Ciò che non c'è più nella Messa, scompare inevitabilmente anche dalla vita cristiana. È solo questione di tempo, e nemmeno molto.
Così è stato con l'ultima riforma liturgica: i “vuoti” del rito sono diventati “vuoti” del nuovo cristianesimo.
Ne vorremmo sottolineare uno tra tutti: la scomparsa del submissa voce per il prete, che corrisponde all’assenza del silenzio per i fedeli. Ci sembra questo uno dei punti che più evidentemente indicano un cambiamento radicale nel rito cattolico. D'altronde è questo che soprattutto appare come scandaloso, per i fedeli che oggi si imbattono nella Messa tradizionale: le lunghe parti in cui il sacerdote, specialmente nel canone, pronunciando le parole sottovoce, non fa sentire alcunché ai fedeli, obbligandoli al silenzio.
Più volte abbiamo constatato che è questo a far problema, più dell'uso del latino.
Eppure questo è un aspetto determinante, che se eliminato, cambia tutto non solo nella messa, ma nel cristianesimo stesso.
Il submissa voce, il sottovoce per il prete e il corrispondente lungo silenzio per i fedeli, “incastra” prete e fedeli alla fede, senza appoggi umani. Il sacerdote all'altare deve stare di fronte a Dio, ripetendo sottovoce le parole di Nostro Signore, rinnovando il Sacrificio del Calvario. È un rapporto diretto, personale, intimo con Dio; certo mediato dalla consegna della Chiesa, che custodisce e trasmette le parole che costituiscono la forma del sacramento, ma che in quell'istante non si posa sull'umano della Chiesa, ma sul miracolo della grazia. Così facendo il prete, nel rito tradizionale, immediatamente insegna ai fedeli che ciò che conta è Dio stesso, la sua azione, la sua salvezza, e che queste ci raggiungono personalmente.
La nuova messa non è così, è tutta comunitaria. Il prete in essa, oltre ad essere tutto rivolto ai fedeli, opera come colui che narra ai fedeli ciò che il Signore ha fatto nell'ultima cena: racconta ai fedeli le parole e i gesti del Signore, così che l'azione sacramentale che ne scaturisce appare tutta mediata dall'attenzione che questi ultimi vi devono mettere. Scompare così per il prete il rapporto personalissimo con Dio nel cuore della messa cattolica, il canone, sostituito da questo estenuante rapporto con chi è di fronte all'altare. La nuova forma della messa comunitaria ha così trasformato il sacerdote, gettato in pasto all'attivismo più sfiancante, che è quello di farsi mediare la fede e il rapporto con Dio sempre dai fedeli. La nuova messa ha prodotto un nuovo clero non più aiutato a stare con Dio, non più ancorato all'atto di fede.
Il continuo dialogo nella messa, tra sacerdote e assemblea, ha anche modificato la concezione di Chiesa: oggi pensiamo la Chiesa come nascente dal basso, dal battesimo e quindi dal popolo cristiano; non la pensiamo più come realmente è, nascente dall'alto, da Dio, dal sacramento dell'Ordine. Chi pensa che la Chiesa sorga dal battesimo, non sopporta più quel prete all'altare, che sottovoce pronuncia le parole che costituiscono il miracolo del sacramento.
Anche i fedeli sono direttamente rovinati dal nuovo rito perché, continuamente intrattenuti dal parlare del prete, hanno disimparato anch'essi a stare di fronte a Dio. Così Dio stesso si trova sostituito dall'assemblea celebrante, che diventa ingombrante ostacolo nell’educazione al personale atto di fede.
In questi ultimi tempi si è tentato nella messa moderna di correre ai ripari, cercando invano di reintrodurvi un po' di silenzio, collocato dopo la lettura del Vangelo, ma anche questo espediente rivela la gravità della nuova posizione. Questo silenzio reintrodotto, solitamente brevissimo, è un silenzio di riposo umano, di meditazione: esso è di tutt'altra natura rispetto a quello prodotto dal submissa voce. Il submissa voce produce un silenzio che avvolge il rapporto intimo del sacerdote con Dio, che dà la sua persona affinché accada l'azione divina che salva. Il silenzio del submissa voce è incentrato sull’azione di Dio e non sulla meditazione dell’uomo, ed è uno dei più grandi richiami al primato della vita soprannaturale, al primato della grazia.
Non c'è nulla da fare, occorre tornare alla Messa di sempre, per tornare alla centralità dell’atto di fede, personale risposta all'azione di Dio.
Sacerdoti e fedeli non possono resistere di fronte al mondo, se non sono costituiti in forza da questo rapporto personalissimo, che nessuna assemblea può sostituire.
L'alternativa? Un agnosticismo pratico, un dubbio di fede pratico, un sospeso dell'anima, riempito dalle parole di un'assemblea che intrattiene per non far pensare.
Osiamo dirlo: la nuova messa, tutta ad alta voce, tutta narrazione e predica, ha cullato i vari agnosticismi, dei preti e dei fedeli, non fermando il dramma dell'apostasia, cioè dell'abbandono pratico della vita cristiana. Ha illuso, dando, nel migliore dei casi, un po' di calore umano a buon mercato, diseducando a una posizione di fede vera, assolutamente necessaria per attraversare la battaglia di questa vita.
Torniamo alla Messa tradizionale, prima palestra del cristianesimo, quello vero.
3 commenti:
Profondamente, drammaticamente vero!
Dentro di me da una parte sento che i concetti espressi nell'editoriale sono interessanti, logici, fondati. Dall'altra parte sono titubante, perché ci rifletto e penso alle Messe cui ho partecipato nella mia vita. E penso che non sono state tutte uguali. L'edificazione che si trae dalla partecipazione alla S. Messa, secondo me, varia anche a seconda di COME il Sacerdote la celebra. Ho partecipato a bellissime Messe,NO,con il sacerdote che trasmetteva(dai paramenti,alle incensazioni,al linguaggio del corpo) una profonda cura liturgica,un grande raccoglimento,un grande senso del sacro.Un sacerdote di mia conoscenza, che celebra anche VO, abitualmente in Parrocchia celebra la S.Messa N.O.,in italiano,recitando il canone sottovoce fino al "per tutti i secoli dei secoli".Sono scelte "ibride"? Oppure accorgimenti che dimostrano che non sempre il N.O.,di per sé e sempre ed ineludibilmente,toglie senso del sacro e verticalità?Se si legge la Pascendi o la Humani generis, si capisce- secondo me- che anche con la Messa VO, vi erano gravissimi errori e guasti all'interno della Chiesa,di ordine teologico e inerenti la fede. S.Pio X fu profetico,perchè vide in anticipo i mali,che evidentemente non erano debellati dalla Messa V.O. E' però dall'altra parte anche vero che- come denunziò Benedetto XVI, le cause della crisi della fede poggiano nel "crollo della Liturgia". Ritengo che come fu impostato da Benedetto XVI,il discorso sia più equilibrato e abbia meno rischi di cadere nell'"ideologico". Perché,se non si dice "tutto" (e ciò che anche una Messa N.O.,se correttamente e santamente celebrata da un prete serio e pio,ha verticalità,sacralità,e risulta assai edificante,oltre ad essere pienamente valida),secondo me si rischia di non fare un buon servizio alla verità.Un ultimo aspetto: con l'infiltrazione (io la do per assodata) neo-modernista, massonica, e secondo me anche di "falsi vocati ed infiltrati" tra le fila del clero,la recita "submissa voce" del canone, non potrebbe aumentare il pericolo di invalidità e di "false consacrazioni"? Ricordo che nel Dialogo della Divina Provvidenza Santa Caterina viene illuminata dal Padre circa l'esistenza di questa sacrilega pratica,specie da parte dei sacerdoti in stato di peccato mortale incancrenito, che esponeva i fedeli inconsapevoli ad una sorta di "idolatria di fatto", adorando ciò che non è il Corpo e Sangue di Cristo, e privandoli dell'alimento eucaristico.In tempi come gli attuali,di crollo della fede e della disciplina,il "submissa voce" portato ad esser "regola generale" (e non invece corrispondente alla particolare devozione e desiderio del sacerdote pio e attento alla tradizione),non potrebbe finire per essere un ulteriore indebolimento dell'Eucaristia,ed aiuto per i malvagi a compiere abusi e profanazioni? Scusate la pesantezza dell'argomento, ma è un pensiero secondo me legittimo...più che altro una mia paura.
Mi permetto di intervenire all'intervento. Secondo quanto posso capire, la Messa N.O. dipende molte delle disposizioni soggettive del sacerdote, di fatto è lui l'animatore, il presidente. La Messa V.O. si caratterizza per la sua propria oggettività, con determinati simboli, gesti, posizioni, ecc. né più né meno. Nella Santa Messa si tiene molto conto della retta intenzione del sacerdote nel fare ciò che fa la Chiesa, nel fare oggettivamente ciò che fa la Chiesa, e questo viene espresso nelle parole scritte e nelle rubriche. Che un sacerdote liberale e gnostico celebri la Messa V.O. e dica a voce bassa il canone non toglie l'oggettività di tale Messa e nemmeno toglie la fede oggettiva dei fedeli. In un tale caso pecca il sacerdote se non ha la retta intenzione non solo di fare ciò che fa la Chiesa, ma di non voler capire il senso oggettivo delle parole della consacrazione. Nella Messa N.O. mi sembra che il pronunciare il canone in modo udibile all'assemblea dipenda piuttosto di come il sacerdote si faccia capire per provocare devozione nei fedeli, pertanto di richiama alla soggettività di una e dell'altra parte. Ora, un sacerdote pio e devoto può celebrare piamente la Messa N.O., ma sempre dipenderà dal modo di celebrarla per ricavare un bene sia per lui che per i fedeli che lo ascoltano. La paura per una messa sacrilega dipende tanto del che cosa e come il sacerdote dice la Messa.
Sottopongo il mio intervento al giudizio della Dott.ssa Guarini che se ne intende molto di più. Saluti a Ilfuocohadaardere.
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