Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 16 aprile 2016

Intelligenti pauca

Dal radiomessaggio di Pio XII in occasione della «Giornata della famiglia», domenica 23 marzo 1952 

[...] La «morale nuova» afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei «siete obbligati», «non è lecito», che hanno troppo sapore di un’avvilente pedanteria.

Ora invece la Chiesa vuole — e lo mette in luce espressamente quando si tratta di formare le coscienze — che il cristiano venga introdotto nelle infinite ricchezze della fede e della grazia, in modo persuasivo, così da sentirsi inclinato a penetrarle profondamente.

La Chiesa però non può ritrarsi dall’ammonire i fedeli che queste ricchezze non possono essere acquistate e conservate se non a prezzo di precisi obblighi morali. Una diversa condotta finirebbe col far dimenticare un principio dominante, sul quale ha sempre insistito Gesù, suo Signore e Maestro.
Egli infatti ha insegnato che per entrare nel regno dei cieli non basta dire «Signore, Signore», ma deve farsi la volontà del Padre celeste. Egli ha parlato della «porta stretta» e della «angusta via» che conduce alla vita, ed ha aggiunto: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non vi riusciranno». Egli ha posto come pietra di paragone e segno distintivo dell’amore verso Se stesso, Cristo, l’osservanza dei comandamenti. Similmente al giovane ricco, che lo interroga, Egli dice: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti » e alla nuova domanda «Quali?» risponde: «Non uccidere! non commettere adulterio! non rubare! non fare testimonianza falsa! onora il padre e la madre! e ama il prossimo tuo come te stesso!». Egli ha messo come condizione a chi vuole imitarlo, di rinunziare a se stesso e di prendere ogni giorno la sua croce. Egli esige che l’uomo sia pronto a lasciare per Lui e per la sua causa quanto ha di più caro, come il padre, la madre, i propri figli, e fin l’ultimo bene, la propria vita. Poiché Egli soggiunge: «A voi dico, amici miei: non temete quei che uccidono il corpo, e dopo tanto non possono fare di più. Vi mostrerò io chi dovete temere: temete Colui, che, dopo tolta la vita, ha il potere di mandare all’inferno».

Così parlava Gesù Cristo, il divino Pedagogo, che sa certamente, meglio degli uomini, penetrare nelle anime e attrarle al suo amore con le infinite perfezioni del suo Cuore, «bonitate et amore plenum».

E l’Apostolo delle genti San Paolo ha forse predicato altrimenti? Col suo veemente accento di persuasione, svelando l’arcano fascino del mondo soprannaturale, egli ha dispiegato la grandezza e lo splendore della fede cristiana, le ricchezze, la potenza, la benedizione, la felicità in essa racchiuse, offrendole alle anime come degno oggetto della libertà del cristiano e meta irresistibile di puri slanci d’amore. Ma non è men vero che sono altrettanto suoi gli ammonimenti come questo: «Operate con timore e tremore la vostra salute», e che dalla medesima sua penna sono scaturiti alti precetti morali, destinati a tutti i fedeli, siano essi di comune intelligenza, ovvero anime di elevata sensibilità. Prendendo dunque come stretta norma le parole di Cristo e dell’Apostolo, non si dovrebbe forse dire che la Chiesa di oggi è inclinata piuttosto alla condiscendenza che alla severità? Di guisa che l’accusa di durezza opprimente, dalla «nuova morale » mossa contro la Chiesa, in realtà va a colpire in primo luogo la stessa adorabile Persona di Cristo. [...] - [Ce lo ricorda Il Timone]

Inoltre:
Pio XII, Discorso 18 aprile 1952 (alla Federazione mondiale della Gioventù Femminile cattolica) Francesco, Amoris laetitia 19 marzo 2016 (Esortazione Apostolica post-sinodale)
Ci si chiederà come la legge morale, che è universale, può bastare, e nello stesso tempo essere vincolante in un caso singolare, il quale nella sua situazione concreta è sempre unico e di “ una volta”. Lo può e lo fa, perché giustamente a causa della sua universalità la legge morale comprende necessariamente ed “intenzionalmente” tutti i casi particolari, all’interno dei quali si verificano i suoi concetti. E in questi casi numerosissimi lo fa con una logica così concludente, che la stessa coscienza del semplice fedele vede immediatamente e con piena certezza la decisione da prendere.
Ciò vale soprattutto per le obbligazioni negative della legge morale, quelle che esigono un non fare, un lasciar stare. Ma non soltanto per quelle. Le obbligazioni fondamentali della legge cristiana per quanto superano quelle della legge naturale, si basano sull’essenza dell’ordine soprannaturale costituito dal Divino redentore. Dai rapporti essenziali fra l’uomo e Dio, fra l’uomo e l’uomo, fra i parenti, fra i genitori e i figli, dai rapporti essenziali di comunione nella famiglia, nello stato, nella Chiesa, risulta, fra le altre cose che l’odio a Dio, la blasfemia, l’idolatria, la defezione dalla vera fede, la negazione della vera fede, lo spergiuro, l’omicidio, la falsa testimonianza, la calunnia. l'adulterio e la fornicazione, l'abuso del matrimonio, il peccato solitario, il furto e la rapina, la sottrazione di quanto è necessario per la vita, la frustrazione di salari equi, l’accaparramento dei beni di prima necessità e gli aumenti ingiustificati dei prezzi, la bancarotta fraudolenta, le manovre di speculazione sleali : tutto ciò è sempre gravemente interdetto dal legislatore divino. Non c’è da esaminare. Qualunque sia la situazione individuale, non c’è altro esito che obbedire.
È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano. Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare».[347] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire

29 commenti:

il maccabeo ha detto...

Come al solito, anche se a qualcuno non piacerá sentirselo dire... aveva ragione Mons. Lefebvre. Non c'é novitá che non sia stata da tempo giá condannata dal Magistero di sempre. Non é dunque disobbedienza rimanere attaccati di cuore a quel Magistero, ma somma fedeltà. E non é "spirito scismatico" quello di correggere Pietro qando giudaizza, quando cioé Pietro si fa influenzare dallo spirito del tempo. No. Non c'é piú grande amore per Pietro, che quello di aiutarlo a reagire contro la pressione e la violenza che gli fa il mondo. "Et tu, aliquando conversus, confirma fratres tuos" é un invito fatto a Pietro innanzitutto, ma anche ad ogni cristiano in tempi di prova.
Viva il Magistero di sempre. Abbasso il Concilio e i suoi fautori e difensori, perché sono i peggiori nemici della Chiesa, del Papa e dunque di Cristo Crocefisso per i nostri peccati.

Anonimo ha detto...

http://remnantnewspaper.com/web/index.php/fetzen-fliegen/item/2347-calling-all-bishops-that-are-still-catholic-the-die-is-cast-bergoglio-must-be-deposed

Aloisius ha detto...

Queste sono parole da Papa!
Che differenza abissale con Bergoglio!

Infatti Pio XII è stato calunniato ingiustamente per decenni, crocifisso come nazista, Bergoglio osannato come paladino proprio da quei calunniatori.

Anonimo ha detto...

Santo Papa Pacelli (lo disse Padre Pio)

Luisa ha detto...

E così Bergoglio ritorna in Vaticano con tre famiglie siriane, beh, mi dico, avrà scelto famiglie cristiane e invece no si riporta a casa solo musulmani.
Non mi si venga a dire che non c`erano famiglie cristiane.

Anonimo ha detto...

I cristiani d`Oriente martirizzati ringrazieranno.

Anonimo ha detto...

L'insegnamento rende chiaro e netto ciò che che vuole trasmettere, perché venga compreso ed attuato.

Che magistero é quello che necessita di ermenutiche di ogni tipo per essere chiarito ?

La luce rischiara. Le tenebre oscurano.

Anna

Luisa ha detto...

Dichiara p. Lombardi:

"l’iniziativa del Pontefice è stata realizzata tramite una trattativa della Segreteria di Stato con le autorità competenti greche e italiane». L’accoglienza e il mantenimento delle tre famiglie saranno a carico del Vaticano. L’ospitalità iniziale sarà garantita dalla Comunità di Sant’Egidio».

Un gesto previsto e dunque era più che possibile, c`era tutto il tempo per trovare e accogliere famiglie cristiane e invece no, la preferenza è data a musulmani.
Effettivamente i cristiani d`Oriente, le famiglie cristiane presenti in quei campi che già subiscono l`aggressività della comunità musulmana ( gesti che sono taciuti dai media) non avranno avuto nemmeno il papa per difenderle e accogierle.

Anonimo ha detto...

Beatissimo Santo Padre, pregate per noi dal cielo!

Anonimo ha detto...

La messa in scena del vescovo di Roma non avrebbe avuto lo stesso impatto se avesse scelto famiglie cristiane, c`è un copione da rispettare.

irina ha detto...

In realtà ci sono troppi misteri che debbono venire alla luce. Parliamo del Pontefice X e del Pontefice Y ma da quanto tempo è stata iniziata e diligentemente continuata la contro- semina? Da sempre, dal momento che Lui iniziò la Sua Missione sulla terra. E' tempo di concentrarci sui Testi di tutta la Tradizione cattolica che siano nutrimento per le nostre anime e nostro spunto di commento per leggere il presente e valutarlo alla loro luce mai resa fioca dal tempo.
Personalmente, per quanto ignorante e peccatrice, mai mi è venuta l'ispirazione, nel bisogno, di consultare i detti e i fatti di certi figuri.Mai.

Catholicus ha detto...

"Viva il Magistero di sempre. Abbasso il Concilio e i suoi fautori e difensori, perché sono i peggiori nemici della Chiesa, del Papa e dunque di Cristo Crocefisso per i nostri peccati. " grazie, Maccabeo, faccio pubblicamente mie le tue parole, precisando che per "fautori" intendo anche coloro che lo hanno attuato, cioè Roncalli e Montini e i prelati modernisti che essi hanno chiamato in quell'assise a ribalìtare 2 millenni di dottrina cristiana, in spregio a Cristo ed al suo gregge.

Anonimo ha detto...

Aver portato personalmente tre famiglie di musulmani in Italia è da parte del papa un messaggio devastante ,uno schiaffo in piena faccia ai cristiani che ogni giorno rischiano la vita (non a chiacchiere) nei paesi islamici.C'è da mettersi a piangere .bobo

Anonimo ha detto...

.. ma don Elia ?

Anna

Silente ha detto...

La giustificazione addotta dal papa al fatto che non c'erano famiglie cristiane è che alcune di queste erano sì "candidate", ma "non avevano i documenti in regola". Che strano: un Papa che non esita a scagliarsi contro i "legalisti", i "dottori della legge", quando gli fa comodo, si fa scudo di una giustificazione così miserabile e meschina. In realtà è una precisa scelta di simbologia e di comunicazione politica. Il Papa ci vuole dire: "a me delle vittime cristiane delle persecuzioni dello stato islamica non frega nulla".
Poi, è anche vero che di profughi cristiani fuori dalla Siria ce ne sono pochini: la maggioranza è rimasta in patria (anche se sfollata) a combattere contro i ribelli con l'esercito regolare o con le milizie cristiane. Come gli sciti e gli alawiti.
Un altro punto: l' "accoglienza" verrà garantita dalla solita Comunità di Sant'Egidio, ormai vera, ricchissima potenza politico-diplomatica. Ultra-modernista, immigrazionista, politicamente di estrema sinistra. Chi sono costoro che dominano la politica estera del Vaticano, esprimono Ministri della Repubblica (vi ricordate Andrea Riccardi, ora presidente, non si sa a quale titolo, della Dante Alighieri?), gestiscono "case di accoglienza", fondazioni, onlus?. Chi li paga, chi li finanzia, chi li supporta, a chi sono legati? Alla massoneria? Servirebbe un buon esercizio di vero giornalismo investigativo. Ma dubito che qualche giornalista ne avrà il coraggio.

Anonimo ha detto...


Sarebbe bene che qualcuno andasse a controllare la citazione di S. Tommaso fatta da Bergoglio, piena di puntini interni. Il testo dell'Aquinate deve esser indicato nella nota. La citazione non mi suona. La mia impressione e' che il pensiero di S. Tommaso sia stato falsato, ad arte. Infatti, se si nota bene, il discorso attribuito a S.
Tommaso resta come sospeso per aria, senza concludere. Il che non e' nello stile ne' nel metodo di S. Tommaso, nel modo piu' assoluto. Sul tema del rapporto tra la norma della morale e la prassi che la attua, non e' possibile che Pio XII abbia detto cose non solo diverse ma addiritture opposte a quelle che avrebbe detto l'Aquinate. PP

mic ha detto...

PP,
è uno dei dati che sto approfondendo e ne ho trovato un accenno nell'ultima traduzione da Lifesitenews.
Ma ho trovato anche questo, che ti copio incollo dai commenti sul blog di Costanza Miriano:

Fabrizio Giudici
14 aprile 2016 alle 11:15
Il pezzo su First Things è questo, di Matthew Schmitz:
https://www.firstthings.com/web-exclusives/2016/04/always-fear-always-love

Inizio da un’aneddoto in fondo al pezzo, che spiega bene il contesto:
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“Un’amica una volta mi chiese perché non le diedi un’avvertimento. Si era innamorata di un uomo [ebbe una storia e non finì bene]. Io assunsi che lei conosceva bene le mie idee morali, che ho già abbastanza problemi ad imporre a me stesso, figuriamoci agli altri. Così pensai che era meglio mostrare la mia solidarietà ascoltandola senza giudicare. Una parola di avvertimento avrebbe potuto rischiare una reazione e rivelare che la nostra amicizia era più debole di quanto volevamo.
Tuttavia, mesi dopo, mi chiese perché non avevo parlato. Sapeva che non mi avrebbe ascoltato se avessi obiettato qualcosa. Il suo punto era che avevo fallito nel mostrarle la mia preoccupazione e la fiducia nella nostra amicizia. […] Ero stato educato [con lei], forse, ma non avevo dimostrato il mio amore [amicale]. Ero stato simpatico, ma non un amico.”
****
L’autore, dunque, si pente di non aver detto le cose chiare alla sua amica: che nella relazione illecita che andava a vivere c’era del fango, che non doveva fidarsi solo delle emozioni passeggere, eccetera. Non l’ha fatto per un motivo apparentemnte positivo, evitare tensioni – come a dire, non oscuriamo la bellezza delle cose – ma alla fine si è reso conto di essere stato superficiale e di non essersi preso cura dell’amica come avrebbe dovuto fare.
Secondo Schmitz questo atteggiamento è uno dei fili conduttori dell’Amoris Laetitia. Scrive l’autore:
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“Il documento tende a da valore più alla cortesia che alla penitenza, più alla coscienziosità che alla contrizione. Per Francesco, le buone maniere sono un segno di corretta disposizione [verso gli altri]. […] Il Papa raccomanda di “essere responsabili e avere tatto […]”. Uno non si chiede più “sono in stato di grazia”, ma piuttosto “sono buono e ben intenzionato”?
[…]
In un passaggio rivelatore, Francesco segue [una citazione] di San Tommaso. […] Questo è l’approccio alla citazione, che è ambiguo e non preciso [ndr riporto l’originale della AL]:
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99. Amare significa anche rendersi amabili, e qui trova senso l’espressione aschemonei. Vuole indicare che l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi. Detesta far soffrire gli altri. La cortesia «è una scuola di sensibilità e disinteresse» che esige dalla persona che «coltivi la sua mente e i suoi sensi, che impari ad ascoltare, a parlare e in certi momenti a tacere». [107 ndr questo non è San Tommaso] Essere amabile non è uno stile che un cristiano possa scegliere o rifiutare: è parte delle esigenze irrinunciabili dell’amore, perciò «ogni essere umano è tenuto ad essere affabile con quelli che lo circondano». [108 ndr questo è San Tommaso]
**

mic ha detto...

--- segue

C’è qualcosa di strano. San Tommaso dice che “ciascun essere umano deve essere affabile con quelli che lo circondano” [ndr sotto riporto stralci più estesi della citazione di San Tommaso]. Ma Francesco ha omesso la seconda metà della frase: “a meno che non sia necessario per qualche ragione causare una tristezza proficua”. La gentilezza di Francesco sembra non lasciar spazio alla tristezza proficua nota all’Aquinate, quello stato d’animo edificante portato dalle necessarie correzioni e dure verità.
La mezza citazione di San Tommaso è tipica della procedura di Francesco in Amoris Laetitia. Metà della tradizione cristiana è semplicemente lasciata fuori, così la forma di base e le tensioni essenziali del tutto sono perse. È presente l’amore di Dio, ma il timore di Dio – la terribile consapevolezza che siamo responsabili per le nostre anime – non c’è. Questa omissione è deliberata. Un po’ prima nel documento, Francesco richiama [l’episodio della lapidazione dell’adultera]. […] Ma Francesco non lo descrive adeguatamente:
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In questa linea, è molto emblematica la scena che mostra un’adultera sulla spianata del tempio di Gerusalemme, circondata dai suoi accusatori, e poi sola con Gesù che non la condanna e la invita ad una vita più dignitosa.
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[…] Come nella citazione di San Tommaso, perdiamo il senso di quanto segue. Gesù non dice alla donna “di vivere più dignitosamente”, ma “Vai e non peccare più”.
Questo non è un mero cavillo. Mette a fuoco la controversia che Francesco ha aperto con questo documento.
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La “tristezza proficua, stato d’animo edificante portato dalle necessarie correzioni e dure verità” dell’Aquinate mi pare l’espressione che ben sintetizza uno dei concetti espressi da Costanza nel post.
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mic ha detto...

... segue

Da “SOMMA TEOLOGICA Nuova Edizione in lingua italiana a cura di P.Tito S. Centi e P. Angelo Z. Belloni”
3. Come insegna Aristotele [Ethic. 2, 6], «la virtù consiste nel giusto mezzo determinato da una persona saggia». Ora, nella Scrittura [Qo 7, 4] si legge: «Il cuore dei saggi è in una casa in lutto, e il cuore degli stolti in una casa in festa»: è quindi proprio della persona virtuosa astenersi dai piaceri, come nota lo stesso Aristotele [Ethic. 2, 9]. Ora, l‘amicizia di cui parliamo «di per sé desidera far piacere e rifugge dal rattristare» [Ethic. 4, 6]. Quindi questa amicizia non è una virtù. In contrario: I precetti della legge hanno di mira gli atti delle virtù. Ora, nella Scrittura [Sir 4, 7 Vg] si legge: «Mostrati affabile con i poveri». Perciò l‘affabilità, che qui denominiamo amicizia, è una virtù specificamente distinta. Dimostrazione: Poiché la virtù è ordinata al bene, come si è detto sopra [q. 109, a. 2], là dove si riscontra un bene speciale da compiere è necessario che vi sia una virtù speciale. Ora il bene, come si è detto [ib.], è costituito dall‘ordine, per cui l‘uomo nella vita quotidiana deve essere ordinato come si conviene in rapporto agli altri, sia negli atti che nelle parole: in modo cioè da trattare tutti secondo il dovuto. Si richiede quindi una virtù speciale che conservi l‘ordine suddetto. E questa virtù è denominata amicizia, o affabilità.
[…]
È quindi proprio del sapiente arrecare a coloro con i quali convive un certo piacere: non sensuale, che ripugna alla virtù, ma onesto, secondo le parole del Salmo [132, 1]: «Ecco quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme». Tuttavia talora, per un bene da conseguire o per un male da escludere, la persona virtuosa, come nota il Filosofo [Ethic. 4, 6], non esita a rattristare coloro con i quali convive. Per cui l‘Apostolo [2 Cor 7, 8 s.] scriveva: «Se anche vi ho rattristati con la mia lettera, non me ne dispiace. Ora ne godo; non per la vostra tristezza, ma perché questa tristezza vi ha portato a pentirvi». Non dobbiamo quindi mostrare, per compiacenza, un volto sorridente a quelli che sono sulla china del peccato, per non Parere consenzienti alle loro colpe e quasi offrire un incoraggiamento a peccare. Da cui l‘ammonizione della Scrittura [Sir 7, 24]: «Hai figlie? Vigila sui loro corpi, e non mostrare loro un volto troppo indulgente».
***

marius ha detto...

@ PP

http://www.lanuovabq.it/mobile/articoli-valorizzare-ladulterio-citando-male-san-tommaso-15828.htm#.VxKckRVH5iI

Anonimo ha detto...


@ Citazione di S. Tommaso

Grazie Mic, molto gentile. Mi sembra, da quello che ho letto, che l'impressione (non solo mia) di un qualcosa che non quadra sia giusta. Sembra che S. Tommaso dica in realta' il contrario di quello che la contorta citazione dell'Esortazione gli fa dire. O no? Chi se ne importa della cortesia, dell'affabilita' (virtu' pur necessarie, certo, ma nel contesto giusto) quando e' in ballo la salvezza dell'anima e devi per esempio ammonire un figlio o una figlia che stiano per cadere nel peccato (droga, una brutta relazione, cattive amicizie). Se non vogliono ascoltare con le buone, e' forse sbagliato ricorrere alle cattive? E' per il loro bene.
Mi ricordo (sono vecchio) una scena de "I Vitelloni" di Fellini, quando il bello del gruppo, che si era comportato male con una ragazza per bene e non voleva sposarla, viene preso a cinghiate dal padre, dopo di che si precipita a fare il suo dovere, si capisce. (Altri tempi, Romagna solatia dolce paese...).
[mi scuso per la pignoleria: qual e' il riferimento preciso al passo tomistico? non ho la traduzione che tu citi - Grazie ancora] PP

hr ha detto...

Nel viaggio di ritorno, il papa conferma pienamente la novità: comunione ai divorziati!

il video della conferenza sul volo di ritorno
https://www.youtube.com/watch?v=FCpruhfRX80

il punto in questione è al minuto 17,25

mic ha detto...

Ottimo, Marius, grazie.

irina ha detto...

Per approfondire senza mischiare i concetti occorre il bisturi.Romano Guardini scrisse sulle virtù, sull'etica; l'ha citato? Dovrebbe conoscerlo.Mah?!

mic ha detto...

@ PP ed altri

ho appena pubblicato l'ottimo articolo de la Bussola quotidiana.

Luisa ha detto...

Conferenza stampa nell`aereo:

Bergoglio non si rocorda della nota 351 (..!..) ma è sicuro che quello non è il problema più importante della Chiesa.

E se vogliamo sapere quali sono le novità, che Bergoglio ammette ci sono, non ci resta che leggere la presentazione di Schönborn , siccome quel che il cardinale austriaco ha detto è chiaro, da che parte sta, con chi sta, e che cosa vuole Bergoglio è lampante.
Ci sarà pur qualcuno che oserà dirlo senza troppi giri di parole, senza troppe precauzioni di linguaggio.

Anonimo ha detto...


@ Marius

Grazie della gentile indicazione.

Il testo della Summa e' dunque : "Summa Theologiae, IIa IIae, q. CXIV "De Amicitia seu affabilitate", in due articoli.
All'affabilita' che si apre sulla "via larga" bisogna contrapporre la "tristezza" di colui che si accorge dei suoi peccati e si pente e vuole vivere secondo gli insegnamenti di Cristo. Questo della "tristezza salutare", richiamato da san Tommaso, e' un concetto profondo, ben espresso da S. Paolo, tanto per cambiare. Estendo la citazione: "...perche' quella vostra tristezza vi ha condotto al pentimento. Vi siete infatti rattristati secondo Dio, si' da non ricevere alcun danno da parte nostra. Or, la tristezza, che e' secondo Dio, produce un pentimento salutare, che non si rimpiange perche' conduce a salvezza, mentre la tristezza del mondo procura la morte" (2 Cr, 9-10).
Con nostro fratello peccatore dobbiamo, quando e' il momento, metter da parte l'affabilita' e persino la buona educazione pur di suscitare in lui la "tristitia secundum Deum", quello stato di desolazione interiore indispensabile per rendersi conto delle proprie colpe di fronte a Dio, della bruttezza del peccato. Solo in questa desolazione, in questa notte del nostro spirito possiamo vederci dall'esterno e dall'alto, in modo simile a come ci possono vedere gli Angeli custodi e la stessa santissima Trinita', in tutta la nostra miseria di peccatori. Ma solo da questa salutare "Tristitia", che dobbiamo provare innanzitutto nei nostri stessi confronti, solo da essa la salvezza, poiche' e' per suo tramite che opera la Grazia, cominciando a farci prender coscienza di come veramente siamo e di cosa dobbiamo fare per rinascere in Cristo.
La morte ce la da' invece la "tristezza del mondo", contrapposta a quella salutare secondo Dio. Ma come sara' la "tristitia saeculi"? E' quella del Padre della Menzogna, pertanto rovesciata rispetto alle apparenze, che sono quelle delle gioie false, dei tristi piaceri, dei vani desideri, delle sfrenate ambizioni, insomma dei falsi valori tipici del Secolo. Predicare l'affabilita' nei confronti del peccatore in quanto tale significa in realta' consegnarlo alla "tristitia Saeculi",che nell'animo gia'lo divora, consegnarlo "alla morte". PP

Anonimo ha detto...

Nel passo della “Somma teologica” citato dal Santo Padre nella nota 347 dell’ “Amoris laetitia” (“Prima secundae”, questione 94, articolo 4), si dice tutt’altro.

Per convincersene, basta lèggere il passo con un po’ d’attenzione, e soprattutto mettendolo nel contesto degl’insegnamenti di san Tommaso e della dottrina della Chiesa.

Per farla breve, mi par che basti considerar l’esempio che porta l’Angelico per illustrare il suo assunto:

“Apud omnes enim hoc rectum est et verum, ut secundum rationem agatur. Ex hoc autem principio sequitur quasi conclusio propria, quod deposita sint reddenda. Et hoc quidem ut in pluribus verum est, sed potest in aliquo casu contingere quod sit damnosum, et per consequens irrationabile, si deposita reddantur; puta si aliquis petat ad impugnandam patriam.”

Cioè: in generale, si dà un obbligo di diritto naturale di rendere un oggetto che ci sia stato lasciato in deposito: io ti lascio in custodia la mia automobile, e, se poi ne ho bisogno e te la richiedo, tu, depositario, me l’hai a rendere.

Questo, in generale (“ut in pluribus”: nei più dei casi), è vero.

Ma si danno anche dei casi in cui render la cosa depositata non sarebbe ragionevole: così, per esempio, se il depositante richiede la cosa depositata per nuocere alla patria. (L’esempio è classico, e si trova già in Cicerone, il quale ne porta anche un altro simile: uno mi lascia in deposito una spada, e poi la richiede quand’è in preda a un accesso di follia, sicché si può temere che la voglia usare per nuocere a sé stesso o a altri.) In questi casi, è chiaro che la ragione, e quindi il diritto naturale, obbliga a NON render la cosa.

Dunque, man mano che si discende dalla considerazione astratta e generale d’un precetto di diritto naturale (“si deve render la cosa depositata”) alla considerazione di casi particolari e di circostanze concrete, la conclusione può cambiare.

(Segue)

Maso

Anonimo ha detto...

(Segue)

Ma, com’è chiaro (dall’esempio fatto e dal resto del pensiero morale del santo dottore), questo discorso riguarda solo quegli atti, come appunto il trattener presso di sé un oggetto lasciato in deposito, che, considerati in astratto ossia nel loro oggetto (prescindendo da qualunque circostanza), si rivelano moralmente indifferenti: non c’è nulla d’intrinsecamente morale o immorale nel fatto in sé di tenersi la cosa depositata. In questi casi, la moralità dell’atto dipende dalle circostanze: perlopiù, il diritto di proprietà del depositante obbligherà il depositario a ottemperare alla sua richiesta di restituzione; ma, in circostanze in cui per esempio dalla restituzione segua un danno, la ragione mi dice di non render la cosa.

Ci sono altri casi, però, in cui questo discorso non può valere: quando cioè l’atto è moralmente cattivo in sé stesso, cioè nel suo stesso oggetto, anche prescindendo dalle circostanze concrete: per esempio, una bugia è un atto intrinsecamente cattivo (“intrinsece malum”), perché ripugna alla ragione (cioè alla natura umana) che la parola sia usata non per manifestare il pensiero ma all’opposto per celarlo e ingannare. In questi casi, né il fine eventualmente buono dell’operante né nessun’altra circostanza possono mai coonestare l’atto, ch’è sempre, in qualunque ipotesi, illecito: perciò (secondo sant’Agostino, san Tommaso, e anche Emanuele Kant) non è mai lecito mentire, neppure se dalla menzogna dipendesse la salvezza del mondo intero.

“Non sunt facienda mala ut eveniant bona”: se un atto è intrinsecamente immorale, non è mai lecito, anche se ne dovessero seguire delle conseguenze buone. Questa è la dottrina di san Tommaso e, più semplicemente, della Chiesa cattolica (oltre che di chiunque ragioni rettamente).

Ora, siccome gli atti di cui qui si discorre (l’adulterio, per esempio, e altri disordini sessuali) sono appunto, per san Tommaso e la Chiesa e la retta ragione, intrinsecamente cattivi, la citazione della “Somma” c’entra come il cavolo a merenda. Anzi, molto meno, perché il cavolo a merenda a qualcuno potrà anche piacere, ma far dire a san Tommaso il contrario di quel che pensa...

Questo modo disonesto di ragionare indigna profondamente, perché vìola non solo la verità, ma la stessa onestà intellettuale. Mi viene in mente quel domenicano (!), anzi se non isbaglio presidente della commissione leonina (!!!), che ha scritto un libro per dimostrare che san Tommaso approva la sodomia: quando anche un ateo, purché abbia un briciolo d’onestà e sappia lèggere il facile latino dell’Angelico, si rende conto che questo, più che falso, è ridicolo. Che giudizio dobbiamo dire d’uno “studioso” come questo? Io mi fiderei molto di più del mio barbiere!

“Veritas liberabit vos.”

Maso