Un insegnamento importante per approfondire uno degli elementi portanti della nostra Fede.
Se l'Oriente cristiano pensa all'epiclesi (invocazione e conseguente azione dello Spirito Santo) su cui pongono l'accento alcuni Padri greci dopo lo scisma, ritenendola necessaria perché avvenga la transustanziazione, è ben più convincente l'accentuazione di Sant'Ambrogio sulle "parole efficaci" (sermo operatorius) di Gesù della formula consacratoria: si tratta di parole che operano direttamente ciò che significano perché pronunciate da Lui, presente nella persona del Sacerdote. Lui, che è il Verbo, la Seconda Persona della Santissima Trinità, incarnatasi nell'uomo Gesù di Nazareth, nel quale è contemporaneamente presente il Padre il Figlio e lo Spirito Santo.
Se l'Oriente cristiano pensa all'epiclesi (invocazione e conseguente azione dello Spirito Santo) su cui pongono l'accento alcuni Padri greci dopo lo scisma, ritenendola necessaria perché avvenga la transustanziazione, è ben più convincente l'accentuazione di Sant'Ambrogio sulle "parole efficaci" (sermo operatorius) di Gesù della formula consacratoria: si tratta di parole che operano direttamente ciò che significano perché pronunciate da Lui, presente nella persona del Sacerdote. Lui, che è il Verbo, la Seconda Persona della Santissima Trinità, incarnatasi nell'uomo Gesù di Nazareth, nel quale è contemporaneamente presente il Padre il Figlio e lo Spirito Santo.
Definizione e natura di epiclesi
Epiclesi deriva dal greco “epi-caléo” “chiamo, invoco” e significa “invocazione, preghiera” o genericamente “formula deprecativa”.
Nel Rituale Sacramentorum si trovano molti tipi di epiclesi o invocazioni. Per esempio, le epiclesi battesimali, eucaristiche, penitenziali ecc.
Dal secolo XIV però si parla, erroneamente, non più di “epiclesi” al plurale, ma de “la epiclesi” al singolare e la si intende esclusivamente come epiclesi eucaristica. Essa nell’Ordinario della Messa, in quasi tutti i riti orientali e in alcuni riti occidentali (mozarabico, gallicano ecc.) viene subito dopo la narrazione della istituzione dell’Eucarestia e le parole della consacrazione del pane e del vino. E ciò pone un serio problema dogmatico.
Infatti San Pio X ha insegnato: “La dottrina cattolica sul Sacramento dell’Eucarestia non è incolume, quando si ritiene accettabile la dottrina dei Greci dissidenti, secondo la quale le parole della consacrazione non otterrebbero il loro effetto se non dopo l’epiclesi” (Lettera ai Delegati Apostolici dell’Oriente, 26 dicembre 1910).
Il significato moderno o posteriore al XIV secolo dell’epiclesi (con l’articolo determinativo “la” epiclesi) è infatti diverso da quello inteso dai Padri greci, secondo i quali “epiclesi” senza articolo determinativo, indica la preghiera eucaristica in genere, cioè il Canone della Messa col Prefazio compreso, (dai Greci chiamato Anafora). Mentre alcuni teologi moderni, specialmente gli orientali dissidenti, hanno frainteso e congiunto essenzialmente epiclesi con la preghiera che si legge dopo la consacrazione eucaristica, la quale chiede a Dio di operare la transustanziazione come se le parole pronunciate nella consacrazione non avessero avuto pieno effetto[2].
Invece nel Canone rientrano come parti nel tutto tanto la forma consacratoria consegnata da Gesù agli Apostoli (“Questo è il Mio Corpo”, “Questo è il Mio Sangue”) quanto l’epiclesi post-consacratoria che è impetratoria e non opera la consacrazione eucaristica, ma chiede che anche la Chiesa e i cristiani siano tramutati in Cristo in maniera analoga a ciò che già è avvenuto del pane e del vino. Con questa distinzione tutte le confusioni e gli equivoci in cui molti autori moderni son caduti vengono risolti.
Disputa sulla epiclesi
L’origine della confusione e degli equivoci va cercata nella controversia che si accese tra i Greci e i Latini nel XIV secolo sulla forma eucaristica.
Infatti i Latini si meravigliavano per il fatto che i Greci nella loro liturgia chiedessero la consacrazione del pane e del vino dopo che il celebrante aveva già pronunziato la forma consacratoria (“Questo è il Mio Corpo”, “Questo è il Mio Sangue”).
Tre teologi Greci scismatici Nicola Cabasilas (+ 1363), Simeone di Tessalonica (+ 1429) e Marco d’Efeso (+ 1444) risposero con una teoria inaudita secondo la quale la consacrazione e la transustanziazione avvengono non quando il sacerdote dice in persona Christi: “Questo è il Mio Corpo / Questo è il Mio Sangue”, ma quando domanda al Padre di inviare lo Spirito Santo sui fedeli per santificarli sempre di più e sulle oblate per compiere la transustanziazione[3]. Tuttavia secondo costoro la forma consacratoria non è inutile, ma è conditio sine qua non perché l’epiclesi che viene subito dopo abbia la sua efficacia.
Ora, se si studiano quanto al loro oggetto, le invocazioni o epiclesi, possono essere divise in 2 categorie:
- epiclesi impetratorie, con le quali si domandano le grazie per la santificazione dei fedeli del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa;
- epiclesi consacratorie, con le quali si chiede la mutazione delle oblate nel Corpo e nel Sangue di Cristo.
Se si studiano quanto al posto che occupano nel testo liturgico esse si dividono in :
- epiclesi antecedenti la forma della consacrazione;
- epiclesi susseguenti, cioè pronunciate dopo le parole con cui Gesù consacrò il pane e il vino nel Suo Corpo e Sangue.
Ora nelle diverse liturgie in una stessa Messa si trovano molte epiclesi non solo impetratorie, ma anche consacratorie antecedenti e susseguenti. Quindi appare chiaro l’abuso di utilizzare la parola epiclesi per indicare esclusivamente l’epiclesi consacratoria susseguente.
Padre Jugie cita l’epiclesi consacratoria antecedente della Messa bizantina di San Giovanni Crisostomo (come si usò sino all’VIII secolo secondo il Codex Barberini 336), recitata all’inizio della Messa in cui si chiede a Gesù: “Guarda noi, questo pane e questo calice e rendili tuo Corpo immacolato e tuo Sangue prezioso”. Così pure nella Messa copta di San Basilio e di San Cirillo, nella liturgia greco/alessandrina di San Gregorio, in quella greca di San Marco[4].
Sostenere che l’esistenza dell’epiclesi consacratoria susseguente è un fatto antichissimo e universale nella liturgia cattolica latina e greca è inesatto. Infatti “i testi liturgici più antichi attualmente conosciuti hanno una sola epiclesi impetratoria susseguente nella quale la discesa dello Spirito santo è invocata per ottenere grazie di santificazione per i fedeli”[5].
Difficoltà dogmatica e soluzione
Secondo la dottrina cattolica la forma consacratoria dell’Eucarestia sono le parole: “Questo è il Mio Corpo / Questo è il Mio Sangue” ed è nel medesimo istante in cui il sacerdote le pronuncia in persona Christi che avviene la transustanziazione. Non si richiede nessuna altra formula prima o dopo per ottenere la Presenza reale di Gesù sull’altare della Messa[6].
Indubbiamente se si fa caso solo all’epiclesi consacratoria susseguente si trova una grande difficoltà a conciliare tale formula con la dottrina cattolica sul sacrificio della Messa e la S. Eucarestia “tanto più che in parecchie liturgie [orientali], le parole del Signore si trovano nel semplice svolgimento della narrazione”[7] e non sono staccate dal testo, dopo il punto a capo e la trascrizione della forma consacratoria in maiuscolo, come avviene nella Messa romana di origine apostolica restaurata da San Pio V.
“La difficoltà cessa se si fa attenzione ai due seguenti fatti liturgici:
- molte liturgie contengono epiclesi consacratorie antecedenti (e spesso all’inizio della Messa) oltre quella conseguente;
- in qualsiasi liturgia, anche se esposta in tono puramente narrativo, le parole del Signore sono accompagnate da gesti o riti che esprimono senza alcun dubbio l’intenzione di applicare tali parole alla materia presente sull’altare”[8].
La spiegazione delle epiclesi antecedenti e conseguenti va ricercata nella pratica della Chiesa, che è solita esprimere diverse volte, tanto prima che dopo l’atto sacramentale essenziale, la domanda dell’effetto dell’azione sacra. In breve lo spirito della liturgia ritorna sopra quanto è avvenuto in un solo istante per far intendere meglio l’effetto intero e duraturo. Inoltre l’epiclesi esprime l’intenzione della Chiesa e del celebrante di consacrare l’Eucarestia[9].
San Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 8, a. 4, ad 9) ritiene che l’epiclesi chiede, in modo impetratorio, la trasmutazione spirituale in Cristo del Corpo Mistico e dei cristiani di modo che possano somigliare sempre più a Gesù Cristo.
In ogni caso la tradizione patristica è unanime nel ritenere che le parole di Gesù all’ultima Cena sono la forma consacratoria del pane e del vino (cfr. S. Giustino, S. Ireneo, S. Ambrogio, S. Gregorio di Nissa, S. Giovanni Crisostomo, S. Isidoro da Siviglia).
Infatti tutti i teologi son d’accordo, dietro la definizione del Concilio di Trento (DB 938, 940), nel riconoscere che Cristo è il sacerdote e la vittima principale offerta e immolata nell’atto della duplice consacrazione del pane e del vino[10].
d. Curzio Nitoglia
____________________________
1. Cfr. S. Salaville, Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. V, coll. 194-300; F. Cabrol, Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, vol. V, coll. 142-184; J. Brinktrine, De epiclesis eucharisticae origine, Roma, 1923; M. Jugie, De forma Eucharistiae. De epiclesibus eucharisticis, Roma, 1943.
2. Cfr. A. Piolanti, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 138-139, voce Epiclesi.
3. Anche alcuni teologi cattolici dal XVI al XIX secolo (Ambrogio Catarino, Cristoforo de Cheffontaines, Eusebio Renaudot, H. Schell e G. Rauschen) hanno sostenuto la stessa teoria.
4. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. V, 1950, col. 411, voce Epiclesi.
5.. Ivi.
6. Cfr. Eugenio IV, Concilio di Firenze, Decretum pro Armenis; Concilio di Trento, sessione XIII, canone 3. Vi sono anche molti pronunciamenti del Magistero Ordinario pontificio e i responsi delle SS. Congregazioni Romane contro gli Orientali dissidenti. L’ultima dichiarazione in proposito è stata fatta da San Pio X, Lettera Ex quo nono labente saeculo, 26 dicembre 1910.
7. M. Jugie, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, vol. V, 1950, col. 412, voce Epiclesi.
8. Ivi.
9. B. Bossuet, Explication de quelques difficultés sur les prières de la Messe, 45.
10. Cfr. L. Billot, De Sacramentis, Roma, VII ed., 1932; A. Piolanti, De Sacramentis, Roma, Marietti, 1945; Id., Il Mistero Eucaristico, Firenze, 1955.
17 commenti:
Kasper fa marcia indietro. Era stata una mossa esplorativa la sua, rientrata dopo le parole nette del card. Muller?
https://it.zenit.org/articles/esortazione-apostolica-kasper-non-mi-aspetto-un-documento-rivoluzionario/
Marce lente e marce veloci; 2 passi avanti ed uno (a parole) indietro, sono classiche tattiche dei rivoluzionari. Ovvero tesi: Sarà un documento talmente INNOVATIVo, che lascerà dei segni che non si potranno più ignorare. Antitesi: non potrà che ribadire la dottrina di sempre. Sintesi: ribadirà (a parole) la dottrina di sempre ma con circiterismi tali che, chi vorrà, ci potrà leggere ciò che più gli fa comodo (come il 90% dei documenti degli ultimi 50 anni). Spero di sbagliarmi, ma alla fine, da una parte e dall'altra ci sarà chi commenterà"Tanto rumor per nulla". e CHI GLI RISPONDERà"cOSì è, SE VI PARE":
Segnalo:
http://www.riscossacristiana.it/i-nuovi-clericali-del-perdono-editoriale-di-radicati-nella-fede-aprile-2016/
e, spero non me ne vorrà, riporto qui il commento del blogger"sempre più perplesso" che faccio mio:
"E’ anche la mia impressione: ci stanno servendo un Cristianesimo senza Cristo o forse con appena un po’ di Cristo, quello indispensabile ma dimezzato, talmente annacquato che non è più capace di attrarre chicchessia; un quinto vangelo si è accostato ormai ai quattro rilevati, secondo Matteo, secondo Marco, secondo Luca, e secondo Giovanni, è il vangelo “secondo me” che prelude ad un Cristianesimo “fai-da-te”, à la carte, self-service …un sentimento religioso espresso attraverso i simboli consuetudinari del Cristianesimo in cui ognuno, prendendo ciò che vuole e scartando ciò che vuole, alla fine rimane esattamente quello di prima, non sentendo più il bisogno d’un’autentica revisione di vita e, di conseguenza, d’un’autentica conversione."
TRANSUSTANZIAZIONE: EPICLESI O PAROLE? -------Un interessante e breve riassunto su una questione teologico-sacramentaria non certo secondaria, ma di primaria importanza. Purtroppo sull'argomento il clero cattolico postconciliare si mette in evidenza per l'ignoranza della materia, per l'erroneità di ciò che gli è stato insegnato nei seminari e per la confusione che di conseguenza produce anche nei fedeli. Solo 4 anni fa ebbi, sia qui su fb che de visu, un furibondo scontro verbale con il parroco supplente di un paese (che era al contempo pure rettore del seminario diocesano) il quale non sapeva che la dottrina cattolica, infallibilmente proclamata da Trento, stabilisce che sono le Parole non l'Epiclesi, ad operare la Transustanziazione. Non solo non lo sapeva, ma tramite ambasciate pretendeva che io (che difendevo a spada tratta l'ortodossia cattolica) ritrattassi le mie parole, INCREDIBILE DICTU! Chi ne ha voglia può guardare il mio diario all'aprile del 2012 per leggere quella tristissima polemica. La dottrina cattolica ( se la si conosce) però è chiarissima: la Transustanziazione avviene solo ed esclusivamente "ex vi verborum". E' il neomodernismo, che annebbia così tante menti clericali, a non aver le idee chiare..... O, meglio, le idee chiare il modernismo le ha, eccome: seminare confusione nella dottrina cattolica. E c'è riuscito alla grande!
È uso comune oggi scoprire il calice e la pisside prima dell'epiclesi, proprio perché in seminario s'insegna(va) che è essenziale l'invocazione dello Spirito per la consacrazione. Non lo si dichiara apertamente, ma si inducono i giovani a credere che la consacrazione inizia con quel gesto. Tant'è vero che fino ad alcuni anni fa in duomo a Milano suonavano le campane della consacrazione all'epiclesi e non all'elevazione. Anche l'ostracismo verso il canone romano è in parte dovuto alla mancanza dell'epiclesi preconsacratoria (secondo i neoterici), mentre è ben presente all'offertorio: «Veni sanctificator omnipotens æterne Deus et benedic hoc sacrificium,tuo sancto nomini præparatum». È un dato di fatto che l'aver cambiato le parole della consacrazione e i relativi gesti, pur senza cambiare direttamente la dottrina, ha portato ha perdere il senso dell'efficacia della formula consacratoria e a trasferirla in una evanescente intervento dello Spirito Santo, prescindente dalle precise parole. Tant'è vero che qualche liturgista bollava l'antica riverenza nel pronunciarle come una forma di credulità magica. I risultati si vedono.
Le differenze tra Occidente ed Oriente sono molte ed hanno origini sia storiche che di carattere. La liturgia orientale è più emozionale, mentre quella romana è più razionale, quasi giuridica. Anche filosoficamente ci sono differenze: in Oriente la distinzione tra sostanza ed accidenti è incomprensibile e perciò loro non parlano di "transustanziazione", ma di "trasmutazione", affermano che tutto il pane ed il vino si trasformano, solo che noi non riusciamo a vederlo. Il concetto (non senza problemi) dell'"alter Christus" non è accettato ed i sacerdoti si ritengono semplicemente "ministri" di Cristo; per questo non hanno nessun problema a concelebrare.
Nel primo millennio le due concezioni, quella della consacrazione mediante le parole e quella del completamento - dopo il racconto dell'istituzione - della trasmutazione al termine dell'epiclesi allo Spirito Santo, convivevano ed erano accettate rispettivamente. Esiste anche l'anafora di Addai e Mari, che
"ha la peculiarità di non contenere in modo coerente e ad litteram le parole dell'istituzione dell'eucaristia da parte di Gesù Cristo ("Questo è il mio corpo", "questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza..."). Sono presenti invece "in modo eucologico disseminato, ossia integrate nelle preghiere di rendimento di grazie, di lode e di intercessione". Si riportano tre passaggi interessanti: "[...] abbiamo ricevuto per tradizione l'esempio che viene da te, rallegrandoci, glorificando, esaltando, facendo memoria e celebrando questo mistero grande e terribile [...] nella memoria del corpo e del sangue del tuo Cristo, che noi offriamo a te sull'altare puro e santo, come tu ci hai insegnato, [...] sacramento vivificante e divino che io posso amministrare al tuo popolo, il gregge del tuo pascolo". (Fonte Wikipedia).
Quello che è essenziale è l'intenzione, cioè di voler fare quello che vuole la Chiesa; perciò anche la messa moderna è "valida" se celebrata con le giuste intenzioni.
Purtroppo quella che era una discussione dopo la rottura definitiva dopo il Concilio di Firenze si è trasformata (da entrambe le parti) in polemica. Gli occidentali si sono fissati sulle parole e sul solo Sacrifico espiatorio e propiziatorio, teologia che si era sviluppata nel medioevo con San Bernardo, quando s'iniziò ad elevare l'Ostia ed il Calice dopo la consacrazione. Gli orientali si sono fissati sulla consacrazione dopo l'epiclesi allo Spirito Santo, tanto da introdurla (sbagliando) anche quando celebrano la messa romana.
Anche nel Canone Romano c'è un epiclesi, che però è rivolta al Padre, quando il Sacrifico è portato dall'Angelo all'altare celeste con la preghiera di santificarlo: "Supplices te roganus, omnipotens Deus: jube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinae majestatis tuae: ut quotquot ex hac altaris participatione sacrosanctum Filii tui Cor+pus, et San+giunem sumpserimus, omni benedictione coelesti et gratia repleamur. Per Christum Dominum nostrum. Amen"
A questo punto i sacerdoti ortodossi che non vogliono modificare il Canone fanno una profonda genuflessione.
La varietà liturgica non è - entro certi limiti - dannosa, bensì una ricchezza. Pensiamo anche alla splendida liturgia di San Giacomo ed a quella gallicana di San Germano di Parigi, inopinatamente proibita (a che titolo?) da Carlo Magno, di infausta memoria.
Per chi fasse interessato alla storia della liturgia, che non si può liquidare in un blog, consiglio:
https://www.dropbox.com/s/53slmzdzw8cfgdb/Storia%20della%20liturgia.doc?dl=0
Egregia Dottoressa Mic,
il commento delle 17: 37 va confutato punto per punto. Così come è stato scritto è fuorviante. L'anafora di Addai e Mari, così come è, è da ritenersi invalida. Almeno così ha più volte sentenziato Roma, in tempi pre-Vat.II. Dopo ha "cambiato idea". Ma ha senso, tale cambiamento? O è l'ennesimo atto scismatico, commesso dai Vat/secondisti che, anche con tale scelta, dichiarano di volersi separare da ciò che Roma aveva insegnato fino ad allora. I preti Assiri che la usano, l'anafora di Addai e Mari, aggiungono a memoria le parole dell'Istituzione che non vengono stampate come ricordo dell'antica disciplina dell'Arcano.
Forse non avete ancora capito che Anacleto è ortodosso, non cattolico
Conosciamo bene Anacleto che è un nostro assiduo lettore e non manca di fornire i suoi contributi. C'è molto da dire sugli ultimi commenti. Lo farò appena posso, se non ci sarà chi mi precede.
Sulla questione dell'Anafora di Addai e Mari, a quanto ricordo, è stata risolta in modo capzioso... Ne riparleremo.
Anacleto afferma un'inesattezza, che per noi Cattolici è grave, che l'anafora di Addai e Mari è valida, perché «Quello che è essenziale è l'intenzione, cioè di voler fare quello che vuole la Chiesa». È Falso il Concilio di Firenze afferma infatti, nel decreto di unione con gli Armeni: «Forma di questo sacramento sono le parole del Salvatore, con le quali lo offrì. Il sacerdote, infatti, lo compie parlando nella persona di Cristo. E in virtù delle stesse parole la sostanza del pane diviene corpo di Cristo, e quella del vino sangue; in modo che tutto il Cristo è contenuto sotto la specie del pane e tutto sotto la specie del vino e in qualsiasi parte di ostia consacrata e di vino consacrato, fatta la separazione, vi è tutto il Cristo.»22/11/1439
Anonimo Anacleto ha detto...
Le differenze tra Occidente ed Oriente sono molte ed hanno origini sia storiche che di carattere. La liturgia orientale è più emozionale, mentre quella romana è più razionale, quasi giuridica. Anche filosoficamente ci sono differenze: in Oriente la distinzione tra sostanza ed accidenti è incomprensibile e perciò loro non parlano di "transustanziazione", ma di "trasmutazione", affermano che tutto il pane ed il vino si trasformano, solo che noi non riusciamo a vederlo. Il concetto (non senza problemi) dell'"alter Christus" non è accettato ed i sacerdoti si ritengono semplicemente "ministri" di Cristo; per questo non hanno nessun problema a concelebrare.
Come potete leggere, sono parole di un ortodosso.
DEDICATO A quanti (anche nel mondo della Tradizione) dicono che le differenze tra Cattolici ed Ortodossi sono trascurabili o non interessano
Il Mistero della Chiesa è il Mistero di Cristo e la Chiesa è, prima di tutto, una realtà misticamente radicata, che si incontra nel volto degli uomini, che sono divenuti realmente un altro Cristo. Sono solo costoro che, meglio di qualsiasi altro, sanno com’è la Chiesa perché la vivono e comprendono, che la sua Tradizione è una scala per giungere a Dio. Quando ascendono nel loro cammino verso Dio, capiscono, meglio di qualsiasi altro, che non si può modificare la Tradizione senza correre il rischio di rompere i pioli di tale delicata scala.* In tal modo, si comprende che l’autentica Tradizione della Chiesa è stata posta per cambiare l’uomo, non è l’uomo che la deve irresponsabilmente cambiare. Nell’esperienza indicibile dei Santi e dei redenti, la Chiesa rimane sempre una realtà una e unica (Credo la Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica).
A questa Chiesa ci si unisce non fondandosi su una particolare persona (Papa, Patriarca) ma vivendo, prima di tutto, nell’ortodossia della fede e della prassi. Non è infatti né la Chiesa di Paolo, né quella di Apollo o Cefa che deve avere la precedenza nel vissuto dei fedeli ma la Chiesa di Cristo. Tale affermazione paolina mostra bene che nella Chiesa il ruolo personale non deve mai essere assoluto o al di sopra della Chiesa stessa ma totalmente subordinato e al servizio di una realtà comune che è stata ricevuta da Cristo e che dev’essere intangibilmente trasmessa. In tal modo, la Chiesa nel Nuovo Testamento si rivela come quella realtà che non offre spazio a personalizzazioni o individualizzazioni o, per dirla filosoficamente, alla precedenza del soggetto e della realtà soggettiva sulla realtà comune. Cercare di determinare o di rinvenire una struttura esterna essenziale alla Chiesa lascia il tempo che trova se non viene considerata l’“anima” della Chiesa, il motivo per cui la Chiesa esiste. Determinato il motivo, la struttura esterna, serve unicamente ad evidenziarlo. Ovviamente la struttura, perché non sia fuorviante, non deve soffocare la sua stessa “anima”.
Segue.
Se nella Chiesa deve esistere un primato universale tale titolo non può essere personalizzato, perché è individuato solo nelle realtà comuni a tutte le Chiese cioè nella Tradizione, nella fede e nella corretta prassi spirituale ad esse conseguente. Si può chiarire tale discorso con un’analogia: ciò che individua il pane non è il suo appartenere ad una o ad un’altra cesta ma il suo modo d’essere. Così nella Chiesa non ha senso che uno rubi ad un altro, che uno strappi il pane di un’altro e lo qualifichi “pane” oppure “pane migliore”, solo perché è entrato in suo possesso. Il pane non è tale perché appartiene ad una particolare cesta ma perché ha certe caratteristiche. Se si prescinde da tutto ciò, si può correre fortemente il rischio di trasformare la realtà ecclesiale in qualcosa di secolare e mondano, con la conseguenza di slegare la persona dalla comunità, il dogma dalla spiritualità e dall’ecclesiologia, il clero dai laici, il pensiero dalla vita.
Al Sabato Santo dell’antica liturgia romana (considerata ortodossa anche in Oriente), al momento d’inserire i grani d’incenso nel cero pasquale, il celebrante proclama: “Cristo ieri e oggi, principio e fine, alfa e omega”. Come ciò è vero per Cristo così lo è anche per la Chiesa, suo Corpo, la quale non può che avere una perfetta continuità tra il suo ieri e l’oggi dal momento che riflette, con il suo Capo, una presenza che è nella storia ma, contemporaneamente, la supera.
Se osserviamo dall'esterno le differenti comunità parrocchiali, non sono forse molto più simili quelle tradizionaliste occidentali (FSSPX per prima) a quelle ortodosse (russe soprattutto), che non alla maggioranza delle parrocchie più o meno moderniste, comprese quelle che si dicono "conservatrici"?
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* Dal punto di vista orientale è stata la Chiesa dell'antica Roma, prima sotto l'influsso dei Franchi e poi per conto proprio, a modificare la dottrina, certe prassi liturgiche (come togliere il calice ai fedeli) definite nei primi sette concili ecumenici. Lo strappo causato da un papa germanico (Leone IX), un cardinale troppo solerte ed un patriarca con un carattere difficile (che però aveva chiesto solo di rimandare la discussione a dopo l'elezione del nuovo papa), avrebbe potuto essere ricucito, se gli occidentali non si fossero macchiate del grave crimine del saccheggio di Costantinopoli (1204), dal quale la "Nuova Roma" (questo era il nome datole da Costantino Magno) non si è mai veramente ripresa.
Se nella Chiesa deve esistere un primato universale tale titolo non può essere personalizzato, perché è individuato solo nelle realtà comuni a tutte le Chiese cioè nella Tradizione, nella fede e nella corretta prassi spirituale ad esse conseguente.
Che il primato universale sia personalizzato non lo ha stabilito "Roma" ma Cristo Signore designando Pietro e in lui i suoi successori.
Ed è un elemento necessario a garanzia e a conferma, quando rettamente esercitato, come in innumerevoli numerosi esempi nel corso dei secoli. Il resto è storia umana non storia sacra...
Do' per scontato che il riferimento primario è il Signore. Riconoscere nel Papa il Suo Vicario in terra con quanto ne consegue è tutt'altra cosa che cadere nel culto della personalità e prendere come riferimento la persona anziché l'insegnamento e l'orientamento saldo e fedele che dovrebbe garantire.
Do' per scontato che il riferimento primario è il Signore. Riconoscere nel Papa il Suo Vicario in terra con quanto ne consegue è tutt'altra cosa che cadere nel culto della personalità e prendere come riferimento la persona anziché l'insegnamento e l'orientamento saldo e fedele che dovrebbe garantire.
Gli argomenti di "Anacleto" mi sembrano pura propaganda "ortodossa" contro Roma e i cattolici.
Sta ancora a pensare alla IV Crociata? Fu colpa soprattutto dei Veneziani e di qualche principe francese, non del Papa. Lo strappo non era stato ricucito al Concilio di Firenze? Ma l'accordo dottrinale in Russia (per esempio) lo fece fallire il potere politico, per motivi nazionalistici, intervenendo pesantemente nelle faccende religiose (come sempre). Ancora dobbiamo sentire la dizione "Antica Roma" riferita a Roma, sede del Papato, perche' la vera dottrina cristiana sarebbe stata mantenuta solo dalla "Nuova Roma"? E' un modo di esprimersi da scismatici, oltre che da eretici. Historicus
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