Non smetteremo mai di imparare e nutrirci degli incomparabili tesori della Liturgia tradizionale. Nella nostra traduzione da Tradition & Sanity un sapiente articolo di Peter Kwasniewski sul profondo legame/armonia tra fine e inizio dell'anno liturgico.
“Il cielo e la terra passeranno…”
Il cerchio del tempo si chiude: una lezione dalla liturgia
Nel rito romano classico, la messa dell'ultima domenica dopo Pentecoste e la messa della prima domenica di Avvento contengono pericopi evangeliche parallele sulla fine del mondo.
Questi Vangeli contengono una serie di versetti sorprendenti che sembrano più rilevanti che mai: un abominio di desolazione nel luogo santo, l'avvertimento contro falsi Cristi e falsi profeti così persuasivo o potente che tenteranno persino gli eletti a sviarsi; la menzione della venuta di Cristo dall'oriente, spesso menzionata dai padri della Chiesa come una delle ragioni per cui adoriamo rivolti verso oriente, "nell'attesa della beata speranza e dell'apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" (Tito 2:13); ma soprattutto, nelle loro affermazioni conclusive, che corrispondono esattamente.
Il Vangelo tradizionale dell'ultima domenica dopo Pentecoste è tratto da San Matteo, capitolo 24, versetti 13-25:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: Quando vedrete l'abominio della desolazione, predetto dal profeta Daniele, stare nel luogo santo (chi legge, comprenda), allora quelli che sono nella Giudea, fuggano ai monti; e chi è sulla terrazza non scenda a prendere qualcosa dalla sua casa; e chi è nel campo non torni indietro a prendere la sua tunica. E guai alle donne incinte e a quelle che allattano in quei giorni! Ma pregate che la vostra fuga non avvenga d'inverno o di sabato, perché allora vi sarà una grande tribolazione, quale non vi è stata dal principio del mondo fino ad ora, né vi sarà più; e se quei giorni non fossero abbreviati, nessuna carne si salverebbe; ma a causa degli eletti, quei giorni saranno abbreviati. Allora se qualcuno vi dice: Ecco, il Cristo è qui, oppure è là, non gli credete; perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi, tanto da ingannare (se possibile) anche gli eletti. Ecco, ve l'ho predetto: se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non uscite; ecco, è nelle stanze, non credeteci. Perché come il lampo esce da oriente e appare fino a occidente, così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Dovunque sarà il corpo, là si raduneranno anche le aquile. E subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, e la luna non darà la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scosse; e allora apparirà il segno del Figlio dell'uomo nel cielo, e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio; e vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà; e manderà i suoi angeli con una tromba e una gran voce, e raduneranno insieme i suoi eletti dai quattro venti, dalle estremità dei cieli fino ai loro confini. E dal fico imparate questa parabola: quando il suo ramo è ormai tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che è vicino, proprio alle porte. In verità vi dico che questa generazione non passerà prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Il Vangelo tradizionale della prima domenica di Avvento, una settimana dopo, è tratto da San Luca, capitolo 21, versetti 25-33:
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle; e sulla terra angoscia di nazioni a causa del rimbombo del mare e delle onde; gli uomini saranno scossi dalla paura e dall'attesa di ciò che dovrà accadere sul mondo intero. Perché le potenze dei cieli saranno scrollate. E allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nuvola con grande potenza e maestà. Ma quando queste cose cominceranno ad accadere, alzate gli occhi e levate il capo, perché la vostra redenzione è vicina. E disse loro una parabola: Guardate il fico e tutti gli alberi: quando già germogliano i loro frutti, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete queste cose accadere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico: questa generazione non passerà finché tutte le cose non siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno.
Con queste dichiarazioni finali di Matteo e Luca — Cælum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt — la Santa Madre Chiesa lancia una sfida, per così dire, all'intero ordine creato, lanciando il guanto di sfida a chiunque e a tutto ciò che tenti di cancellare o corrompere le parole del Signore, gli effetti corrosivi di lunghi periodi di tempo, gli effetti esplosivi delle rivoluzioni culturali, gli effetti pervasivi del peccato originale e attuale. Niente di tutto ciò, niente, farà sì che le parole del Signore passino. Prima il cielo e la terra, il sole, la luna e le stelle, la terra e il mare e tutte le creature, passeranno nei nuovi cieli e nella nuova terra.
È questo il messaggio solenne, apocalittico, trionfale, con cui la Chiesa chiude ogni anno liturgico e subito lo ricomincia. È come se la Chiesa desiderasse soprattutto che noi udissimo, e sapessimo, e imprimessimo per sempre nella nostra anima, che Cristo Dio è l’unico Maestro e Signore (cfr Mt 23,10), che Lui solo ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68), che «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti sotto il cielo altro nome che sia stato dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12).1
Vediamo una conferma che questa è, in effetti, la mente della Chiesa quando ci rivolgiamo alle tradizionali antifone Benedictus e Magnificat nell'ultima domenica dopo Pentecoste. Queste antifone, sempre derivate dal Vangelo del giorno, forniscono una chiave interpretativa del Vangelo nella sua interezza. Ci danno un'angolazione autorevole da cui avvicinarci ad esso, una verità che siamo particolarmente esortati a ponderare, mentre passiamo dalle Lodi del mattino presto ai Vespri della sera. L'antifona Benedictus è nuda e cruda:
Quando vedrete l'abominio della desolazione, predetto dal profeta Daniele, stare nel luogo santo, chi legge comprenda.
Questa antifona ci pone di fronte alla spaventosa prospettiva di una profanazione o desacralizzazione di massa, uno svuotamento o evacuazione del tempio, una violazione dei recinti più intimi della santità paragonabile al violento crimine dello stupro. L'abominio in questione, qualunque esso sia, si dice che stia lì, come se fosse saldamente stabilito, prendendo possesso del luogo, impartendogli le sue stesse qualità. La prospettiva è così orribile che l'antifona non è nemmeno una frase grammaticalmente completa: si spegne: Quando vedete questo... lasciate che il lettore capisca.
Cosa dovremmo capire? Ci sono quasi tante opinioni quanti sono i commentatori, ma questo possiamo dire: abbiamo a che fare con un attacco alla cosa più sacra, un attacco al tempio e a ciò che dovrebbe essere presente in esso. È curioso, non è vero, che Papa Paolo VI abbia affermato nella sua Udienza generale del novembre 1969, subito prima dell'introduzione del Novus Ordo: "Stiamo diventando come intrusi profani nella riserva letteraria della sacra espressione".
Un altro versetto del Vangelo cattura bene la crisi postconciliare nel culto cattolico: "Il sole si oscurerà, e la luna non darà più la sua luce, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scosse". Il sole della nostra vita è il Santissimo Sacramento dell'Altare, la cui luminosità è stata oscurata dalla riforma liturgica. La luna è l'Ufficio Divino, che non dà più la sua dolce luce nel salterio settimanale integrale. Le stelle sono la schiera di devozioni, benedizioni e sacramentali che sono caduti dal firmamento della vita cattolica, lasciandola tetra e fredda. Le potenze del cielo sono gli altri riti sacramentali, che sono stati spostati dal loro splendore dottrinale.
Poi, quasi a darci conforto e forza in mezzo a questa terribile profezia, l'antifona del Magnificat ci dice:
In verità vi dico: questa generazione non passerà finché tutte queste cose non siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno, dice il Signore.
Eccolo di nuovo: quel versetto ponderoso e decisivo, il confine visibile e invisibile allo stesso tempo che nessun eretico, nessuno scismatico, nessun apostata, nessun infedele, potrà mai oltrepassare. Così, ad esempio, se qualcuno si alzasse e osasse mettere in discussione o in qualche modo indebolire l'indissolubilità del matrimonio, si troverebbe di fronte alla voce del Signore che risuona in Matteo 19: "Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi. ... Io vi dico che chiunque ripudia la propria moglie, se non per motivo di fornicazione, e ne sposa un'altra, commette adulterio; e chi sposa colei che è stata ripudiata, commette adulterio". Se qualcuno osa mettere da parte o allentare la disciplina superiore del celibato, si imbatte nella “voce del Signore sulle acque” (cfr Sal 28,3) – le “molte acque” di un millennio e mezzo di insegnamento cattolico che difendono e confermano chiaramente questa disciplina come intimo corrispettivo della chiamata allo stato clericale, in cui un chierico è reso marito di una sola moglie, la Chiesa.2 Come Challoner riassume nel suo titolo per Matteo 19: “Cristo dichiara che il matrimonio è indissolubile: raccomanda di farsi eunuco per il regno dei cieli; e di separarsi da ogni cosa per Lui. Mostra il pericolo delle ricchezze e la ricompensa di lasciare tutto per seguirLo”.
Sullo sfondo dei nostri tempi, l'antifona Benedictus ci ricorda la nostra crisi liturgica, mentre l'antifona Magnificat indica la nostra crisi morale e dogmatica. Questa coppia di antifone ci ricorda nuovamente il matrimonio indissolubile tra la lex orandi e la lex credendi.
Il rito romano tradizionale termina e inizia ogni anno liturgico in una sovrapposizione senza soluzione di continuità di Vangeli che illustrano ed evocano la continuità tra il tempo che corre verso la sua fine e l'adesso dell'eternità. La stabilità della ricorrenza di questa coppia ci consente di percepire come le parole della Chiesa in preghiera e la Parola eterna di Dio nella gloria siano profondamente unite, un mistero ben espresso nei Quattro quartetti di Eliot :
…la fine precede l'inizio,
E la fine e l'inizio erano sempre lì
Prima dell'inizio e dopo la fine.
Nel mio inizio è la mia fine.
Un'ultima osservazione: non sono solo i Vangeli a sovrapporsi senza soluzione di continuità, ma anche le Collette delle Messe. La Colletta dell'ultima domenica dopo Pentecoste inizia con l'audace imperativo che caratterizzerà diverse Collette dell'Avvento : " Excita, quaesumus, Domine..."
Ravviva, ti preghiamo, o Signore, la volontà dei tuoi fedeli : affinché, cercando più ardentemente questo frutto dell'opera divina, possano ricevere più abbondantemente i rimedi della tua amorevole benignità. Per mezzo del nostro Signore...
Una settimana dopo, nel periodo penitenziale appena iniziato dell'Avvento, la Santa Madre Chiesa esclama allo stesso modo:
Risveglia, ti preghiamo, o Signore, la tua potenza e vieni : affinché dai pericoli minacciosi dei nostri peccati possiamo meritare di essere liberati dalla tua protezione e di essere salvati dalla tua liberazione: tu che vivi e regni con Dio Padre…
Vediamo qui la lex orandi che ci ricorda che senza la grazia di Dio potentemente all'opera sulle nostre volontà, non possiamo fare nulla che Gli sia gradito o salvifico per le nostre anime; che il frutto che dobbiamo cercare è precisamente il Santo di Israele, il frutto dell'opus Dei della Messa, nella cui venuta ci soffermiamo e imploriamo in ogni stagione dell'Avvento; e che in questa ricerca troveremo guarigione, protezione, liberazione. Questo è un messaggio della e per la fine dei tempi in cui viviamo sempre, e la fine a cui ci stiamo avvicinando progressivamente con il passare di ogni anno liturgico. Excita, Domine: risveglia le nostre volontà languide e passive, rendici attivamente affamati e assetati della Tua giustizia, ora e per sempre. Amen.
Peter Kwasiewski_____________________
1. A parte un clima escatologico generale, il calendario riformato con il suo “Tempo Ordinario” e il lezionario con i suoi tre cicli domenicali non stabiliscono alcun collegamento così specifico tra la fine del ciclo temporale e il suo inizio, né tra la fine del ciclo santorale e il suo inizio .
2. Vedi Ignace de la Potterie, SJ, “Il fondamento biblico del celibato sacerdotale”.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
***
AIUTATE - anche con poco - il nostro impegno: L'informazione libera, gli approfondimenti cattolici e le molte traduzioni accurate di Chiesa e post-concilio (ora che sono rimasta sola, dopo aver perso mio marito, le mie risorse sono molto limitate).
IBAN Maria Guarini
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Codice BIC SWIFT : UNCRITM1731
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1 commento:
Dalla «Introduzione alla vita devota» di san Francesco di Sales, vescovo
(Parte 1, Cap. 3)
La devozione è possibile in ogni vocazione e professione
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l'artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L'ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l'unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l'amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
È un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio della devozione dall'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.
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