Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 7 febbraio 2024

Una mano dal Cielo / don Elia

A san Filì, dacce ’na mano! Certo che pure te, a li tempi tua, n’hai viste de cotte e dde crude dentro a ’sta città… Ma com’hai fatto?!?
Semplice: me so’ fatto santo.
A un prete romano può capitare di trovarsi a passare, in una gelida e tersa mattinata d’Inverno, davanti alla Chiesa Nuova e, spinto da una forza interiore, di entrarvi per buttarsi in ginocchio davanti al corpo di san Filippo Neri lasciando prorompere dal cuore queste parole e ricevendo nel pensiero la disarmante risposta sopra riportata. Per quanto la Roma rinascimentale fosse corrotta nei costumi, i Santi dell’epoca rimarrebbero esterrefatti nel costatare il grado di decadenza cui è giunta, a cominciare dalle sue guide, larga parte della Chiesa di oggi, non soltanto per le deviazioni morali, ma anche e soprattutto per quelle intellettuali. La metafisica, la logica e l’etica non erano ancora state sovvertite da Kant, Hegel e Heidegger, né la teologia era rimasta influenzata, ad opera dei vari Küng e Rahner, dalle loro aberrazioni. Quella risposta, tuttavia, rimane ancora valida; anzi, essa appare come il primo e principale antidoto alla degenerazione del clero.

Il cuore del problema
Per amor di verità, non si può addossare tutta la colpa ai soli intellettuali tedeschi. In Vaticano l’immoralità allignava da tempo, ben prima dell’ultimo, devastante concilio. Non c’erano solo prelati massoni o modernisti camuffati, ma pure cultori del peggiore dei vizi, che già allora si proteggevano o ricattavano a vicenda. Eppure sarebbe bastato recitare con attenta devozione le preghiere di preparazione alla Messa (attribuite a sant’Ambrogio ed esprimenti le disposizioni necessarie per celebrarla) per rendersi conto dell’inescusabile incoerenza. Quella assegnata al Lunedì, in particolare, domanda la purezza richiesta al sacerdote dal suo stato e da ciò che si accinge a fare: è la natura stessa del sublime atto sacro che sta per compiere ad esigere nella sua persona condizioni precise, in mancanza delle quali esso sarà realizzato in modo valido, sì, ma indegno se non sacrilego, qualora egli si trovi in peccato mortale.

«Re dei vergini, amante della castità e dell’integrità, con la celeste rugiada della tua benedizione estingui nel mio corpo il fomite dell’ardente libidine, perché rimanga in me una costante castità del corpo e dell’anima. Mortifica nelle mie membra gli stimoli della carne e ogni eccitazione libidinosa e con gli altri tuoi doni, che ti piacciono in verità, donami una vera e perpetua castità, affinché io sia in grado di offrirti il sacrificio di lode con corpo casto e cuore puro. Con quanta contrizione del cuore e abbondanza di lacrime, infatti, con quanta riverenza e tremore, con quanta castità del corpo e purità dell’anima va celebrato questo celeste e divino sacrificio, nel quale davvero si assume la tua carne, nel quale davvero si beve il tuo sangue, nel quale le realtà più basse si uniscono a quelle più sublimi, quelle terrene a quelle divine, al quale prendono parte i santi Angeli con la loro presenza, nel quale tu sei sacrificio e sacerdote mirabilmente e ineffabilmente costituito!».

La realtà oggettiva della Messa provoca un attonito stupore e un religioso timore da cui l’anima si sente sopraffatta e al contempo spronata a chiedere l’aiuto soprannaturale indispensabile per porsi nelle disposizioni adeguate, così da poter offrire il Sacrificio nel modo meno indegno possibile. Si sa che numerosi sacerdoti si sono dannati oppure scontano in Purgatorio pene durissime per le loro negligenze nel culto; che ne sarà di quelli che profanano la propria persona consacrata e poi, senza scrupoli di sorta, celebrano sacrilegamente i divini misteri? Come osano presentarsi in quello stato – sempre con le parole di sant’Ambrogio – al cospetto della tremenda maiestas, se anche chi è in stato di grazia, nell’accedere a quel sacro convito, continua a temere e tremare per la consapevolezza dei peccati passati, che ne hanno macchiato il corpo e inquinato la mente, motivo per cui non può fare altro che affidarsi alla bontà e misericordia di Dio?

La vera sfida di sempre
Non alludiamo, naturalmente, alla fiducia temeraria che oggi è suscitata da un ingannevole concetto di misericordia. Colui che si è fatto crocifiggere per liberare l’uomo dal peccato e dalla morte eterna può forse indurlo con una falsa pietà a rimanere com’è sentendosi scusato delle proprie colpe e incoraggiato a perseverare nel male? Il peccato grave non è mera idea, bensì un fatto oggettivo che priva l’anima della vita soprannaturale e le fa meritare la dannazione, così come un virus pericoloso priva il corpo della salute e lo espone al decesso. Non ci si può illudere con giochi di parole, poiché la realtà della colpa non cambia e la coscienza segnala chiaramente la malizia di un atto; solo chi si ostina a soffocarne la voce con artifici ideologici riesce ad andare avanti senza fare i conti con essa, ma prima o poi, volente o nolente, sarà costretto a farli con il Giudice divino – e allora sarà troppo tardi. Dobbiamo tutti interrogarci costantemente sullo stato dell’anima, ma soprattutto chi (almeno per ragioni statistiche) è più vicino al trapasso e ha responsabilità maggiori di quelle dei comuni mortali.

A costo di essere ripetitivi, torniamo a ribadire – con in più il conforto dei Santi – che l’unica vera urgenza rimane la santificazione personale; ciò vale per ogni battezzato, ma quanto più per i sacri ministri! La denuncia degli abusi perpetrati da chierici di ogni ordine e grado mira a mettere in loro una sana inquietudine e a ottenere giustizia per le vittime in questo mondo; essa non deve tuttavia trasformarsi in scusa per trascurare il proprio impegno di purificazione dal peccato e di progresso nella virtù: sarebbe soltanto l’ennesima tentazione di distrazione, un ulteriore diversivo utilizzato dal diavolo per rovinare le anime sotto apparenza di zelo. San Filippo Neri ci redarguirebbe con la sua arguzia così penetrante ed efficace, che aveva in dote da buon fiorentino, ma aveva arricchito di una nota di amabile ironia grazie al prolungato e quotidiano contatto con il popolo di Roma. L’aiuto è pronto a offrircelo, ma vuole trovare in noi almeno un minimo di buona volontà. «Io ’na mano ve la do, ma pure voi dateve da fa’ un pochetto, no? Siate boni, se potete…».

Il segreto della vittoria
Gli amici di Dio uniscono con disinvoltura uno sguardo impietoso sui mali del tempo a una serena speranza teologale, capace di sorriso e perfino, a volte, di ilarità. Essi rifuggono tanto dalla severa prosopopea del castigatore di costumi quanto dagli infingimenti accomodanti degli ignavi; la prima è una forma di vanitosa superbia, i secondi un indice di egoistico attaccamento alla propria tranquillità. Il lacerante dolore da loro provato per le offese rivolte al Cielo e per la rovina delle anime è lenito dall’esperienza dell’ineffabile amore del Cristo e dissimulato dal desiderio di preservarne gli altri, che non sono in grado di sopportarlo come loro in quanto privi delle grazie di cui essi godono. Se sono sacerdoti, dopo la Consacrazione fissano l’Agnello immacolato, immolato e adagiato sul corporale, rapiti dall’abissale condiscendenza del Redentore e pervasi da un invincibile sentimento di essere, grazie a Lui, più forti del mondo intero con tutti i suoi armamenti e le sue ricchezze.

Anche tu, dopo la Comunione, puoi prendere parte a questa vittoria dichiarando a Gesù, realmente presente in te come nel Tabernacolo, la tua totale appartenenza a Lui con le parole di sant’Ignazio di Loyola: «Prendete, Signore, e accettate tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, tutto quello che ho e possiedo. Voi me lo avete dato; a voi, Signore, lo rendo. Tutto è vostro: disponetene in tutto secondo la vostra volontà. Datemi il vostro amore e la vostra grazia, che questa mi basta». Il grande amico di Pippo buono ci insegna a metterci a totale disposizione del nostro Capitano, senza più curarci di nient’altro che del Suo santo volere. Gesù ci prende in parola e non perde tempo, ma ci dà immediatamente ordini impellenti che non si possono né fraintendere né dilazionare; glielo abbiamo chiesto noi… e la carità non sopporta ritardi, né quella verso di Lui né quella verso il prossimo.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

1846 La Salette. Fin da allora esistevano tali peccati nel clero ma pure il popolo andava " come cani dal macellaio in quaresima", non rispettava il riposo festivo e bestemmiava. " Per questo Dio castigherà come mai prima, al più tardi nella seconda metà delXX secolo, e ormai il castigo è evidente a tanti, se non a tutti ( volutamente ciechi).

Anonimo ha detto...

Permettetemi un commento leggero: san Filippo era fiorentino, sicché non credo che parlasse romanesco. ;-) A ogni modo, che preghi per noi peccatori, per tutta la nostra cara Italia e per tutta la santa madre Chiesa.

Forse.. ha detto...

Far funzionare il cervello!
Omelia di don Leonardo Maria Pompei, Mercoledì 7 Febbraio 2024
https://www.youtube.com/watch?v=PKGAN6XQ44I
L'intelletto e' stato un dono di Dio e conviene a noi impegnarci (obbligo) per farlo funzionare.Se siamo stati fatti "immagine" di Dio, una ragione ci sara'.

Anonimo ha detto...

In un passo di una recente ntervista, Bergoglio dice: «Ma io non benedico un “matrimonio omosessuale”, benedico due persone che si vogliono bene». Questo è un vero e proprio riconoscimento di un'unione sodomitica e degli atti (omo)sessuali che l'accompagnano.

Anonimo ha detto...

«Ma io non benedico un “matrimonio omosessuale”, benedico due persone che si vogliono bene.»

Che cosa vuol dire?

Un matrimonio omosessuale non esiste e non può esistere; sicché il papa non lo benedice. Sta bene.

Ma allora, chi o che cosa benedice?

Le due persone singolarmente prese? Questo sarebbe legittimo, a certe condizioni. Ma è stato detto e ripetuto che no, s'ammette la benedizione di qualcosa o qualcuno di più: questo è il senso e lo scopo della famigerata dichiarazione.

Qualcosa di meno d'una coppia sposata, qualcosa di più dei due singoli. E allora? A quanto sembra, il papa benedice la coppia, che non è sposata ma esiste di fatto.

Ma questo è chiaramente inammissibile: perché una coppia d'omosessuali che abbiano tra loro relazioni sessuali è una realtà peccaminosa.

Si dirà forse: non c'è solo il sesso, ci possono essere degli aspetti umanamente onesti e buoni, come il mutuo aiuto, l'amicizia che può legare i due. Sia pure. Ma in una coppia legata anche (non dico "solo", ma anche) dall'erotismo, si può prescindere da quest'aspetto?

Lo stesso discorso vale per le coppie eterosessuali non unite in matrimonio.

La benedizione data ai singoli peccatori, nonostante il loro peccato, è un'implorazione della grazia di Dio perché, facendo leva sugli aspetti buoni che certo son presenti in tutti, li conduca alla conversione. La benedizione data alla coppia in quanto tale cade su una realtà che essenzialmente è peccaminosa: si benedice il peccato.

Mi viene in mente un esempio analogo. Immaginiamo una banda di ladri: ladri, certo, e come tali peccatori, ma per il resto buoni: s'aiutano l'un l'altro, fanno molte elemosine, hanno orrore del sangue, vanno alla messa tutte le domeniche, ecc. Perché non potremmo, allora, benedire (con una benedizione "aliturgica": che assurdità e che ipocrisia!) questa banda di ladri? Non per approvare i loro furti, no, ma...

Certi ecclesiastici sono campioni nell'arte di arrampicarsi sugli specchi. Ma "non praevalebunt"!