Riprendiamo dal sito Scuola Ecclesia Mater, dopo aver pubblicato qualche giorno fa il testo dell’intervento di S. Em.za il card. Robert Sarah (qui), anche quello di S. Em.za il card. Raymond L. Burke nel corso della presentazione del libro di don Nicola Bux lo scorso 6 aprile, Con i Sacramenti non si scherza.
RAYMOND LEO Card. BURKE - Presentazione del libro di Mons. Nicola Bux,
Con i Sacramenti non si scherza - Roma, 6 aprile 2016
Con lo sguardo del canonista
Leggere il nuovo libro di don Nicola Bux con lo sguardo del canonista, cosa che ho ritenuto utile fare in vista di questa presentazione, suscita piacevoli ed inaspettate sorprese. Infatti, in questi ultimi decenni, risulta alquanto difficile rinvenire riferimenti al diritto canonico nelle opere di autori non canonisti, soprattutto se teologi, anche quando si tratta di affrontare temi in stretta correlazione con il diritto e la giustizia. Invece don Bux, oltre a tratteggiare organicamente l’itinerario sacramentale, approfondendolo e chiarificandone gli elementi oggi più in ombra, appare sempre attento all’aspetto giuridico della materia. Anzi, fin dalle prime pagine, individua lucidamente una delle grandi ed attuali questioni ecclesiali, quando evidenzia che «la tendenza post conciliare a rifiutare il diritto di Dio nella Chiesa ha favorito e incoraggiato l’anarchia e l’anomia anche nella liturgia, sottomettendola a continue deformazioni in nome della creatività»[i]. Parole che riecheggiano quelle del Papa Benedetto XVI che ha posto, sin dall’inizio del suo pontificato, la liturgia, e quindi il rapporto con Dio, al centro del suo ministero petrino[ii].
In particolare, nel testo, quando si parla del diritto, pur richiamando le disposizioni positive, lo si fa riferendosi in maniera maggioritaria al diritto divino ed al diritto dei fedeli. Si nota, in altre parole, una particolare attenzione di don Bux verso questi “diritti”; che possono ritenersi due lanterne da utilizzare soprattutto quando sul cammino scendono le tenebre dell’incertezza e della confusione. Papa San Giovanni Paolo II, nella sua prima Lettera enciclica, Redemptor hominis, affrontava la questione dell’abuso della confessione con l’assoluzione generale nella celebrazione del Sacramento della Penitenza, che privava il penitente dell’incontro essenzialmente personale con Cristo nel Sacramento della Penitenza, ricordandoci sia il diritto del penitente a tale incontro sia il diritto di Cristo Stesso[iii]; mentre, nella sua ultima Lettera enciclica, Ecclesia de Eucharistia, egli insistentemente affrontava gli abusi nella disciplina ecclesiale per quanto riguarda la Santa Eucaristia[iv]. In Ecclesia de Eucharistia, egli dichiarò:
Sento perciò il dovere di fare un caldo appello perché, nella Celebrazione eucaristica, le norme liturgiche siano osservate con grande fedeltà. Esse sono un’espressione concreta dell’autentica ecclesialità dell’Eucaristia; questo è il loro senso più profondo. La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri. L’Apostolo Paolo dovette rivolgere parole brucianti nei confronti della comunità di Corinto per le gravi mancanze nella loro Celebrazione eucaristica, che avevano condotto a divisioni (skísmata) e alla formazione di fazioni (‘aireseis) (cfr. 1 Cor 11, 17-34). Anche nei nostri tempi, l’obbedienza alle norme liturgiche dovrebbe essere riscoperta e valorizzata come riflesso e testimonianza della Chiesa una e universale, resa presente in ogni celebrazione dell’Eucaristia. Il sacerdote che celebra fedelmente la Messa secondo le norme liturgiche e la comunità che a queste si conforma dimostrano, in un modo silenzioso ma eloquente, il loro amore per la Chiesa[v].
Come sempre, la conoscenza e l’osservanza della disciplina canonica ci libera dalla falsa impressione che noi dobbiamo rendere la Sacra Liturgia interessante o sigillarla con la nostra personalità, e ci libera per essere strumenti attraverso i quali la presenza di Cristo, il Buon Pastore in mezzo al Suo popolo si è reso più visibile, e l’azione della Sacra Liturgia porta soltanto il Suo sigillo.
Infatti, da un lato il diritto divino delimita la parte intangibile ed immutabile dei sacramenti, di diretta istituzione divina, alla quale deve sempre guardare la Chiesa anche nello sviluppo e nella predisposizione delle norme meramente ecclesiastiche, che vincolano ugualmente coloro che amministrano e prendono parte alla celebrazione; mentre dall’altro il diritto dei fedeli richiama i sacerdoti al loro vero compito, che è quello di amministratori che agiscono nella persona di Cristo, Capo e Pastore della Chiesa in ogni tempo e in ogni luogo, e non nella loro propria persona, ed al grave dovere di non intaccare in alcun modo l’efficacia di questi mirabili canali di grazia che sgorgano dal glorioso Cuore trafitto del Salvatore. Papa San Giovanni Paolo II, scrivendo circa lo stupore che deve essere nostro davanti al mistero della Santissima Eucaristia, ha dichiarato:
Questo stupore deve invadere sempre la Chiesa raccolta nella Celebrazione eucaristica. Ma in modo speciale deve accompagnare il ministro dell’Eucaristia. Infatti è lui, grazie alla facoltà datagli nel sacramento dell’Ordinazione sacerdotale, a compiere la consacrazione. È lui a pronunciare, con la potestà che gli viene dal Cristo del Cenacolo: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi… Questo è il calice del mio sangue, versato per voi…». Il sacerdote pronuncia queste parole o piuttosto mette la sua bocca e la sua voce a disposizione di Colui che lo pronunciò nel Cenacolo, e volle che venissero ripetute di generazione in generazione da tutti coloro che nella Chiesa partecipano ministerialmente al suo sacerdozio.[vi]
Invero, in alcuni canoni del Codice di Diritto Canonico del 1983 è possibile riscontrare la sollecitudine della Chiesa per i summenzionati aspetti. Basterà ricordare il can. 846 § 1, che ricorda la disposizione del n. 22 della Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale dispone che «Nella celebrazione dei sacramenti, si seguano fedelmente i libri liturgici approvati dalla competente autorità; perciò nessuno aggiunga, tolga o muti alcunché di sua iniziativa»[vii] ed il can. 213, nel quale si statuisce che «I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti».[viii]
Papa San Giovanni Paolo II ha proseguito con vigore la revisione del Codice di Diritto Canonico del 1917. Non c’era nessun dubbio nella sua mente, come Padre del Concilio Ecumenico Vaticano II, circa il desiderio del Concilio sul fatto che la disciplina perenne della Chiesa fosse applicata al tempo presente. Chiaramente, il desiderio del Concilio riguardante la disciplina ecclesiale, non intendeva l’abbandono della disciplina, ma un nuovo apprezzamento nel contesto delle sfide contemporanee. Nella Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, con la quale il Supremo Legislatore della Chiesa ha promulgato il Codice di Diritto Canonico del 1983, si legge:
Volgendo oggi il pensiero all’inizio di quel cammino [della revisione del Codice di Diritto Canonico], ossia a quel 25 gennaio dell’anno 1959 [“allorché il mio Predecessore Giovanni XXIII di felice memoria diede per la prima volta il pubblico annuncio di aver deciso la riforma del vigente Corpus delle leggi canoniche, che era stato promulgato nella solennità di Pentecoste dell’anno 1917”], ed alla stessa persona di Giovanni XXIII, promotore della revisione del Codice, debbo riconoscere che questo Codice è scaturito da un’unica e medesima intenzione, che è quella di restaurare la vita cristiana. Da una tale intenzione, in effetti, tutta l’opera del Concilio ha tratto le sue norme ed il suo orientamento[ix].
Queste parole indicano il servizio essenziale del diritto canonico nell’opera della nuova evangelizzazione, cioè, il vivere la nostra vita in Cristo con l’impegno e l’energia dei primi discepoli. Così, appare chiaro come la disciplina canonica sia indirizzata al conseguimento, in ogni tempo, della santità di vita.
Il santo Pontefice ha descritto la natura del diritto canonico, indicando il suo sviluppo organico dalla prima alleanza di Dio con il Suo santo popolo. Egli ha fatto riferimento “al lontano patrimonio di diritto contenuto nei libri del Vecchio e Nuovo Testamento dal quale, come dalla sua prima sorgente, proviene tutta la tradizione giuridico-legislativa della Chiesa”[x]. In particolare, egli ha ricordato come Cristo Stesso ha dichiarato che egli non è venuto ad abolire la legge ma a portarla a compimento[xi], insegnandoci che è, infatti, la disciplina della legge che apre la via alla libertà nell’amare Dio e il prossimo. Egli osservò: «In tal modo gli scritti del Nuovo Testamento ci consentono di percepire ancor più l’importanza stessa della disciplina e ci fanno meglio comprendere come essa sia più strettamente congiunta con il carattere salvifico della stessa dottrina evangelica»[xii].
Poi Papa Giovanni Paolo II ha articolato lo scopo del diritto canonico, cioè, il servizio della fede e della grazia, dei doni dello Spirito Santo e della carità. Egli ha evidenziato che, lungi dall’ostacolare il nostro vivere in Cristo, la disciplina canonica salvaguarda e promuove la nostra vita cristiana; ricordando inoltre che:
[I]l suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che assegnando il primato all’amore, alla grazia e ai carismi, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono[xiii].
Come tale, il diritto canonico non può mai essere in conflitto con la dottrina della Chiesa ma è – secondo le parole di Giovanni Paolo II – «estremamente necessario alla Chiesa»[xiv].
L’insegnamento della Chiesa, infatti, è tradotto nella disciplina tramite la tradizione canonica[xv]. Egli indicò quattro vie per le quali la disciplina della Chiesa è un complemento necessario alla Sua dottrina, dichiarando:
Poiché infatti è costituita come una compagine sociale e visibile, essa ha bisogno di norme: sia perché la sua struttura gerarchica ed organica sia visibile; sia perché l’esercizio delle funzioni a lei divinamente affidate, specialmente quella della sacra potestà e dell’amministrazione dei Sacramenti, possa essere adeguatamente organizzato; sia perché le scambievoli relazioni dei fedeli possano essere regolate secondo giustizia, basata sulla carità, garantiti e ben definiti i diritti dei singoli; sia, finalmente, perché le iniziative comuni, intraprese per una vita cristiana sempre più perfetta, attraverso le leggi canoniche vengano sostenute, rafforzate e promosse[xvi].
Quindi, essendo il servizio del diritto canonico alla vita della Chiesa essenziale, Papa Giovanni Paolo II ha ricordato alla Chiesa che «le leggi canoniche, per loro stessa natura, esigono l’osservanza» e, a tale scopo, «l’espressione delle norme fosse accurata, e perché esse risultassero basate su un solido fondamento giuridico, canonico e teologico»[xvii].
Conclusione
In conclusione, il libro di don Nicola Bux oltre ad essere un ottimo sussidio per approfondire e riscoprire il senso autentico dei Sacramenti, la loro propria struttura ed il modo corretto di celebrarli, può, senza dubbio, contribuire a riaccendere i riflettori sulla dimensione giuridica degli stessi e più in generale sulla natura ed importanza del diritto e della giustizia nella Chiesa.
Infatti, ricomprendere l’ontologico rapporto tra il diritto e il Mistero della Fede, che si concretizza in modo profondo e mirabile nei Sacramenti, non potrà che aiutare ad eliminare definitivamente quell’atteggiamento di sospetto e di sfavore che ancora alberga in certi ambienti ecclesiale nei confronti del diritto nella Chiesa, aiutando a vivere meglio anche la dimensione della carità e della misericordia, perché, come ha evidenziato Papa Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate,
La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all’altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all’altro ciò che è «suo», ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso “donare” all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è “inseparabile dalla carità”, intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o com’ebbe a dire Paolo VI, “la misura minima” di essa, parte integrante di quell’amore “coi fatti e nella verità” (1 Gv 3, 18), a cui esorta l’apostolo Giovanni[xviii].
________________________________________[i] Nicola Bux, Con i Sacramenti non si scherza, Edizioni Cantagalli, Siena 2016, p. 14.
[ii] Basti ricordare, circa l’aspetto in questione, quanto scritto nel suo libro classico, Introduzione allo spirito della liturgia: Joseph Ratzinger, Opera Omnia: Vol. 11, Teologia della Liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 35-36; ed ancora nella Lettera del 7 luglio 2007 ai Vescovi in occasione della pubblicazione del m.p. Summorum Pontificum, in Acta Apostolicae Sedis 99 (2007) 795-799.
[iii] Cfr. Ioannes Paulus PP. II, Litterae Encyclicae Redemptor Hominis, “Pontificali eius ministerio ineunte,” 4 Martii 1979, in Acta Apostolicae Sedis 71 (1979) 314, no. 20.
[iv] Cfr. Id., Litterae Encyclicae Ecclesia de Eucharistia, “De Eucharistia eiusque necessitudine cum Ecclesia,”17 Aprilis 2003, in Acta Apostolicae Sedis 95 (2003) 439, n. 10 (abbrev. EdeE).
[v] «Nostrum propterea esse censemus vehementer hortare, ut in eucharistica Celebratione magna quidem fidelitate liturgicae observentur regulae. Ipsae enim sunt significatio solida verae ecclesialis indolis Eucharistiae; hic eorum est altissimus sensus. Numquam privata alicuius proprietas est liturgia, neque ipsius celebrantis neque communitatis ubi Mysteria celebrantur. Debuit acriora verba apostolus Paulus communitati Corinthiae proferre ob graviora vitia eorum in eucharistica Celebratione, quae pepererunt divisiones (schismata) atque factionum constitutiones (haereses) (cfr 1 Cor 11, 17-34). Nostris pariter temporibus observantia liturgicarum normarum iterum est detegenda et aestimanda veluti actus et testimonium unius universalisque Ecclesiae, quae in omni Eucharistiae celebratione praesens redditur. Tam sacerdos, qui Missam ex liturgicis normis fideliter celebrant, quam communitas, quae his se conformat, modo tacito sed eloquenti suum testificantur erga Ecclesiam amorem» (EdE, 468, n. 52. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 22, p. 273, n. 303. [abbrev. EdeEIt]).
[vi] «Semper oportet hic stupor Ecclesiam pervadat in eucharistica Celeberatione congregatam. Verum comitari debet praecipue Eucharistiae ministrum. Ipse enim, propter facultatem ipsi in sacramento Ordinationis sacerdotalis concessam, peragit consecrationem. Ex potestae, quae a Cristo in Cenacolo ei obtingit, ipse pronuntiat voces: “Hoc est enim Corpus meum quod prov vobis tradetur… Hic est enim calix Sanguinis mei novi et aeterni testamenti qui pro vobis et pro multis effundetur…”. Enuntiat haec verba sacerdoes vel potius os suum suamque vocem praestat Illi qui in Cenaculo haec vocabula exprompsit, et qui voluit ut per aetates ab omnibus illis eadem iterarentur qui in Ecclesia ministeriale illius communicant sacerdotium» (EdeE, 436, n. 5. Versione italiana: EdeEIt, p. 205, n. 219).
[vii] «In sacramentis celebrandis fideliter serventur libri liturgici a competenti auctoritate probati; quapropter nemo in iisdem quidpiam proprio marte addat, demat aut mutet» (Versione italiana: Codice di diritto canonico commentato, ed. Redazione di Quaderni di diritto ecclesiale, 3ª ed. riv., Àncora Editrice, Milano, 2009, p. 722, can. 846, § 1. [abbrev. CICIt]).
[viii] «Ius est christifidelibus ut ex spiritualibus Ecclesiae bonis, praesertim ex verbo Dei et sacramentis, adiumenta a sacris Pastoribus accipiant» (Versione italiana: CICIt, p. 233, can. 213).
[ix] «Mentem autem hodie convertentes ad exordium illius itineris [ad Codicem Iuris Canonici recognoscendum], hoc est ad diem illam XXV Ianuarii anno MCMLIX [“qua Decessor Noster fel. rec. Ioannes XXIII primum publice nuntiavit captum abs se consilium reformandi vigens Corpus legum canonicarum, quod anno MCMXVII, in sollemnitate Pentecostes, fuerat promulgatum”], atque ad ipsum Ioannem XXIII, Codicis recognitionis initiatore, fateri debemus hunc Codicem ad uno eodemque proposito profluxisse, rei chistianae scilicet restaurandae; a quo quidem proposito totum Concilii opus suas normas suumque ductum praesertim accepit» (Ioannes Paulus PP. II, Constitutio Apostolica Sacrae Disciplinae Leges, 25 Ianuarii 1983, in Acta Apostolicae Sedis 75, Pars II (1983), viii (Cfr. vii). [abbrev. SDL]. Versione italiana: Codice di diritto canonico commentato, 3ª ed. riv., Àncora Editrice, Milano, 2009, p. 59. [abbrev. SDLIt]).
[x] «… longinqua illa hereditas iuris, quae in libris Veteris et Novi Testamenti continetur, ex qua tota traditione iuridica et legifera Ecclesiae, tamquam a suo primo fonte, originem ducit» (SDL, x. Versione italiana: SDLIt, p. 61).
[xi] Cfr. Mt 5, 17.
[xii] «Sic Novi Testamenti scripta sinunt ut nos multo magis percipiamus hoc ipsum disciplinae momentum, utque ac melius intellegere valeamus vincula, quae illud arctiore modo contingunt cum indole salvifica ipsius Evangelii doctrinae» (SDL, x-xi. Versione italiana: SDLIt, p. 63).
[xiii] «… Codex eo potius spectat, ut talem gignat ordinem in ecclesiali societate, qui, praecipuas tribuens partes amori, gratiae atque charismati, eodem tempore faciliorem reddat ordinatam eorum progressionem in vita sive ecclesialis societatis, sive etiam singulorum hominum, qui ad illam pertinent» (SDL, xi. Traduzione italiana: SDLIt, p. 63).
[xiv] «… Ecclesiae omnino necessarius est» (SDL, xii. Versione italiana: SDLIt, p. 65).
[xv] Cfr. SDL, xi. Versione italiana: SDLIt, p. 63.
[xvi] «Cum ad modum etiam socialis visibilisque compaginis sit constituta, ipsa normis indiget, ut eius hierarchica et organica structura adspectabilis fiat, ut exercitium munerum ipsi divinitus creditorum, sacrae praesertim potestatis et administrationis sacramentorum rite ordinetur, ut secundum iustitiam in caritate innixam mutuae christifidelium necessitudines componantur, singulorum iuribus in tuto positis atque definitis, ut denique communia incepta, quae ad christianam vitam perfectius usque vivendam suscipiuntur, per leges canonicas fulciantur, muniantur ac promoveantur» (SDL, xii-xiii. Versione italiana: SDLIt, p. 65).
[xvii] «… canonicae leges suapte natura observantiam exigent … accurate fieret normarum expressio…in solido iuridico, canonico ac theologico fundamento inniterentur» (SDL, xiii. Versione italiana: SDLIt, p. 66).
[xviii] «Caritas iustitiam praetergreditur, quia amare est donare, “meum” alii ministrare; sed istud non sine iustitia fit, quae alii tribuendum curat quod “ad eum” spectat, quod, ratione habita ipsius essendi et operandi, ad eum pertinet. Alii “tribuere” non possum, quin primum quod ad eum secundum isutitiam spectat non dederim. Qui ceteros caritate amat, ante omnia erga eos aequus est. Non modo iustitia caritati non est aversa, non modo via non est quaedam succedanea vel caritati confinis: iustitia “a caritate seiungi non potest”, intra eam est. Iustitia prima est via caritatis vel, ad Decessoris Nostri Pauli VI effatum, “minima ipsius mensura”, pars quidem necessaria illius amoris “in opere et veritate” (1 Io 3, 18), de qua re monet apostolus Ioannes» (Benedictus PP. XVI, Litterae Encyclicae Caritas in veritate, “De humana integra progressione in caritate veritateque”, 29 Iunii 2009, in Acta Apostolicae Sedis 101 (2009) 644, n. 6. Versione italiana: Enchiridion Vaticanum, vol. 26, p. 473, n. 686).
7 commenti:
Visto che questi raduni (concilio, sinodo e altro) riconfermano sempre quello che era stato detto e scritto ma, poi nella divulgazione diventano altro se non il contrario di quello che si erano proposti di dire e scrivere, sarebbe meglio non convocare mai più tali raduni nè tenerne memoria scritta, cancellare gli ultimi e attenersi a quello che disse Nostro Signore e fu scritto dai suoi Apostoli e da tutti coloro che onestamente riconobbero e riconoscono, dopo aver rinunciato per sempre e sempre di nuovo al loro io ed alle sue flatulenze, come loro unico Maestro Gesù Cristo.
"Ricordate anche la domanda che il Signore Risorto ha rivolto tre volte a Pietro: “Mi ami tu?”. Questa è la domanda che egli rivolge a ciascuno di voi. Lo amate? Desiderate servirlo con il dono della vostra intera vita? Desiderate condurre altri a conoscerlo ed amarlo? Con Pietro abbiate il coraggio di rispondere: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo” e accogliete con cuore grato il magnifico compito che egli vi ha assegnato."
(Papa Benedetto XVI - Omelia 18 Aprile 2010)
Segnalo un articolo di don Mauro Tranquillo su AL:
http://www.corsiadeiservi.it/it/default1.asp?page_id=1403
Oggi pomeriggio alle ore 16:45 diretta su Radiobuonconsiglio con Padre Serafino Lanzetta e Antonio Farina .
Il tema sara' sempre AL . Si potranno rivolgere domande in diretta oppure lasciare le stesse alle Suore FFI che avranno cura di girarle al Padre che rispondera' in diretta :
0825-444391
rbuonconsiglio@gmail.com
Non so se sarà pubblicata, ma ve la invio lo stesso. Grazie dell'attenzione.
Questa mattina al risveglio sfogliando la pagina face-book ho letto questo commento alla foto ritraente Berlusconi che prende la Eucarestia: "Quando vedo ste foto mi viene una senso di tristezza. La tristezza di cristiani che mettono alla berlina un fratello che fa la comunione. Ma facciamoci tutti una bella spaghettata di affari nostri, che se dobbiamo guardare realmente alle nostre, di magagne, di tempo per quelle degli altri non ce ne resterebbe neanche un pò".
In un baleno mi sono sentito ispirato e ho scritto quello che segue:
Quando tace la toga e si depone la spada,
unica resta la voce della poesia a sfidare la tirannia.
Riprendo questa parte del commento di Alfonso, perché anch'io ho un senso di repulsione di fronte allo "sfogatoio" rappresentato da Facebook et similia, in cui si resta letteralmente sommersi da una valanga di aspetti della realtà dai più orridi ai più banali, con gente che pontifica e praticamente vi resta invischiata profondendovi tempo ed energie, non lesinando palate di improperi, alcuni senza nessun limite (tanto c'è lo schermo).
Questo credo sia un aspetto da cui rifuggire e guardarsi perché è insano e dispersivo e alienante.
Un conto è scorrere rapidamente le notizie selezionate nei "gruppi" di interesse, un altro conto è quest'uso fagocitante che forse è una delle cause dell'anestesia diffusa nei confronti della realtà concreta nei confronti della quale, per come stanno le cose si è impotenti a reagire. Ma forse, se le energie migliori fossero incanalate diversamente nella realtà vera e non in quella virtuale, le cose andrebbero diversamente.
Ovvio che il discorso non riguarda solo le "reti sociali" che sono solo l'aspetto più frammentato e frammentante, a dispetto delle cosiddette "community" che vorrebbero costituire....
https://akacatholic.com/francis-was-right-about-burke-all-along/
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