita con le cuffie dell’I-Phone, scambia la vita con l’acquisto, gioisce dei “mi piace” sui post di Facebook o del volo a basso costo che è riuscito a prenotare online, o, per converso, quello di chi crede di aver esaurito i propri compiti con il mantenimento economico dei figli e con i sì pronunciati dinanzi ad ogni richiesta.

I giovani hanno anche bisogno di maestri, modelli, persino di eroi, e devono essere persone che riconoscono, in cui possono identificarsi. Ben triste è stato l’esito della famosa e fortunatissima frase di Bertolt Brecht “Fortunato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. Esauriti i modelli, screditati gli eroi, resta il vuoto, il silenzio di chi non domanda più anche perché sa che non avrà risposte.

I più fragili sono i giovani maschi: il predominio del loro sesso è stato abolito dai padri, le coetanee sono, o sembrano, più concrete e determinate, e sono stati allevati e poi istruiti quasi sempre da donne: madri, maestre, professoresse. Solo una femminista come Ida Magli, l’antropologa scomparsa qualche mese fa, poteva bollare con parole di fuoco quanto sia drammatico, per il futuro dell’occidente, avere estirpato tutto ciò che è specificamente maschile dai giovani europei ed americani. Moralismi ridicoli, sensi di colpa generalizzati, ansie da prestazione, colpevolizzazione di attitudini, comportamenti, istinti. Solo l’accusa terribile di “maschilismo” può atterrire quanto quella di razzismo.

Amleto, il mito letterario dell’insicurezza, incapace di essere erede, termina la sua vicenda umana, avvelenato dalla spada di Laerte, dicendo “tutto il resto è silenzio”

Non è troppo diverso il surreale mutismo ipermoderno che Antonioni aveva sublimato nelle inquadrature straniate e nelle interminabili, snervanti sequenze dei suoi film.

Tacciono le generazioni, chi per indifferenza, chi perché davvero non ha nulla da dire, chi per avversione o perché manca un codice comune di comprensione, e l’incomunicabilità è peggiore del baccano pubblicitario, più diseducativa dei sermoni di chi continua a teorizzare , e legalizzare, le libertà più astratte, insensate e stupide ( purché oggetto di scambio economico !) che l’umanità abbia mai inventato .

Tra padri inesistenti, preti garruli ed atei, classi dirigenti che non sanno né vogliono dirigere, ma solo approfittare dei privilegi di ruolo, insegnanti che attendono la campanella più degli alunni, giovani attratti da sballo, consumo ed esperienze compulsive, l’unico linguaggio comune sono i consigli per gli acquisti…

10 commenti:

seraafino ha detto...

a)"I problemi giovanili si risolvono invecchiando"( Giovannino Guareschi);
b) vuoi vedere che i figli non mi rispettano, perchè da piccoli gli ho dato più spesso io il biberon, che non la mamma?

Anonimo ha detto...

Basterà riscoprire l'Amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, l'abnegazione di S.Giuseppe e invocare il loro aiuto affinché possano essere veri uomini ed eroi per i loro figli. Non sono lontani i tempi per i sacrifici, che forgiano i cuori, quindi c'è speranza che questi giovani, nelle grandi sofferenze, si mettano in cerca della Verità e, trovatala, scoprano i veri valori della vita. Erano anni che non vedevo giovani uomini in Chiesa, alla S. Messa feriale, piccoli uomini....crescono, anche senza un padre terreno, ma con l'aiuto di Dio, tutto è possibile. Coraggio, prego per voi. Una mamma.

Anonimo ha detto...


@ Il ritorno del padre (Ulisse) come ristabilisce la Legge? E la madre, che fine ha fatto?

-- L'autore dimentica di ricordare che nell'Odissea, quando Ulisse, aiutato da Telemaco, ristabilisce la Legge violata dai Proci, cio' avviene mediante lo sterminio dei Proci stessi (con l'arco che solo Ulisse era capace di tendere) e (se mi ricordo bene) delle ancelle che avevano fornicato con loro, le quali vengono impiccate. Si capisce, allora, perche' i cosiddetti psicologi non vogliano il ritorno del Padre, perche' in realta' non lo voglia nessuno. Anche il Giorno del Giudizio vi sara' un Ritorno, che sara' del Figlio, il quale pero' attuera' la Giustizia del Padre, come ha preannunciato nei Vangeli.
Il sesso maschile si e' rincitrullito nel benessere e nei vizi, non riesce piu' a tenere sotto le donne, che spadroneggiano dilettantisticamente, scassando tutto, dalla famiglia agli eserciti, alle nazioni.

--Anche la madre si e' "suicidata", grazie alla filosofia abortista e omosessualista diventata "identitaria" per le donne, alle maternita' surrogate e roba del genere. Anche la madre e' diventata una "astrazione", una figura comunque incompatibile con "i diritti delle donne", diritti folli, anzi pseudodiritti perche' semplice travestimento di un generalizzato desiderio femminile di autodistruzione, in nome dell'edonismo piu' sfacciato. A. R.

tralcio ha detto...

A proposito di dialogo tra generazioni...

All'udienza odierna, Francesco ha detto, tra l'altro, che:

"la nostra condizione di figli di Dio è frutto dell’amore del cuore del Padre; non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela, neppure il diavolo! Nessuno può toglierci questa dignità".

Al che emergono alcune solide certezze, inusitate per chi dispensa sempre seconde e terze sfumature nella medesima affermazione. Ecco dunque le apodittiche certezze:

-siamo figli (di Dio)
-lo siamo tutti, sempre e comunque
-non dipende dalle nostre azioni
-nessuno può toglierci questa condizione, nemmeno il diavolo
-questa condizione è essenzialmente la nostra "dignità".

Mi permetto un controcanto un po' meno apodittico e un tantino apocalittico (nel senso di rivelato):

La parabola parla di due figli dello stesso padre, umano e carnale.
Parla del problema che può esserci in una famiglia, tra fratelli e con il padre.
Il fratello uscito di casa era considerato "morto".
E aveva considerato "morto" il padre, facendosi dare la parte di eredità.
Siccome entrambi invece erano "vivi", evidentemente il quadro di morte è quello spirituale.
Il giovane torna "a vivere" proprio perchè riconosce vivo il padre ed ammette il proprio peccato, ritornando sui suoi passi.
E' un "merito"? No, ma è comunque un'azione. Che fa la differenza.

Il padre della parabola non è il padre carnale di tutti... Lo è di due uomini. Degli altri no. Gli altri sono solo servi. E' in Gesù che non si è solo servi, ma figli. E' gesù che dice questo di sè del Padre. E lo Spirito ci concede di capire questo.
La nostra natura, segnata dal peccato, non ci vede figli per natura. Tanto meno "a prescindere". Lo diventiamo, a motivo della misericordia di Dio, attraverso Gesù, convertendoci dal peccato e "rinascendo dall'alto", nella nostra vita spirituale. Gesù lo spiegò a Nicodemo, che pure era un buon uomo!

Anche il fratello maggiore è un figlio carnale dallo spirito ammorbato.
Vive solo di regole, non d'amore. Pensa al dovere, non a volere secondo la volontà del Padre. Anche lui "non si comporta bene". ergo, ciò che facciamo conta!

Non è vero che si è figli sempre e comunque. Lo possiamo essere, questo sì.
Ma non vale il moralismo a senso unico (solo sui comportamenti del figlio maggiore) o peggio l'assenza di regole, leggi e morale, quasi che considerare "morto" il Padre fosse un'azione come un'altre.

E cerchiamo di pensare un po' anche alla vita dello spirito, nostra vera dignità, che ci eleva a creature molto speciali, non solo alla carne o alla psicologia d'accatto che pare essere il massimo di "anima" in grado di essere percepita da chi ragiona in termini sociologici e -comunque- secondo il mondo.

Siamo nel mondo, non del mondo!

Anonimo ha detto...


@ I Figli di Dio secondo Bergoglio

La frase riportata da Tralcio, tolta dall'udienza papale odierna, sembra in realta' nient'altro che una riformulazione dell'errore del confratello Karl Rahner, ovvero
della teoria fasulla dei "cristiani anonimi": siamo cristiani ontologicamente, senza saperlo, grazie all'amore ("al cuore") di Dio che vuole tutti salvi, a prescindere dal nostro contributo mediante il libero arbitrio e la volonta'. Siamo invece Figli di Dio "per adozione", non ontologicamente, come sembra credere il Papa. Questo, per colpa del peccato originale. E difatti il Diavolo ce la puo' togliere questa "figliolanza", quando ci tenta e ci fa cadere in peccato. E la toglie definitivamente a quei cristiani che vanno all'inferno. A cominciare dai chierici senza fede e dai costumi innominabili. A. R.

mic ha detto...

Pazzesco.
http://www.uccronline.it/2016/05/11/il-card-muller-il-papa-e-ambiguo-no-e-un-linguaggio-positivo-che-abbiamo-deciso-assieme/

Anonimo ha detto...

Questi Pastori lecca lecca, si stanno sciogliendo! Cosa resterà di loro? Le loro parole sono inascoltabili, irricevibili, i loro volti sono inguardabili, che orrore!

Valentina ha detto...

Mic,
terra' famiglia anche lui ?

Anonimo ha detto...

Blogger mic ha detto...
Pazzesco.
http://www.uccronline.it/2016/05/11/il-card-muller-il-papa-e-ambiguo-no-e-un-linguaggio-positivo-che-abbiamo-deciso-assieme/
Cosa vi potevate attendere da un Mueller? Il fatto che lui, che ha scritto libri, mai ritrattati/rinnegati, nei quali afferma che l'Ascensione se la sono immaginata i primi Cristiani. Che la Verginità della Madonna è un concetto frutto dello scopo, sempre di questi primi Cristiani di prendere le distanze dai costumi facili dei loro tempi che, in definitiva, non ci sono prove certe che si tratti davvero di un fatto anatomico e non solo spirituale (parlare in questi termini "ginecologici",possibile che non gli dia fastidio? A me lo darebbe, anche se ci si stesse riferendo non dico a mia madre o a mia moglie, ma anche solo alle "MILF" più "navigate" presenti tra le mie amiche).

anonimo delle 17,53 ha detto...

Aggiungo che, su questi temi, cioè Ascensione e Verginità della Madonna, Kasper e Mueller sono dello stesso avviso.