La riforma liturgica di Paolo VI, senza precedenti nella storia della Chiesa per il tenore delle innovazioni e per lo spazio lasciato all’iniziativa personale del celebrante, fu promulgata nel 1969. Immediatamente suscitò reazioni negative e resistenze da parte delle più alte sfere della Chiesa – il “Breve esame critico” dei Cardinali Ottaviani e Bacci fu fatto pervenire a Paolo VI qualche settimana prima dell’entrata in vigore del nuovo messale – come anche dai semplici fedeli. Provocò inoltre la reazione di numerose personalità del mondo delle arti, delle lettere e della scienza, che si preoccupavano del declino culturale che essa rappresentava, nel famoso appello pubblicato sul Times il 6 luglio 1971 e all’origine dell’indulto detto “Agatha Christie”.
Infatti, dalla morte di Paolo VI, appena dieci anni più tardi, era già chiaro, persino ai suoi promotori, che questa riforma non aveva raggiunto i suoi obbiettivi e che le chiese cominciavano a svuotarsi.
All’inizio degli anni ’80 una reazione di buon senso si manifestò in modo via via più chiaro: perché non lasciare le forme liturgiche antiche a disposizione di coloro che vi trovavano il proprio nutrimento sacramentale e spirituale? E visto che all’epoca tutto sembrava ormai libero e permesso, perché non permettere anche ciò che si faceva prima? Paolo VI stesso, prima di morire, non aveva forse dato un segno forte relegando Monsignor Annibale Bugnini, l’autore della riforma, ad una sorta di esilio a Teheran? Il papa non aveva capito che la messa che porterà per sempre il suo nome, voluta come la radiosa manifestazione della “primavera” conciliare, si rivelava in effetti un nuovo strumento di divisione in una Chiesa che si stava indebolendo?
La questione della libertà della messa preconciliare emerse da subito nel pontificato aperto nel 1978 da Giovanni Paolo II, anche se poi ci sono voluti trent’anni perché trovasse una risposta con il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. All’epoca, in effetti, era stata già annunciata dai due personaggi che rimarranno per la storia – quali che siano le opinioni che si abbiano su l’uno e sull’altro – le figure chiave della soluzione della frattura liturgica: Joseph Ratzinger e Marcel Lefebvre.
I – MONSIGNOR LEFEBVRE : LA « PROFEZIA » SULLA LIBERTA’ DELLA MESSA NEL 1979
L’11 marzo 1979, davanti ai suoi seminaristi di Écône, Monsignor Lefebvre dichiarava:
“Se veramente il Papa rimettesse la messa tradizionale al suo posto nella Chiesa, credo che potremmo dire che l’essenziale per la nostra vittoria sarebbe fatto. Il giorno in cui davvero la messa diverrà nuovamente la messa della Chiesa, la messa delle parrocchie, la messa delle chiese, certo ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete, ma alla fine, la messa di sempre, la messa che è il cuore della Chiesa, la messa che è l’essenziale della Chiesa, quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza, e bisognerà evidentemente dargliene uno ancora più grande, ma alla fine comunque, il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa.
Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà… Ecco, io credo che la Tradizione sarà salva. Il giorno in cui verrà salvata la messa, la Tradizione della Chiesa sarà salva, perché con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto… ci sono i seminari… e c’è la Tradizione che si salva. si può dire che si vedrà la luce di un’aurora nella Chiesa, che avremo attraversato una tempesta formidabile, saremo stati nell’oscurità più completa, sferzati da tutti i venti e che alla fine all’orizzonte si rivelerà di nuovo la messa, la messa che è il sole della Chiesa, che è il sole della nostra vita, il sole della vita cristiana…”
“Il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa”: non è forse esattamente questo il contributo fondamentale del Motu Proprio del 2007? La Fraternità San Pio X si è fortemente felicitata di questo testo liberatore attraverso le parole di Monsignor Fellay. E questo non è stato che un atto di giustizia visto che proprio il fondatore della Fraternità l’aveva annunciato come “un’aurora nella Chiesa”.
II – IL CARDINALE RATZINGER: IL PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ DELLA MESSA SANCITO NEL 1982
Questa della libertà liturgica, all’inizio del pontificato wojtyliano, è stata un’idea che era nell’aria. Oggi sappiamo che, appena nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – e ufficiosamente incaricato dal Papa Giovanni Paolo II di prendersi carico della questione della contestazione liturgica -, il 16 novembre 1982 il Cardinale Joseph Ratzinger organizzò una riunione presso il Palazzo del Sant’Uffizio “in materia delle questioni liturgiche” (1), ovvero per discutere sul problema liturgico in sé e contemporaneamente sul problema della Fraternità San Pio X.
1982. Esattamente un quarto di secolo prima del Summorum Pontificum. Durante quella riunione il Cardinale Ratzinger aveva ottenuto che senza eccezioni tutti i partecipanti (2) affermassero come un’evidenza di buon senso che “il messale romano, nella forma sotto la quale è stato usato fino al 1969, deve essere ammesso dalla Santa Sede in tutta la Chiesa per le Messe celebrate nella lingua latina”. I prelati in quell’occasione parlarono anche della questione della Fraternità San Pio X e valutarono che la sua soluzione doveva avere inizio con una visita canonica (che ebbe infatti luogo cinque anni dopo).
III – L’ALLEANZA RATZINGER/LEFEBVRE PER IL RAGGIUNGIMENTO DELLA LIBERTA’ LITURGICA
Le tappe del processo di liberazione della liturgia antica, processo tanto inaudito quanto la riforma Bugnini stessa, hanno contrassegnato il quarto di secolo che seguì questa presa di posizione del Cardinale Ratzinger. Nei fatti questo processo si è rivelato intimamente legato al regolamento canonico delle questioni concernenti la Fraternità San Pio X, anche se, ufficialmente, tutti vogliono considerare che si trattava di due faccende distinte.
a) Il 18 marzo 1984, il Cardinale Casaroli, Segretario di Stato, scrive (su impulso del Cardinale Ratzinger) al Cardinale Casoria, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, per chiedergli di preparare il primo atto della restaurazione dell’uso del messale tradizionale: “un divieto assoluto dell’uso di quel messale non può essere giustificato né dal punto di vista teologico, né da quello giuridico”. Il 3 ottobre 1984, il successore del Cardinale Casoria al Culto Divino, Monsignor Mayer, invia dunque ai presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo la circolare Quattuor abhinc annos, detta “Indulto del 1984″, che autorizzava le celebrazioni secondo il messale del 1962 “per il gruppi che lo chiedevano”.
b) Il 30 ottobre 1987, l’ultimo giorno dell’assemblea del Sinodo sulla “vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo”, il Cardinale Ratzinger annuncia che viene avviata una visita apostolica presso l’opera di Marcel Lefebvre. Dopo questa visita, svolta dal Cardinale canadese Édouard Gagnon, presidente del Consiglio per la Famiglia, hanno luogo in aprile e maggio 1988 delle negoziazioni tra il Cardinale Ratzinger e Monsignor Lefebvre che portano all’accordo del 5 maggio, fatto saltare alla fine da quest’ultimo – essenzialmente per la mancanza di garanzie sulla nomina e la data dell’ordinazione di un altro vescovo per la Fraternità. Successivamente Monsignor Lefebvre procede all’ordinazione di quattro vescovi a Écône il 30 giugno 1988. Come reazione, Roma pubblica il Motu Proprio Ecclesia Dei del 2 luglio 1988 che, condannando Monsignor Lefebvre, istituiva una Commissione pontificale per “facilitare la piena comunione ecclesiale” dei sacerdoti e dei religiosi legati al messale del 1962 e per supervisionare l’applicazione dell’indulto del 1984 da parte dei vescovi.
c) Nel gennaio 2002, l’accordo mancato del 1988 tra Monsignor Lefebvre e Roma ispira quello fatto a beneficio di Monsignor Licinio Rangel, successore di Monsignor de Castro Mayer alla testa della comunità tradizionale della diocesi di Campos. Viene creato un ordinariato personale e Roma accetta, nel giugno dello stesso anno, che venga designato un coadiutore per succedere automaticamente a Monsignor Rangel. Una comunità di più di 20.000 fedeli, una ventina di sacerdoti e altrettante scuole tornano dunque alla piena comunione con Roma conservando pienamente i propri usi liturgici preconciliari.
d) A coronamento di questo processo, il 7 luglio 2007, il Papa Benedetto XVI promulga il Motu Proprio Summorum Pontificum che restituisce a tutti i sacerdoti l’uso privato del messale del 1962 e invita i parroci a rispondere favorevolmente ai gruppi stabili di fedeli che ne vogliono beneficiare. Salutato dal superiore della FSSPX, Monsignor Fellay, questo testo, che ha valore di “legge universale della Chiesa” come precisato dall’istruzione Universæ Ecclesiæ, favorisce i contatti fra Roma ed Écône e permette, nel gennaio 2009, la rimozione delle scomuniche ai vescovi consacrati nel 1988.
IV – LA LIBERTA’ LITURGICA / LIBERTA’ TEOLOGICA: IL DISCORSO DEL LUGLIO 1988 DI JOSEPH RATZINGER SU MONSIGNOR LEFEBVRE
Nella nostra lettera francese del 4 giugno 2010 (lettre PL 233), relativa al libro di Monsignor Brunero Gherardini “Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare” (Casa Mariana Editrice, 2009), evocavamo un discorso molto importante pronunciato dal Cardinale Ratzinger il 13 luglio 1988 davanti ai vescovi del Cile e della Colombia (3). In questa allocuzione, il futuro papa, esaminava le responsabilità di ciascuno all’indomani delle consacrazioni episcopali da parte di Monsignor Lefebvre a Écône il 30 luglio 1988.
Quel discorso contiene due affermazioni fondamentali per comprendere l’attuale pontificato:
a) “La verità è che lo stesso Concilio non ha definito nessun dogma e ha voluto in modo cosciente esprimersi ad un livello più modesto, meramente come Concilio pastorale; certo, molti lo interpretano come se fosse quasi il superdogma che toglie importanza a tutto il resto”;
b) “Difendere la validità e il carattere obbligatorio del Concilio Vaticano II, nel confronto con Monsignor Lefebvre, è e continuerà ad essere una necessità”.
Da cui una difficoltà ancora irrisolta oggi e che ha pesato sulle recenti discussioni tra la FSSPX e Roma: quale “carattere obbligatorio” possono comportare degli insegnamenti per la fede espressi “ad un livello più modesto” rispetto al Credo?
Questo parallelo scioccherà alcuni, ma perché non applicare al Concilio ciò che il Santo Padre ha applicato alla liturgia? Per relativizzare il carattere di superliturgia della nuova messa il Papa ha in effetti ricordato con il Motu Proprio Summorum Pontificum che la messa antica non era mai stata vietata e ne ha reso libero l’uso (almeno teoricamente) ai sacerdoti ed ai fedeli.
V – I COMMENTI DI PAIX LITURGIQUE
1) La dichiarazione fatta l’11 maggio 1979 da Monsignor Lefebvre è stupefacente non solo in ragione della data, ma anche perché essa mette il prelato di Écône sotto una luce un po’ diversa da quella a cui siamo abituati. Niente di volutamente polemico o di rigido, ancor meno di settario, nelle sue parole del 1979. Esprime invece una speranza sulla vita concreta della Chiesa. E’ un “Lefebvre pastorale”, nel senso dato al termine dal Concilio, ma con un altro tenore: quello di un ecumenismo intra-ecclesiale appoggiato sull’esperienza concreta della libertà della messa tradizionale nelle parrocchie in vista di favorire il rinnovamento liturgico, spirituale e dottrinale.
Il fondatore della FSSPX testimonia la sua speranza di vedere la messa tradizionale divenire liberamente “la messa delle parrocchie, la messa delle chiese”. Certo, ammette che “ci saranno ancora delle difficoltà, ci saranno ancora discussioni, ancora opposizioni, e tutto quello che volete”. Ma mira all’essenziale, molto concretamente: “quella messa riprenderà il suo posto, il posto che forse non sarà ancora abbastanza”. Assegna poi alla sua opera una finalità tanto più forte per quanto sembri modesta: “il solo fatto che tutti i sacerdoti che lo desiderano potranno dire quella messa io credo già questo avrà delle conseguenze enormi sulla Chiesa. Credo che il nostro apporto sarà stato utile per arrivare a quel momento, se veramente arriverà”. E Monsignor Lefebvre prosegue, sviluppando il tema della coerenza liturgia/dottrina: “con la messa ci sono i sacramenti, con la messa c’è il Credo, con la messa c’è il catechismo, con la messa c’è la Bibbia, e tutto, tutto…”
2) Per quanto riguarda il processo di liberalizzazione iniziato dal Cardinale Ratzinger nel 1982, anch’esso fu assolutamente pastorale e concreto. Possiamo parlare, come per il dogma – ma in questo caso per ciò che concerne la liberalizzazione in pratica della messa detta oggi straordinaria -, di “evoluzione omogenea”:
:: La circolare Quattuor abhinc annos, del 3 ottobre 1984: La messa tradizionale può essere autorizzata dai vescovi, ma a certe regole e comunque non nelle chiese parrocchiali;
:: Il Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta del 2 luglio 1988: I vescovi sono invitati a dare il permesso alla sua celebrazione in modo (in teoria) largo e generoso nelle loro rispettive diocesi;
:: L’erezione dell’Amministrazione apostolica personale Saint-Jean-Marie-Vianney a Campos nel gennaio 2002: Essa può rappresentare la sorgente unica della vita eucaristica di un’intera comunità;
:: Il Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007: La decisione di celebrarla spetta ora (in teoria) ai parroci per le rispettive parrocchie. In particolare si dichiara che la messa antica non è mai stata abolita e la sua celebrazione diventa un diritto per tutti i sacerdoti di rito romano senza alcuna restrizione.
:: Logicamente un ultimo testo non potrà che intervenire un giorno per constatarne la libertà. Una libertà “normale”, secondo le parole del Cardinale Cañizares, di celebrare la messa straordinaria in tutte le chiese. La “messa di sempre” sarà diventata allora, per il rito romano, la “messa di ogni luogo”.
3) Sarà difficile che arrivi quest’ultima tappa, perché si è passati da un non-dogma del Vaticano II a un superdogma che si estende anche alla liturgia del Vaticano II; si è passati da un concilio non infallibile, che non riguarda questioni di fede, a un preteso “spirito del Concilio” tirannico che intende dogmatizzare anche le nuove forme del culto divino.
Alla fine è una sana libertà che occorre difendere, una vera libertà teologica, non per contestare il dogma cattolico ma per spiegarlo, per difenderlo e anche per farlo “progredire”, o meglio, per far progredire la sua giusta comprensione
Questa libertà è strettamente connessa ad una sana libertà liturgica, non da usare per ogni tipo di abuso, ma per illustrare, difendere e per far progredire la fede dei fedeli nella transustanziazione eucaristica, la fede nel sacrificio propiziatorio riprodotto dalla celebrazione della messa, la fede nel sacerdozio sacramentale e gerarchico istituito da Gesù Cristo.
Non è forse un paradosso che oggi sia liberamente permesso tutto, e solo una libertà sia imbrigliata, quella che vuole essere esercitata nei percorsi tradizionali, libertà che viene rifiutata da coloro che stringono ancora nelle mani le leve del potere, una libertà che è talmente inquadrata nelle loro regole da essere di fatto annichilita, e tutto ciò nel nome della “spirito” di un Concilio che si è considerato come un concilio “liberatore”?
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© 2013 La Paix Liturgique
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© 2013 La Paix Liturgique
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(1) “Nel 1982 neanche l’alleanza Ratzinger-Casaroli riuscì a sdoganare la Messa tridentina”, Il Foglio, 19 marzo 2006.
(2) Si trattava, oltre a lui stesso come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: dei Cardinali Sebastiano Baggio, Prefetto della Congregazione dei Vescovi; William W. Baum, arcivescovo di Washington; Agostino Casaroli, Segretario di Stato; Silvio Oddi, Prefetto della Congregazione del Clero; e di Monsignor Giuseppe Casoria, a quel tempo pro-Prefetto della Congregazione per il Culto e i Sacramenti.
(3) Monsignor Müller, nuovo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, ha iniziato, quando era vescovo di Ratisbona, la pubblicazione dell’opera completa di Joseph Ratzinger in 16 volumi. Tra i volumi pubblicati fino ad ora non troviamo traccia di questo discorso pronunciato il 13 luglio 1988, mentre la sua formulazione avrebbe potuto trovare posto nel tomo 7 sull’insegnamento del Vaticano II e la sua interpretazione come nel tomo 11 sulla teologia della liturgia. Segue…
(4) L’abbé Claude Barthe, “Rome/Fraternité Saint-Pie X : où en sommes-nous?”, in L’Homme nouveau, 5 gennaio 2013.
18 commenti:
a dire il vero, in parole poverissime (mi sbaglierò, ma provo a dar voce all'impressione del fedele medio, quello che da oltre 40 anni ha subìto docile e inerme le nefaste riforme),
parlare di "libertà liturgica" (+ libertà teologica), mi sembra un modo di continuare a favorire la falsa convinzione che si possa celebrare la Messa ognuno secondo i propri gusti, un po' sulla scia del "vietato vietare" che imperversa da quel fatidico 1969....o come dire, illudersi di poter "servire due padroni", credendoli entrambi meritevoli di uguale rispetto e devozione.
Il circolo vizioso della LIBERTA' RELIGIOSA promossa dal cv2, favorente la grande deriva indifferentista, rimane intoccato.
Perché la chiamate "Messa di sempre" se è cambiata diverse volte nella storia?
Edy
Condenso nelle linee essenziali, riflessioni precedenti:
Niente, neppure il Rito, è un ‘assoluto’: esso è un dono prezioso – il cui nucleo risiede nell’Ultima Cena e la cui attuale ‘forma’ che racchiude una ‘sostanza’ impareggiabile, è frutto della Rivelazione Apostolica trasmessa nei secoli e arricchita dalle esperienze di fede di generazioni di credenti – e, proprio in quanto tale va vissuto, custodito, difeso e trasmesso.
Alla forma extraordinaria molte anime credenti, lasciandone intatte le linee portanti, hanno solo apportato aggiunte marginali dettate dalla devozione sviluppatasi e consolidatasi nei secoli. San Gregorio Magno ha dato il maggior contributo, adoperandosi per l'unità liturgica e il suo perfezionamento. Fu l'ultimo ad intervenire sulle parti essenziali della Messa, modellate sul libro gelasiano che a sua volta dipende dalla collezione leonina. Le preghiere del nostro Canone sono nel trattato De Sacramentis. Ne troviamo riferimenti nel IV secolo. Col Concilio di Trento si è provveduto alla revisione dei Messali - giungendo al Messale di S. Pio V -, ma si è lasciata inalterata la forma della Messa. Del resto l'uniformità stessa che nel campo liturgico si riscontra presso le Comunità cristiane dei primi due secoli, suppone un principio d'autorità, un metodo d'azione, cioè una organizzazione primitiva che dovette far capo più che agli Apostoli a Cristo medesimo. Tutto questo non potrà mai essere né ignorato né sottovalutato.
Dice San Tommaso d’Aquino che la santificazione dell’uomo, avendo come scopo e termine il bene eterno della deificazione dell’uomo,
« è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra, la quale ha come termine un bene mutevole ».
La Liturgia, perciò, è l’Opus Dei per eminenza che dà il vero senso dell’eternità della persona.
Riporto le parole di Benedetto XVI nel Motu proprio Summorum Pontificum, pur affiancate all'uso del NO: « Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto.»
I cambiamenti indotti dalle innovazioni conciliari sono attribuibili al prevalere di una realtà virtuale costruita dall'uomo sulla Realtà, ritenuta non conoscibile dai filosofi del sospetto che hanno fatto il primo passo verso le paludi del relativismo ed, infine, del nichilismo; esiti che, purtroppo, non hanno risparmiato la Chiesa docente che se ne è lasciata contaminare. Da qui, l'eclissi del munus dogmatico che, deformato dall'ispirazione ‘pastorale’, ha introdotto novità persino nel munus sanctificandi del Novus Ordo Missae, non più Sacrificio del Signore ri-presentato al Padre e Sua Presenza in e per credenti adoranti partecipi e accoglienti ai piedi di un Altare, ma convivio fraterno di commensali festanti intorno ad una ‘mensa’.
Si sottolinea la “gioia” e la “festa”, che si vuole indurre anche attraverso la gestualità, esteriorizzando anziché interiorizzare, dimenticando che la gioia è dono e conseguenza di ciò che si conosce e sperimenta adorando, frutto dell'atto di volontà che conosce sceglie e partecipa e non del sentimento che crea e alimenta l'esaltazione indotta dalle danze intorno al “vitello d'oro” delle nuove costruzioni umane.
Sono proprio queste, per dirla col card. Ratzinger, che hanno “fatto a pezzi l'antico edificio”, conservandone solo dei brandelli che più passa il tempo più perderanno la residua saporosa sapienza strettamente legata all'armoniosa e insostituibile sintesi propria di una 'forma' liturgica extraordinaria perché autenticamente portatrice del fuoco del dogma e della Presenza di Colui che rinnova il suo “fiat” al Padre consegnandolo alla Sua Chiesa sino alla fine dei tempi.
segue
Sembra che si sia dimenticato che primaria funzione della liturgia è lo ius divinum al culto autentico che diventa, poi, il ‘luogo’ privilegiato in cui l'Actio teandrica ed eterna del Figlio opera sul credente e feconda la vita di fede e quella quotidiana. Le corrispondenti definizioni della Sacrosanctum Concilium e del Catechismo, de voce, smentiscono la rottura; ma, de facto, essa risulta drammaticamente e inequivocabilmente confermata dai molti raffronti tra le due diverse ecclesiologie e teologie inopinatamente compresenti nelle due ‘forme’ del rito nonché dai frutti raccolti nell'ultimo cinquantennio.
Purtroppo, le maggiori fonti di informazione che si dicono cattoliche, hanno spazio unicamente per l'orientamento egemone di segno non solo diverso ma addirittura avverso. Fin quando esse guarderanno con sospetto la Tradizione viva perenne mentre assentiranno solo a quella conciliare, che le appartiene ma non la sostituisce, le istanze della Tradizione saranno “voci che gridano nel deserto”, perché a farsi sentire e a dettar legge sono solo le grancasse moderniste e movimentiste accompagnate da mezzi e potere, che continuano a deturpare il volto del Corpo Mistico di Cristo in quanto di sacro e solenne Lui in persona, in una drammatica e rivoluzionaria Ultima Cena, ci ha consegnato e comandato di celebrare fino alla fine dei tempi e che ci è stato trasmesso, impreziosito e mirabilmente custodito da generazioni di credenti e di Santi.
Edy, non sono il più qualificato per risponderti, ma la Messa in se stessa non è mai cambiata. Il cuore è sempre lo stesso dai tempi di San Giustino e sicuramente anche prima (cioè da Nostro Signore in poi), i riti sono stati arricchiti nel tempo, ma la Messa Antica come minimo risale al XI secolo. Rispetto al Novus Ordo, il Vetus Ordo è sicuramente "la Messa di sempre".
Edy dovrebbe spiegare cosa intende per cambiamenti avvenuti diverse volte nella storia. Si riferisce alle diverse edizioni del messale, l'ultima delle quali risale al 1962? In questo caso non si tratta di cambiamenti ma di aggiornamenti del proprium necessari per la canonizzazione di nuovi santi o l'istituzione di nuove festività. O si riferisce al fatto, come più illustri interventi precedenti hanno già notato, che nei secoli sono state aggiunte alcune preghiere che in origine non c'erano? Questo è vero, ma se dovessi azzardare un paragone botanico direi che la Messa Antica, Tradizionale, Vetus Ordo, Usus Antiquior (in effetti personalmente la definizione "Messa di Sempre" non la amo molto...) è come un parco dove accanto agli alberi originari nei secoli sono stati piantati alcuni alberi nuovi, la Messa Novus Ordo è un parco dove si è entrati con le ruspe, si è spianato tutto e si è ripiantato con altri criteri.
Il punto è che i teologi e il liturgisti hanno chiaro il concetto di Tradizione. Voi invece sbagliate perchè avete una visione deformata della Tradizione.
Un piccolo contributo possono portarlo anche questi elementi salienti della Bolla "QUO PRIMUM TEMPORE" emanata da San PIO V, estremamente chiara su ciò che significa il termine Messa di sempre ("uomini di elevata dottrina hanno infine RESTITUITO il messale stesso NELLA SUA ANTICA FORMA SECONDO LA NORMA E IL RITO DEI SANTI PADRI") e sulla vera e propria ammonizione a "non aggiungere, detrarre né cambiare" alcunchè di quanto presente nel messale ("SE QUALCUNO AVRA’ L’AUDACIA DI ATTENTARVI, SAPPIA CHE INCORRERA’ NELL’INDIGNAZIONE DI DIO ONNIPOTENTE E DEI SUOI BEATI APOSTOLI PIETRO E PAOLO).
A questo punto, dopo aver letto anche solo questi passaggi della bolla, non si riesce proprio a capire come invece abbiano potuto metterci mano (e poi tanto pesantemente da stravolgere tutto): sarebbe bastata questa lettura a far tremare, e ad indurre quindi a rinunciare ad ogni modifica...:
Dalla Bolla "QUO PRIMUM TEMPORE" di SAN PIO V:
- Nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, così SOMMAMENTE CONVIENE CHE UNO SOLO SIA IL RITO DI CELEBRARE LA MESSA.
Per la qual cosa, abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza e integrità — quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo — e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, HANNO INFINE RESTITUITO IL MESSALE STESSO NELLA SUA ANTICA FORMA SECONDO LA NORMA E IL RITO DEI SANTI PADRI.
- LA MESSA, sia quella conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, NON POTRA’ ESSERE CANTATA O RECITATA IN ALTRO MODO DA QUELLO PRESCRITTO DALL’ORDINAMENTO DEL MESSALE.
- Con la presente nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto. STABILIAMO E COMANDIAMO SOTTO PENA DELLA NOSTRA INDIGNAZIONE, CHE A QUESTO NOSTRO MESSALE, RECENTEMENTE PUBBLICATO, NULLA MAI POSSA VENIRE AGGIUNTO, DETRATTO, CAMBIATO….
- Similmente, decretiamo e dichiariamo che LE PRESENTI LETTERE IN NESSUN TEMPO POTRANNO VENIR REVOCATE O DIMINUITE, MA STABILI SEMPRE E VALIDE DOVRANNO PERSEVERARE NEL LORO VIGORE
- NESSUNO DUNQUE, E IN NESSUN MODO, SI PERMETTA CON TEMERARIO ARDIMENTO DI VIOLARE E TRASGREDIRE QUESTO NOSTRO DOCUMENTO
- SE QUALCUNO AVRA’ L’AUDACIA DI ATTENTARVI, SAPPIA CHE INCORRERA’ NELL’INDIGNAZIONE DI DIO ONNIPOTENTE E DEI SUOI BEATI APOSTOLI PIETRO E PAOLO.
Pius Episcopus servus servorum dei ad perpetuam dei memoria
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno quattordici di luglio, nell'anno mille cinquecento settanta, quinto del Nostro Pontificato.
Testo integrale qui:
http://www.amiciziacristiana.it/quoprimum.htm
Il punto è che i teologi e il liturgisti hanno chiaro il concetto di Tradizione. Voi invece sbagliate perchè avete una visione deformata della Tradizione.
l'apodittico Anonimo che al solito non argomenta - e che peraltro considero un troll, ma a cui do' spazio per dire quel che va detto anche perché non è una voce erratica - ignora o finge di non sapere che non siamo noi ad avere un concetto deformato di Tradizione, ma è il concetto stesso (e la conseguente ambiguità terminologica) che è stato deformato dallo storicismo conciliarista. Repetita iuvant:
Attualmente il problema non è solo ermeneutico, è molto più profondo, perché vede di fronte due concezioni diverse del magistero, frutto di una vera e propria rivoluzione copernicana, collegata ad una nuova concezione di Chiesa nata dal concilio, che ha spostato il fulcro di ogni cosa dall’oggetto al soggetto.
1.La Tradizione bimillenaria della Chiesa poteva dirsi ‘vivente’ nel senso che trasmetteva secondo i bisogni di ogni generazione - ma curandone l'integrità nella sostanza: eodem sensu eademque sententia - il Depositum fidei della Tradizione Apostolica, fondamento oggettivo, dato per sempre, pur se sempre ulteriormente approfondito e chiarito nelle sue innumerevoli ricchezze. Esso ovviamente non esclude la soggettività che lo incarna in ogni epoca; ma la fonda e la forgia, non ne subisce l'evoluzione e dunque non ne è modificato;
2. La tradizione attuale si dice invece 'vivente', in senso storicistico, perché portatrice dell'esperienza soggettiva della Chiesa di oggi (che sarà diversa da quella di domani) essendo sottoposta all'evoluzione determinata dalle variazioni contingenti legate alle diverse epoche.
In tal modo viene conferita al magistero una prerogativa che non gli è propria: quella di essere sempre riferito al “presente”, con tutta la mutevolezza e precarietà propria del divenire, mentre la sua peculiarità è quella di essere, nel contempo, passato e presente, trasmettendo una Verità rivelata che, pur inverata nell’oggi di ogni generazione, appartiene all’eternità. Altrimenti cosa trasmette la Chiesa a questa generazione e a quelle future: solo un’esperienza soggettiva? Mentre le è proprio esercitare una funzione sempre in vigore, il cui atto è definito attraverso l'oggetto, ovvero attraverso le verità rivelate e tramandate.
Insomma è cambiato il cardine su cui si fonda la Fede, spostato dall'oggetto-Rivelazione al soggetto-Chiesa/Popolo-di-Dio pellegrina nel tempo e di fatto trasferito dall'ordine della conoscenza a quello dell'esperienza. È il frutto della dislocazione della Santissima Trinità, come illustra 'sapientemente' Romano Amerio:
« Alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo, e questo attacco rimanda ultimamente alla costituzione metafisica dell’ente e ultimissimamente alla costituzione metafisica dell’Ente primo, cioè alla divina Monotriade. [...] Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade ».
Intuibile il sovvertimento della realtà che ne deriva. Ne abbiamo parlato anche di recente.
Signora mic, non concordo condivido il punto 1 del suo commento, ma non posso condividere il 2 e le opinioni di Amerio. Secondo me, ciò che lei pensa dei teologi attuali è errato. A volte si possono fare battaglie ideologiche basate su opinioni errate. Questo è il mio pensiero. Grazie.
Signor Anonimo,
premesso che i teologi attuali non esauriscono l'intero orizzonte teologico, se lei ritiene errato quanto ho espresso, correttezza e onestà intellettuale - unite ad un serio impegno - vogliono che me lo dimostri sviluppando e sostenendo gli argomenti contrari.
E dimostrare anche che la Tradizione bimillenaria della Chiesa (che non esclude il concilio ma è solo oscurata e contraffatta da alcuni suoi punti controversi) è una ideologia e non portatrice di linfa vitale per tutte le generazioni.
Sono problemi che si risolveranno pian piano col tempo, quando i protagonisti,noi qui, non ci saremo piú e rimarranno gli altri, cresciuti col nuovo ordo, che non ricorderanno nemmeno i termini del nostro argomentare.
"Sono problemi che si risolveranno pian piano col tempo, quando i protagonisti,noi qui, non ci saremo piú e rimarranno gli altri, cresciuti col nuovo ordo, che non ricorderanno nemmeno i termini del nostro argomentare".
E' un discorso che poteva avere un senso nel 1970. Ricordo che il Novus Ordo esiste da 45 anni, e la maggioranza delle persone oggi viventi è cresciuta con esso. Anch'io sono cresciuto con il Novus Ordo. Eppure il problema non è affatto chiuso, e sta' tranquillo che non lo sarà fra altri 45 anni.
"Sono problemi che si risolveranno pian piano col tempo, quando i protagonisti,noi qui, non ci saremo più..."
Anonimo delle 15.53, devi essere senz'altro un tipo eccezionale. Ma perché, tu avresti forse argomentato qualcosa?
Di fronte a qualsiasi obiezione o richiesta di portare almeno uno straccio di prova alle tue assurde dichiarazioni, te ne esci con un banale "chi vivrà vedrà". Cerca di essere più serio. O, in alternativa, datti all'ippica. Grazie.
"Che non ricorderanno nemmeno i termini del nostro argomentare."
Se continua così, nella Chiesa e nella società, è assai probabile, Anonimo. E agghiacciante.
Aggiungo: non si saprà più neppure il significato del verbo "argomentare" e, a maggior ragione, nessuno saprà più farlo. Brividi ed emozioni, tenerezza e abbracci, a coprire la ferocia della realtà costruita dalle nostre mani.Idoli.
Ma la nostra è la religione del Logos cioè della Verità che si manifesta nella Caritas.
Caritas in veritate: senza Logos l'amore è illusione impotente. Consolazione a buon mercato, inganno. Se Cristo non è la Verità io, a differenza di Dostoevskij, non so che farmene.
Edy, anche io sono cambiato parecchio durante la mia (in confronto) breve storia, eppure tutti continuano a chiamarmi con lo stesso nome. Infatti, come la Messa di sempre, io sono un organismo vivente. Non sono un Frankenstein assemblato in laboratorio da uno scienziato pazzo usando pezzi di cadaveri, come il Novus Ordo.
Comunque, se posso, la Tradizione non è un un concetto (diceva Anonimo nel su primo intervento che " i teologi e il liturgisti hanno chiaro il concetto di Tradizione").
Un concetto presuppone una idea, che a sua volta è qualche cosa di legato ad una persona, ed infatti in questo modo si ritorna alla impostazione soggettiva-idealistica della modernità, con tutti i suoi problemi.
La Tradizione è Parola di Dio, in quanto Rivelazione, e che precede l'altra parte della Stessa ovvero la Sacra Scrittura. Quindi non un concetto ma una Realtà a cui bisogna conformarsi e non invece qualche cosa su cui farsi una opinione. Questo il punto.
Concordo con Fabiola nel definire agghiacciante la profezia del medesimo Anonimo circa l'oblio in cui dovrebbe cadere il deposito bimillenario consegnatoci da Nostro Signore e trasmessoci (tradere - Tradizione) dalla Chiesa, ma questa previsione, in forza appunto della Rivelazione e delle promesse del Signore, è una falsa profezia che mai si compirà, infatti il depositum Fidei si manterrà intatto ed inalterato anche solo presso un piccolo gregge, il pusillus grex. Perciò agghiacciante è il fatto che si possa arrivare a certe storture.
"Sono problemi che si risolveranno pian piano col tempo, quando i protagonisti,noi qui, non ci saremo piú e rimarranno gli altri, cresciuti col nuovo ordo, che non ricorderanno nemmeno i termini del nostro argomentare."
Questo è il pensiero di coloro che, negli anni '70, pensavano che le nuove generazioni non avrebbero apprezzato il Vetus Ordo, che mai avevano conosciuto. Oggi, a 45 anni di distanza, la realtà si mostra ben diversa da queste previsioni, e la rabbia di molti sacerdoti, religiosi e semplici cristiani sessantottini, ormai inesorabilmente anziani, è proprio quella di vedere che la maggior parte dei seminaristi, dei novizi e dei giovani preti apprezza ciò che è legato alla tradizione. Nonostante qualche battaglia di retroguardia (vedasi il commissariamento dei Francescani dell'Immacolata) presto, grazie all'inesorabile volgere del tempo, cesserà l'orgia dei novatori.
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