Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

lunedì 16 agosto 2021

Cardinale Sarah: "il divieto di celebrare la Santa Messa tradizionale è ispirato dal "demonio che desidera la nostra morte spirituale"

Il cardinale Sarah, prefetto emerito della Congregazione per il culto divino, ha concesso un'ampia intervista a Edward Pentin, del National Catholic Register (qui). Riprendo lo stralcio delle sue parole forti in merito alle manovre di chi vorrebbe vietare la Messa latina tradizionale o sospettare di essa. Interessante la sua posizione anche in questa sua vecchia intervista [qui]. Tra le diverse luminose affermazioni, scopriamo come il suo afflato vaticansecondista lo tenga ancorato alla cattiva applicazione del Concilio e alla "Riforma della riforma" e al "reciproco arricchimento dei riti", suggestioni ratzingeriane che sembravano tramontate. Non ho voluto pubblicare questo suo intervento senza aver prima formulato le mie obiezioni, che hanno richiesto un po' di tempo in più perché ovviamente inserite nell'orizzonte più ampio e con diversi echi ante et postea l'epoca del Summorum: Traditionis custodes e i rigurgiti della 'discontinuità' [qui]. 

Fino a che punto crede, come credono alcuni critici, che le riforme liturgiche postconciliari abbiano portato all'attuale crisi della Chiesa di cui parla nel suo libro?

Credo che, in questa materia, l'insegnamento di Benedetto XVI sia luminoso. Ha osato scrivere proprio di recente che la crisi della liturgia è al centro della crisi della Chiesa. Se nella liturgia non mettiamo più Dio al centro, allora non lo mettiamo nemmeno al centro della Chiesa. Celebrando la liturgia, la Chiesa torna alla sua fonte. Tutta la sua ragion d'essere è rivolgersi a Dio, dirigere tutti gli occhi verso la croce. Se non lo fa, si mette al centro; diventa inutile. Credo che la perdita dell'orientamento, di questo sguardo rivolto alla croce, sia il simbolo della radice della crisi della Chiesa. Eppure il Concilio aveva insegnato che «la liturgia è principalmente e soprattutto il culto della divina maestà». Ne abbiamo fatto una celebrazione apertamente umana ed egocentrica, un'assemblea amichevole che si autoesalta.

Non è dunque il Concilio che va sfidato, ma l'ideologia che negli anni successivi ha invaso diocesi, parrocchie, parroci e seminari.

Pensavamo che il sacro fosse un valore superato. Eppure è una necessità assoluta nel nostro cammino verso Dio. Vorrei citare Romano Guardini: “Confida in Dio; la vicinanza a lui e la sicurezza in lui rimangono esili e flebili quando non le controbilanciano la conoscenza personale dell'esclusiva maestà e della santità terribile di Dio” ( Meditazioni prima della messa, 1936).

In questo senso, la banalizzazione dell'altare, dello spazio sacro che lo circonda, sono stati disastri spirituali. Se l'altare non è più la soglia sacra oltre la quale Dio risiede, come troveremmo la gioia di accostarci? Un mondo che ignora il sacro è un mondo uniforme, piatto e triste. Saccheggiando la nostra liturgia abbiamo disincantato il mondo e ridotto le anime a una cupa tristezza.

Quali aspetti della riforma liturgica hanno avuto un effetto positivo o negativo sui fedeli, secondo lei?

È importante sottolineare il profondo beneficio che la più grande varietà di testi biblici offre alla meditazione. Allo stesso modo, era necessaria l'introduzione di una dose moderata di lingua volgare.

Soprattutto, credo che la preoccupazione per una partecipazione profonda e teologica dei fedeli sia un grande insegnamento del Concilio. Sfortunatamente, è stato usato impropriamente per agitazione e attivismo. Si è ignorato che la partecipazione attiva del popolo non consiste nella distribuzione di ruoli e funzioni, ma piuttosto nell'introdurre i fedeli nelle profondità del mistero pasquale perché accettino di morire e risorgere con Gesù attraverso una più autentica e radiosa Vita cristiana basata sui valori evangelici.

Rifiutare di considerare la liturgia come opus Dei , come “opera di Dio”, è correre il rischio di trasformarla in un'opera umana. Ci divertiamo poi a inventare, creare, moltiplicare formule, opzioni, immaginando che parlando molto e moltiplicando formule e opzioni, saranno ascoltate meglio (cfr Mt 6,7).

Credo che Sacrosanctum Concilium sia un testo importante per entrare in una comprensione profonda e mistica della liturgia. Dovevamo uscire da una certa rubrica. Purtroppo è stata sostituita da una cattiva creatività che trasforma un'opera divina in una realtà umana. La mentalità tecnica contemporanea vorrebbe ridurre la liturgia a un'efficace opera di pedagogia. A tal fine, cerchiamo di rendere le cerimonie conviviali, attraenti e amichevoli. Ma la liturgia non ha valore pedagogico se non nella misura in cui è interamente ordinata alla glorificazione di Dio e al culto divino e alla santificazione degli uomini.

La partecipazione attiva implica in questa prospettiva di ritrovare in noi quel sacro stupore, quel timore gioioso che ci fa tacere davanti alla maestà divina. Dobbiamo rifiutare la tentazione di rimanere nell'umano per entrare nel divino.

In questo senso, è deplorevole che il santuario delle nostre chiese non sia un luogo riservato al culto divino, che vi entriamo in abiti profani, che il passaggio dall'umano al divino non sia segnalato da un confine architettonico. Allo stesso modo, se, come insegna il Concilio, Cristo è presente nella sua parola quando viene proclamata, è un peccato che i lettori non abbiano un vestito appropriato che mostri che non stanno dicendo parole umane ma una parola divina.

Infine, se la liturgia è opera di Cristo, non è necessario che il celebrante introduca i propri commenti. Non è la moltitudine di formule e opzioni, così come il continuo cambiamento delle preghiere e un'esuberanza della creatività liturgica, che piace a Dio, ma la metanoia , il cambiamento radicale delle nostre vite e dei nostri comportamenti gravemente inquinati dal peccato e segnati dall'ateismo liquido.

È necessario ricordare che, quando il messale autorizza un intervento, non deve diventare un discorso profano e umano, tanto meno un commento di attualità, o un saluto mondano ai presenti, ma una breve esortazione ad entrare nel mistero.

Nulla di profano ha il suo posto nelle azioni liturgiche. Sarebbe un grave errore credere che elementi mondani e spettacolari favoriscano la partecipazione dei fedeli. Questi elementi possono solo promuovere la partecipazione umana e non la partecipazione all'azione religiosa e salvifica di Cristo.

Ne vediamo una bella illustrazione nelle prescrizioni del Concilio. Mentre la Costituzione [sulla Sacra Liturgia] ha più volte raccomandato la partecipazione consapevole e attiva e anche la piena intelligenza dei riti, raccomanda in un solo movimento la lingua latina prescrivendo che «i fedeli possano anche dire o cantare insieme in latino quelle parti dell'Ordinario della Messa che le riguardano».

L'intelligenza dei riti, infatti, non è opera della sola ragione umana, che dovrebbe afferrare tutto, comprendere tutto, dominare tutto. L'intelligenza dei riti sacri presuppone una vera partecipazione a ciò che esprimono del mistero. Questa intelligenza è quella del sensus fidei, che esercita la fede viva attraverso il simbolo e che conosce per sintonizzazione più che per concetto.

La passione di Cristo è anche liturgia; solo uno sguardo di fede può scoprire l'opera della redenzione compiuta per amore. L'unica [cosa] che la ragione umana vede in esso è il fallimento della morte e l'orrore della croce. Entrare nella participatio actuosa [vedi] implica che, come i discepoli di Emmaus, ci lasciamo toccare dallo spezzare il pane per comprendere le Scritture.

Come ci ha ricordato poco fa papa Francesco, il sacerdote non deve darsi l'aspetto di uno “showmaster” (o di un presentatore) per conquistare l'ammirazione di un'assemblea. Al contrario, deve partecipare all'azione di Cristo, entrare in essa, divenire suo strumento. Pertanto, non dovrà parlare costantemente e affrontare l'assemblea, ma, piuttosto, dovrà agire in persona Christi e, in un dialogo nuziale, coinvolgere i fedeli in questa partecipazione.

È quindi opportuno che, durante il Rito Penitenziale, l'Offertorio e la Preghiera eucaristica, si volgano tutti insieme alla croce o, meglio ancora, all'Oriente, per esprimere la propria disponibilità a partecipare all'opera di culto e redenzione compiuta da Cristo e per mezzo di lui dalla Chiesa. [qui - qui]

Perché pensa che sempre più giovani siano attratti dalla liturgia tradizionale/la forma straordinaria?

Non la penso così. Lo vedo; ne sono testimone. E i giovani mi hanno affidato la loro assoluta preferenza per la forma straordinaria, più educativa e più insistente sul primato e sulla centralità di Dio, sul silenzio e sul significato della trascendenza sacra e divina. Ma, soprattutto, come capire, come non stupirsi e scandalizzarsi profondamente che quella che era la regola ieri sia oggi vietata? Non è vero che vietare o sospettare la forma straordinaria può essere ispirato solo dal demonio che desidera il nostro soffocamento e morte spirituale?

Quando la forma straordinaria è celebrata nello spirito del Concilio Vaticano II, ne rivela tutta la fecondità: come stupirsi che una liturgia che ha portato tanti santi continui a sorridere alle anime giovani assetate di Dio?

Come Benedetto XVI, spero che le due forme del Rito Romano si arricchiscano reciprocamente. Ciò implica uscire da un'ermeneutica della rottura. Entrambe le forme hanno la stessa fede e la stessa teologia. Contrastarli è un profondo errore ecclesiologico. Significa distruggere la Chiesa strappandola alla sua Tradizione e facendole credere che ciò che la Chiesa in passato considerava santo ora è sbagliato e inaccettabile. Che inganno e insulto a tutti i santi che ci hanno preceduto! Che visione della Chiesa.

Dobbiamo allontanarci dalle opposizioni dialettiche. Il Concilio non ha voluto rompere con le forme liturgiche ereditate dalla Tradizione, ma, al contrario, entrare meglio in esse e parteciparvi più pienamente.

La Costituzione conciliare stabilisce che «le nuove forme adottate dovrebbero in qualche modo crescere organicamente da forme già esistenti».

Sarebbe quindi sbagliato opporre il Concilio alla Tradizione della Chiesa. In questo senso è necessario che coloro che celebrano la forma straordinaria lo facciano senza spirito di opposizione e quindi nello spirito della Sacrosanctum Concilium.

Abbiamo bisogno della forma straordinaria per sapere con quale spirito celebrare la forma ordinaria. Viceversa, celebrare la forma straordinaria senza tener conto delle indicazioni della Sacrosanctum Concilium rischia di ridurre questa forma a vestigio archeologico senza vita e senza futuro.

Sarebbe anche auspicabile inserire nell'appendice di una futura edizione del messale il Rito Penitenziale e l'Offertorio della forma straordinaria per sottolineare che le due forme liturgiche si illuminano a vicenda, in continuità e senza contrapposizione.

Se viviamo in questo spirito, allora la liturgia cesserà di essere luogo di rivalità e critiche e ci condurrà finalmente nella grande liturgia celeste.

In molte parti dell'Africa, sebbene le liturgie siano spesso lunghe, sono anche caratterizzate da libere espressioni di canto, danza e applausi, che alcuni descriverebbero come un abuso di una liturgia più riverente, oscura e orante. Eppure, l'ortodossia è viva e vegeta nel continente. Come spiega questo?

In Africa a volte i fedeli camminano per ore per andare a messa. Hanno fame del Vangelo e dell'Eucaristia. Camminano per chilometri e vengono a Messa per stare a lungo con Dio, per ascoltare la sua parola, per nutrirsi della sua Presenza. Danno a Dio il loro tempo, la loro vita, la loro fatica e la loro povertà. Danno a Dio tutto ciò che sono e tutto ciò che hanno. E la loro gioia è di aver dato tutto.

La loro gioia a volte si manifesta troppo esteriormente e gli africani devono imparare l'interiorità e il silenzio. Devono vietare applausi e strilli che non hanno nulla a che fare con il mistero di Dio; devono eliminare la parola, il folklore, l'esuberanza delle parole che ostacolano l'incontro con Dio. Dio abita nel silenzio e nell'interiorità dell'uomo; il cuore dell'uomo è il Tempio di Dio, perché so che gli africani sanno mettersi in ginocchio e comunicare con rispetto e riverenza.

Credo che gli africani abbiano un profondo senso del sacro. Non ci vergogniamo di adorare Dio, di proclamarci dipendenti da lui. Soprattutto, gli africani sono felici di lasciarsi insegnare la fede senza contestarla o metterla in discussione. Credo che la grazia dell'Africa sia quella di conoscere se stessa e di rimanere figlia di Dio.

Sottolineo in questo libro che al cuore del pensiero occidentale moderno c'è un rifiuto di essere figlio, un rifiuto di essere padre, che è fondamentalmente un rifiuto di Dio. Percepisco nel profondo del cuore occidentale una profonda rivolta contro la paternità creatrice di Dio. Riceviamo da lui la nostra natura di uomini e donne. È diventato insopportabile per le menti moderne.

L'ideologia di genere è un rifiuto luciferico di ricevere una natura sessuale da Dio. L'Occidente si rifiuta di ricevere; accetta solo ciò che si costruisce. Il transumanesimo è l'avatar definitivo di questo movimento. Anche la natura umana, perché dono di Dio, diventa insopportabile per l'uomo occidentale.

Questa rivolta è nella sua essenza spirituale. È la rivolta di Satana contro il dono della grazia. In fondo, credo che l'uomo occidentale rifiuti di essere salvato per pura misericordia. Rifiuta di ricevere la salvezza e vuole costruirla da solo. I “valori occidentali” promossi dall'ONU si basano su un rifiuto di Dio che paragono a quello del giovane ricco del Vangelo. Dio ha guardato l'Occidente e l'ha amato perché ha fatto grandi cose. Invitò l'Occidente ad andare oltre, ma l'Occidente si allontanò, preferendo le ricchezze che doveva solo a se stesso. Gli africani sanno di essere poveri e piccoli davanti a Dio. Sono orgogliosi di inginocchiarsi, felici di dipendere da un Creatore e Padre Onnipotente.

13 commenti:

Brieuc ha detto...

Eh, sarà ancora un percorso molto, molto lungo...

Anonimo ha detto...

Attualmente, e non si sa ancora per quanto, l'unica cappella cattolica in tutto l'Afghanistan è situata presso l'Ambasciata italiana. Fu istituita nel 1921, e, sin dall'origine, affidata ai padri barnabiti.

Anonimo ha detto...

In merito alla situazione dell'Afghanistan, al momento meglio non pronunciarci. Ci sono troppi
giornalisti servi e ipocriti che se ne stanno occupando e non è certo un bel segnale.
Sappiamo bene come funzionano certe dinamiche, pertanto osserviamo, raccoglismo informazioni e prendiamo tutto con le pinze da quel che arriva dalla grancassa mediatica.

Ad ogni modo quei delinquenti che oggi usano "pandemie" per assoggettare i popoli, sono gli stessi che da sempre insanguinano il Medio Oriente con la scusa di esportare la "democrazia".
Peraltro una democrazia florida la nostra, giunta ad un livello talmente alto che per lavorare devi esibire grotteschi certificati... ma è per la tutela della salute pubblica si intende.
Viva la democrazia occidentale.

Anonimo ha detto...

In vent'anni in Afganistan la preoccupazione più grande è stata su come ripristinare la produzione di eroina, quasi azzerata dai talebani.

Anonimo ha detto...

C'è qualcosa che mi sfugge se leggo che i talebani che distruggono le statue di Budda sono dei barbari mentre non sono tali i cosiddetti "antirazzisti" che vandalizzano i nostri monumenti, gli islamici che vilipendomo i simboli religiosi o il clero modernista che devasta le nostre chiese.

Anonimo ha detto...

La cappella in Afghanistan la tiene onorevolmente il p. Giovanni Scalese.

Anonimo ha detto...

In un periodo di “protestantizzazione” della Chiesa - ad opera dei cosiddetti “progressisti”, i “post-conciliari”, per non dire “modernisti”, che con un colpo di spugna vogliono cancellare millenni di storia, la Tradizione -, purtroppo, anche i santi sono stati sacrificati. Per non cadere nell’idolatria, sono stati ridimensionati, declassati a rango di figure quasi mitologiche, zelo della pietà popolare. Non sono più modelli di imitazione, perché uomini e non Dio.
Via le statue dagli altari principali, meglio collocate in luoghi secondari, lontane dallo sguardo dei fedeli, in casi estremi nascoste nei ripostigli. Sempre meno sono coloro che, soprattutto le nuove generazioni, festeggiano la ricorrenza del loro santo patrono. Ne ignorano perfino la data del calendario liturgico. Il compleanno ha assunto il significato della festa delle feste, l’esaltazione dell’ego, con fuochi pirotecnici e rinfreschi dispendiosi; l’onomastico - invece -, roba passata, antica, superata. Eppure i nostri antenati avevano un altro spirito di fede, erano devoti, credenti e, senza dover fare grandi ragionamenti filosofici e teologici, si affidavano all’intervento di Dio, della Madonna, di un santo per qualsiasi necessità. Invocavano il “Cuore di Gesù”, la “Madonna del Rosario…“, “San Giuseppe, Sant’Antonio…”, partecipavano alle processioni, offrivano fioretti, sacrifici, ori e gioielli preziosi, pur di ottenere una grazia, una risposta dal Cielo. Soprattutto quando sopraggiungeva una malattia improvvisa che colpiva un membro della famiglia, un amico, un vicino, pensiamo al dilagare delle epidemie di colera, tifo… La devozione era così forte che spesso si erigevano altari, edicole sul ciglio delle strade, cappelle, chiese in onore di quel santo, per “Grazia ricevuta”, perché si riconosceva in lui un’intercessione per una guarigione fisica o spirituale. Da noi San Rocco è molto venerato, lo si festeggia con grande partecipazione di devoti. In provincia tante chiese sono intitolate a lui, ci sono confraternite, si fanno processioni, feste patronali in pompa magna. Non sono nostalgico del Vetus ordo, benché apprezzi fortemente la bellezza della sua liturgia, però a modo mio cerco di recuperare certi atteggiamenti, soprattutto posturali, che mi sono stati insegnati durante la preparazione alla prima comunione, ritornando - ad esempio - a congiungere le mani piuttosto che spalancare le braccia durante la recita del Padre nostro, ad inginocchiarmi davanti al tabernacolo, dimora di Gesù vivo, e nella benedizione sacerdotale, e soprattutto durante la consacrazione eucaristica, il momento culminante della celebrazione eucaristica. Devo tutto questo ad una grande scuola a cielo aperto che è Medjugorje - ci sono andato in pellegrinaggio per 7 anni consecutivi - alla chiamata della Madonna, che mi ha insegnato molte cose, e che ha scosso la mia debole fede.
Per il resto, andiamo avanti con l’aiuto di Dio ricordando che “(…) Abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita” (2Cor 4,7-12).

Oggi più che mai, abbiamo bisogno dell’intercessione di san Rocco! Che debelli questa pandemia. Viva San Rocco.

P.S.
San Rocco è patrono di: appestati, contagiati, emarginati, ammalati, viandanti e pellegrini, selciatori, invalidi, prigionieri, chirurghi, operatori sanitari, farmacisti, assicurativi, necrofori, volontari, cani, protettore delle ginocchia e delle articolazioni.

Anonimo ha detto...

La parabola dell'Occidente in due personaggi: da santo Stefano primo re d'Ungheria (oggi sua festa liturgica), a Biden... Che Dio ci aiuti. Tanto!

Anonimo ha detto...

È da marzo 2020 che si parla di azioni legali, di imminenti cambi di rotta, di manifestazioni di piazza, di raccolte firme e chi più ne ha più ne metta.
Risultato? Siamo qui a discutere di quanti tamponi fare per andare a lavoro.
Va sempre peggio e le masse sono dalla parte del potere. É un fatto.

Dunque, che fare?
Nelle piazze ci siamo stati, abbiamo appoggiato iniziative giuridiche, è giusto provare ad arginare, anche solo parzialmente, gli avvenimenti con i pochi strumenti che abbiamo. Ma premesso questo, perché dovremmo oggi affermare che vediamo una possibilità di uscire da questo impaccio con strumenti politici od associativi, quando non troviamo realistica questa possibilità?
Dare una speranza che consideriamo illusoria a chi giova? In vista di cosa? Di nuove paralisi quando verrà disillusa?

Il processo in corso è irreversibile perché i centri in cui è deciso sono inaccessibili, e i mezzi di cui dispongono non sono paragonabili a quelli di cui può disporre alcuna iniziativa particolare o privata. Su questo fronte sfidiamo chiunque a trovare una soluzione, che comunque non potrebbe che essere provvisoria perché interna al sistema.

La speranza c'è, ma secondo noi va cercata in una radicale conversione del singolo, una svolta di visione e un intento di edificazione. Personale prima, sociale poi. Abbiamo bisogno di costruire una cultura adeguata ad essere ricettacolo del cambiamento. Non ci sono scorciatoie.
Ci rendiamo conto che per molti questa via, sia insoddisfacente, perché la via del "fare" sembra più efficace di quella dell' "essere".
D'altronde lo capiamo, specialmente in questo periodo, la situazione è scottante e richiede soluzioni immediate.
Ma ricordiamoci sempre che "fare" senza "essere" non porta ad altro che a ri-fare gli stessi errori di prima, perché a compierli è lo stesso soggetto, sia esso un individuo che la società.

Anonimo ha detto...

Non si dimentichi il ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao. Bisognerebbe almeno di tanto in tanto accendere le luci sui suoi pensieri, parole, opere ed omissioni. Aggiorniamoci sullo stato della questione innovazione tecnologica e transizione digitale condotte dal ministro della Repubblica Italiana Colao Vittorio. Aggiorniamoci.

Anonimo ha detto...

quando hai dei vescovi che si preoccupano della "pastorale della scienza" capisci che sei su un binario morto che non porta da nessuna parte se non a schiantarti nella poltiglia del mondo
Alberto Lacchini

Anonimo ha detto...

Condivido pienamente tutto quello che lei scrive e che da sempre sostengo anch'io e soprattutto:
1 - Va sempre peggio e le masse sono dalla parte del potere. È un fatto.
2- Il processo in corso è irreversibile, etc...
Chi continua ad illudere gli ingenui, pur sapendo benissimo che non esiste nessuna reale possibilità di capovolgere la situazione, cerca di trarre dall'attuale situazione qualche misero profitto o come azzeccagarbugli o come capo di un nuovo effimero partitino o come venditore di fumo agli ingenui e ai pochissimi poveri rimasti (c'è un benessere economico mai visto prima).
Quasi nessuno crede più nei miracoli, per fortuna, anche se mia madre ed io siamo stati fra coloro che vi hanno ingenuamente creduto, salvo poi essere stati sistemati dal "buon Dio".
Niente di più ridicolo poi delle sceneggiate di frustrati che scorrazzano per le strade al grido di no green pass, mentre esso è una realtà e i governi di tutto il mondo stanno già pensando al suo perfezionamento.
In Emilia sono tutti vaccinati, in ottima salute ed entusiasti della nuova situazione.
E così ormai è dovunque.
Io amo essere franco. Mi sono prenotato due volte in farmacia per il vaccino, essenzialmente per poter accedere alla palestra e per poter viaggiare sui treni ed ho disdetto entrambe le prenotazioni. Non so bene ora che cosa fare, forse chiederò al mio medico, il quale mi dirà quel che conviene fare. Gesù Cristo NON può pretendere da noi cose impossibili. O fulmina gli autori del Male oppure aiuta chi crede in Lui, comprendendo le debolezze della natura umana (non siamo puri spiriti).
Ho preferito scrivere la verità piuttosto di quattro cose false ed insulse.

mic ha detto...

Anonimo 09:00
Dice bene. Da quel che ho già visto c'è da inorridire. Ne ho già scritto e continueremo a tener alta la guardia. Il problema con le transizioni verde e digitale, non è tanto il cambiamento, ma chi e come piloterà le scelte che coinvolgeranno le generazioni future.