Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 20 novembre 2013

Mons. Francesco Moraglia. Chiese tra culto e cultura

Il testo che segue può apparire come un monito al recente progetto, evidentemente avallato dalla diocesi di Milano, di costruire un ristorante tra le guglie del Duomo in vista dell'Expo 2015. Se fronteggiare  la tendenza all'accesso a pagamento nelle Chiese e “soprattutto recuperare il senso del sacro, del mistero e dell’adorazione è essenziale”, come ricorda Moraglia e la recente disposizione della CEI di cui egli riporta i punti principali, non mancano tuttora in tutta Italia (da Firenze, a Verona a Siena e spero che almeno a Venezia non accada più) e mi risulta anche in Spagna, gli ingressi a pagamento ai luoghi di culto che custodiscono opere d'arte. Ora, prevedere una terrazza-bar in un contesto sacro, se non è simonia o sacrilegio è svilimento e contribuisce sempre più alla crescente desacralizzazione non solo liturgica, che è il fulcro di tutto il resto.
Tacerà anche su questo il papa della “Chiesa dei poveri”, la cui parola è certamente più autorevole di quella dei vescovi (o almeno dovrebbe esserlo)?

Versione testuale dell'intervento completo del Patriarca di Venezia al convegno "Chiese tra culto e cultura" (Museo diocesano di Venezia, 24 ottobre 2013)

Saluto cordialmente tutti i presenti; ringrazio gli organizzatori del Convegno e in modo particolare l’architetto don Gianmatteo Caputo, direttore del Museo diocesano e dell’Ufficio per la Pastorale del Turismo e la Promozione dei Beni Culturali del Patriarcato di Venezia.
 Quest’incontro - che raduna i responsabili e gli esperti di diverse diocesi per riflettere sul tema “Chiese tra culto e cultura” - consente di soffermarsi su un argomento che ho già avuto modo di trattare nell’introduzione al calendario liturgico diocesano dell'anno pastorale che sta per concludersi e che è stato segnato dalla celebrazione dell’Anno della Fede, a 50 anni dalla solenne inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Il tema concerne l'uso delle chiese, nate e pensate per rendere culto a Dio e, nello stesso tempo, plasmate di arte e bellezza che le rendono oggetto di attenzione e fruizione da parte di numerosi visitatori (a Venezia 25.000.000 ogni anno). Come recita il tema del convegno, le nostre chiese si trovano realmente tra culto e cultura.

Il grande evento ecclesiale del Concilio Vaticano II aveva richiamato - nella costituzione Sacrosanctum Concilium - la centralità della liturgia, che è la ragione d'essere d’ogni edificio di culto, spazio in cui si riunisce il popolo di Dio: “…le fatiche apostoliche sono ordinate a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, partecipino al sacrificio e mangino la cena del Signore” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum concilium, n. 10).

“Liturgia”, etimologicamente, richiama i sostantivi “popolo” e “azione”; il suo significato principale consiste nell’essere “azione” in favore del popolo, “azione” compiuta da Dio in favore del suo popolo.
Come popolo di Dio e, in esso, come pastori (e, quindi, con un compito peculiare di servizio e di guida), abbiamo la responsabilità di far sentire che i luoghi del celebrare sono orientati a questo e in questo trovano la loro specificità.
L'“azione” liturgica, fin dall’antichità - com’è logico -, ha cercato di compiersi in un contesto che fosse il più possibile idoneo, uno spazio degno che non si qualificasse unicamente dal punto di vista funzionale.

Il Concilio, ancora, ricorda: “Nella costruzione poi degli edifici sacri ci si preoccupi diligentemente che siano idonei a consentire lo svolgimento delle azioni liturgiche e la partecipazione attiva dei fedeli” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum concilium, n. 124).
E' in questa prospettiva che ogni chiesa, anche quando l'azione liturgica non è in atto, attraverso la sua struttura e la sua concretezza la evoca; ne costituisce un segno-simbolo non solo didascalico ma quasi “memoriale”.

La destinazione d'uso plasma le nostre chiese, che sono configurate e dimensionate in maniera adeguata quando corrispondono alla sapiente trascrizione in superfici e volumi dello stesso rito, anche nella sua attualizzazione; per questo si tratta di luoghi non disponibili in senso stretto per altro oper scopi differenti da quelli per cui sono stati pensati,  progettati e costruiti.

In passato ho avuto modo di sottolineare come talune proposte che, inizialmente, si presentano in termini catechistici e di itinerario spirituale o liturgico poi, forse al di là della volontà iniziale, si dispiegano invece secondo modalità che finiscono per rispondere ad altre logiche.
A tal proposito bisogna annotare come una riduzione alla sola dimensione culturale artistica architettonica dei luoghi di culto rischia di alterarli in parte o in tutto nel loro significato, poiché li priva dell'orizzonte immateriale che costituisce la ragione ultima per cui sono stati costruiti.
Deve, pertanto, essere sempre mantenuto vivo il rapporto con il mistero anche in coloro che non condividono il dono della fede e si avvicinano ai capolavori delle nostre chiese in una prospettiva solo culturale. Sta a noi offrire l'opportunità di aprirsi alla Relazione e alla Trascendenza.

Lo spazio sacro di una chiesa - nata per il culto - deve rimanere riferito all’azione liturgica o a momenti che, direttamente o indirettamente, preparano o seguono tali azioni, così come esse si pongono nella celebrazione o in rapporto ad essa e, comunque, in rapporto alla nuova evangelizzazione attraverso veri e non strumentali cammini catechistici e spirituali a partire dalle superfici, dai volumi, dalle forme e dai materiali.

E’ essenziale che ogni uso delle chiese differente da quello liturgico - o strettamente espressivo di questo - sia regolamentato e si svolga sotto la guida dei competenti organi e uffici diocesani che, in tale ambito, diventano gli unici garanti affinché tutti, anche quanti vengono definiti  “lontani”, possano fruire in modo reale del patrimonio di fede e di cultura cristiana e si eviti ogni possibile deriva.
Tale iniziativa pastorale deve presentarsi come azione della Chiesa locale nella quale il vescovo e il presbiterio, insieme ai laici, mostrano il volto di una comunità accogliente ma ben radicata nella testimonianza e nell’annuncio di fede.

Secondo l’antica ecclesiologia di comunione - ripresa autorevolmente dal Concilio Vaticano II - il vescovo (sacerdozio di primo grado) e i presbiteri (sacerdozio di secondo grado), nell’unità del sacerdozio ministeriale, si appartengono reciprocamente e insieme alle altre componenti del popolo di Dio (sacerdozio universale) - compresi i carismi di particolare consacrazione - nella comunione col vescovo di Roma rendono presente, qui e ora, la Chiesa universale.
Soprattutto in una città come Venezia - meta ogni anno di milioni di visitatori da tutto il mondo - le chiese devono essere espressioni percepibili di questa comunione che nell'eucaristia è la ragione ultima dei nostri luoghi di culto e che in essa trovano il loro fondamento.

Nulla, comunque, viene tolto a esperienze in cui la comunicazione della fede può avvalersi anche delle chiese, sebbene al di fuori delle celebrazioni, ma ciò deve avvenire nella ricerca della comunione ecclesiale garantita, in ultima istanza, dal vescovo e mai al di fuori di essa.

Ciò rende ancora più chiaro il riferimento alla chiesa come luogo della celebrazione e della presenza di Cristo che, ovviamente, fa riferimento, innanzitutto, alla celebrazione e alla presenza eucaristica (cfr (Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosanctum concilium, n. 7). E così si manifesta anche come il luogo, per eccellenza, dell’incontro e della comunione.

Se la struttura del rito, i momenti liturgici, i “percorsi” celebrativi, sono riferimenti che caratterizzano l’edificio sacro (cfr. Servizio Nazionale per l’edilizia di culto, Seminario 12-13 giugno 2012), la fruizione dello stesso non può conseguentemente prescindere da questi elementi; non è pensabile, quindi, che le nostre chiese vengano visitate come se fossero musei e non compie un servizio veritativo a favore della comunità cristiana chi, in qualsiasi modo, incoraggia tale prospettiva.

Rimando a quanto il Consiglio permanente della Cei ha fissato in un’apposita nota del 31 gennaio 2012 sull'accesso nelle chiese e che mi preme, in questa sede, ricordare:
  1. Secondo la tradizione italiana, è garantito a tutti l'accesso gratuito alle chiese aperte al culto, perché ne risalti la primaria e costitutiva destinazione alla preghiera liturgica e individuale. Tale finalizzazione è tutelata anche dalle leggi dello Stato.
  2. La Conferenza Episcopale Italiana ritiene che tale principio debba essere mantenuto anche in presenza di flussi turistici rilevanti, consentendo l'accesso gratuito nelle chiese nelle fasce orarie tradizionali, salvo casi eccezionali a giudizio dell'Ordinario diocesano. Le comunità cristiane, pertanto, s’impegnano ad assicurare l'apertura delle chiese destinate al culto, in special modo quelle di particolare interesse storico e artistico situate nei centri storici e nelle città d'arte, sulla base di calendari e orari certi, stabili e noti.
  3. Le comunità cristiane accolgono nelle chiese come ospiti graditi tutti coloro che desiderano entrarvi per pregare, per sostare in silenzio e per ammirare le opere d'arte sacra in esse presenti.
  4. Ai turisti, che desiderano visitare le chiese, le comunità cristiane chiedono l'osservanza di alcune regole riguardanti l'abbigliamento e lo stile di comportamento e soprattutto il più rigoroso rispetto del silenzio, in modo da facilitare il clima di preghiera: anche durante le visite turistiche, infatti, le chiese continuano a essere case di preghiera.
  5. In presenza di flussi turistici molto elevati gli enti proprietari, allo scopo di assicurare il rispetto del carattere sacro delle chiese e di garantire la visita in condizioni adeguate, si riservano di limitare il numero di persone che vengono accolte (con il cosiddetto “contingentamento”) e/o di limitarne il tempo di permanenza.
  6. Deve essere sempre assicurata la possibilità dell'accesso gratuito a quanti intendono recarsi in chiesa per pregare e deve essere sempre consentito l'accesso gratuito ai residenti nel territorio comunale.
  7. L'adozione di un biglietto d'ingresso a pagamento è ammissibile soltanto per la visita turistica di parti del complesso (cripta, tesoro, battistero autonomo, campanile, chiostro, singola cappella, ecc.), chiaramente distinte dall'edificio principale della chiesa che deve rimanere a disposizione per la preghiera.
Alla luce di tali indicazioni ed orientamenti si tratta di trovare le modalità che realizzino tali obiettivi senza condizionamenti di tipo funzionalistico o commerciale. Se, infatti, dismessa la capacità di percezione del linguaggio simbolico-liturgico, ci si interroga sulle opportunità d’uso dell’edificio sacro a prescindere da tale capacità, tutto può essere ritenuto compatibile ad esso.
L’instaurarsi di tale mentalità non può che facilitare un utilizzo inadeguato degli spazi sacri e favorire scelte improprie. Per fronteggiare tale tendenza è essenziale ricuperare il senso del sacro, del mistero e dell’azione liturgica.

Non solo nella nostra diocesi, ma anche in molte altre, il numero di luoghi di culto è superiore alle esigenze delle comunità liturgiche e la loro ricchezza, in termini di beni culturali, richiede competenze e contributi economici ben superiori a ciò di cui possono disporre le Chiese locali e lo Stato. E quanto, di primo acchito, viene percepito come problema deve diventare opportunità, evitando derive e criteri consumistici.

Ora, come accade con la liturgia quando non è in grado di “unirci” al mistero e decade a semplice azione umana, allo stesso modo con i nostri luoghi di culto, se si separano nella forma o nelle modalità di fruizione da ciò per cui sono stati strutturalmente pensati, si finisce per sancire, nei fatti, una desacralizzazione.

Come l’azione liturgica può esser segnata da una gestualità non consona o da linguaggi e toni non appropriati, così anche gli spazi di culto, a loro volta, non devono essere segnati da progetti, eventi e percorsi culturali non rispondenti alla specificità del luogo e quindi, non in grado di veicolare - anche al di fuori dell’azione liturgica - il mistero che si dona a noi in Cristo.

La Congregazione per il Culto Divino aveva proposto, già dal 1987, alle Conferenze episcopali alcuni elementi di riflessione e interpretazione delle norme canoniche circa l'esecuzione, nelle chiese, dei diversi generi di musica: musica e canto per la liturgia, musica di ispirazione religiosa, musica non religiosa.
Il richiamo al principio che l’utilizzazione delle chiese non deve essere contraria alla santità del luogo determina il criterio secondo il quale si deve aprire la porta della chiesa a un concerto di musica sacra o religiosa e non ad ogni specie di musica. Anche la più bella musica sinfonica, per esempio, non è di per sé religiosa; tale qualifica deve risultare esplicitamente dalla destinazione originale e dal contenuto (intrinseco) dei testi musicali e dei canti.
Anche in questi casi, come nei precedenti, la procedura volta ad concedere l’autorizzazione non dev’essere considerata “burocrazia” ma espressione di un “sentire” ecclesiale che svela come anche una concessione d'uso particolare possa essere connotata dalla prospettiva della carità pastorale.

E' importante ricordare che, a Venezia, vi sono problemi conservativi urgenti che riguardano molte chiese e che il loro numero (un centinaio in città e oltre 200 nell'intera Diocesi) richiede una riflessione su una razionalizzazione del loro ruolo liturgico e pastorale, spesso anche a fronte di una innegabile flessione demografica, specie del centro storico.

Sarà necessario individuare gli edifici che, effettivamente, non rispondono più ai bisogni pastorali ed è compito della Chiesa locale  individuare soluzioni e proposte per rendere “utili” anche alla stessa collettività quei luoghi, ma senza far perdere la loro dimensione simbolica in nome di un funzionalismo e di una polivalenza che non solo li impoverisce ma addirittura li snatura.

In tal caso i segni non avrebbero più la forza di parlare, perderebbero la loro eloquenza e, quindi, non sarebbero più strumenti espressivi di relazionalità ma di una mera funzionalità. Non va mai dimenticata, inoltre, la partecipazione affettiva dei fedeli e degli abitanti dei luoghi che hanno segnato la loro storia personale e comunitaria. E' stridente, nel caso di alienazioni, vedere attività commerciali o profane nel luogo in cui sono stati battezzati i propri genitori o si è costituita la propria famiglia nella celebrazione del matrimonio o, ancora, si è dato l’estremo saluto ai propri cari.

Il cardinale Martini - nella Lettera pastorale per l'anno 1999/2000 intitolata “Quale bellezza salverà il mondo?” - diceva, a proposito della bellezza, che non dobbiamo intenderla come una proprietà solo formale ed esteriore ma, piuttosto, come proprietà dell’essere a cui rimandano i termini “gloria” - la parola biblica che meglio dice la "bellezza" di Dio in quanto manifestata a noi -, “splendore”, “fascino”; si tratta di ciò che suscita attrazione gioiosa, sorpresa gradita, dedizione fervida, innamoramento, entusiasmo; è quanto l’amore scopre nella persona amata, che s’intuisce come degna del dono di sé e per la quale si è pronti a uscire da se stessi e mettersi liberamente in gioco.

E’ auspicio comune che le nostre chiese, universalmente riconosciute per la loro bellezza, continuino a esprimere questa loro “peculiarità” e che quanti ne hanno la cura non si lascino condizionare da logiche estranee al progetto liturgico-artistico che originariamente le ha plasmate.
L’Anno della Fede aiuti pastori e fedeli a riscoprire la verità di ogni segno, anche quello dell’edificio-chiesa.  

9 commenti:

Anonimo ha detto...

La storia è piena di non credenti che sono entrati in una chiesa per curiosità, per una sosta, per prendere un po’ di fresco, per ammirare un quadro e ne sono usciti folgorati, convertiti. Avverrà lo stesso se la chiesa diventa un museo nel quale si entra pagando un biglietto?

Anonimo ha detto...

A Londra per entrare a St.Paul, si pagano 20 sterline a cranio, in Spagna paghi per vedere le stanze dei tesori, ex voto e donazioni preziose, ivi compresi oggetti liturgici di materiali preziosi, tralascio elegantemente di parlare di Firenze e tutta la Toscana, che è meglio stenderci un velo pietoso.....

mic ha detto...

In Spagna, almeno fino all'anno scorso, si paga anche per visitare la cattedrale di Valencia.

rosa ha detto...

ma paghi anche se entri per assistere ad un service o ad una messa?
rosa

Anonimo ha detto...

A St.Paul alle 'messe' loro non fanno entrare i papisti, hai voglia dire roman catholic, sempre la stessa risposta,'Papists are not allowed' end of problem, quando la chiesa è vuota, 20 pounds, please, one by one....per la torre di Londra ed il tesoro reale e giro delle mura, 60 pro capite, il British museum, grazie alle 'generose' donazioni' del Partenone, però e gratis, come tutti gli altri musei, tenuti per altro benissimo....

Anonimo ha detto...

Mas quem é o arcebispo de Milano ?

rosa ha detto...

beh, anni fa preferii assistere ad un service in westminster per riuscire ad entrare a vederla, perche' l' orario delle visite era molto ristretto. era allora gratis.
fu cosi che mi accorsi di come il loro service non fosse molto diverso dal nostro NO. ma ai tempi non sapevo quel che so adesso, grazie a Mic ed altri
Rosa

Moretto ha detto...

Come funziona una "riqualificazione" di una chiesa "alla veneziana" dimostra l'esempio di Sant'Antonin. Chiesa sconsacrata, restaurata perfettamente, presentazione del restauro circa due anni fa (non mi ricordo più, ma ho tolto il libro fatto in tale occasione) fatta dal sopraddetto Caputo (non voglio neanche chiamarlo don), che era contentssimo, anzi fiero, che tutti i crocifissi erano stati tolti dall'edificio. Da allora in poi quasi sempre chiusa, tranne quest'estate, quando fu allestito una mostra schifosa di Ai Weiwei.
.
Se possiamo ritenere S.Antonin frutto dell'eredità pesantissima di S.Eminenza il card. Scola, il personale responsabile è purtroppo rimasto al suo posto anche sotto Mons. Moraglia.

veneziano ha detto...

Moretto sparla.
Facile moralismo da tastiera.
Sparla.
Si ricordi che sul web rimane tutto.