Gli articoli del prof. Peter Kwasniewski sono sempre molto interessanti. Quello ripreso di seguito è apparso su OnePeterFive. Su questo indice potete consultare i numerosi precedenti dello stesso autore.
La rimozione dei tabernacoli e
la desacrificalizzazione della Messa
Perché il tabernacolo è stato rimosso dall’altare maggiore o tenuto lontano dal centro di tante chiese negli ultimi cinquant’anni?
Ci sono molte ragioni che si possono addurre per questo decentramento di nostro Signore Gesù Cristo nel miracolo della sua costante Presenza Eucaristica in mezzo a noi, comprese le capziose ragioni accademiche che hanno spinto le devastazioni ampiamente lamentate del periodo postconciliare. Ma può darsi che sia stata all’opera anche una dinamica più sottile e, purtroppo, molte volte lo è ancora.
Come illustrato in questo mio articolo di un mese fa, “La natura sacrificale della Messa nell’Usus Antiquior “, il rito romano classico custodisce ed esprime nel modo più perfetto la realtà che la Messa è essenzialmente il Sacrificio del Calvario che si rende presente in mezzo a noi, l’immolazione del Figlio di Dio che ha operato la nostra salvezza con la sua morte d’amore sulla Croce e in essa non cessa mai di avvolgerci lungo i secoli.
L’espressione di questa dimensione sacrificale non è che nel Novus Ordo sia solo smorzata, in gran parte è proprio assente. Nella messa in volgare celebrata solitamente versus populum, con l’assenza della seconda Preghiera Eucaristica, si riesce ad esprimere, in modo forte e inequivocabile, con quanto c’è nel testo o nella cerimonia, il Sacrificio della Croce? Nel rito romano tradizionale, l’Offertorio prefigura luminosamente questo stesso sacrificio, stabilendo chiaramente la retta intenzione del sacerdote; il Canone Romano è permeato dal linguaggio dell’oblazione e del sacrificio; le consacrazioni alle quali l’offertorio ci prepara, con le loro doppie genuflessione e le elevazioni gloriose in mezzo a un oceano di silenzio, evocano acutamente l’innalzamento del Figlio dell’uomo sul Golgota (Gv 3,14; Gv 12,32). Al contrario, si potrebbe dire che il Novus Ordo (anche se celebrato al meglio) sottolinea la presenza di Cristo in mezzo a noi, ma non il suo sacrificio.[1]
La differenza nella catechesi
Da questa diversità di fenomenologia consegue una differenza nella catechesi.
Quando si insegna ai bambini cosa succede a Messa, si dice qualcosa di simile a quanto segue, che viene fornito in confezioni diverse a seconda dei diversi livelli di età:
“Gesù morendo sulla croce ha offerto la sua vita a Dio, affinché i nostri peccati potessero essere mondati nel suo prezioso Sangue. Gesù ha voluto darci la possibilità di essere proprio lì, in modo che i nostri peccati possano essere mondati e noi potremo essere uno con Lui. Così ci ha dato la Messa. Il sacerdote all’altare prende pane e vino, come fece Gesù nell’Ultima Cena, e, per la potenza di Dio, trasforma queste cose nel corpo e sangue di Gesù e le eleva in alto, come Gesù fu innalzato in alto sulla Croce. Dio gioisce di questo dono perfetto di suo Figlio e, nel suo amore per Lui e per noi che gli apparteniamo, ci fa accogliere in comunione il corpo e il sangue di Gesù. Questo ci rende completamente uno con Gesù per quanto possiamo esserlo in questa vita; il Padre si compiace di noi come si compiace del Figlio suo; e siamo preparati per il cielo, quando toccherà a noi offrire la nostra stessa vita a Dio, con Gesù, nel momento della nostra morte.”
Certo, si può trovare un modo migliore per dirlo, ma su questa linea, o qualcosa del genere, si avvierà una conversazione.
Eppure quello che mi ha davvero colpito anni fa nel lavorare con i miei figli è stata la poca catechesi, relativamente parlando, necessaria per poter percepire il significato dei gesti del sacerdote durante la Messa tradizionale, e la forza di quei gesti ci ricordano il significato che abbiamo appreso e lo rafforzano continuamente, imprimendolo nella memoria. Una volta che sai un po’ cosa fece Gesù durante l’Ultima Cena e il Venerdì Santo, le azioni e le preghiere ti colpiscono praticamente in testa con una catena di misteri: mediazione, redenzione, espiazione, soddisfazione, adorazione. Basta poco per essere attrezzati per percepire la Messa tradizionale come un sacrificio tremendo che unisce la terra al cielo, il peccatore al Salvatore, l’altare alla croce.
Al contrario, ho scoperto che i bambini non vedevano facilmente le stesse connessioni alle messe del Novus Ordo a cui partecipavamo. Le connessioni non erano così evidenti. Questa Messa sembrava un rituale vagamente correlato alla vecchia Messa ma piuttosto diverso nel suo scopo: più concentrato sulla gente, fra molte chiacchiere, che si concludeva con la ricezione della Comunione. Quello che più di tutto risultava nascosto ai sensi era che questa liturgia è un sacrificio. Sembra una manipolazione di pane e vino su una tavola, un pasto a imitazione dell’Ultima Cena. Quello che ho capito, con mio dispiacere, è che dovevo affermare, senza molti supporti in termini di prove a sostegno, che il Novus Ordo era davvero il Santo Sacrificio, anche se non sembrava tale e non avesse la meravigliosa serie di testi e cerimonie che sottolineano il carattere sacrificale dell’azione.
Mi dava fastidio allora, e mi dà fastidio ancora adesso.
È come se il rito fosse stato disegnato da qualcuno che ha voluto che non fosse facile percepire, per la forza combinata di un catechismo semplice e di una complessa liturgia, che la Messa è la riproposizione incruenta del sanguinoso sacrificio di Nostro Signore sul Calvario. Nell’ambito del Novus Ordo occorre un catechismo complesso da affiancare a una liturgia semplice, perché altrimenti la verità rimane sconosciuta.
Visto che la liturgia non la incarna e non la proclama allo stesso modo, dobbiamo dedicare più tempo a spiegare, affermare e incrociare le dita affinché il fragile fideismo non ceda il passo alle devastazioni dell’oblio, della noia o dell’eresia.
Allora perché i tabernacoli furono spostati?
Ora una teoria sullo spostamento del tabernacolo.
Il miracolo travolgente della presenza reale di Nostro Signore nel Santissimo Sacramento conservato nel Tabernacolo pone, se ci pensate, una sfida alla Messa. Pur con le umane limitazioni si comprende che c’è un sola modalità con cui la Messa potrebbe essere, o fare, qualcosa di più grande di quel miracolo – l’unico modo in cui sarebbe eliminata qualsiasi confusione di diversi “ordini” di simbolismo : è se la liturgia avesse i mezzi per mostrare lo stesso Sacrificio che consente la presenza permanente della divina Vittima all’interno del tabernacolo. La Messa deve essere vista e sentita come superiore rispetto al Tabernacolo, affinché non ci sia confusione tra i due ordini: Sacrificio e Presenza.
Che questo sia il caso della Messa tradizionale davanti al Tabernacolo non ho dubbi; anche nelle chiese europee con enormi tabernacoli dorati ornati di eccessive decorazioni, l’antica Messa regge il confronto, attirando a sé tutti gli occhi e tutti i cuori mentre il miracolo accade, rimanendo la padrona totale dell’edificio, dell’altare e degli arredi. È chiaro che quella è la ragione di tutto il resto, e il suo sincero spirito di preghiera, con braccia invisibili distese e alzate, riunisce tutto in un’unica offerta di lode.
Al contrario, un Tabernacolo ha quello che è sufficiente per sopraffare il Novus Ordo, che è, per molti aspetti, sottile e fragile, a malapena in grado di reggere il confronto in una magnifica chiesa o su uno splendido altare maggiore. Il Sacrificio è fenomenologicamente oscurato dalla Presenza (sia quella conservata nel Tabernacolo sia quella che si renderà visibile sulla mensa).
Perciò, per una sorta di istinto di compensazione, “il Tabernacolo deve essere spostato!”: va rimosso, decentrato, nascosto, perché una liturgia timida possa mostrare una propria forza comunicativa. La liturgia non deve avere impedimenti, non deve essere messa in simbolica competizione o collocata in un contesto più ampio, altrimenti svanirà e rimarrà in secondo piano. Deve rivendicare quanto più spazio possibile per se stessa ed eliminare tutte le vestigia di un mondo massificato e pesante.
Questo ha ancora senso nell’epidemia postconciliare di devastazioni ecclesiastiche e mostruosità artistiche?
Non solo il tabernacolo deve andare via, ma deve sparire anche l’altare maggiore, e forse il crocifisso o le vetrate o il pulpito sopraelevato o la balaustra della comunione, ecc. ecc. Forse è necessario demolire tutto e sostituirlo con una scatola grigia e vuota che non abbia curve simmetriche e sia senza alcun ornamento.
Alla fine, contro quella sterile sceneggiata, le linee pulite, efficienti e succinte del Novus Ordo risuoneranno con chiarezza metallica. E le persone che hanno ancora a cuore le “devozioni” antiquate potrebbero trovare il Sacramento appartato dietro o di lato da qualche parte, come se ci si trovasse in un normale Time-out.
La necessità di ripetere quello che non è evidente
Perché, fin dalla riforma liturgica, c’è stato un così grande bisogno che i pastori della Chiesa sottolineassero la verità – mai contestata dal Concilio di Trento – che la Messa è davvero e veramente un sacrificio ?
Perché è necessario un tale flusso di documenti papali e curiali, la maggior parte dei quali vengono ignorati?
Perché le statistiche peggiorano sempre di più?
Se quanto accade nella Messa Novus Ordo avesse di più la sembianza di un sacrificio, se esprimesse la realtà sacrificale in modo sensato e comprensibile, non ci sarebbe bisogno di infinite riaffermazioni e chiarimenti.
La dottrina che la Messa è un vero e proprio sacrificio è stata insegnata de fide dal Concilio di Trento e ogni sua negazione è stata anatemizzata. La Messa di San Pio V incarna perfettamente quella dottrina tridentina. Finché la Messa rimane fedele al principio fondamentale della sacramentalità, cioè che qualcosa deve significare ciò che si fa e fare ciò che significa, si saprà fare ciò che realmente si fa con un significato manifesto e inequivocabile.
Ecco perché Ratzinger ha potuto osservare questo collegamento con Trento nelle battaglie liturgiche:
“ Solo su questo sfondo dell’effettiva negazione dell’autorità di Trento si può comprendere l’amarezza della lotta contro il permesso di celebrare la Messa secondo il Messale del 1962 a seguito della riforma liturgica. La possibilità di questa celebrazione costituisce la contraddizione più forte e quindi (per loro) più intollerabile secondo l’opinione di coloro che ritengono che la fede nell’Eucaristia formulata da Trento abbia perso validità.” [2]La battaglia in salita della catechesi
Abbiamo visto i sondaggi a riprova della perdita della fede tra i cattolici nella presenza reale e sostanziale di Nostro Signore in quello che un tempo veniva chiamato da tutti “il Santissimo Sacramento dell’Altare”. Quello che sarebbe estremamente interessante vedere è un sondaggio che, dopo aver identificato i cattolici alla moda e i cattolici tradizionali con alcune abili domande, procedesse a chiedere a ciascun gruppo: “Credi che la Messa sia un vero sacrificio – quello di Cristo sulla Croce?”
Non è difficile immaginare i risultati: il primo gruppo direbbe per lo più di no (infatti non pochi potrebbero rimanere sorpresi o scioccati dalla domanda stessa, che potrebbe introdurre un concetto che non hanno mai sentito), mentre quelli del secondo gruppo direbbero per lo più di sì. Le loro risposte rispecchierebbero perfettamente la loro esperienza della liturgia.
Se qualcuno dice che la differenza è che i frequentatori della Messa tradizionale sono meglio catechizzati rispetto al gruppo progressista, ciò spinge solo la domanda più in profondità.
Perché coloro che sono più catechizzati frequentano così spesso l’usus antiquior ? Perché effettuano questa scelta (quando hanno la possibilità di una scelta)? Oppure perché i fedeli che la frequentano sono più inclini a perseguire la propria formazione e a offrire un’autentica formazione catechistica ai propri figli?
Non si può indicare una catechesi più o meno adeguata senza indicare un reale collegamento empirico tra il livello della catechesi e il tipo di liturgia frequentato.
La causalità scorre in entrambe le direzioni. L’assioma classico lex orandi, lex credendi ci dice non solo che il modo in cui preghiamo modella il modo in cui crediamo, ma anche che ciò in cui crediamo modellerà il modo in cui preghiamo e anche le scelte che facciamo su dove e come preghiamo come cattolici.[3]
Sebbene la sua opera sia la glorificazione di Dio e la santificazione dell’uomo, la liturgia è sempre stata un potente catechizzatore.
Con la Messa riformata mancano le catechesi simboliche e testuali al cuore della vita cattolica.
Sebbene la ripetizione sia sempre necessaria per l’apprendimento umano, c’è una grande differenza tra la ripetizione che funziona, perché funziona mnemonicamente, e la ripetizione che indica il fallimento di qualcosa che effettivamente “rimane appiccicaticcio”. Catechisti, predicatori, genitori, devono continuare a ripetere che “la Messa è un sacrificio” proprio perché il Novus Ordo ha molto poco che lo suggerisca anche lontanamente. Cercare di convincere le persone di qualcosa che non riescono a intravedere con i propri sensi è, per non dire altro, una battaglia in salita.
Ci rallegriamo, ancora e ancora, di essere gli indegni eredi di un così straordinario tesoro liturgico come il tradizionale rito romano della Messa, che esprime, conferma ed esalta in modo bello, riverente e inequivocabile i santi misteri della fede cattolica.
[1] Gli artefici della riforma liturgica erano talmente innamorati dell’ecumenismo da ammettere che stavano cercando di riformulare il rito romano in un modo accettabile per i protestanti. I protestanti conservatori erano fin troppo felici di concedere una “presenza” di Cristo nella Messa, ma parlare di sacrificio era per loro un anatema (se così si può dire). Su questo, vedi Michael Davies, La nuova messa di Papa Paolo (Angelus Press, 2009).
[2] Joseph Ratzinger, Opere complete: Teologia della liturgia (Ignazio, 2008), 544.
[3] È stato detto che una tale discrepanza sarebbe semplicemente il risultato di un’autoselezione: poiché i cattolici più colti, più devoti e più antiquati scelgono la Messa usus antiquior, le loro risposte saranno distorte a favore della dottrina tradizionale .
Se coloro che credono a ciò che la Chiesa insegna e desiderano adorare secondo questo credo, cercano l’ usus antiquior, spesso facendo grandi sacrifici per raggiungerlo, o se ne gioiscono quando lo scoprono inaspettatamente, questo non significa una massiccia mancanza nel culto principale della Chiesa e una possente perfezione nella forma classica? Né si può prendere sul serio l’idea che il problema sia la mancata attuazione delle “vere intenzioni” del Concilio o di Paolo VI. Per più di cinquant’anni, il 90% o più delle celebrazioni del Novus Ordo è stato fatto in uno spirito di rottura e discontinuità con il passato cattolico, ma quasi nulla è stato fatto per correggere lo status quo.
Ciò indica una tacita accettazione del nesso tra la nuova liturgia e la rottura con la tradizione ecclesiastica, che ora è diventata una politica esplicita sotto la Traditionis Custodes e l’arcivescovo Roche [vedi]. In ogni caso, basta leggere quanto dissero i membri del Consilium e lo stesso Paolo VI per sapere che non avevano alcuna intenzione di operare in continuità con l’eredità tridentina.
Traduzione di Vincenzo Fedele - Fonte
6 commenti:
7. O Santo mio patrono, che ti sei prodigato per la salvezza dei fratelli, guidami nel mare della vita perché possa giungere al porto dell'eternità beata. Gloria al Padre, ecc.
Prega per noi, sant'Antonio di Padova
E saremo fatti degni delle promesse di Cristo.
Preghiamo.
Dio onnipotente ed eterno, che in sant'Antonio di Padova hai dato al tuo popolo un insigne predicatore del vangelo e un patrono dei poveri e dei sofferenti, concedi a noi, per sua intercessione, di seguire i suoi insegnamenti di vita cristiana e di sperimentare, nella prova, il soccorso della tua misericordia. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Padre Nostro, Ave Maria, Gloria.
Gli errori lungo il cammino sono stati molti, intrecciati con mancanze sopra pensiero, con sentimentalismo barocco decadente a un tempo, il tutto esploso con il buonismo ipocrita e modernista che infine ha preso la guida della chiesa.
E NSGC è stato messo all'angolo nella chiesa, nella messa, nel mondo.
Oggi ogni singola persona cattolica ha un'idea tutta e solo sua della Fede Cattolica, dottrina, liturgia, morale,tradizione sono demandate al singolo che ormai è senza alcuna previa educazione e/o formazione qualsivoglia.
Ormai volenti o nolenti siamo tutti potenziali collaboratori del Nemico.
Capisco che molti catechisti non si addentrino più di tanto nella cruenta Passione e Morte di NSGC, il buonismo imperante detesta certe scene che sono orribili anche per un adulto credente o non credente che sia.
Il pugno nello stomaco sferzato dalla Passione e Morte di NSGC è sopportabile anche per i bambini se l'adulto che catechizza crede nella Sua Resurrezione. E qui casca l'asino. I modernisti, che possiamo ormai definire come un tipo di esser umano tutto attento al suo sentimental sentire e che poco riesce a vedere, ad ascoltare, a comprendere del mondo fuori di lui, cioè del reale, i modernisti quindi, se non toccano, non credono alla Sua Resurrezione, almeno San Tommaso andò di persona su invito degli altri testimoni a verificare perché non era superbo, invece i modernisti oltre ad essere sentimental/intimisti, sono anche molto superbi, perché scientemente vogliono ignorare il mondo reale e senza l'osservazione attenta del reale, vine a mancar loro anche la Verità.
Vediamo quanto siano fedeli e cooperanti gli animali domestici che si affezionano a noi e volentieri ci tengono compagnia e ci aiutano, ma non hanno la ragione, la capacità intellettiva che è caratteristica della sola Creatura. Ma la Creatura deve nutrire, educare, formare, esercitare la ragione,il raziocinio. Quindi concludendo, i modernisti sentimental/intimisti,strapieni di una buonista volontà sono certi che a loro nulla manchi e nei fatti sono stati affidati loro grandi doni, che purtroppo con un pensiero non ben allevato, nutrito, educato, formato, esercitato con rigore ed affinato, quei grandi doni senza il pensiero nocchiero, sbattuti qui e là si deteriorano, si alterano, fino a non poter più essere affidabili e il pensiero da nocchiero che avrebbe dovuto essere diventa servo si accompagna con la serva furbizia.
Cosa c’entra la tredicina di Sant’Antonio con questo articolo? È chiedere troppo mettere solo commenti pertinenti?
Chi cortesemente quotidianamente ci aggiorna sulla Tredicina in corso, lo fa su una pagina del giorno....
Credo che questa resistenza ad osservare il reale e/o l'incapacità di trarne le giuste conseguenze dipenda da qualche cecità, da qualche mancanza, da qualche male del carattere, della personalità, dell'essere stesso.
Forse molto dipende anche dall'educazione se il bambino viene spinto ad emanciparsi prematuramente dai genitori, dalla madre, dal padre e non è in grado di cogliere nel reale il particolare e l'insieme, il tutto. Questa immaturità di giudizio viene forse poi compensata da qualche aspetto volitivo o del sentimento per abitudine. Non so.
Forse invece è qualcosa con cui si nasce e intorno alla quale bisogna lavorare per tutta la vita a prescinder dal contesto familiare, dalla educazione e dal contesto lavorativo. Forse è una tara che arriva da chissà quale antenato. Non so.
Tuttavia è chiaro che l'educazione dovrebbe essere in grado di 'curare', di aiutare a guarire tutte le anime che riescono a superare la soglia dell'aborto. Fondamentale è l'educazione religiosa creduta e serenamente, naturalmente vissuta in famiglia, è questa educazione infine che risana l'anima ed il corpo.
Oggi tutto punta sul corpo sano e nessuno parla più della santità dell'anima da perseguire in ogni momento, che è la sola che risana anche il corpo. E pensare che gli antichi avevano già abbinato 'Mens sana in corpore sano'(vedi scheda su Wikipedia).
Invece oggi il farmaco pretende e spesso ottiene di curare, a suo modo, col corpo anche l'anima, modificando le caratteristiche dell'uno e dell'altra. Anche questo lo si nota nelle lunghe malattie che necessitano di terapie farmacologiche moderne di anni e...piano piano si cambia. Si diventa altri, da quel che si era e da quello si si sarebbe potuto diventare.
"...Invece oggi il farmaco pretende e spesso ottiene di curare, a suo modo, col corpo anche l'anima..."
Ipotesi:
Sono anni che mi chiedo per quale motivo i medici, quando assegnano una terapia farmacologica, non diano anche quei consigli di buon senso sulla vita quotidiana da condurre, consigli che seguiti potrebbero essere e/o addirittura sostituire buona parte della terapia farmacologica.
Ora piano piano comincio a capire che i consigli di 'buon senso' emanciperebbero il paziente dal medico e dai farmaci, aumentando la sua libertà e la sua responsabilità personale verso la sua salute. Questi consigli di 'buon senso' non vengono dati 1)perché il paziente DEVE restare dipendente a vita e dal medico e dal farmaco; 2) perché la dipendenza in questo campo è una delle importanti dipendenze che concorrono a formare la Grande Dipendenza dello schiavo dal padrone, del suddito dal tiranno; 3) la mancata conquista della libertà e la conseguente mancata assunzione di responsabilità incidono profondamente sull'anima, sulla parte spirituale dell'essere umano alla quale viene impedito di crescere e di rafforzarsi nel suo bene personale combattendo il male con le sue forze, che saranno sempre più energiche se esercitate per il suo stesso bene e che saranno sempre più deboli se delegheranno il loro benestare ad altri, cioè al medico e al farmaco che, viceversa, diventeranno potenti prima ed onnipotenti poi agli occhi del paziente derubato della sua libertà e della sua responsabilità. Questa dipendenza concorre ad inebetire l'anima, lo spirito, a rendere ogni giorno di più l'anima ottusa, alla quale invece il farmaco offre, via la parte corporea chimicamente curata quanto basta per non guarire completamente, un involucro sempre più resistente capace di azione e reazione meccanico, cioè privo di libertà di giudizio e di azione e privo di responsabilità personale che viene spostata, piano pianissimo, ai Responsabili Potenti ed Onnipotenti. Cioè l'anima instupidisce.
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