Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

mercoledì 1 gennaio 2025

Colligite Fragmenta — Domenica dell’Ottava di Natale : perseverate!

Nella nostra traduzione da OnePeterFive la meditazione settimanale di p. John Zuhlsdorf, sempre nutriente e illuminante, che ci consente di approfondire, durante l'ottava, i doni spirituali della domenica precedente [vedi]

Colligite Fragmenta
Domenica dell’Ottava di Natale : perseverate!

Padre John Zuhlsdorf, 28 dicembre 2024

Nella nostra lettura dell’Epistola di questa domenica dell’Ottava di Natale prestiamo attenzione a quanto dice Paolo nella sua Lettera ai Galati 4, 1-7. Ci sono due punti speciali da sottolineare. Vediamo il testo:
[Fratelli,] per tutto il tempo che l’erede è fanciullo, non è per nulla differente da uno schiavo, pure essendo padrone di tutto; ma dipende da tutori e amministratori, fino al termine stabilito dal padre. Così anche noi quando eravamo fanciulli, eravamo come schiavi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; e se figlio, sei anche erede per volontà di Dio.
Questa breve pericope racchiude un gran numero di elementi.

Cominciamo subito col dire una cosa. A volte sentirete dire dal pulpito o alle lezioni di Scrittura che l’aramaico ‘abba’ è un modo così intimo e infantile di rivolgersi a Dio Padre da significare ‘papà’. Questa idea è stata resa popolare dallo studioso luterano Joachim Jeremias, che è stato anche la fonte della perniciosa nozione che ‘molti’ potrebbe significare ‘tutti’ [vedi], ripresa dai demoni che hanno distorto le traduzioni liturgiche inglesi che sono state inflitte ai cattolici anglofoni per decenni. Nel Nuovo Testamento abbiamo tre esempi di “Abba, Padre”: qui in Galati; una volta nei Vangeli: in Marco 14, 36, ​​quando il Signore agonizzante nel giardino si rivolge al Padre all’inizio della Sua Passione (e avrebbe detto “Papà” allora?); in Romani 8, 15, dove Paolo usa di nuovo l’analogia di schiavitù e libertà. Se volete leggere in modo approfondito l’interpretazione della corretta traduzione di abba, cercate un articolo di James Barr, il cui titolo dice tutto, Abba non è papà (Journal of Theological Studies, NS, Vol. 39, Pt 1, aprile 1988). Barr afferma:
È corretto affermare che ‘abba’ al tempo di Gesù apparteneva a un registro linguistico familiare o colloquiale, distinto dall’uso più formale e cerimoniale, anche se sarebbe poco saggio, alla luce dell’uso del Targum, insistere troppo. Ma in ogni caso non era un’espressione infantile paragonabile a ‘papà’: era più un solenne, responsabile, adulto rivolgersi a un padre.
Un altro punto su questa lettura. Qui vi è l'unica menzione della Beata Vergine Maria da parte di Paolo, e senza chiamarla per nome: “Dio mandò il Suo Figlio, nato da donna” (v. 4). Questa breve frase è importante, perché sottolinea che Gesù aveva non una, ma due nature, divina (da Dio) e umana (da Sua madre). Inoltre, non è nato da una vaga umanità ma da una donna specifica che possiamo giustamente chiamare la ‘Madre di Dio’. Maria non era la madre di una natura, ma di una persona, anzi una Persona divina, Gesù, la Seconda Persona incarnata. Ciò è stato solennemente definito nel Concilio di Efeso del 431.

Ogni volta che tocco l’argomento della maternità divina di Maria, mi torna in mente una cosa che ho udito anni fa in una conferenza tenuta da Joseph Card. Ratzinger. Dopo il suo discorso, Ratzinger ha risposto a una domanda sulle sue divergenze con un connazionale tedesco e una delle principali fonti del caos odierno nella Chiesa, il defunto gesuita padre Karl Rahner. Rahner, se l’ho capito bene — il che è in realtà difficile — ha cercato di far entrare di forza Dio nella categoria di un’astrazione, una specie di “Existenz-modus”. Quando Ratzinger ha spiegato questo concetto di Rahner, ha affermato che, naturalmente, un “modo di esistenza” non aveva bisogno di una madre e che “non si può pregare un Existenz-modus”. Mentre scrivo, sono profondamente consapevole del fatto che ci stiamo avvicinando al secondo anniversario della morte di Papa Benedetto XVI, il 31 dicembre 2022, vigilia di Capodanno e vigilia della festa di Maria, Madre di Dio nel calendario del Novus Ordo. Forse nella vostra bontà pregherete per il riposo dell’anima di quel gentile, colto e riluttante Successore di Pietro, sulla cui scia la Barca ha rollato e agitato in una turbolenza crescente.

Dall’Epistola, passiamo per un momento al Vangelo di Luca 2, 33-40, il racconto di Giuseppe e Maria che portano Gesù al Tempio quando la Legge di Mosè richiedeva la purificazione rituale. Erano ritualmente impuri, non moralmente impuri. Le leggi sulla purezza rituale degli ebrei erano estremamente complesse. In poche parole, l’impurità rituale — che implicava che non si potesse offrire un sacrificio prima di essersi sottoposti alla purificazione — era radicata nel contatto con la morte o con la perdita di qualcosa associato alla vita, come il sangue e altri fluidi. La perdita di certi fluidi corporei era simile a una specie di morte. Inoltre, l’impurità rituale poteva essere trasmessa tramite il contatto con una persona in quello stato, un po’ come i pidocchi. Quindi, dopo che era trascorso il tempo necessario richiesto dalla Legge, la Sacra Famiglia si recò al Tempio per la purificazione rituale, una reintegrazione nella comunità più ampia.

Fu durante questa visita al Tempio che essa incontrò Simeone, il quale, ispirato dallo Spirito Santo, fece la profezia sul Bambino che sarebbe divenuto “segno di contraddizione” e sull’anima (psyché) di Maria “trafitta” da una “spada”. Il termine greco per “spada” qui è romphaía, un’arma con una lama lunga e leggermente curva usata dai Traci, così malvagia ed efficace che le legioni romane dovettero modificare i loro elmi per una maggiore protezione. La romphaía si trova anche nel Libro dell’Apocalisse. In Ap 1, 16 esce dalla “bocca del Figlio dell’uomo (Cristo)”. In Ap 2, 12 e 16 il messaggio a Pergamo menziona quella stessa spada. Ap 6, 8 dice che il cavaliere del cavallo verdastro, la Morte, avrebbe sterminato una quarta parte della terra con la fame, le belve e la romphaía. Ap 19, 15 e 21 riprendono la romphaía che esce dalla bocca del Fedele e Veritiero, del Giudice, della Parola di Dio, Re dei re e Signore dei signori su un cavallo bianco.

Infine, vorrei mettere in rilievo la straordinaria figura di Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Asher, chiamata ‘profetessa’, che è stata nel Tempio per decenni. La Chiesa la riconosce come santa e la sua festa cattolica bizantina è appropriatamente il 3 febbraio, vicino alla Candelora, la festa della Presentazione. Luca dice che Anna era vedova da “circa 84 anni”, aggiungendo che era sposata da sette anni. Il greco è ambiguo, tuttavia. È difficile dire se la sua età fosse di circa 84 anni o se fosse vedova da circa 84 anni. Io propendo per la seconda, a causa di quel “circa” (hos). Quindi, se si è sposata a 14 anni, è rimasta vedova a 21 anni e ha incontrato la Sacra Famiglia 84 anni dopo… aveva 105 anni. Ci sono altre donne nella Bibbia che hanno avuto 105 anni? Giuditta, anche lei vedova. Fu lei a tagliare la testa a Oloferne, il generale del re assiro Nabucodonosor, atto che portò alla vittoria israelita in battaglia e alla conversione del secondo in comando degli assiri, Achior, alla fede nell’unico vero Dio (Giud 14, 10). L’ultimo versetto del Libro di Giuditta racconta: “Né vi fu più nessuno che incutesse timore agli Israeliti finché visse Giuditta e per un lungo periodo dopo la sua morte”. Giuditta è una figura di svolta che simboleggia la vittoria contro ogni aspettativa, essendo incrollabili e fedeli nella perseveranza nella volontà di Dio.

Dio ha preservato Anna per questo momento. Anno dopo anno, giorno dopo giorno, per 84 anni. Sono più di 30.000 giorni. Anna ricorda Giuditta e incarna anche il versetto 4 del Salmo 27:
Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il Suo santuario.
Chi sa cosa ha in serbo per noi il Signore. Anna è un modello per la nostra perseveranza nella fiducia nel piano di Dio. Di tutti gli universi possibili che Dio avrebbe potuto creare, ha creato questo e non un altro. Conosceva ognuno di noi prima della creazione del cosmo e ci ha chiamati dal nulla all’esistenza in questo particolare universo in questo particolare momento secondo il Suo piano insondabile. Abbiamo un ruolo da svolgere nell’economia di salvezza di Dio. Dobbiamo avere fiducia nel fatto che siamo esattamente quando e dove Dio vuole che siamo. Siamo nati in tempi difficili. Questo è il nostro campo di battaglia, non un altro campo di battaglia teoricamente ideale. È ideale per noi perché è il nostro e perché è quello che Dio ci ha dato. Più grande è il problema dei nostri giorni, più grande sarà la nostra gloria attraverso l’amore, il servizio e la fedeltà. Più difficile è il compito, più ci saranno offerte le grazie nel compierlo.

Non sappiamo esattamente perché siamo chiamati in questo momento e in questo luogo particolari, ma sappiamo che Dio deve avere un piano per noi. Se riusciamo ad accettare il nostro stato e a viverlo bene, e ad accettare i misteriosi fardelli e le sfide che derivano dal vivere, siamo certi che vedremo il Messia faccia a faccia, quando saremo appena nati nella felicità del cielo, dove non c’è pianto, debolezza o dolore e tutte le nostre grandi domande saranno risolte in mezzo ai nostri cari e ai santi e alle miriadi di schiere di angeli davanti al trono di Dio.

Sant’Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Asher, prega per noi. 

2 commenti:

Da Padre Pio ha detto...

1 GENNAIO.
Noi per divina grazia siamo all'alba di un nuovo anno; quest'anno, di cui solo Dio sa se vedremo la fine, deve essere tutto impiegato a riparare per il passato, a proporre per l'avvenire; e a pari passi coi buoni propositi vadano le sante operazioni
(TN, in Epist. IV, p. 878).

Anonimo ha detto...

L'inizio di un nuovo anno è un'opportunità di miglioramento. Non fa molta differenza quello che è stato il passato, perché non dobbiamo guardarci indietro... ciò che conta di più è la santificazione del momento presente. Il tempo è così prezioso che Dio lo scandisce secondo per secondo. Se la vita nel passato è stata cattiva, il nuovo anno è un'occasione di penitenza. In tal modo il tempo viene riscattato. Se la vita, invece, è stata virtuosa, il nuovo anno è un'opportunità per una maggiore perfezione di sé.
(Fulton J. Sheen, da "On Being Human")