Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

martedì 26 novembre 2013

Processo ai nuovi modernisti

Le reazioni su questo giornale di mons. Luigi Negri, di don Francesco Ventorino e del prof. Massimo Borghesi, al mio articolo sulla “liquefazione della Chiesa” (“Il Foglio”, 12 novembre 2013) mi impongono di tornare su una questione di fondo del dibattito cattolico contemporaneo: quella riguardante la definizione della fede, indubbio fondamento della vita cristiana.

Il dato di fatto da cui partire, e su cui spero anche i miei interlocutori convengano, è il crollo della fede, verificatosi nella Chiesa negli ultimi cinquant’anni. Inaugurando il 27 gennaio 2012 l’Anno della Fede, Benedetto XVI si esprimeva in questi termini: “Come sappiamo, in vaste zone della terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti ad una profonda crisi di fede, ad una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni”.

Ma l’Anno della fede si è chiuso – occorre dirlo – senza che si intraveda in alcun modo una risposta forte delle autorità ecclesiastiche di fronte alla crisi in atto. La stessa enciclica Lumen Fidei ignora in maniera sorprendente questo drammatico problema [vedi alcune osservazioni su questo blog]. Ma cos’è la fede? La risposta a questa domanda non ammette equivoci, dopo la definizione del Concilio Vaticano I, riproposta dal nuovo Catechismo della Chiesa cattolica: la fede è l’adesione della ragione, mossa dalla grazia, alle verità rivelate da Dio, per l’autorità di Dio stesso che ce le rivela. Le verità rivelate sono dette tali perché sono contenute, in maniera esplicita o implicita, nella rivelazione divina, conclusa con la morte dell’ultimo apostolo.

La Sacra Scrittura e la Tradizione raccolgono queste verità, che formano la fede oggettiva e immutabile della Chiesa. In alcuni casi tali verità oltrepassano la nostra ragione e sono dette misteri. I due misteri centrali del Cristianesimo sono la Trinità e l’Incarnazione del Verbo. Essi sono superiori alla nostra ragione, ma non le si oppongono. Crediamo queste verità perché ci sono rivelate da Dio. Ma l’esistenza di Dio prima di essere una verità di fede, è verità filosofica, che può essere dimostrata dalla ragione, così come può essere dimostrata dalla ragione l’esistenza e l’immortalità dell’anima.

La fede interessa non solo la teologia, ma la filosofia, come mostra bene Antonio Livi (si veda ad esempio il suo Razionalità della fede nella rivelazione, Leonardo, Roma 2005). L’inconoscibilità della natura di Dio non va confusa con la certezza razionale della sua esistenza. Solo dopo aver assodato che Dio esiste possiamo credere in Lui e nella sua rivelazione. Per questo sant’Agostino dice che dobbiamo “Credere Deum, Deo, in Deum”, cioè credere Dio come oggetto della fede; credere a Dio come motivo della fede; credere in Dio come suo fine. 

Lutero per primo stravolse il concetto tradizionale di fede. L’uomo, integralmente corrotto dal peccato originale, è per lui incapace di conoscere il vero e amare il bene. La fede non consiste nella ragione e nella volontà, imputridite dal peccato, ma nella “fede fiduciale”, che nasce da un sentimento di disperazione profonda ed ha il proprio oggetto nella misericordia di Dio, invece che nelle verità da lui rivelate. Appellandosi a questa visione pietista e individualista della fede, Lutero e suoi continuatori fanno dell’esperienza religiosa l’unico criterio della vita cristiana. In tutta la tradizione evangelico-protestante la religione è vista come un “incontro” salvifico con Dio, in cui la fede soggettiva assorbe e dissolve quella oggettiva.

Nella Esquisse d’une philosophie de la religion (1897) di Auguste Sabatier (1839-1901) arriva a compimento la riduzione protestante della fede a sentimento. L’atto di fede è inteso come incontro con la potenza oscura e misteriosa da cui l’anima dipende e da cui dipende il suo destino. Tutto ciò che è dogma e riflessione teologica non è altro che la trascrizione simbolica di un'esperienza religiosa collettiva in continua evoluzione. 

Negli stessi anni in cui appare l’opera di Sabatier, Maurice Blondel (1861-1949) pubblica l’Action (1893), prima espressione di quella filosofia dell’azione che, con il protestantesimo liberale, costituisce il retroterra immediato del modernismo. Secondo Blondel l’azione, e non il pensiero, attinge la verità dell’essere.

La massima tradizionale secondo cui “agere sequitur esse” viene capovolta: l’azione precede l’essere e l’uomo trova la verità e la stessa fede nell’azione [vedi Amerio e la dislocazione della divina Monotriade]. L’azione è la sintesi del pensare e dell’agire, il vincolo tra il pensiero e l’essere. Blondel vuole dunque sostituire alla apologetica tradizionale, che si propone la dimostrazione razionale delle verità del Cristianesimo, una nuova apologetica basata sul principio di immanenza. Il metodo dell’immanenza pretende di trovare la verità della religione e dei misteri della fede partendo dalla coscienza dell’uomo, dai suoi bisogni, dalle sue aspirazioni, da tutto ciò che sgorga dalla sua esperienza di vita.

Tesi analoghe erano espresse dal teologo del modernismo George Tyrrell (1861-1909), che dopo essersi convertito dal protestantesimo al cattolicesimo entrò nella Compagnia di Gesù, ma presto ne contestò l’insegnamento. Anche per Tyrrell, la religione è un’unione del cuore con Dio che fa a meno della verità dei dogmi. Il Dio di Tyrrell, come quello di Blondel, è immanente alla coscienza, che lo riconosce nella propria esperienza religiosa. Non è la verità a determinare l’esperienza, ma l’esperienza a costituire il criterio supremo della verità. “Trait d’union” tra Blondel e Tyrrell fu Henri Brémond (1865-1930), anch’egli gesuita, insofferente della disciplina e dell’insegnamento della Compagnia.

La corrispondenza tra Brémond e Tyrrell è istruttiva a questo proposito (Lettres de George Tyrrell à Henri Brémond, Aubier, Parigi 1971). Brémond, in preda a crisi di nevrastenia, confidava a Tyrrell di voler lasciare i gesuiti per vivere, come Tyrrell, con un’amante. Il suo ideale – scriveva – sarebbe stato quello di una “vita clericale adogmatica”. Tyrrell risponde al confratello di essere prudente e di abbandonare la Compagnia senza precipitare le cose.

Quando qualche anno dopo Tyrrell morirà, dopo essere stato scomunicato da san Pio X, Brémond sarà al suo capezzale e, seguendo i suoi consigli, vivrà poi nel mondo come un semplice sacerdote cripto-modernista, intraprendendo una carriera letteraria che lo porterà all’Académie française. La sua poderosa Histoire littéraire du sentiment religieux en France (1915-1933, 11 volumi), già nel titolo riassume le tesi degli amici Blondel e Tyrrell: la fede ridotta a intuizione poetica, esperienza di vita mistica che vanifica ogni verità dogmatica.

 Tra i diretti continuatori di questa linea di immanenza vitale fu il padre Henri de Lubac (1896-1991), anch’egli, come Brémond e Tyrrell, appartenente alla Compagnia di Gesù, ma a differenza di loro gesuita fino all’ultimo giorno della sua vita. De Lubac, come Blondel, pone nella coscienza dell’uomo la possibilità di incontrare Dio con le proprie forze, distruggendo la fondamentale distinzione tra l’ordine naturale e quello soprannaturale.

Il cardinale Siri, in Getsemani. Riflessioni sul Movimento Teologico Contemporaneo (Fraternità della Santissima Vergine, Roma 1980), ha ampiamente confutato questi errori teologici. Pio XII, con l’enciclica Humani generis (1950), condannò le tesi di de Lubac e degli altri esponenti della nouvelle théologie progressista, ma dopo la sua morte furono proprio loro i protagonisti del Concilio Vaticano II, a cui diedero l’orientamento di fondo. De Lubac fu creato cardinale da Giovanni Paolo II ed è oggi citato spesso da Papa Francesco, anche se pochi ne hanno letto le opere, criptiche e prolisse.

Negli anni del postconcilio, de Lubac appartenne all’ala “moderata” della nuova teologia progressista. Ma la sua moderazione, più che nel contenuto, è nei toni. Basta paragonare il suo diario del Concilio Vaticano II a quello del domenicano Yves Congar, per rendersi conto della differenza tra il suo linguaggio misurato e quello violento e spesso grossolano di Congar. Ciò non impedì a de Lubac di essere un entusiasta ammiratore e divulgatore delle opere del suo confratello Pierre Teilhard de Chardin, una delle figure estreme dell’eterodossia cattolica del Novecento, verso cui lo stesso Blondel aveva manifestato delle riserve. 

De Lubac apparteneva a quella categoria di uomini che detestano le conseguenze delle proprie idee. Criticò il disfacimento postconciliare, ma non volle ammettere che le radici di quanto accadeva stavano proprio negli errori della nouvelle théologie. Nel 1972 fu tra i promotori della rivista “Communio”, e don Luigi Giussani, che negli stessi anni lanciava Comunione e Liberazione, lo riconobbe come un suo maestro. I discepoli di don Giussani protestano quando gli attribuisco una equivoca nozione di fede, e “Rosso Malpelo” (Gianni Gennari), mi accusa su “Avvenire” di dire “bugie”, ma la verità è consegnata alla storia.

Invito a leggere il libro di don Giussani, Un avvenimento di vita cioè una storia. Itinerario di quindici anni concepiti e vissuti, con un’introduzione del cardinale Ratzinger (Il Sabato, Milano 1993). Il volume raccoglie le interviste e gli appunti da conversazioni pubbliche che il fondatore di CL ha tenuto tra il 1976 e il 1992. Il libro non contiene nessuna esplicita negazione delle verità di fede e vuole manifestare anzi l’attaccamento alla Chiesa di don Giussani. Ma alla fine delle 500 pagine si rimane con una sensazione di vuoto intellettuale. Al lettore non rimane che questo messaggio: non serve né l’apologetica, né l’approfondimento razionale della verità. Ciò che conta è vivere. Ma vivere che cosa? Si tratta, spiega don Giussani, di “rendere la fede un avvenimento” (p. 339).

Comunione e Liberazione nasce da una “intuizione del Cristianesimo come avvenimento di vita e quindi come storia” (p. 349). “Il metodo consiste in questo: che l’intuizione diventa esperienza (…). L’esperienza è il luogo in cui si vede se ciò che è intuito vale per la vita” (p. 351). La fede è incontrare Cristo, riconoscere la sua presenza nella storia e nella propria vita. Ma chi è Cristo? La risposta ciellina è scoraggiante: colui che si incontra. Il problema di fondo è che, al di fuori della tautologia dell’incontro, Cielle non è andata e non potrà mai andare, proprio per la sua pretesa di ridurre il cristianesimo a pura esperienza ed esigenza dello spirito.[vedi Mons. Gherardini: Ne obstupescat]

Il Cristianesimo, certo, è anche esperienza, ma l’esperienza è per sé stessa, incomunicabile; mentre ciò che si può comunicare sono i princìpi che precedono l’esperienza e da cui l’esperienza dipende. Nessuno mette in dubbio l’esistenza dell’esperienza religiosa che, sotto certi aspetti, è la forma più alta di vita cristiana. L’esperienza è infatti una conoscenza immediata e diretta della realtà. Ma l’esperienza religiosa non solo non nega la credibilità razionale della fede, ma la presuppone. Nella prospettiva di Cielle invece cade l’apologetica e tocca alla vita, e non alla razionalità dei motivi, dare la dimostrazione dell’esistenza di Dio e della verità della Chiesa. L’esperienza religiosa però ha valore solo se sottomessa alla ragione, alla rivelazione e al magistero.

Oggi si è smarrita la vera nozione di fede, perché la si riduce a sentimento del cuore, dimenticando che essa è un atto razionale, che ha come oggetto la verità. L’intelletto è la sola facoltà spirituale che può far proprie le verità proposte dalla rivelazione.

Per i modernisti di oggi, come per i protestanti di una volta, la fede appartiene alla sfera affettiva e irrazionale. L’oggetto della fede, le verità credute, diventa secondario. Si rigetta in blocco il realismo greco-cristiano, negando valore al Logos, ai primi princìpi della ragione e al primato della metafisica. Ciò che conta è l’esperienza individuale del credente, quello che egli vive nella sua sensibilità. L’esperienza intima del soggetto diviene l’unica esperienza della vita cristiana e la coscienza religiosa l’essenza della vita della Grazia.

Questa “esperienza di fede” rifugge dalle affermazioni dogmatiche, nella convinzione che ciò che è assoluto divide e solo ciò che muta e si adatta può unire gli uomini tra loro e a Dio. In questa religione dell’umanità caratteristica dei nostri tempi l’affermazione netta della verità è un atto di intolleranza verso il prossimo e il compromesso tra la fede e il mondo diviene il modello di ciò che definito “incontro” con Dio. La fede però non è irenica: si alimenta con lo studio, con la discussione, anche con la polemica. Quando si discute con passione, vuol dire che si crede e il calore della polemica è talvolta la misura dell’amore verso ciò in cui si crede. Ma all’interno dello stesso clero, chi crede oggi, e in che cosa?

Perché l’esperienza religiosa sia vera e non sia un’illusione ci vuole invece un criterio di verità. Il problema di fondo è come determinare l’autenticità dell’esperienza. L’esperienza religiosa può essere solo esperienza del vero Dio e della vera religione: non è un generico sentimento di dipendenza dall’assoluto. E’ esperienza religiosa quella di un buddista immerso nel Nirvana? De Lubac pensa di sì e forse anche alcuni discepoli di don Giussani.
Ogni errore ha delle conseguenze.

La scarsa sensibilità liturgica di Comunione e Liberazione non è casuale. La massima della Chiesa secondo cui la lex orandi traduce la lex credendi presuppone l’esistenza di una integra e coerente dottrina, di cui la liturgia è visibile espressione. Ma se la dottrina è assorbita dalla vita, la liturgia non può che essere condannata all’estinzione. L’amore per la liturgia tradizionale presuppone necessariamente l’amore per le verità tradizionali. E il tanto bistrattato “tradizionalismo” non è altro che questo: amore alla verità della Chiesa in tutte le sue espressioni, da quelle liturgiche a quelle politiche e sociali.

I cosiddetti “tradizionalisti”, che sono solo cattolici senza compromessi, si richiamano all’insegnamento immutabile della Chiesa: non idolatrano il potere, ma credono nella Regalità sociale di Gesù Cristo, ossia sul suo diritto a regnare su ogni uomo e sulla società intera. L’“esperienza religiosa” a cui si rifanno è quella di coloro che testimoniarono col sangue la loro visione cristiana della società, come i Vandeani in Francia e i Cristeros in Messico. Nulla a che fare con l’amoralismo politico di cui negli anni Cielle ha dato prova. Sarebbe vano cercare un filo conduttore negli ospiti illustri del Meeting di Rimini, dalle sue origini ad oggi: personalità di destra e di sinistra, conservatori e progressisti si sono alternati e si alternano in una passerella del potere, che se è priva di continuità intellettuale e politica, non manca di intima coerenza nel suo radicale pragmatismo.

Il lungo idillio di Comunione e Liberazione con Giulio Andreotti deve far riflettere. Andreotti fu l’incarnazione dell’amoralismo politico e tra la filosofia della prassi ciellina e la politica della prassi andreottiana, l’incontro era obbligato. L’uomo che andava a Messa ogni mattina, non esitava a firmare, nel 1978, la legge abortista in Italia. La fede svincolata dai princìpi razionali e dai “valori non negoziabili” rende disponibili a qualunque avventura. Così oggi Roberto Formigoni, quando “apre” all’affidamento di bambini alle coppie gay, non è incoerente con la “filosofia della prassi” a cui si ispira.

Il prof. Massimo Borghesi ritiene che negli anni Settanta, fu “la pedagogia dell’esperienza” di CL e non il tradizionalismo a “salvare” la Chiesa. Io ritengo invece che Comunione e Liberazione abbia semplicemente intercettato la parte sana del mondo cattolico rimasta “orfana” negli anni bui del postconcilio, senza essere in grado di dare a questi giovani gli strumenti teologici e filosofici di cui avevano bisogno, a cominciare da una retta nozione di fede. Molti di essi, oggi non più giovani, erano e sono di ottima qualità ed è soprattutto a loro che mi rivolgo quando affermo che Comunione e Liberazione non ha costituito un argine alla crisi della fede dei nostri giorni, ma ha contribuito all’infiacchimento della fede e alla sua crisi attuale, senza negare naturalmente le buone intenzioni di nessuno e con il massimo rispetto per i miei interlocutori, a cominciare da mons. Luigi Negri, al quale contraccambio stima e amicizia.
Roberto de Mattei
Fonte: Il Foglio – 26 novembre 2013

32 commenti:

Fabiola ha detto...

Scopro, con dispiacere, di essere una "nuova modernista".
Mi spiace perché ho imparato proprio dal Gius ad amare la Tradizione e ho sempre provato a capire le fatiche e le passioni di chi è particolarmente legato ad essa.
So che i titoli sono redazionali e non lo attribuisco al prof. De Mattei.
Certo l'articolo non è benevolo e non corrisponde alla conoscenza e all'"esperienza" che io ho maturato in CL.
Per ora non entrò nel merito.
Non voglio aprire polemiche ma siete proprio certi che questo tipo di giudizi che non salva proprio nulla nella Chiesa tranne se stessi non contribuisca ad isolarvi e non faccia perdere del tutto le ricchezze di cui siete portatori?

Anonimo ha detto...

"colpi a destra e colpi a manca"
http://www.fidesetforma.com/2013/11/26/evangelizzazione-senza-controllo/
http://it.gloria.tv/?media=514959
m

Anonimo ha detto...

Ampia sintesi dell'Esortazione apostolica 'Evangelii Gaudium'

http://it.radiovaticana.va/news/2013/11/26/sintesi_ampia_dellevangelii_gaudium/it1-749987
del sito Radio Vaticana

Qui il testo completo dell'Esortazione apostolica 'Evangelii Gaudium'

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium_it.html

Un primo commento?
Purtroppo sempre il solito.

di Battisti Mogol
CONFUSIONE

Tu lo chiami solo un vecchio sporco imbroglio
Ma è un abbaglio, è BERGOGLIO

Alessio

mic ha detto...

Noi saremmo i "tradizionalisti tristi", ma Colafemmina non esita a definire "casino" questo cosiddetto magistero bergogliesco che ci lascia di sale...
Perdonatemi, ora non riesco. Ne parlerò, credo, domani.

Anonimo ha detto...

156. Alcuni credono di poter essere buoni predicatori perché sanno quello che devono dire, però trascurano il come, il modo concreto di sviluppare una predicazione. Si arrabbiano quando gli altri non li ascoltano o non li apprezzano, ma forse non si sono impegnati a cercare il modo adeguato di presentare il messaggio. Ricordiamo che « l’importanza evidente del contenuto dell’evangelizzazione non deve nasconderne l’importanza delle vie e dei mezzi ».[124] La preoccupazione per la modalità della predicazione è anch’essa un atteggiamento profondamente spirituale. Significa rispondere all’amore di Dio, dedicandoci con tutte le nostre capacità e la nostra creatività alla missione che Egli ci affida; ma è anche un esercizio squisito di amore al prossimo, perché non vogliamo offrire agli altri qualcosa di scarsa qualità. Nella Bibbia, per esempio, troviamo la raccomandazione di preparare la predicazione per assicurare ad essa una misura adeguata: « Compendia il tuo discorso. Molte cose in poche parole » (Sir 32,8).

157. Solo per esemplificare, ricordiamo alcuni strumenti pratici, che possono arricchire una predicazione e renderla più attraente. Uno degli sforzi più necessari è imparare ad usare immagini nella predicazione, vale a dire a parlare con immagini. A volte si utilizzano esempi per rendere più comprensibile qualcosa che si intende spiegare, però quegli esempi spesso si rivolgono solo al ragionamento; le immagini, invece, aiutano ad apprezzare ed accettare il messaggio che si vuole trasmettere. Un’immagine attraente fa sì che il messaggio venga sentito come qualcosa di familiare, vicino, possibile, legato alla propria vita. Un’immagine ben riuscita può portare a gustare il messaggio che si desidera trasmettere, risveglia un desiderio e motiva la volontà nella direzione del Vangelo. Una buona omelia, come mi diceva un vecchio maestro, deve contenere “un’idea, un sentimento, un’immagine”.

158. Diceva già Paolo VI che i fedeli « si attendono molto da questa predicazione, e ne ricavano frutto purché essa sia semplice, chiara, diretta, adatta ».[125] La semplicità ha a che vedere con il linguaggio utilizzato. Dev'essere il linguaggio che i destinatari comprendono per non correre il rischio di parlare a vuoto. Frequentemente accade che i predicatori si servono di parole che hanno appreso durante i loro studi e in determinati ambienti, ma che non fanno parte del linguaggio comune delle persone che li ascoltano. Ci sono parole proprie della teologia o della catechesi, il cui significato non è comprensibile per la maggioranza dei cristiani. Il rischio maggiore per un predicatore è abituarsi al proprio linguaggio e pensare che tutti gli altri lo usino e lo comprendano spontaneamente. Se si vuole adattarsi al linguaggio degli altri per poter arrivare ad essi con la Parola, si deve ascoltare molto, bisogna condividere la vita della gente e prestarvi volentieri attenzione. La semplicità e la chiarezza sono due cose diverse. Il linguaggio può essere molto semplice, ma la predica può essere poco chiara. Può risultare incomprensibile per il suo disordine, per mancanza di logica, o perché tratta contemporaneamente diversi temi. Pertanto un altro compito necessario è fare in modo che la predicazione abbia unità tematica, un ordine chiaro e connessione tra le frasi, in modo che le persone possano seguire facilmente il predicatore e cogliere la logica di quello che dice.

159. Altra caratteristica è il linguaggio positivo. Non dice tanto quello che non si deve fare ma piuttosto propone quello che possiamo fare meglio. In ogni caso, se indica qualcosa di negativo, cerca sempre di mostrare anche un valore positivo che attragga, per non fermarsi alla lagnanza, al lamento, alla critica o al rimorso. Inoltre, una predicazione positiva offre sempre speranza, orienta verso il futuro, non ci lascia prigionieri della negatività. Che buona cosa che sacerdoti, diaconi e laici si riuniscano periodicamente per trovare insieme gli strumenti che rendono più attraente la predicazione!

Cfr: http://youtu.be/YzcCjniHA3w

Alessio

E.P. ha detto...

Permettetemi una breve segnalazione off topic e un commentino: qualche malalingua dice che da quando ha cambiato direttore spirituale (mandando via il direttore gesuita), il buon Bergoglio sta finalmente cominciando ad imbroccarne qualcuna giusta.

mic ha detto...

da quando ha cambiato direttore spirituale (mandando via il direttore gesuita), il buon Bergoglio sta finalmente cominciando ad imbroccarne qualcuna giusta.

Mi risparmio l'emoticon che mi veniva spontaneo perché, alla fine, qualche virgola cattolica purtroppo non cambia l'effetto dirompente del resto.

Anonimo ha detto...

Non credo che il magistero di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sia suscettibile della critica esposta. Sinceramente apprezzo di più altre analisi, ad esempio, quelle di Luigi Copertino
http://www.kelebekler.com/occ/copert00.htm

E.P. ha detto...

Fra parentesi: siccome la battutaccia sul cambio di direttore spirituale proviene da un seminarista, direi che non va presa alla lettera.

Di questi tempi siamo contenti perfino per qualche piccolo segnale positivo ma senza ridurre le dolorose questioni a tarallucci e vino...

Vedrete tornare presto alla carica tutti i tifosi del Papa che, nella loro cecità, grideranno: vedete? avevamo ragione noi! viva il Papa!

Ed anche stavolta renderanno servizio non alla verità, ma alla propria tifoseria, alla propria idea del papato come eroe da stadio a cui tributare applausi anche quando fa avvantaggiare il nemico.

mic ha detto...

Non voglio aprire polemiche ma siete proprio certi che questo tipo di giudizi che non salva proprio nulla nella Chiesa tranne se stessi non contribuisca ad isolarvi e non faccia perdere del tutto le ricchezze di cui siete portatori?

Cara Fabiola.
non amo le bordate tra coloro che si credono e pensano portatori del Signore nella Chiesa. Mi piacerebbe smarcarmi da molte diatribe.
De Mattei non fa che rispondere a Borghesi (mio professore stimato ma molto 'schierato') e Mons. Negri, anche lui - pur moderato rispetto ad altri - ho constatato ascoltandolo in diversi convegni, piuttosto "allineato" all'"ecclesially correct" attuale, che non riconosce alcun "errore".

E ci sono delle cose che francamente mi vedono in sintonia con De Mattei: è ineludibile, il discorso del primato dell'esperienza sulla conoscenza che è anche un denominatore comune della lumen fidei e dell'Evangelii gaudium di nuovo conio...

E certi errori, o storture, che non possiamo far a meno di definire tali, hanno conseguenze che cominciano ad essere visibili e che penso non siano più ignorabili.

Mi spiace per persone come te che, credo, per una personale capacità di ascolto o per maturità propria, riescono ad andar oltre le storture, che invece incidono su alcune immaturità nel contesto di cui stiamo parlando.

Quanto al "salvare noi stessi", non ci siamo proprio. De Mattei e chiunque ami la Tradizione non salva se stesso e le proprie opinioni e non parla da se stesso, ma in base agli insegnamenti ricevuti nella Chiesa e dunque si fonda sul Magistero perenne.

Anonimo ha detto...

"È auspicabile che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”.[132] Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, e comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza, che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri."

Cfr: http://www.pianetadonna.it/societa/news/papa-francesco-naso-rosso-clown-terapia.html

Alessio

Anonimo ha detto...

"
il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore.

95. Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. [...]
In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo. Non c’è più fervore evangelico, ma il godimento spurio di un autocompiacimento egocentrico.
96. In questo contesto, si alimenta la vanagloria di coloro che si accontentano di avere qualche potere e preferiscono essere generali di eserciti sconfitti piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere. [...] ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” – il peccato del “si dovrebbe fare” – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele.
97. Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Ha ripiegato il riferimento del cuore all’orizzonte chiuso della sua immanenza e dei suoi interessi e, come conseguenza di ciò, non impara dai propri peccati né è autenticamente aperto al perdono. È una tremenda corruzione con apparenza di bene. Bisogna evitarla mettendo la Chiesa in movimento di uscita da sé, di missione centrata in Gesù Cristo, di impegno verso i poveri. Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali! Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio. Non lasciamoci rubare il Vangelo!
"
Ma chi sarebbero questi mostri verso cui riversa tutto questo zelo amaro veemente definitorio apodittico che rasenta in certi passaggi l'anatema ? Il "chi sono io per giudicare?" Vale per chi gli pare quando gli pare?
Ma soprattutto a chi esattamente si sta riferendo?!?

Alessio

Luisa ha detto...

OT, o forse no, sempre per l`Evangelii Gaudium, dicevo prima, e lo confermo ora dopo averla letta, quell`Esortazione è il programma di papa Bergoglio che non esita a dire: "voglio".

"Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”."

Perchè non c`è già la decentralizzazione? Forse che in Germania, in Svizzera e in Francia, sono solo alcuni esempi, le Conferenze episcopali non vanno già per la loro strada, spesso ignorando o ostacolando quel che viene da Roma, quando e se viene...?
È non è forse il Papa, in primis, che deve confermarci nella Fede?
Non è lui che deve essere il faro che indica, conferma e difende la sola e retta via?

"L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi."

La bellezza della liturgia, dipende poi che cosa si intende per "bellezza".

33. "La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e specialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimento pastorale."


35. "Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa."

Luisa ha detto...



36. "Tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. In questo senso, il Concilio Vaticano II ha affermato che « esiste un ordine o piuttosto una “gerarchia” delle verità nella dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana ».[38] Questo vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale."


41. Allo stesso tempo, gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità. Poiché, nel deposito della dottrina cristiana « una cosa è la sostanza […] e un’altra la maniera di formulare la sua espressione ».[45] A volte, ascoltando un linguaggio completamente ortodosso, quello che i fedeli ricevono, a causa del linguaggio che essi utilizzano e comprendono, è qualcosa che non corrisponde al vero Vangelo di Gesù Cristo. Con la santa intenzione di comunicare loro la verità su Dio e sull’essere umano, in alcune occasioni diamo loro un falso dio o un ideale umano che non è veramente cristiano. In tal modo, siamo fedeli a una formulazione ma non trasmettiamo la sostanza. Questo è il rischio più grave. Ricordiamo che « l’espressione della verità può essere multiforme, e il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per trasmettere all’uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato ».


49. "Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: « Voi stessi date loro da mangiare » (Mc 6,37).

Luisa ha detto...

94. "Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore."

95. "Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. In altri, la medesima mondanità spirituale si nasconde dietro il fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, o in un’attrazione per le dinamiche di autostima e di realizzazione autoreferenziale. Si può anche tradurre in diversi modi di mostrarsi a se stessi coinvolti in una densa vita sociale piena di viaggi, riunioni, cene, ricevimenti. Oppure si esplica in un funzionalismo manageriale, carico di statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione. In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo. Non c’è più fervore evangelico, ma il godimento spurio di un autocompiacimento egocentrico."


100."A coloro che sono feriti da antiche divisioni risulta difficile accettare che li esortiamo al perdono e alla riconciliazione, perché pensano che ignoriamo il loro dolore o pretendiamo di far perdere loro memoria e ideali. Ma se vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate, questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?"

Purtroppo per i FFI ha dato ascolto a chi, portato dalla gelosia, dalla sete di potere ha seminato calunnie e divisione, e ha punito, senza ascoltarli, chi ha subito quella rivolta di pochi.
I fatti non confermano sempre le parole, spesso le contraddicono.

mic ha detto...

Con Benedetto XVI si è dimesso il papa con Bergoglio si dimette il papato.
Il nuovo documento, che dovrebbe essere magisteriale è infarcito soggettivismo, sentimentalismo, confusione.
Non c'è nemmeno una citazione del magistero pre-conciliare.
La chiesa 2.0, riformata dal Vaticano II, ora prende il largo e sta mostrando al mondo il suo nuovo volto.
Irriconoscibile per chi l'ha conosciuta e la conosce, davvero.

Amicus ha detto...



"Con Benedetto XVI si è dimesso il papa con Bergoglio si dimette il papato ... La chiesa 2.0, riformata dal Vaticano II, ora prende il largo e sta mostrando al mondo il suo nuovo volto."

Purtroppo è così, cara Mic.
E' arrivato puntuale l'"affondo" di cui parlavo l'altro ieri, dopo le apparenti piccole aperture bergogliane verso la Tradizione che avevano mandato in visibilio Magister ed altri.
Comunque, pur non volendo, un effetto buono l' Evangelii gaudium l'ha provocato: il 'risveglio', sia pure un po' enigmatico, di Francesco Colafemmina sul suo blog. Dico un po' enigmatico perché Colafemmina, dopo una breve ma sferzante critica all'Esortazione apostolica, ne conclude che di fronte a questo caos bergogliano bisogna mantenere una certa impassibilità. Forse sarà perché non sa adesso come uscirsene, dopo aver inquadrato come 'tradizionalisti tristi' coloro che, più logicamente, già prevedevano quanto sarebbe oggi accaduto con questa distruttiva pubblicazione ufficiale.
Che dire: ora inizia la lotta finale, nella Chiesa ci sarà una grande scissione tra i fedeli alla Chiesa di sempre e i seguaci della chiesa Bergogliana.
Ma la Madonna ci aiuterà.


Amicus ha detto...

Comunque riprendo da Fides et Forma II alcuni punti più distruttivi, in prospettiva, dell'"Evangelii gaudium". Che, a questo punto, ahinoi, avrebbe dovuto piuttosto avere come incipit "Judaeorum gaudium": ossia la gioia dei falsi giudei di fronte alla programmata distruzione della Chiesa.

Dall’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”

16. Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”.

32. Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione.

40. Inoltre, in seno alla Chiesa vi sono innumerevoli questioni intorno alle quali si ricerca e si riflette con grande libertà. Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola. A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo.

47. [...] Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.

Amicus ha detto...

(segue)

94. Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore.”

95. Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi.

96. [...] Invece ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” – il peccato del “si dovrebbe fare” – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele.

280. [...] Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!

Anonimo ha detto...

Cara Fabiola, sono di Comunione e Liberazione da più di 20 anni, e non mi riconosco "modernista", anzi, come per te, devo a Don Giussani il mio amore per la grande Tradizione e la liturgia. Vorrei dire a De Mattei (che stimo moltissimo), che stavolta quello che scrive su CL non lo condivido, perché non corrisponde alla Verità della mia vita. Il primo grande problema della vita, caro De Mattei, è VIVERE. La gente oggi, ha bisogno di risolvere il "mal di vivere", e a questo può rispondere solo Gesù, il Suo sguardo, i suoi occhi... e questo non è sentimentale, perché per la vedova di Nain Gesù dopo averle detto "Donna non piangere", ha fatto risorgere anche il suo figlioletto...
In questo senso, la liturgia (io amo tanto quella antica), in quanto è veicolo del Mistero e del Sacro deve essere cone "Dio comanda"...
Caro De Mattei, non c'è la Tradizione senza prima la Vita, cioè Gesù: "IO SONO LA VIA, LA VERITA'E LA VITA".

Con stima
Massimiliano

P.S.
Si può anche approfondire.

Anonimo ha detto...

Dimenticavo una cosa... Nella mia vita c'è stato soltanto una persona più importante di Giussani ed è ancora vivente (il Signore lo conservi ancora per tanti anni) e si chiama Joseph Ratzinger, per chiari motivi.

Massimiliano

mic ha detto...

Quando parla di caccia alle streghe e tutta la lunga sfilza di altre amenità del genere, dovrebbe dire a chi si riferisce. E prendere provvedimenti mirati. Finora l'unico provvedimento mirato è stato preso a sproposito nei confronti dei FI ed ha colpito la liturgia antiquior.

Fabiola ha detto...

Caro Massimiliano, mi conforti. Anch'io stimo il prof. De Mattei, per questo i suoi giudizi su CL mi addolorano in modo particolare.
Sottoscrivo tutto del tuo post. Compresa l'aggiunta su Joseph Ratzinger, uno degli incontri decisivi per la mia povera fede. Ma anche questo lo devo al Gius. Da lui sentii il suo nome per la prima volta, tantissimi anni fa, e,da allora, ha illuminato la mia vita.
Comunque si può approfondire. Ricambio la stima.

martina ha detto...

Carissimi, in tutto questo smarrimento e confusione vogliamo provare a fare una novena, tutti insieme?

mic ha detto...

Oggi, 27 novembre è la ricorrenza della Vergine della Medaglia miracolosa venerata a Roma a S. Andrea delle Fratte, all'Altare davanti al quale si convertì Ratisbonne.
Dispensatrice di tutte le grazie, prega per noi!

L'idea della novena è senz'altro da raccogliere.

Anonimo ha detto...

Purtroppo le mie sensazioni più brutte all'uscita alla loggia, si sono rivelate molto peggio, anche dopo aver visto su youtube il primate e la sua 'personalissima' versione o visione, fate voi, di quel che resta della cc ; per ovvii motivi non sto qui a ripetere chi mi tenga legato con un filo sottilissimo a questo barcone senza timone e senza capitano, sapere che c'è ancora una guida spirituale che prega per la chiesa mi fa sopportare meglio il dolore della rinuncia, e qui rispondo ad AD che più sotto mi e si chiedeva se BXVI sia ancora il pontefice regnante, non lo saprei dire, lo è nel mio cuore e tale sempre resterà, questo sì, riguardo al papato, beh mi sento di dire che questa è la fine....ho sentito commentare che l'evangelii gaudium è molto simile all' evangelii nuntiandi di Paolo VI, se così veramente fosse, non resta nulla da spiegare o da chiosare, signori, siamo al capolinea.... recito una decina e laudes marianae tutte le sere, con l'aggiunta del salmo 129/130, anche per te, caro Una sola fede, non saremo tanti, ma stiamo uniti, il Signore quando verrà, saprà riconoscerci, e non certo dall'odore di pecora, capra o montone che dir si voglia,in giro per strade periferiche e non illuminate in alcun senso, ci vanno solo coloro che si vendono, io non scendo a questo livello....pelagiano ereticaleggiante non mi offende, prostituto sì e scusate la durezza del termine, ma la meretrice babilonese ha tolto la maschera, si sta offrendo a tutti, ed io non ci sto.Lupus et Agnus.

Anonimo ha detto...

Come facciamo cara Fabiola ad approfondire...? Massimiliano

Fabiola ha detto...

Massimiliano, io comincerei da qui.
"Siamo stati chiamati ad essere come Lui, i "mandati dal Padre". Per quale scopo? " la gloria umana di Cristo nel mondo." ( la Sua regalità, in termini più tradizionali ndr).
Tutta la forza nostra, infatti, non viene da risorse umane, ma da quella che il Catechismo, con una parola umilissima, popolarissima, materna, paterna, fraterna, chiama "Grazia". I sacramenti definiscono il metodo con cui il cristiano è presente nella lotta del mondo: sempre vivendo la comunione con Cristo, essendo il Sacramento la grande pietra su cui il piede del camminatore poggia con sicurezza, con speranza. E l'autorità "come eco della parola degli Apostoli, passaggio della Tradizione nel proprio corpo e nella propria anima, passaggio sicuro, perché poggia i piedi sulla roccia di Pietro. ...ogni altro criterio sarebbe soggettivismo, personalismo." ( don Giussani da Vita di...pag.1068)
Ecco io in CL ho scoperto il valore dei Sacramenti, della Autorità , della Santa Messa quotidiana, della devozione a Maria, del Rosario insieme alla recita quotidiana delle Ore, per pregare insieme alla Chiesa. Alcune erano novità, altre recupero di tradizioni cui ero allergica. Davvero non capisco dove sarebbe il modernismo se non in alcune formulazioni di linguaggio per altro sempre ricondotte, anche esplicitamente, alla terminologia tradizionali.

Andrea ha detto...

Fabiola,

Gnocchi e Palmaro e Roberto de Mattei hanno sintetizzato benissimo il problema di CL.

"L’esperienza, dunque, poiché il cristianesimo esige non solo di essere conosciuto, creduto, pensato, ma anche vissuto. Ma “esperienza” è concetto ambiguo che porta inevitabilmente con sé una quota di soggettivismo e rischia di relativizzare la fede. Se è vero che il cristianesimo è incontro con Cristo, bisogna insegnare dove ordinariamente avviene: nella Chiesa e nei suoi sacramenti. Certamente il Signore può trovare altre strade per intercettare un’anima, dalla bellezza di un tramonto all’affetto di una “compagnia”. Ma Cristo si incontra nei sacramenti, dal battesimo alla confessione passando per l’eucarestia, e nella preghiera. Per questo vado a messa, mi confesso, mi comunico, mi inginocchio e prego. Perché nel corso della giornata vorrei avere occhi solo per vedere Gesù, orecchi solo per ascoltare Gesù, bocca solo per lodare Gesù e baciare le sue piaghe, mani solo per carezzare Gesù, ma so che, senza di Lui, non ho la forza per farlo."

"Il resto è terreno sdrucciolevole, sul quale i sentimenti rischiano di accecare la ragione e l’esperienza rischia di mangiarsi la verità. Un territorio dove concetti tremebondi e ambigui come “fascino”, “attrazione”, “risposta alla domanda dell’uomo” possono illudere che seguire Cristo sia l’assecondare una gradevole strada in discesa, mentre è proprio il contrario. L’uomo deve combattere contro tutte quelle pulsioni che lo spingono lontano da Gesù. E deve vigilare perché il peccato e il male diventano persino un veicolo privilegiato da pilotare per tenere comodamente insieme l’incontro con Cristo e una vita lontana dal Decalogo, dando del moralista a chi lo fa notare e beffando proprio quel Gesù che ammonisce “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”." (Gnocchi e Palmaro)

"la fede è l’adesione della ragione, mossa dalla grazia, alle verità rivelate da Dio, per l’autorità di Dio stesso che ce le rivela. Le verità rivelate sono dette tali perché sono contenute, in maniera esplicita o implicita, nella rivelazione divina, conclusa con la morte dell’ultimo apostolo."

"Il metodo dell’immanenza pretende di trovare la verità della religione e dei misteri della fede partendo dalla coscienza dell’uomo, dai suoi bisogni, dalle sue aspirazioni, da tutto ciò che sgorga dalla sua esperienza di vita."

"Ciò che conta è vivere. Ma vivere che cosa? Si tratta, spiega don Giussani, di “rendere la fede un avvenimento” (p. 339).

"Comunione e Liberazione nasce da una “intuizione del Cristianesimo come avvenimento di vita e quindi come storia” (p. 349). “Il metodo consiste in questo: che l’intuizione diventa esperienza (…). L’esperienza è il luogo in cui si vede se ciò che è intuito vale per la vita” (p. 351). La fede è incontrare Cristo, riconoscere la sua presenza nella storia e nella propria vita. Ma chi è Cristo? La risposta ciellina è scoraggiante: colui che si incontra. Il problema di fondo è che, al di fuori della tautologia dell’incontro, Cielle non è andata e non potrà mai andare, proprio per la sua pretesa di ridurre il cristianesimo a pura esperienza ed esigenza dello spirito.

Il Cristianesimo, certo, è anche esperienza, ma l’esperienza è per sé stessa, incomunicabile; mentre ciò che si può comunicare sono i princìpi che precedono l’esperienza e da cui l’esperienza dipende. Nessuno mette in dubbio l’esistenza dell’esperienza religiosa che, sotto certi aspetti, è la forma più alta di vita cristiana. L’esperienza è infatti una conoscenza immediata e diretta della realtà. Ma l’esperienza religiosa non solo non nega la credibilità razionale della fede, ma la presuppone. Nella prospettiva di Cielle invece cade l’apologetica e tocca alla vita, e non alla razionalità dei motivi, dare la dimostrazione dell’esistenza di Dio e della verità della Chiesa. L’esperienza religiosa però ha valore solo se sottomessa alla ragione, alla rivelazione e al magistero."
(De mattei)

Fabiola ha detto...

So leggere, grazie.
Il pensiero di CL (qualsiasi cosa significhi) sta in quel che ho postato di don Giussani.
Lì c'è tutto, in sintesi.
Grazia, Sacramenti, missione, autorità, dottrina.
Dopo di che, non escludo che per alcuni (molti?) ciellini non sia così. E che affermino il primato dell' esperienza e della prassi. Don Giussani non lo fa. La domanda ha sempre riguardato l'essere piuttosto che il fare. È la ontologia nuova, la salvezza, in Gesù Cristo, a partire dal Battesimo. Senza equivoci. Il famoso incontro costituisce, al massimo, la presa di coscienza della potenza di Grazia che scaturisce dai Sacramenti. Quanto alla razionalità della fede pochi l'hanno motivata e difesa come don Giussani. Spesso verificata con il card. Ratzinger. Ma so benissimo che questa può essere un'aggravante, a un certo sguardo.

Andrea ha detto...

Per favore Fabiola cerchiamo di essere sinceri e realisti.

Tu scrivi: "Dopo di che, non escludo che per alcuni (molti?) ciellini non sia così. E che affermino il primato dell' esperienza e della prassi. Don Giussani non lo fa."

Mi dispiace dirtelo ma don Giussani lo fa e se non vuoi accettare questa cosa allora vuol dire che non hai capito il suo pensiero.

In CL il primato viene dato all'esperienza e non ai sacramenti, alla dottrina, alla conoscenza e alla fede.Basta leggere anche le scuole di comunità o i libri del don Giuss per capirlo...

Prendi il libro di un santo e paragonalo con quello che dice il don Giuss, se sei sincera ti accorgerai che non si assomigliano per niente e come ha detto Roberto De Mattei:

"Il libro non contiene nessuna esplicita negazione delle verità di fede e vuole manifestare anzi l’attaccamento alla Chiesa di don Giussani. Ma alla fine delle 500 pagine si rimane con una sensazione di vuoto intellettuale. Al lettore non rimane che questo messaggio: non serve né l’apologetica, né l’approfondimento razionale della verità. Ciò che conta è vivere. Ma vivere che cosa? Si tratta, spiega don Giussani, di “rendere la fede un avvenimento”


Fabiola ha detto...

Andrea, adesso mi sono un po' stufata.
Se non ti riesce proprio di confrontarti, tranquillo, io la smetto qui.
Due postille:
1) l'educazione ricevuta in Cl mi rende capace di vagliare tutto e trattenere il valore. Quindi di apprezzare tante cose che scrive il prof. De Mattei e questo blog, ad esempio. Anche se non godono di targa ciellina. 2) Io non sarei sincera e realista. Quando si passa agli argomenti "ad personam" mi trovo disarmata perché io non VOGLIO usarli.

«La fede è un'obbedienza di cuore a quella forma di insegnamento alla quale siamo stati consegnati" Joseph Ratzinger.
Questo credo e cerco di vivere. Insegnamento, non sentimento o emozione o intuizione o esperienza: insegnamento, nella Chiesa.
Obbedienza di cuore: di tutto l'uomo. corpo, spirito, mente, volontà cioè libertà.
Cosa ci sia i modernista spiegamelo pure tu, che hai una serie di certezze granitiche.