Nella nostra traduzione dal blog Per Mariam. l'omelia del card. Müller in occasione della Festa della Esaltazione della Santa Croce [qui - qui - qui].
Card. Müller: I cristiani sono caratterizzati
dall'assumersi la croce “e non dal deporla”
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Solennità dell’Esaltazione della Santa Croce, settembre.
Gerhard Card. Müller
Il cardinale Gerhard Müller recentemente ha affermato: “Il cristianesimo non è un mero percorso culturale”, ma ‘una devozione totale al Dio trino’.
Pronunciando un’omelia in occasione della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce (14 settembre), Mons. Müller ha esaltato la centralità della croce per il cristianesimo.
“Noi ci inginocchiamo solo davanti al nome di Gesù. Confessiamo la nostra fede in Lui, che è stato obbediente fino alla morte in croce. Perché Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.
Mons. Müller – che si è schierato contro gli sforzi per promuovere politiche internazionali come l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e contro le iniziative per introdurre l’eterodossia nella Chiesa cattolica – ha esortato i cattolici a non vacillare nelle loro convinzioni.
“Tutti coloro che storicamente hanno usato il loro potere di vita e di morte contro Gesù e hanno perseguitato i suoi discepoli nel corso del tempo sono ormai dimenticati… Per questo vogliamo rimanere fedeli alla croce di Gesù, anche se siamo minacciati da coloro che hanno il potere sul mondo”.
L’ex prefetto della Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede ha parlato durante una Messa celebrata nella parrocchia di San Clemente di Ottawa, gestita dalla Fraternità sacerdotale di San Pietro (FSSP), nell’ambito di una recente serie di attività pastorali in Canada.
Per gentile concessione di Sua Eminenza, il testo dell’omelia è riprodotto integralmente qui di seguito.
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Solennità dell’Esaltazione della Santa Croce, settembre.
Il giorno dopo la consacrazione della Basilica costantiniana sul Santo Sepolcro, nel 335 d.C., ai fedeli di Gerusalemme fu mostrata la Santa Croce di Cristo, trovata da Sant’Elena, madre dell’imperatore. Ancora oggi celebriamo la festa dell’Esaltazione della Croce il 14 settembre.
Non ci ricorda solo la data storica della consacrazione di una chiesa. La Divina Liturgia ci collega infatti all’evento storico di portata cosmica: la crocifissione di Gesù sul Golgota.
Cristo, infatti, è morto sulla croce per redimere tutta l’umanità dai suoi peccati e dalla morte eterna, cioè da una triste esistenza in ombra dopo il cammino terreno della vita senza la luce della comunione d’amore con il nostro Creatore e Perfezionatore. Quando incontriamo la croce di Gesù nelle nostre case, in chiesa e in pubblico in vista della sua rappresentazione pittorica e figurativa, come discepoli di Gesù pensiamo alle sue parole con cui ha indicato la sua morte salvifica: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò a me tutte le genti”. (Gv 12,32).
Non dobbiamo quindi mai – né a Gerusalemme sul Monte del Tempio di fronte ai musulmani né in nessun altro luogo del mondo – deporre la croce di Gesù e rinnegare Gesù. Perché rimangono nelle nostre orecchie e nei nostri cuori le sue parole quando dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Luca 9:23). Prendere la propria croce e non deporla: questo è ciò che caratterizza il cristiano anche del XXI secolo.
Non dobbiamo confessarlo nel senso del simbolismo di una religione civile, per giustificarci facendo riferimento ai valori cristiani come radici della cultura occidentale di fronte a un ambiente che è stato scristianizzato fino al midollo. Il cristianesimo non è un semplice percorso culturale, anche se può diventare la radice di ogni cultura per tutta l’umanità. E non è nemmeno solo etica, sebbene sia anche la radice di tutta l’etica dell’amore per Dio e per il prossimo.
La nostra fede cristiana è una devozione totale al Dio trino nell’amore che il Padre di Gesù Cristo ha riversato nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo (Rm 5,5). Quando guardiamo a Cristo sulla croce, ci rendiamo conto immediatamente del significato eterno di ogni vita umana.
Tutti i presenti nella nostra cerchia – voi e io, tutti insieme e ciascuno di noi individualmente – dovrebbero sentire che ci si rivolge direttamente a noi come persone create a immagine e somiglianza di Dio nella nostra vita e nei nostri pensieri, nelle nostre speranze e nelle nostre sofferenze, nei nostri rapporti con i nostri cari e con i nostri nemici, quando Gesù dice: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna”. (Giovanni 3:16).
Non è l’amore dei sentimenti romantici o la compassione calcolata secondo la regola del “do ut des”, dalle cui articolazioni viene fuori il nichilismo o spunta il veleno del cinismo. L’amore di Dio è redentore e ri-creatore perché Dio non guadagna e non perde nulla quando si comunica a noi nella croce e nella risurrezione di suo Figlio. Egli si dona a noi come la verità attraverso la quale lo riconosciamo e la vita nella quale diventiamo una cosa sola con Lui.
Chi pensa secondo gli standard del mondo e quindi dichiara che il denaro e la fama, il potere e il lusso sono il suo elisir di vita, deve allontanarsi con delusione e orrore da un Dio in croce. E chi definisce Dio religiosamente e filosoficamente come superiorità assoluta e pensiero autosufficiente sarà inorridito dalla “parola della croce” (1 Cor 1,18) come espressione di un’idea immatura o primitiva di Dio.
“Ma noi predichiamo Cristo, pietra d’inciampo per i Giudei e stoltezza per i Gentili, ma per coloro che sono chiamati, Giudei e Greci, Cristo, potenza e sapienza di Dio. Perché la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini”. (1 Cor 1, 22-25).
Di fronte allo strapotere dell’ateismo politico e ideologico e all’ostilità a sfondo religioso contro la Chiesa di Cristo in tutto il mondo, la causa di Cristo sembra perduta – come un tempo sul Golgota, quando Gesù fu deriso con le ciniche parole: “Se tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!… allora crederemo in lui” (Mt 27,40.42). Secondo i criteri umani, la Chiesa sta combattendo una battaglia persa.
Ma tutti coloro che storicamente hanno usato il loro potere di vita e di morte contro Gesù e hanno perseguitato i suoi discepoli nel corso del tempo sono ormai dimenticati, o hanno una cattiva memoria e hanno dovuto rispondere in tribunale davanti al Dio giusto eppure perdonatore. Ma Gesù vive. È l’unico che può vincere la nostra morte e aprire il cuore dei nostri persecutori al suo amore.
Ecco perché vogliamo rimanere fedeli alla croce di Gesù, anche se siamo minacciati da chi ha il potere sul mondo.
Per questo vogliamo rimanere fedeli alla croce di Gesù, anche se veniamo ridicolizzati come medievali da coloro che hanno il potere sui pensieri e sulle condizioni di vita delle persone, o se veniamo attaccati e demotivati all’interno della chiesa da compagni cristiani secolari come se fossimo fuori dai tempi e dalla realtà.
Ci inginocchiamo solo davanti al nome di Gesù. Confessiamo la nostra fede in Lui, che è stato obbediente fino alla morte sulla croce. “Perché Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. (Filippesi 2:11).
Nella festa dell’esaltazione della croce di Gesù Cristo come segno di salvezza per ogni persona, preghiamo con gioiosa certezza.
Nella croce c’è salvezza, nella croce c’è vita, nella croce c’è speranza. Amen.Gerhard Card. Müller
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Vi prego di A I U T A R E, anche con poco, il quotidiano impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
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4 commenti:
Giudici scatenati a favore dei clandestini
Mentre gli sbarchi calano, esplodono gli «stop» delle toghe dell’isola ai cosiddetti «trattenimenti alla frontiera» previsti dal decreto Cutro. In pratica, oltre l’85% dei tentativi di rimandare indietro gli irregolari viene impedito dalla magistratura.
• Sul fine vita il centrodestra si presenta diviso
• Sala in disgrazia si aggrappa alla polemica con il Cav morto
• Finito in mani straniere un terzo del Made in Italy
C'è liturgia e liturgia: nella sua tradizione solenne, la messa tridentina ormai è pratica di pochi nella Chiesa, eppure rappresenta l'argine perfetto per bloccare la tentazione di dirigersi verso preti protestanti o sindacalisti
Se tutte le religioni sono uguali, come ha detto Papa Francesco a Singapore, perché un messale è meno uguale degli altri? Il messale di San Pio V (per intenderci: il messale in latino) è discriminato dall’attuale Pontefice che ha relegato i suoi celebranti praticamente nelle catacombe. Altro che inclusione. Eppure la messa tridentina frena l’uscita di tanti cattolici in direzione dell’ortodossia. L’ortodossia, per chi è sensibile alla bellezza, è una tentazione continua. Ma ora, almeno, chi è disgustato dai preti vestiti da protestanti (clergyman) o da sindacalisti (maglione) può andare dai preti vestiti da preti (abito talare). Ora, almeno, chi è stomacato dalle chitarre e dai tamburelli delle messe postconciliari, cocciutamente beat a sessant’anni dal beat, può passare ai canti in latino della messa tradizionale. Di messe in latino ce ne sono parecchie e sempre più frequentate: alcune sono clandestine, celebrate da sacerdoti diocesani che temono le rappresaglie dei feroci vescovi bergogliani, altre sono (di malavoglia) autorizzate e il loro elenco si trova sui siti appositi. Ma perché angariare dei cristiani quando si fanno sorrisoni a buddisti e maomettani? Se tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio, si riconosca nella messa in latino un cammino per arrivare a “quella Roma onde Cristo è romano”.
"Tutti gli dèi dei Gentili vengono dal Demonio", dice la Bibbia.
Secondo le notizie di Econe monsignor Tissier de Mallerais è caduto questa mattina a Econe dopo l'Angelus ed è stato ricoverato in ospedale. Pregate per lui
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