Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

sabato 29 ottobre 2016

Paolo Pasqualucci. La vera dottrina della Chiesa sulla giustificazione

Una puntualizzazione ricca di riferimenti che ci permette di irrobustire la nostra consapevolezza. Vi richiamo qui l'indice dei numerosi articoli già pubblicati sull'argomento.

L’antefatto - Un documento e un viaggio inaccettabili: la ‘Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione’ con i Luterani eretici e scismatici e il viaggio di Papa Francesco in Isvezia, per l’assurda celebrazione dei supposti “doni della Riforma”.
L’elogio di Papa Bergoglio a Lutero sulla giustificazione per sola fede, cuore della sua eresia!

Siamo addirittura arrivati ad erigere una statua lignea celebrativa di Lutero in Vaticano, di color rosso cupo, inaugurata il 13 ottobre corrente, di fronte a circa mille “pellegrini” luterani in visita “ecumenica” al Santo Padre, e quindi non certo per convertirsi.  Di fronte a questa e ad altre consimili manifestazioni di omaggio, il prof. De Mattei si è chiesto giustamente: Ma a quale Chiesa appartiene Papa Bergoglio?[1] E mi chiedo: a quando la statua di Calvino nei Sacri Palazzi? O dell’Erode inglese, Enrico VIII Tudor, re d’Inghilterra, scismatico ed eretico per causa di lussuria, distruttore del matrimonio cristiano?

Già nella conferenza stampa rilasciata da Bergoglio, come sempre “a braccio”, durante il volo di ritorno dalla visita “pastorale” in Armenia, interrogato a proposito delle incombenti celebrazioni con la Confederazione Internazionale Luterana, da tenersi a Lund in Isvezia il 31 ottobre di quest’anno, per il 500mo anniversario dell’affissione delle 95 tesi del monaco ribelle, ossia per “esprimere i doni [sic] della Riforma e chiedere perdono [sic] per la divisione perpetuata dai cristiani delle due tradizioni”, Papa Francesco aveva fatto uno sperticato elogio dell’eresiarca:
“Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non fossero sbagliate. In quel tempo la Chiesa non era proprio un modello da imitare:  c’era corruzione, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato.  Poi era intelligente ed ha fatto un passo avanti, giustificando il perché facesse questo. Ed oggi luterani e cattolici, con tutti i protestanti, siamo d’accordo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato. Lui ha fatto una “medicina” per la Chiesa, poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina etc.”.[2]
Ciò che colpisce come un’autentica mazzata, in queste parole, è l’affermazione che oggi, dopo decenni di “dialogo”, cattolici e protestanti luterani e non, sono d’accordo sulla dottrina della giustificazione. Concorderebbero anche i cattolici nel sostenere che “su questo punto tanto importante Lutero non aveva sbagliato”!

Ma non è sempre stato questo uno dei punti di completa rottura di Lutero con la dottrina insegnata nei secoli dalla Chiesa?  Vale a dire il fatto che egli propalasse una dottrina della salvezza, ossia della “giustificazione del peccatore” di fronte a Dio, mediante la sola fede con l’esclusione del contributo delle opere e quindi del nostro libero arbitrio. Il Tridentino, a conclusione del suo Decreto sulla giustificazione, del 13 gennaio 1547, inflisse 33 anatemi con relativi canoni, il 9° dei quali recita:  
“Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà:  sia anatema”[3].
La dottrina qui condannata è notoriamente quella di Lutero.  Ed ora il Papa in persona ci viene a dire che “su questo punto tanto importante Lutero non aveva sbagliato”?! Il presente Pontefice in che conto tiene le definizioni espressamente dogmatiche del Concilio di Trento? In nessuno? Se Lutero “su questo punto tanto importante non aveva sbagliato” allora si è sbagliato il Concilio di Trento nel condannarlo! Ma bisogna dire che l’attuale Pontefice non sembra tener alcun conto dell’intera dottrina della Chiesa sul punto, poiché il Tridentino non ha fatto altro che ribadire, spiegandola e chiarendola, la dottrina sempre professata dalla Chiesa. E bisogna anche chiedersi: qual è il livello di preparazione teologica del presente Pontefice? Si rende conto di aver detto una vera e propria eresia, nell’elogiare, condividendolo, ciò che il Tridentino ha solennemente condannato? Tuttavia, le stupefacenti dichiarazioni di Bergoglio non devono sorprendere più di tanto. Egli non fa altro che trarre le ovvie ed esplicite conclusioni da quanto affermato nella Dichiarazione congiunta sulla giustificazione, apparsa nel 1999 quale frutto maturo di un “dialogo ecumenico” con i luterani iniziatosi nel 1994; dialogo sviluppatosi pertanto con la completa approvazione di Giovanni Paolo II e dell’allora cardinale Ratzinger, Prefetto per tanti anni dell’ex Sant’Uffizio. L’approvazione di Ratzinger non risulta  esser venuta meno, una volta eletto Papa.

Lo straordinario elogio di Papa Francesco a Lutero, elogio nel merito della dottrina eretica di quest’ultimo, mostra quanto sia vera la recente dichiarazione di mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della FSSPX, esser cioè la Chiesa oggi purtroppo devastata da errori molteplici, “incoraggiati” dagli stessi Pastori, ivi compreso il Papa[4]. Verità fondamentali vengono negate o rovesciate, si cerca l’accordo dottrinale esplicito con gli eretici e scismatici, addirittura la Somma Autorità della Chiesa elogia apertamente le loro principali dottrine!

Ma che cos’è esattamente la “dottrina della giustificazione”?  Non bisogna nascondersi che per la gran maggioranza di noi fedeli si tratta di un concetto non semplice ad afferrarsi nelle sue componenti teologiche profonde.  Bisogna innanzitutto chiarire che Giustificazione non va intesa nel significato corrente di scusare, di spiegare nel senso appunto di “giustificare” per una mancanza o una colpa.  Il “giustificato” di fronte a Dio è colui che Dio ha trovato “giusto” secondo i criteri e i precetti stabiliti da Dio stesso. Giustificare in questo senso significa quindi riconoscer giusto ossia gradito a Dio e da Lui accettato. Solo il “giustificato” può entrare nel Regno di Dio.

Chiarito quest’aspetto preliminare,  la giustificazione in senso religioso appare un concetto semplice e chiaro. I problemi cominciano quanto al modo del suo attuarsi. Vengono infatti alla luce gli articolati rapporti  tra natura e grazia, fede e opere, elezione e predestinazione.  Per la comprensione di questa difficile materia, i fedeli si sono sempre affidati all’insegnamento del Magistero della Chiesa cattolica. Ma quando il Magistero stesso sembra aver smarrito la dottrina tramandata, sì da sottoscrivere con gli eretici documenti che la contraddicono, come deve reagire il semplice fedele? Non certo addentrandosi in difficili ragionamenti (al di là della sua portata) sulla natura della fede, della grazia o sulla predestinazione bensì cercando in primo luogo di ristabilire, per quanto sta alle sue capacità, ciò che la Chiesa ha insegnato in proposito. In altre parole, si tratta di riproporre in un linguaggio il più possibile semplice e chiaro la dottrina perenne della Chiesa, ciò che la Chiesa ha sempre ed effettivamente ritenuto e detto.

Questo è lo scopo del presente saggio, che non è un trattato sulla giustificazione ma una semplice messa a punto delle verità contenute in proposito nel Deposito della Fede, oggi obnubilate.  Il saggio è diviso in due parti:   
I. Esposizione della vera dottrina della Chiesa sulla “giustificazione”. In tre capitoli: Cap. 1: Il concetto della giustificazione; Cap. 2:  L’eresia luterana della giustificazione per sola fede;  Cap. 3: Il decreto tridentino sulla giustificazione.
II. Esposizione degli errores in fide per non dire vere e proprie eresie contenute nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione elaborata dalla presente Gerarchia assieme ai luterani: un documento senza precedenti, nella storia bimillenaria della Chiesa cattolica, la cui responsabilità ultima ricade come un macigno sulle spalle di ben  t r e  Papi:  Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco.
Pubblico qui il Cap. 1. Il Cap. 2 seguirà tra breve, a Dio piacendo.

I.
La vera dottrina della Chiesa sulla giustificazione

Sommario del Cap. 1. Il concetto della “giustificazione”: 1.1 La manipolazione luterana di Rm 3, 28. 1.2 Il significato esatto della giustificazione per fede, che “perfeziona la legge”. 1.3  Non c’è contraddizione tra san Paolo e san Giacomo sulla giustificazione. 1.4 San Paolo insegna (contro Lutero) che la giustificazione trasforma il peccatore in un uomo nuovo, solo a questo titolo capace di compiere le opere meritorie per la salvezza. 1.5 Il valore meritorio delle opere è stabilito espressamente da Nostro Signore. 1.6 Nostro Signore portò Abramo ad esempio anche per le sue opere.  1.7  L’episodio scabroso del temporaneo sequestro di Sara presso il Faraone e il re Abimelec non dimostra alcuna cattiva intenzione né opera malvagia da parte di Abramo e la castità del suo matrimonio fu salvata da Dio.

Cap. 1
Il concetto della “giustificazione”

In via sintetica e preliminare possiamo dire che il concetto della “giustificazione”, spiegato egregiamente da S. Paolo nella Lettera ai Romani, vuol renderci edotti sul modo nel quale il singolo uomo possa esser “giustificato” agli occhi di Dio e quindi salvare la sua anima. La “giustificazione” è “l’esser riconosciuti giusti davanti a Dio” (Rm 3, 20), cosa che non poteva avvenire con la semplice osservanza “delle opere della Legge” (ivi) cioè del legalismo scrupolosissimo e ossessivo imposto dai Farisei: “quia ex operibus legis non iustificabitur omnis caro coram illo”[5]. Quand’è allora che noi possiamo apparire “giustificati” agli occhi di Dio ovvero esser “riconosciuti giusti” da Lui? Con parole nostre, di semplici credenti, rispondiamo: quando crediamo a tutto quello che ha detto e fatto e osserviamo tutto ciò che ci ha comandato di fare il Verbo Incarnato, Nostro Signore Gesù Cristo, nella vita di ogni giorno, in pensieri, parole, opere. E quindi: con la fede in Cristo e un comportamento coerente a quella fede. Naturalmente, ciò non è possibile senza l’aiuto della Grazia divina. Mediante tale aiuto abbiamo la fede nelle verità sovrannaturali del Cristianesimo e la forza di attuare le opere meritorie che Dio vuole da noi, consistenti in sostanza nell’osservanza di tutti e dieci i Comandamenti, compito indubbiamente arduo per le sole forze umane. Si può quindi affermare che il credente sia “giustificato” di fronte a Dio dalla sua fede e dalle sue opere, se buone, con l’aiuto della Grazia di Dio.

Gran parte della Lettera ai Romani (1, 14 - 11, 36) è dedicata alla delucidazione della dottrina sulla giustificazione, esposta sinteticamente anche nella Lettera ai Galati, scritta quest’ultima proprio per difendere i fedeli dagli errori dei giudaizzanti, che volevano continuare ad imporre ai cristiani le “opere della Legge”, a cominciare dalla circoncisione, come se fossero ancora necessarie ed indispensabili per la salvezza, come se i catecumeni pagani dovessero diventare ebrei per poter essere cristiani.  Il testo base resta comunque la Lettera ai Romani[6]. Un passo molto citato, fondamentale per comprendere questa dottrina, è il seguente:
“Ma ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, attestata dalla Legge stessa e dai Profeti, giustizia di Dio che si ottiene per mezzo della fede in Gesù Cristo, da tutti quelli che credono, senza distinzione [di Ebrei e Gentili]. Tutti infatti hanno peccato sicché tutti sono privi della gloria di Dio e son gratuitamente giustificati dalla sua Grazia, mediante la redenzione che è in Gesù Cristo. Dio infatti ha stabilito Lui quale vittima propiziatrice, mediante la fede nel suo sangue, per manifestare la sua giustizia – poiché, nella sua tolleranza, aveva lasciati impuniti i peccati commessi prima – per manifestare [dico] la sua giustizia nel tempo presente, in modo che si riveli giusto lui e sia il giustificatore di chi ha fede in Gesù”.
L’esposizione si conclude mostrando l’universalità della giustificazione, rettamente intesa. Viene superato il ristretto angolo visuale del Giudaismo.
“Dov’è dunque il motivo di vantarsi [da parte degli ebrei]? È escluso. Da qual legge? Delle opere? No! Ma dalla legge della fede. Infatti noi pensiamo che l’uomo è giustificato dalla fede, senza le opere della Legge.  Forse Dio è soltanto Iddio dei Giudei? o non lo è pure dei Gentili? Sì, anche dei Gentili. Or, dato che vi è un solo Dio, egli come glorificherà per mezzo della fede il Giudeo, così per mezzo della fede glorificherà i Gentili.  Distruggiamo dunque la Legge per mezzo della fede? No: anzi confermiamo la Legge”[7].
     1.1 La manipolazione luterana di Rm 3, 28.

Bisogna ricordare, prima di procedere oltre, che Lutero ha falsificato il senso del versicolo da me sottolineato, inserendo nella sua traduzione in tedesco dello stesso un avverbio, solo, solamente (allein), come se san Paolo avesse scritto:  “Infatti noi pensiamo che l’uomo è giustificato per la sola fede, senza le opere della Legge”. In tedesco: “So halten wir nun dafür, dass der Mensch gerecht werde ohne des Gesetztes Werke, a l l e i n durch den Glauben”[8]. Ma l’avverbio “sola” o “solamente” nei Testi non c’è. Troviamo, infatti: “Arbitramur enim iustificari hominem per fidem sine operibus legis”, che traduce letteralmente il greco dell’originale: “logizometha gar dikaiousthai pistei anthropon coris ergon nomou”
E a chi lo rimproverava per l’abuso ermeneutico, l’eresiarca rispondeva arrogantemente che “non stava traducendo parole, ma idee, e che il vocabolo che aveva aggiunto era necessario per far risaltare in tedesco la forza dell’originale.  In tutte le revisioni che fece durante la sua vita non lasciò mai cadere quella parola: ‘sola’”[9].
Ora, questa versione eretica della giustificazione (per sola fede) riappare nella Dichiarazione congiunta cattolico-luterana, ogni volta che la si nomina in una dichiarazione appunto comune o congiunta.  Eccone un florilegio:
Art. 15. […] Insieme confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le buone opere.
Art. 17.  Condividiamo anche la convinzione che […] essa [l’azione salvifica di Dio in Cristo] ci dice che noi, in quanto peccatori, dobbiamo la nostra vita nuova soltanto alla misericordia di Dio che perdona e che fa nuove tutte le cose, misericordia che noi possiamo ricevere soltanto come dono nella fede, ma che non possiamo meritare mai e in nessun modo.
Art. 19. Insieme confessiamo che l’uomo dipende interamente per la sua salvezza dalla grazia salvifica di Dio. La libertà che egli possiede nei confronti degli uomini e delle cose del mondo non è una libertà dalla quale possa derivare la sua salvezza […] La giustificazione avviene soltanto per opera della grazia […].
Art. 37.  Insieme confessiamo che le buone opere – una vita cristiana nella fede nella speranza e nell’amore – sono la conseguenza della giustificazione e ne rappresentano i frutti […][10].
Da quest’ultimo articolo sembra appunto che le “buone opere” siano solo una conseguenza della fede nostra nella salvezza, ottenutaci già da questa stessa fede, e non cooperino invece in modo necessario alla salvezza, poiché (come insegna il Concilio di Trento) alla nostra salvezza deve concorrere anche il nostro libero arbitrio, attuantesi in una carità attiva. Ma questo art. 37 è per l’appunto dottrina luterana, sottoscritta a piene mani dalla Chiesa cattolica! E come stupirsene, dal momento che, negli altri articoli, si è accettato l’errore del sola fide?  In questi articoli 15, 17 e 19 della Dichiarazione, inoltre, anche la grazia sembra unicamente un dono dall’alto, ai fini della giustificazione, come se la nostra “libertà” (il nostro libero arbitrio e la nostra volontà) non cooperassero affatto alla nostra giustificazione; come se nell’uomo giustificato non ci fosse alcun rinnovamento interiore. Ma questo modo di intendere la grazia nell’ambito della giustificazione è stato espressamente condannato dal Tridentino al can. 11 del Decreto sulla giustificazione:  “Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo […] o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio:  sia anatema”[11].

È evidente che le definizioni dogmatiche e le condanne del Concilio di Trento non hanno più alcun significato per l’attuale Gerarchia cattolica, post-conciliare ed ecumenista. La Dichiarazione congiunta rende praticamente incerta e confusa anche la conoscenza popolare del dogma della giustificazione, quale si poteva per esempio ricavare da una diffusa Introduzione alla teologia degli anni Ottanta del secolo scorso, più volte ristampata.  Nel Glossario dei concetti e dei sistemi teologici principali, posto in appendice, troviamo, alla voce Giustificazione: “Da “giustificare” che significa rendere giusto.  In teologia il termine è usato per indicare l’azione con cui Dio, per mezzo di Gesù Cristo, rende giusti gli uomini, cioè li santifica e li fa coeredi della vita eterna.  Quest’azione divina è paragonata da Gesù a una rigenerazione [Gv 3, 5 ss.], mentre da Paolo viene detta una nuova creazione [in realtà san Paolo non differisce da Gv 3, 5ss.]. Rivolta all’uomo, che è essenzialmente intelligente e libero, la g. è l’offerta di un dono, il quale per divenire operante esige corrispondenza ed esclude il rifiuto.  Questo è il senso che si deve dare al concetto di cooperazione (fondamentale nella teologia cattolica) quando si parla di collaborazione dell’uomo alla g. La g. opera in profondità nel cuore dell’uomo, non è semplicemente un’imputazione della santità di Cristo all’uomo, che sarebbe essenzialmente corrotto ed insanabile, come sosteneva Lutero.  Questa interpretazione estrinsecista della g. fu condannata dal concilio di Trento (sess. VI, cc. 7-9)”[12].

Adesso l’estrinsecismo degli eretici (l’idea che la Grazia ci salva semplicemente coprendo i nostri peccati dall’esterno, come un mantello, per i meriti della Croce) non lo troviamo sottoscritto anche dalla Chiesa cattolica, nelle dichiarazioni congiunte sopra citate? Nel prosieguo di quella Dichiarazione congiunta si cerca anche di metter in rilievo delle differenze tra noi e i luterani, ma dopo aver premesso dichiarazioni comuni che contengon l’errore, il quale di per sé contraddice e rende superflue quelle differenze.  Tutto ciò non è manifestamente assurdo?

     1.2 Il senso esatto della giustificazione per fede, che “perfeziona la legge”

Esaurito quest’inciso, che verrà sviluppato nella II parte di questo saggio, torniamo al passo della Lettera ai Romani citato.
Oscuro appare, a prima vista, l’accenno, ivi contenuto, alla “tolleranza” di Dio che non avrebbe punito i peccati “commessi prima”. Ma qui l’Apostolo vuol dire, ci spiegano i commentatori, che “Dio ha tollerato la corruzione senza punirla, onde redimere totalmente il genere umano per i meriti di Gesù Cristo”, come risulta dal versetto immediatamente successivo. Senza punirla, cioè (aggiungo) senza distruggere l’intero genere umano ma lasciando crescere in questo mondo il buon grano assieme alla zizzania al fine di offrire all’intero genere umano (e non più ai soli ebrei) la possibilità della salvezza mediante l’Incarnazione del Verbo e il suo Sacrificio[13].

Il senso esatto del concetto: “giustificazione e quindi salvezza dalla fede in Cristo e non dalle opere della Legge” è illustrato anche dal versetto immediatamente successivo, nel citato passo di san Paolo: “Forse Dio è soltanto Iddio dei Giudei? o non lo è pure dei Gentili?”. Erano i giudei a ritenere che bastassero le “opere della Legge”, come interpretata in ultimo dai Farisei, a garantire la giustificazione; della Legge data da Dio ai soli ebrei, un Dio concepito ancora come Dio nazionale, che escludeva tutto il resto dell’umanità, senza tener conto dell’ampliamento della prospettiva della salvezza a tutti gli uomini già apparso nei Profeti.  Invece, insegna san Paolo divinamente ispirato, Dio  n o n   è  soltanto “Iddio dei Giudei”, lo è di tutti gli uomini e quindi anche dei gentili, dei pagani. La “glorificazione” cioè l’eterna salvezza nella Gloria di Dio, Dio, che è un solo Dio, la concederà pertanto mediante la fede in Cristo sia ai Giudei che ai Gentili, in quanto possibilità universale di salvezza. L’inutilità delle sole opere per la giustificazione riguarda le opere della Legge giudaica, con il loro tipico formalismo, come se l’osservanza esteriore, prescindendo dalla fede di chi opera, bastasse ad esser assolti dai peccati e giustificati di fronte a Dio. Ora, questa fede, dopo l’Avvento di Nostro Signore quale “vittima propiziatrice”, che ci ottiene cioè misericordia (propitiatio) per i nostri peccati, per i peccati di tutti gli uomini e non dei soli ebrei, non può esser altro che fede “in Gesù” in quanto Figlio di Dio e Verbo Incarnato. Tale fede non contraddice la Legge degli ebrei ma anzi “la compie” perché Gesù Cristo è il Messia annunziato dalle Profezie e dalla Legge data agli ebrei e rappresenta anzi il compimento naturale del Giudaismo, compimento che un giorno avverrà, secondo la nota profezia di Rm 11, 25-27. Infatti, la “giustizia di Dio”, mediante la quale siamo giustificati, manifestatasi tramite il Cristo “indipendentemente dalla Legge”, è stata tuttavia “attestata dalla Legge stessa e dai Profeti”.

Così i commentatori ci illustrano la giustificazione per fede qui rivelata e spiegata tramite l’Apostolo delle Genti. “La fede che giustifica abbraccia due tempi:
  1. Credere fermamente a tutto ciò che Dio ha rivelato.
  2. Vivere secondo quel che si crede, compiendo i nostri doveri quotidiani in grazia di Dio.
Poiché la fede che inizialmente non mirasse già alle opere, sarebbe vana e si risolverebbe nel dire sì a parole e no a fatti; mentre la fede che inizialmente sia vera, se si ferma a metà e, potendo, non arriva alle opere, ridiventa vana perché non produce i frutti che deve. La fede senza le opere è morta; le deve avere o nel desiderio o nella realtà”[14].

     1.3 Non c’è contraddizione fra san Paolo e san Giacomo sulla giustificazione.

Le ultime parole della citazione sopra appena riportata,  sono tratte in parte dall’Epistola di San Giacomo, che Lutero dichiarò doversi ritenere “un’epistola di paglia” ovvero senza valore,  che avrebbe dovuta esser tolta dal Canone! Ovvio che così si esprimesse, dato che condannava con quasi quindici secoli di anticipo l’errore da lui stesso sostenuto[15].
“Vuoi dunque convincerti, o uomo stolto, come la fede senza le opere è inutile? Abramo, nostro padre, non fu giustificato per mezzo delle opere, offrendo il suo figlio Isacco sull’altare?  Tu vedi bene che la fede agiva insieme alle opere di lui e che per mezzo delle opere la fede fu resa perfetta; e si compiva così quello che dice la Scrittura:  “Credette Abramo a Dio e gli fu ascritto a giustizia e fu chiamato amico di Dio”.  Voi dunque vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non soltanto dalla fede. Ed anche Raab, la meretrice, non venne forse giustificata dalle opere, cioè accogliendo i messi e facendoli poi ripartire per un’altra via?  Come il corpo senz’anima è privo di vita, così la fede senza le opere è morta” (Gc 2, 20-26).
I seminatori di discordia e di eresia, tra i quali ovviamente Lutero, hanno sempre cercato di vedere un contrasto insanabile tra san Paolo e quanto scritto qui da san Giacomo, uno dei Dodici, cugino di Cristo, detto il Minore, per distinguerlo da S. Giacomo fratello di S. Giovanni Evangelista, detto il Maggiore, ucciso dagli ebrei verso la Pentecoste dell’AD 42, dodici anni dopo la morte di Cristo.  San Girolamo ha raccolto la tradizione secondo la quale egli fu eletto vescovo di Gerusalemme da Nostro Signore risorto, che sembra essergli apparso molte volte. Tenne la sua sede per circa trent’anni.  San Paolo lo definì una delle colonne della Chiesa.  Fu martirizzato dagli ebrei, tra il 62 e il 63, sotto il pontificato di Anania, durante un tumulto popolare istigato da Scribi e Farisei[16].

Come afferma il commento alla Sacra Bibbia anteriore al Concilio, “S. Giacomo completa e spiega la dottrina di S. Paolo: S. Paolo parla della fede come radice delle opere buone che suppone.  S. Giacomo parla delle opere come frutto della fede.  Così S. Paolo (Rm 3, 28; 4, 2) riportando Gn 15, 6 [cioè la giustificazione di Abramo, avvenuta per fede], parla delle opere della Legge mosaica.  S. Giacomo parla delle opere che seguono necessariamente la giustificazione e procedono dalla fede e dalla grazia (v. Conc. di Trento, sess. VI, cap. 8-10)”. In conclusione:  “Da S. Paolo e da S. Giacomo risulta che agli adulti son necessarie la fede e le opere per salvarsi e che vien  prima la fede, poi le  opere, quindi il merito e finalmente la salute eterna”[17].

Il commento manca nell’edizione post-conciliare, che comunque ricorda come san Giacomo abbia di mira soprattutto “le opere della carità” mentre san Paolo parla delle “opere della legge cioè delle osservanze giudaiche”[18]. In effetti, san Giacomo comincia a spiegare muovendo dalle opere della carità cristiana (aiutare i poveri, i malati etc., altrimenti a che serve la fede? vv. 14-18). Tuttavia, come dimostra l’esempio dell’episodio biblico di Abramo ed Isacco apportato dallo stesso san Giacomo, egli imposta il discorso in modo più ampio.  Ma sempre mantenendo il reciproco equilibrio tra fede ed opere, anzi la loro mutua integrazione ai fini della giustificazione. Ciò risulta chiaramente dalla concatenazione dei concetti, dai termini impiegati.  “La fede agiva insieme alle opere di Abramo e per mezzo delle opere fu resa perfetta”: “Vides quoniam fides cooperabatur operibus illius: et ex operibus fides consummata est” (Gc 2, 22-23, cit.).

L’atto dello “agire insieme” è espresso in greco con sunergei, cooperava. Si tratta quindi di una “sinergia”, termine oggi diffuso, in altro ambito rispetto a quello religioso. Siffatto “agire insieme” non può essere occasionale o facoltativo, rispetto alla fede, dalla quale prende sempre le mosse. Anzi, è proprio da quest’agire congiunto, attuandosi nelle opere, che la fede “viene resa perfetta”. Il latino consummata est traduce il verbo greco eteleiote nel quale c’è il vocabolo telos: fine, ma anche il fine, lo scopo dell’azione. Giusto pertanto dire, in italiano: “la fede fu resa perfetta”. Si perfezionò nella realtà concreta della vita di Abramo, compiendosi nelle opere attuate per la fede nella Parola divina, che per noi è quella di Gesù Cristo Nostro Signore, il Verbo Incarnato. Le opere non si sostituiscono alla fede né la fede alle opere: la salvezza può venire solamente dalla loro sinergia. O cooperazione, secondo il modo di esprimersi del Tridentino.

Come è stato notato, san Giacomo si rivolgeva a cristiani evidentemente tiepidi, lassisti, o duri di cuore, convinti che bastasse la sola fede per salvarsi. Egli doveva richiamarli severamente al dovere delle opere, se veramente avevano la fede in Cristo. E innanzitutto per coerenza, se si è uomini che sanno usare rettamente l’intelletto e non teste vuote (inanes, kenoi). San Paolo, al contrario, si rivolgeva a ebrei e a convertiti giudaizzanti, i quali facevano dell’osservanza delle regole legali del giudaismo, a cominciare dalla circoncisione, un articolo di fede, vera e propria pietra d’inciampo per la conversione dei pagani e sminuimento del significato salvifico e messianico del Cristo[19]. Doveva quindi ribadire, san Paolo, che la giustificazione dell’uomo peccatore viene non dal legalismo giudaico ma dalla fede in Cristo, crocifisso per i nostri peccati e risorto per la nostra gloria; fede che otteniamo per Grazia, gratuitamente come gratuito è stato il Sacrificio di Cristo, ma non senza la nostra cooperazione (“Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”, Lc 11, 9). E fede, che, per esser veramente tale, deve completarsi nelle opere necessarie alla nostra salvezza.

     1.4 San Paolo insegna (contro Lutero) che la giustificazione trasforma il peccatore in un uomo nuovo, solo a questo titolo capace di compiere le opere meritorie per la salvezza.

Anche san Paolo incita a “fare il bene” ovvero a compiere le opere buone, se si vuole entrare nella vita eterna. Ciò si vede chiaramente nella Lettera ai Galati. Ai Galati che si erano lasciati sedurre dai giudaizzanti durante l’assenza dell’Apostolo, san Paolo ribadisce con dovizia di argomenti che la giustificazione avviene solo mediante la fede in Cristo perché solo da essa nasce l’uomo nuovo capace di compiere le opere meritorie per la salvezza.
“Noi che siamo Giudei per nascita e non peccatori provenienti dai Gentili, sapendo che l’uomo non è giustificato mediante le opere della Legge [mosaica], ma soltanto dalla fede in Gesù Cristo, noi pure abbiamo creduto in Cristo Gesù, per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere delle Legge [mosaica], perché dalle opere della Legge non sarà mai giustificato nessuno” (Gal  2, 15-16).
L’Apostolo spiega poi come la fede in Cristo non sia una semplice credenza fiduciosa nella remissione dei nostri peccati da parte di Cristo: quella fede rinnova completamente il credente, lo fa diventare un uomo nuovo in Cristo.
“È infatti, per seguire la Legge che io sono morto a quella Legge, per vivere a Dio.  Sono stato crocifisso per sempre con Cristo.  Dunque non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me.  E pur continuando a vivere nella carne, io ormai vivo per la fede nel Figlio di Dio, il quale mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me.  Or, io non voglio rigettare la grazia di Dio, quasi non valesse nulla; difatti, se la giustizia si ottiene per mezzo della Legge, Cristo è dunque morto invano” (Gal 2, 19-21).  
Il senso di questo famoso brano appare chiaro.  È per “seguire la Legge” che san Paolo, zelante fariseo, perseguitava i cristiani.  Ma sulla via di Damasco, in seguito alla famosa apparizione di Nostro Signore, egli “morì a quella Legge” e cominciò a “vivere a Dio”, a servire Dio che si era rivelato in Cristo Nostro Signore, facendo apparire la vanità della Legge, con tutti i suoi formalismi e ritualismi, creati dagli uomini.  Perciò l’uomo che san Paolo era “fu crocifisso con Cristo”: morì, spiritualmente parlando, come Cristo morì sulla Croce in quanto vero uomo per rinascere con il suo corpo tre giorni dopo.  E, ad imitazione di Cristo, rinacque san Paolo ma in Cristo, poiché dal momento della sua conversione miracolosa “Cristo viveva in lui”.

Ecco dunque che la fede in Cristo crocifisso, se autentica, ci deve portare a vivere in Cristo, facendo per quanto possibile sparire l’uomo peccatore che eravamo e sostituendolo con l’uomo nuovo nel quale vive Cristo. Con la fede viviamo in Cristo che però vive in noi, trasformandoci interamente. Come ha detto Nostro Signore: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo a lui e dimoreremo in lui” (Gv 14, 23). E questo dimorare [mansionem facere] del vero Dio, Uno e Trino, in noi, può avvenire senza rigenerarci spiritualmente? Senza costituire quel rinnovamento interiore che ci sostiene in modo soprannaturale nella nostra consapevole lotta quotidiana contro noi stessi per compiere le opere della nostra santificazione?  

La rigenerazione interiore apportata dalla fede in Cristo, ha un carattere radicale, essa annulla tutte le differenze vigenti tra gli esseri umani, realizzando la loro unità con Cristo Gesù.  Ne consegue che la missione della Legge non è più attuale, il suo dominio è per sempre finito.
“Prima però che venisse la fede [in Cristo] eravamo rinchiusi e custoditi nel carcere della Legge in attesa della fede, che doveva esser rivelata. E così la Legge è stata il nostro pedagogo, per ricondurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per mezzo della fede [in Cristo]. Ma venuta la fede, non siamo più sotto il pedagogo. Voi tutti, infatti, siete diventati figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù; perché, quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete pur rivestiti di Cristo. Non c’è dunque più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché tutti siete un sol uomo in Cristo Gesù.  E se siete di Cristo, siete dunque progenie di Abramo, perciò eredi secondo la promessa” (Gal 3, 23-29).
La fede in Cristo ci rende “figli di Dio” per adozione e “progenie di Abramo” in senso spirituale non carnale perché siamo quella grande nazione promessa da Dio ad Abramo. Il battesimo e comunque la conversione fa sì che noi “siamo rivestiti di Cristo”. Quest’immagine indica tutta la portata della trasformazione interiore che la fede in Cristo deve produrre. Non si tratta di un rivestimento esteriore ma di un esser vestiti di nuovo, di un completo rinnovamento, di mutare nel profondo dell’anima. È la medesima verità annunciata da Ges­ù a Nicodemo: “In verità, in verità ti dico che uno, se non nascerà di nuovo, non può vedere il regno di Dio” (Gv 3, 3).

I cristiani, sono dunque “chiamati alla libertà” (Gal 5, 13) dal momento che sono stati liberati dalla servitù della Legge mosaica.  Questa libertà non significa però libertà dalla legge morale, come se essi avessero la salvezza comunque garantita qualunque cosa facciano. La libertà del cristiano deve esser usata per compiere le opere indispensabili alla nostra salvezza.
“Non vogliate fare di questa libertà un’occasione per vivere secondo la carne; ma anzi procurate, per mezzo della carità, di esser servi gli uni degli altri. Tutta la legge, infatti, si compendia in questo solo comando: - Ama il prossimo tuo come te stesso” (Gal 5, 13-14). Non bisogna dunque vivere “secondo la carne” ma “secondo lo spirito”. E come si vive “secondo lo Spirito”, che è vivere secondo la vera libertà del cristiano? Facendo le opere dello spirito e non quelle della carne. Dalle opere si vede il vero cristiano, colui che si è effettivamente “rivestito di Cristo”.
San Paolo fa l’elenco dettagliato delle “opere della carne”, che coincidono in pratica con i sette peccati capitali, in tutte le loro molteplici sfumature.  E ammonisce:  “coloro che fan tali opere non avranno in eredità il regno di Dio” (Gal 5, 21).  Il che significa che andranno all’Inferno e per sempre.  Le “opere dello spirito” sono invece:  “la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la fedeltà, la dolcezza, la temperanza” (Gal 5, 16-24). Tutte queste “opere” o “frutti dello spirito” non hanno nulla a che fare con la Legge, dalla cui schiavitù ci libera la fede in Cristo per consentirci di fare le vere opere dello spirito, il che significa “crocifiggere la carne con le sue passioni e concupiscenze” (ivi, 23-25). Vi sono perciò delle opere che ci meritano la dannazione di contro a quelle che ci meritano la vita eterna, l’eredità costituita dal regno di Dio.  Pertanto, san Paolo fa chiaramente capire che la salvezza non viene dalla sola fede;  bisogna che la fede in Cristo si attui nelle buone opere, se si vuole ottenere la vita eterna.  A seconda delle sue opere ognuno sarà giudicato.
“Non vi fate illusioni:  Dio non si lascia irridere; ognuno, infatti, mieterà quello che avrà seminato, e quindi chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà la corruzione, chi invece semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna.  Non ci stanchiamo di fare del bene, perché se non ci stancheremo, a suo tempo mieteremo.  Dunque, finché abbiamo tempo facciamo del bene a tutti ma specialmente ai nostri fratelli nella fede” (Gal 6, 7-10).  
Se vi sono opere che ci condannano alla dannazione di contro ad altre che ci assicurano la vita eterna, ciò significa che, per san Paolo, la sola fede nella salvezza procurataci dalla Croce di Cristo non è sufficiente a salvarci. Egli sta parlando a dei cristiani, passibili di compiere le “opere della carne” nonostante la loro fede. Li ammonisce, pertanto, a dedicarsi alle buone opere, se vogliono la vita eterna. Nelle istruzioni a Timoteo vescovo, dice, in chiusura della seconda Lettera a Timoteo, di raccomandare ai ricchi  che “facciano del bene, si arricchiscano di buone opere [divites fieri in bonis operibus], siano liberali, generosi, e si accumulino così per l’avvenire un tesoro posto su solide basi, che assicuri loro la vera vita [cioè la vita eterna]” (1 Tm 6, 18-19).  Si vede o no chiaramente, anche da questo passo, che le opere buone sono necessarie e quindi meritorie per la vita eterna?  Chi vive facendo opere cattive, la fede, se ce l’ha, non lo salva.  Nell’insegnamento di san Paolo il luterano “pecca fortiter sed crede fortius” è del tutto escluso, così come in quello di san Giacomo.

     1.5 Il valore meritorio delle opere è stabilito espressamente da Nostro Signore.

L’immagine paolina del costituirsi un solido tesoro con le buone opere, per esser graditi a Dio e ottenere la salvezza, ne ripete una consimile usata da Nostro Signore nel Discorso della Montagna: 
“Non vogliate accumulare tesori sulla terra, dove la ruggine e la tignola consumano e dove i ladri sfondano e rubano; ma accumulatevi dei tesori nel cielo, dove né ruggine né tignola consumano, e dove i ladri non sfondano né rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, ci sarà pure il tuo cuore” (Mt 6, 19-21).  
L’analogia con l’accumular tesori appare piuttosto evidente: il tesoro in senso mondano è un’accumulazione di beni sotto forma di metalli preziosi, frutto del nostro lavoro o comunque di una nostra attività; frutto, quindi, delle nostre opere. Ma questi tesori terreni sono labili, si decompongono o vanno smarriti o vengono rubati. Il tesoro che dobbiamo accumulare con le nostre opere, affinché duri in eterno, è quello che dobbiamo accumulare in cielo e sarà costituito dalle nostre buone opere, fatte per la fede in Cristo, per adempiere i comandamenti divini. È il tesoro delle nostre buone azioni a costituire un bene indistruttibile agli occhi di Dio, che ci verrà appunto attribuito a merito nel giorno del Giudizio. Nel simbolismo del tesoro da costituirsi in cielo non si potrebbe trovare, io credo, un’affermazione più evidente del carattere meritorio e quindi indispensabile delle nostre buone opere, ai fini della salvezza.  

E quando Nostro Signore rivelò in base a quale criterio avrebbe diviso l’umanità in Eletti e Reprobi nel giorno del Giudizio Universale, non mostrò forse che il criterio era costituito dalla qualità delle nostre opere?  Chi avrà fatto le buone opere che Dio si aspetta da lui sarà salvato mentre gli operatori d’iniquità saranno dannati. I buoni, nel compier l’opera della carità verso il prossimo è come l’avessero compiuta nei confronti di Cristo; i malvagi, nel rifiutarsi, è come si fossero rifiutati di farla a Cristo (Mt 25, 31-46).  Questo è dunque il criterio della divina giustizia, per esser giustificati:  fare o non fare ciò che Dio vuole noi si faccia, cioè il bene verso il prossimo per amor di Dio.  In ciò è il merito o il demerito che si accumula per la vita eterna o la dannazione. La scelta finale fra Eletti e Reprobi sulla base delle opere di ciascuno deriva dall’applicazione del comando di amare il prossimo per amor di Dio (e non, come si tenta di far credere oggi, per la supposta sublime dignità dell’essere umano, poiché nell’Incarnazione Cristo si sarebbe in certo modo unito ad ogni uomo – Gaudium et spes 22.2).  Come hanno sempre spiegato i commentatori ortodossi del Vangelo: “ Si osservi come questo esame degli uomini al giudizio universale sia condotto su atti di carità;  la ragione è quella rilevata in Mt 7, 12”[20].

Verso la fine del Discorso della Montagna, il Signore incita a fare le buone opere nei confronti degli altri, vincendo la nostra malvagità, che sappiamo essere la conseguenza del peccato originale.
“E chi è mai tra voi, che, quando il figliolo suo gli chiede del pane, gli dia un sasso?  O richiesto di un pesce, gli dia una serpe?  Ora se voi, pur essendo cattivi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano?  Fate dunque agli altri tutto ciò che volete che gli altri facciano a voi; perché questa è la legge e i Profeti” (Mt 7, 9-12).
Per esser graditi a Dio bisogna dunque fare le buone opere che Dio vuole noi facciamo.  E queste opere vanno fatte proprio per perfezionare la fede nostra in Dio, che non può non tradursi in obbedienza concreta a tutto ciò che Egli ci comanda.  E ci comanda, appunto, di  f a r e (facere, poiein); fare il bene da Lui stabilito al fine di  meritare ai suoi occhi ed esser da Lui giustificati.

Il Signore ci esorta dunque ad esser buoni, a vincere la nostra cattiveria naturale cioè la parte di noi incline alla cattiveria. Al contrario di quanto afferma Lutero, ci esorta a non peccare poiché Egli detesta e non accetta il peccatore che rimanga tale, che non si è pentito e che non ha cambiato vita o che comunque non lotti contro se stesso per cambiarla, ricorrendo a Lui. Sempre alla fine del Discorso della Montagna, che è il fondamento dell’etica cristiana, c’è la celebre ripulsa degli “operatori d’iniquità” cioè di coloro che hanno vissuto operando l’iniquità e vorrebbero salvarsi, alla fine, solo per la loro fede in Cristo, nel cui nome avrebbero addirittura compiuto profezie e prodigi. Il brano viene subito dopo quello nel quale Nostro Signore denuncia i falsi profeti e sembra esser stato detto apposta per tutti coloro i quali, come poi Lutero, hanno voluto vedere la salvezza nel sola fide.

“Non chiunque mi dice:  - Signore! Signore! – entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno [quello del Giudizio]: - Signore, Signore, noi abbiamo profetato nel tuo nome, e nel tuo nome abbiam cacciato i demoni e nel tuo nome compiuti molti prodigi! Ma io dirò loro: - Non vi conosco; andate via da me, operatori d’iniquità!” (Mt 7, 21-23). E conclude: “Perché chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà paragonato all’uomo saggio, che si è fabbricato la casa sulla roccia” (Mt 7, 24). Le mette in pratica: facit ea - poiei autous : chi “le fa”, nella prassi. E se la sua casa, cioè la sua vita, apparirà costruita “sulla roccia”, sì da resistere a tutte le tempeste (prosegue il testo, Mt 7, 25-27), cosa significa questo se non che le opere nostre che mettono in pratica, che fanno le parole di Cristo, ci meritano la vita eterna? Per entrarvi, bisogna dunque mettere in pratica i suoi insegnamenti, non basta la fede: “Perché mi chiamate:  Signore, Signore! e poi non fate quello che vi dico?” (Lc 6, 46).

Ce la meritano a completamento della nostra fede e accanto alla nostra fede, possiamo dire. Perché gli ebrei increduli saranno condannati per la loro mancanza di fede in Nostro Signore.
“E tu, Cafarnao, sarai esaltata sino al cielo?  Tu discenderai sino all’inferno:  perché se in Sodoma fossero avvenuti i miracoli operati in te, oggi ancora sussisterebbe. E però vi dico, che nel giorno del giudizio il paese di Sodoma sarà trattato meno duramente di te” (Mt 11, 23-24).
I miracoli sono l’opera divina per eccellenza di Nostro Signore. L’incredulità dei giudei riguardava le sue opere. Ciò significa che le opere devono considerarsi strumento di conversione.  Lutero vuol ridurre tutto il messaggio cristiano alla Parola di Cristo e alla fede in questa parola salvatrice, fede che già ci procurerebbe la salvezza. Ma i Vangeli testimoniano che Nostro Signore voleva convertire anche con le opere.  Al punto da dire ai Farisei, durante una delle loro dispute, allorché gli chiedevano con aria di sfida, di dir loro apertamente se era il Cristo: “Ve l’ho detto, ma non mi credete; le opere che faccio in nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza, tuttavia non mi credete perché non siete delle pecore mie”(Gv 10, 24-25). Questa era la situazione, anche se molti credevano in Lui ma non lo dicevano per paura dei Farisei (Gv 12, 42). “Se non fo le opere del Padre mio, non mi credete. Ma se le fo, anche se non volete credere a me, credete alle opere, affinché sappiate e conosciate che il Padre è in me ed io sono nel Padre” (Gv 10, 37-38). Quindi: se non volete credere a quello che dico, credete almeno per via di quello che faccio. Non credete a me quando vi dico e dimostro che vengo dal Padre e che Io e il Padre siamo una cosa sola, “siamo uno” (Gv 10, 30)? Se non credete alla mia Parola, credete allora nella mia opera.  I miracoli che ho fatto (e che miracoli, erano!) non dimostrano la mia natura divina, e quindi che Io e il Padre siamo l’unum et identicum? Le opere del Signore, i suoi miracoli, contano dunque per credere in Lui, anche se non si crede in Lui solo a causa dei suoi miracoli. E se, per alcuni o per molti, contano soprattutto le sue opere, i miracoli, per credere in Lui, poco male:  lo stesso divino Maestro ci autorizza a credere per questa via, conoscendo bene la nostra fragilità. Le opere di Gesù testimoniano la sua divinità, per la salvezza della nostra anima. Se esse, dunque, rendono testimonianza della natura divina di Cristo, inducendoci alla fede, perché le nostre buone opere non devono anch’esse render testimonianza al Padre e al Figlio della nostra natura umana, rigenerata dalla Parola del Figlio, meritandoci in tal modo la vita eterna?

Inoltre, nelle repliche ai Farisei, si è visto che Nostro Signore giunge a separare la fede dalle opere, nel senso che attribuisce alle opere da Lui compiute la capacità di far sorgere la fede nostra, che si inchina di fronte al miracolo, anche quando tale fede non riusciamo ad ottenerla dalla Parola da Lui predicata. In tal modo, si potrebbe dire, l’esempio delle opere di Cristo serve a suscitar la fede anche senza la fede, almeno provvisoriamente. Da parte nostra, si tratta allora di umiltà di fronte al manifestarsi del miracolo (la divina potenza che dispone della natura come vuole) e di obbedienza: crediamo al Signore per le sue opere, ci aggrappiamo alle opere del Signore, anche quando non abbiamo ancora la fede compiuta nelle sue Parole, sperando di tenerci a galla con tale aggancio, sino a giungere al porto sicuro della fede completa e sicura di sé. In tal modo può operare in noi la Parola di Cristo, quando ci incita ad affidarci alle sue opere e al salvamento che la fede nelle opere richieste dalla morale e dalla devozione da Lui insegnata può rappresentare, per la nostra anima. Ciò risulta, per esempio, nell’esperienza di mistici e grandi santi, come Santa Teresa di Lisieux, afflitta per tanto tempo dalla “notte dello spirito” prodotta dai dubbi sulla fede che la torturavano, desolazione che essa chiama nuit du néant.
“Il permit [Gesù] que mon âme fût envahie par les plus épaisses ténèbres et que la pensée du Ciel si douce pour moi ne soit plus qu’un sujet de combat et de tourment […] Il faut avoir voyagé sous ce sombre tunnel pour en comprendre l’obscurité […] Ah! que Jésus me pardonne si je lui ai fait de la peine! Mais il sait bien que tout en n’ayant pas la jouissance de la foi, je tâche au moins d’en faire les oeuvres”.[21]
Che le buone opere, compiute anche senza aver ancora la fede, pur ancora insufficienti come tali alla salvezza, possano comunque indurre Dio alla misericordia nei nostri confronti, sì che i nostri cuori comincino ad aprirsi alla Grazia, non risulta forse da quest’altro famoso passo dei Vangeli:  “E chi avrà dato da bere anche un sol bicchier d’acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità vi dico:  non perderà la sua ricompensa” (Mt 10, 42)?

     1.6 Nostro Signore portò Abramo ad esempio anche per le sue opere

Come si è visto, l’interpretazione gioachimita della fedeltà di Abramo al comando divino mediante le opere potrebbe sembrare a prima vista opposta a quella di san Paolo, che invece esalta la fede di Abramo, dicendolo giustificato da essa prima ancora che dalle sue buone opere, dal momento che la Scrittura, sottolinea san Paolo, testimonia che :  “Abramo credette a Dio e ciò gli fu ascritto a giustizia [Gn 15, 6]”. Abbiamo dimostrato l’inesistenza di questa opposizione, ossia la validità dell’interpretazione sempre insegnata dalla Chiesa cattolica (vedi infra, cap. 3).   
 
San Paolo non ha mai insegnato che Abramo fu giustificato per la sola fede, come vuol far credere Lutero. Quando Abramo fu chiamato da Dio che gli ordinò di lasciare la sua terra (“Esci dalla tua terra, dalla tua gente, dalla casa del padre tuo e vieni nella terra che ti additerò” – Gn 12, 1) e gratificato della promessa di una grande discendenza sì che in lui sarebbero state benedette “tutte le genti della terra” (ivi, 2), la Legge (mosaica) ancora non esisteva.  Egli obbedì e credette alla promessa di Dio che l’aveva chiamato, pertanto fu giustificato – trovato giusto – agli occhi di Dio esclusivamente a causa di questa sua obbedienza e fede immediata e senza tentennamenti in ciò che Dio gli aveva detto.  E come avrebbe potuto accadere diversamente? Se ad un uomo Dio parla direttamente, dandogli degli ordini e facendogli una grande promessa, costui obbedirà e crederà a Dio in base all’autorità di Dio che gli parla:  crederà perché è Dio che gli sta parlando. Sarà quindi gradito a Dio e trovato da lui giusto esclusivamente in base alla fede dimostrata nella parola di Dio. “Abramo non vedeva ancora nulla, ma credette sull’autorità di Dio che gli parlava, come se le cose fossero già avvenute e si affidò a tale fede, uniformando pienamente a quella tutta la sua condotta. Anche noi crediamo sull’autorità di Dio che rivela”[22]. Abramo non avrebbe potuto esser giustificato per le sue opere se prima non lo fosse stato per la sua fede, che gli fu richiesta prima ancora delle opere; ma, se non avesse fatto seguire le opere alla fede, vana sarebbe stata la sua fede.  E le opere vennero immediatamente già con l’obbedire al comando divino che gli ingiungeva di partirsi dal suo paese natìo senza sapere dove sarebbe andato.

In una delle loro dispute con Nostro Signore, i Farisei, rifiutando alteramente il suo insegnamento perché, dicevano, in quanto “progenie di Abramo” non ne avevano bisogno, si ebbero questa risposta: “se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo. Ma intanto cercate di far morire me, uomo che v’ho detto la verità, quale io l’ho udita presso Dio; Abramo non fece così”(Gv 8, 39-40).

Non bastava dunque aver la fede di Abramo per esser veramente “figli di Abramo”: occorreva anche “fare le opere di Abramo”, dimostrare con le opere buone l’autenticità di quella fede. Le opere di Abramo gradite a Nostro Signore sono il frutto della costante volontà di Abramo di fare in tutto la volontà di Dio, di ottemperare sempre con i fatti al comando divino, fattogli conoscere immediatamente prima del Patto che Dio stesso volle stringere con lui, iniziale manifestazione del piano divino della salvezza. “Io sono Iddio onnipotente, cammina alla mia presenza e sii perfetto.  Stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò in modo stragrande” (Gn 17, 1-2 e ss.). Questa dunque l’opera che Dio richiede a chi crede in Lui e si affida a Lui: camminare sempre alla sua presenza, esser perfetti, così come Lui è perfetto, concetto ribadito da Nostro Signore, nel Discorso della Montagna (“Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro nei cieli”, Mt 5, 47). I Farisei, che si proclamavano figli di Abramo nella carne, facevano forse “le opere di Abramo” quando meditavano in cuor loro di eliminare Gesù?  Nel corso delle reciproche dispute Egli, forte dei miracoli compiuti e delle verità esposte, aveva rivelato di essere il Figlio di Dio. I Farisei l’avevano capito perfettamente: ma, non accettando per invidia tale rivelazione, pensavano di farlo morire (con la falsa accusa di esser un bestemmiatore).

Vediamo dunque come nei Testi Sacri Abramo sia esaltato non solo per la sua fede ma anche per le sue opere. Tra le opere di Abramo, Nostro Signore include anche la di lui esultanza per la venuta del Messia cioè per l’Incarnazione.  “Abramo, vostro Padre, esultò per vedere il mio giorno: lo vide e se rallegrò” (Gv 8, 56). Questo testo fa in apparenza difficoltà, soprattutto per la parte finale. Nella prima, Nostro Signore si riferisce evidentemente alla vocazione di Abramo descritta in Gn 12, 2 e 3, nel cui ambito è ricompreso l’annunzio dell’avvenire messianico della posterità di Abramo. La seconda parte della frase, invece, rinvia ad un’esultanza non più terrena ma ultraterrena. Essendo nato attorno al 2000 a.C. e morto circa 175 anni dopo, solo dall’aldilà, già nella vita eterna presso il Padre, Abramo poté vedere il giorno della nascita del Messia (Gesù di Nazareth) e rallegrarsene. Di questa esultanza ultraterrena solo Nostro Signore poteva esser a conoscenza, grazie alla sua natura divina, che difatti riaffermò subito dopo (citando Es 3, 14) di fronte alla sbalordita replica dei Farisei, provocando di nuovo la loro ira: ““Non hai ancora cinquant’anni e hai veduto Abramo?  Gesù rispose loro: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono”.  Diedero allora di piglio alle pietre per tirargliele ma Gesù si nascose e uscì dal tempio” (Gv 8, 57-59).

Abramo, nostro Padre nella fede,  è giustificato per la sua fede ma anche per le sue opere, di uomo pacifico, pio e misericordioso, giusto, obbediente a Dio in tutto. Ciò risulta in maniera evidente dai Testi, dalla Tradizione, dall’insegnamento della Chiesa.

     1.7 L’episodio scabroso del temporaneo sequestro di Sara presso il Faraone e il re Abimelec non dimostra alcuna cattiva intenzione né opera malvagia da parte di Abramo e la castità del suo matrimonio fu salvata da Dio

Al valore meritorio delle buone opere di Abramo, attestato da Nostro Signore in persona, non osta l’episodio scabroso della breve e forzata permanenza di Sara sua moglie presso la corte del Faraone, re dell’Egitto e del re Abimelec, durante la migrazione dello stesso Abramo in quel paese a causa della carestia, quale “sponsa” dello stesso Faraone o re, dopo che Abramo aveva mentito dicendo ai funzionari regi che la donna era sua sorella e non sua moglie, per timore di esser ucciso.
“Fu poi carestia in quella regione; ed Abramo si diresse verso l’Egitto per ripararvisi, perché grande era la fame nel paese.  Essendo vicino a entrare nell’Egitto, disse a Sara sua moglie:  “So che sei una bella donna; quando gli Egiziani ti avranno visto, diranno: - È sua moglie, - Ed uccideranno me, per ritenersi te. Di’ dunque, ti prego, che sei mia sorella, acciò ch’io sia ben trattato per cagion tua, e ch’io sia lasciato in vita per grazia tua”. Entrato che fu dunque Abramo in Egitto, videro gli Egiziani quella donna bellissima, ed i magnati lo raccontarono al Faraone, e la celebrarono a lui; ed essa fu portata via, in casa del Faraone. Trattarono bene Abramo in grazia di lei, ed ebbe pecore, bovi, asini, servi e ser1.4ve, asine e cammelli. Ma il Signore, a causa di Sarai moglie di Abramo, flagellò con castighi grandissimi il Faraone e la sua casa. Laonde il Faraone chiamò Abramo, e gli disse: “Che cosa m’hai fatto? Perché non mi dicesti che era tua moglie? Per qual motivo dicesti che era tua sorella, così che la prendessi io per moglie? Ora dunque, ecco la moglie tua. Prendila e vattene”. Il Faraone dette ordine a’ suoi uomini riguardo ad Abramo, e questi rimandarono lui, la moglie, e tutto quel che aveva” (Gn 12, 10-20).[23]
In un secondo tempo, l’episodio si ripeté.  Trovandosi, sempre come straniero, in un paese chiamato Gerara, presentò di nuovo sua moglie come se fosse sua sorella ed il re locale, Abimelec, “la fece prendere”, avendo le stesse intenzioni del Faraone. Ma Dio apparve in sogno al re e gli disse che sarebbero scomparsi lui e il suo popolo se avesse toccato quella donna, dato che essa era la moglie di un profeta, “che avrebbe pregato per lui” (Gn 20, 6-7).  Allora il re la rinviò intatta ad Abramo, lamentandosi con lui e chiedendogli conto della menzogna.  E Abramo così rispose:  “Io pensai fra me: - Forse non v’è timor di Dio in questo paese, ed uccideranno me per [prendere] la moglie mia; d’altra parte è anche veramente mia sorella, perché figlia del padre mio, ma non della madre mia [era sua sorellastra] e la presi in moglie.  Da quando Iddio mi condusse fuori della casa del padre mio, le dissi: - Tu mi farai questa grazia: in qualunque paese andremo, tu dirai che son tuo fratello” (Gn 20, 11-13).  Abimelec riempì di doni Abramo e gli diede anche mille pezzi d’argento, in riparazione dell’aver tenuto (illecitamente) presso di sé Sara sua moglie.  Per intercessione di Abramo, Dio guarì Abimelec e la sua casa dalla sterilità che si era nel frattempo abbattuta su di essi “a causa di Sara, moglie di Abramo” (Gn 20, 14-18).[24]

Il racconto biblico documenta l’esistenza di una pratica immorale in uso presso i principi e re del tempo, adusi alla poligamia e al concubinaggio (praticati del resto anche nella terra d’origine di Abramo, semita di Ur nella Caldea, in Mesopotamia), quella di prendersi come mogli (o concubine) le donne degli stranieri che loro piacessero.  La bugia di presentare Sara come sua sorella è ispirata ad Abramo dalla paura di esser ucciso.  Anche se il re dell’Egitto e il re Abimelec si mostrano preoccupati di non impadronirsi di donne straniere sposate, tuttavia nella prassi, che non era certamente ignota ad Abramo, poteva avvenire che i funzionari regi eliminassero senza tanti complimenti un marito, sì da offrire senza problemi la vedova alla cupidigia del signore locale, esimendolo in tal modo dalla colpa di impadronirsi della moglie di un altro.  Tale era la corruzione dei tempi, che erano del resto quelli di Sodoma e Gomorra, città da poco distrutte da Dio, quando Abramo giunse nel paese di Abimelec. Certo, la restituzione di Sara in entrambi i casi non è spontanea, avviene dopo che la casa del Faraone è colpita immediatamente da una serie di castighi e dopo che Abimelec, oltre che castigato con la sterilità di tutta la sua casa, viene ammonito in un sogno che lo atterrisce.

La Bibbia non ci dice in che modo il Faraone venne a sapere che la sua nuova “moglie” era la moglie di Abramo.  Possiamo solo fare delle ipotesi.  Può averlo capito da solo, di fronte ai castighi che di colpo sommersero lui e la sua casa, e può averglielo detto la stessa Sara, dandogliene così una ragione. Dio si rivela qui, come osservava sant’Ambrogio, il protettore della castità del matrimonio. Anche se Sara sembra aver dovuto giacere con il Faraone?  Bisogna stare attenti ad interpretare bene la Bibbia, accostandosi ad essa con animo retto.  Mentre  risulta chiaramente che Sara fu restituita intatta dal re Abimelec, la stessa cosa non appare così evidente (a prima vista) per l’esperienza di Sara con il Faraone, il quale sembra dire di aver preso effettivamente in moglie Sara, che ora restituiva tuttavia al legittimo sposo.  Ma guardiamo attentamente il testo.

La Vulgata-Clementina traduce in questo modo il passo relativo:  “Quam ob causam dixisti esse sororem tuam, ut tollerem eam mihi in uxorem?”.  Questa traduzione è seguita dalla versione italiana della Bibbia sotto la direzione dell’Abate Ricciotti:  “Per qual motivo dicesti che era tua sorella, così che la prendessi io per moglie?”. Ma questo ut con il congiuntivo non dimostra che il Faraone avesse effettivamente “sposato” Sara. Esso va inteso qui nel suo uso consecutivo e non finale:  indica la conseguenza dell’azione non il suo fine.  Nel nostro caso:  non vuol dire che Abramo abbia presentato la moglie come sorella al Faraone affinché lui la sposasse bensì che, avendola Abramo presentata come sua sorella, il Faraone si era ritenuto (erroneamente) libero di sposarla. Tant’è vero che aveva pagato “il prezzo della sposa” d’uso in Egitto, facendo ad Abramo (ritenuto suo fratello) ampi doni.[25]
La versione greca dei LXX, del III secolo a. C., traduce lo “ut tollerem” con l’aoristo di lambano, prendo, qui:  prendo in sposa:  ina ti eipaς oti adelfe mou estin; kai elabon auten emautò eis gunaika. Ma l’aoristo non indica qui un’azione passata già terminata.  Infatti, nell’originale ebraico il verbo è all’imperfetto: ciò significa che esso indica un’azione non ancora compiuta, che si stava svolgendo.  Si tratta del verbo: uaeqqah, 1a persona singolare imperfetto kal di laqah, prendere : “l’ho presa (con l’intenzione di prenderla in moglie)” (e quindi: non l’ho ancora presa in moglie).[26]

Il senso della frase è pertanto il seguente: “perché mi hai detto che era tua sorella, sicché io stavo per prenderla come sposa?”.  Nella casa del Faraone, Sara doveva trovarsi ancora in una condizione simile a quella della sponsa del diritto romano, cioè della donna promessa alle nozze e non ancora della moglie vera e propria (uxor).  L’irritazione del Faraone si spiega anche con il fatto che, senza volerlo, lui, entrando nell’intimità di Sara avrebbe commesso oggettivamente adulterio, cosa severamente riprovata dalle leggi egiziane, anche se più per le donne che per gli uomini.[27]  

Fonte di possibile confusione appare la traduzione, utilizzata anche dall’edizione pre-conciliare della Bibbia:  “Come mai hai detto:  È mia sorella, per cui l’ho presa in moglie?”.  Essa sembra dar per avvenuta la consumazione del “matrimonio”, contro il testo ebraico, che, come si è ricordato, usa l’imperfetto e non un tempo indicante un’azione definitivamente conclusa, e contro la traduzione della Vulgata, che riflette appunto l’originale ebraico.  

  Era evidente che Abramo, angosciato dalla paura di essere ucciso a causa delle possibili ed anzi quasi sicure cupidigie regali nei confronti della moglie, nel comprensibile intento di salvare la pelle accettava il rischio che la moglie potesse esser costretta a concedersi ad un altro ed anzi si preparava mentalmente a vedersela portar via per sempre, sequestrata in un harem.  Accettava dunque il rischio che il suo matrimonio finisse e nel disonore, per sé e per la moglie, anche se, per ciò che riguardava l’onore delle donne, la mentalità del tempo non sembra esser stata particolarmente sensibile (Lot offrì invano le sue due figlie vergini alle voglie insane dei Sodomiti purché desistessero dal tentativo di sfondare la porta di casa sua, al fine di violentare i due giovani (i due Angeli) che vi erano appena entrati – Gn 19, 4 ss).  Appare qui una debolezza del tutto umana in Abramo, nei fatti un modesto pastore nomade che governava la difficile sopravvivenza di forse un migliaio di uomini e donne e dei loro armenti in un ambiente straniero e ostile, dominato dalla violenza, dalla rapacità, dalla lussuria più sfrenata. 

Dal racconto biblico risulta che Abramo era convinto di agire in stato di grave necessità, al punto da dover accettare il rischio di veder finire il suo matrimonio nel sacrificio della moglie (sotto mentite spoglie) alle voglie dei potenti.  E risulta anche la generosità della moglie, che non subì alcuna imposizione dal marito, ma (“tu mi farai la grazia”) si prestò alla menzogna per salvargli la vita, accettando di rischiare la fine del suo matrimonio nel disonore.  Isacco, figlio di Abramo e di Sara, con sua moglie Rebecca, finsero ugualmente di essere fratello e sorella, trovandosi anch’essi nella città di Gerara, dove comandava un altro Abimelec, re dei Filistei.  Rebecca non fu però molestata (Gn 26, 1-11).

Del tutto assurda appare pertanto l’affermazione di Simone Weil, la famosa intellettuale anarchica di tendenze catare (era un’ebrea rivoluzionaria, antisemita e anticristiana), la quale, in un suo delirante libello sul suo modo di concepire la religione, scrive:
“D’autre part, le premier personnage parfaitement pur qui figure dans l’histoire juive est Daniel (qui a été initié à la sagesse chaldéenne). La vie de tous les autres, à commencer par Abraham, est souillée de choses atroces. (Abraham commence par prostituer sa femme.)”[28].  
Per la Weil, il messaggio originale di Cristo, che è “amore”, è stato rovinato dalla Chiesa e dall’Impero romano, da lei messo addirittura sullo stesso piano del nazismo, ragion per cui nel cristianesimo si sarebbe perpetuata quella religione infame e violenta che è, a suo dire, l’ebraismo![29] In queste farneticazioni c’è tutto l’odio della catara, oltre che della femminista, per Dio Creatore, Padre misericordioso di tutti ma nello stesso tempo di tutti giusto Giudice, poiché la sua misericordia non può separarsi dalla sua giustizia. Abramo sarebbe stato dunque in perfetta malafede, avrebbe mentito sempre, anche quando spiegò che aveva agito in quel modo subdolo unicamente per paura di essere ucciso:  il suo vero scopo era far prostituire la moglie; offrirla ai regoli locali per procacciarsi armenti, servi, serve![30] Sono le calunnie di Voltaire nei confronti di Abramo, nella voce corrispondente del suo celebre e popolare Dictionnaire philosophique (1764), opera che di veramente filosofico non ha nulla, costituendo la più bassa polemica antireligiosa e anticristiana il suo contenuto e scopo principale.

Dobbiamo confrontarci, noi fedeli cattolici, anche con questa “ermeneutica”, per quanto assurda e offensiva sia, poiché oggi contro i nostri Sacri Testi sono ritornati in auge gli errori e le calunnie più incredibili -  facilitata la loro diffusione da quello che è stato l’autentico crollo dell’esegesi cattolica, un tempo validissima.

Chi era questo Abramo, si chiede Voltaire?  “On nous dit qu’il était né en Chaldée, et qu’il était fils d’un pauvre potier, qui gagnait sa vie à faire des petites idoles de terre”[31].  Dunque, Abramo era “figlio di un vasaio”, di “Tare il vasaio” e di mestiere fabbricava idoli di terracotta per i suoi concittadini pagani.  Nella Bibbia non si trova nulla di tutto ciò.  Del padre di Abramo, Tare, si dà solo il nome, in un elenco di genealogie (Gn 11). Da dove ha appreso Voltaire queste notizie?  Da nessuno, se le è inventate per poter presentare Abramo in modo ridicolo e denigratorio, fedele al suo celebre motto: “calunniate, calunniate, qualcosa resterà sempre”.  L’immagine di Abramo umile fabbricante di idoli di terracotta, infatti, ridicolizza Abramo. Faceva contenti i nobili e i borghesi atei e miscredenti che seguivano Voltaire nella sua crociata contro il cristianesimo.  Poco male che l’immagine fosse del tutto falsa, frutto della fantasia maligna di Voltaire, che non esitava a dare una versione mutila e scorretta di tutto il racconto biblico al fine di poter fabbricare la figura perversa di un Abramo lenone, autentico magnaccia, ripetuta poi pappagallescamente dalla Weil[32].

“Il amène à Memphis sa femme Sara, qui était extrèmement jeune, et presque enfant en comparaison de lui, car elle n’avait que soixante-cinq ans. Comme elle était très belle, il résolut de tirer parti de sa beauté:  “Feignez que vous êtes ma soeur, lui dit-il, afin qu’on me fasse du bien à cause de vous”.  Il devait bien plutôt lui dire – Feignez que vous êtes ma fille.  Le roi devint amoureux de la jeune Sara, et donna au prétendu frère beaucoup de brebis, de boeufs, d’ânes, d’ânesses, de chameaux, se serviteurs, de servantes: ce qui prouve que l’Égypte d­ès lors était un royaume très puissant et très policé, par conséquent très ancien, et qu’on récompensait magnifiquement les frères qui venaient offrir leurs soeurs aux rois de Memphis”.  Come si vede, è taciuto il fatto che Abramo spiegò a Sara e poi ad Abimelec che voleva far passare la moglie per sua sorella nel timore di esser ucciso:  se gli emissari del re avessero sequestrato Sara, lui, in quanto suo “fratello”, sarebbe stato trattato con rispetto (“ben trattato”) e sarebbe stato “lasciato in vita”. Voltaire, contro l’evidenza dei testi, attribuisce invece ad Abramo l’intenzione di far prostituire Sara ai potenti della zona!  Voltaire tace anche sulla restituzione di Sara, a “matrimonio” non consumato, sulle disgrazie che colpirono il Faraone, sul suo dialogo con Abramo.  Insomma:  crassa manipolazione dei testi, la sua. 

Ugualmente scorretto è il modo nel quale egli riferisce l’episodio che coinvolge Sara ed Abimelec.  “Abraham, qui aimait à voyager, alla dans le désert horrible de Cadès avec sa femme grosse, toujours jeune et toujours jolie. Un roi de ce désert ne manqua pas d’être amoureux de Sara comme le roi d’Égypte l’avait été.  Le père des croyants fit le même mensonge qu’en Égypte:  il donna sa femme pour sa soeur, et eut encore de cette affaire des brebis, des boeufs, des serviteurs, et des servantes. On peut dire que cet Abraham devint fort riche du chef de sa femme”.  Ma la Bibbia dice che Sara fu incinta di Isacco dopo l’episodio di Abimelec (Gn 21).  Dice inoltre che essa fu rispettata da quel re. Ed Abramo ebbe tanti regali da lui solo dopo la restituzione della moglie, come ringraziamento dell’intercessione in suo favore presso Dio e come riparazione per Sara, non come sordido premio per un’inesistente fornicazione di Sara con il re, che non fu mai il suo “amante”, come ebbe invece il coraggio di scrivere lo stesso Voltaire in un’altra versione della voce Abraham[33].     

All’impudenza e alla disonestà intellettuale di Voltaire, quando si occupava del cristianesimo, non c’erano limiti.  Sia Voltaire che la Weil disponevano degli stessi Testi Sacri dei quali disponiamo noi.  Ora, dai testi non risulta in alcun modo una mala intenzione di Abramo nei confronti della moglie.  Risulta con chiarezza, invece, che egli temeva fortemente per la sua vita.  Al punto da mentire e mettere a rischio l’onore della moglie e suo.  Possiamo forse dire che, nella circostanza, egli abbia dimostrato un’insufficiente fiducia nell’aiuto della Provvidenza.  Che tuttavia non mancò, dal momento che fu l’intervento divino (con castighi e visioni nei sogni) ad aprire gli occhi al Faraone e ad Abimelec, trattenendoli dal commettere ingiustizia nei confronti di Sara e peccato d’adulterio. Ed impedendo alla stessa Sara di doverlo commettere, quel peccato.

L’interpretazione dei Padri della Chiesa è stata sempre nel senso che la divina bontà ha salvato Abramo e Sara dalla corruzione che li circondava, mantenendo la castità del loro matrimonio. Leggiamo in proposito il commento di sant’Ambrogio.
“L’atleta del Signore si esercita e si fortifica nelle avversità.  Andò nel deserto:  venne la carestia, discese in Egitto.  Aveva saputo che in Egitto erano diffuse dissolutezze dei giovani, lussuria, cupidigia impudente, passioni sfrenate.  Comprendeva che fra uomini di tal genere il pudore della moglie sarebbe stato indifeso e la sua bellezza sarebbe stata per lui un pericolo:  disse allora alla moglie di dichiararsi sua sorella. Con ciò si insegna che nella moglie non si deve tanto cercare la bellezza…”.  E sulla personalità di Sara, sant’Ambrogio scrisse:  “Si recò in un paese straniero, si dichiarò sua sorella, disposta, se fosse stato necessario, a mettere in pericolo il proprio pudore piuttosto che l’incolumità del marito, e per salvaguardare il marito mentì, dicendosi sua sorella, nel timore che coloro che avessero insidiato il suo pudore lo uccidessero come rivale e vendicatore della moglie. Gli Egiziani, appunto, appena la videro, colpiti dalla sua non comune bellezza, la presentarono al loro re e trattarono Abramo con rispetto, onorandolo come fratello di colei che era piaciuta al re”.[34]
Sant’Ambrogio mette nel dovuto rilievo la grandezza d’animo di Sara, la sua dedizione allo sposo. Ma illustra anche i giusti insegnamenti morali che la vicenda offre a chi voglia intendere il matrimonio nel modo che piace a Dio, cioè casto, con belle riflessioni sull’episodio dei castighi che si abbatterono subito sul Faraone. Questo re egiziano, per quanto pagano, capì di aver sbagliato, “ebbe timore di Dio e volle riparare la colpa di adulterio, lui che non era soggetto a nessuna legge, e subito, appena si accorse che Sara era la moglie di un altro, non solo la restituì al marito, ma gli mise a disposizione degli accompagnatori che lo guidassero fuori del paese, affinché nessuno di quel popolo barbaro facesse violenza al peculio dell’uomo o alla pudicizia della moglie”[35]. Da tutta la vicenda si deve trarre la conclusione che “chi segue Dio è sempre al sicuro.  Perciò sempre dobbiamo anteporre Dio ad ogni cosa”.  Abramo seguì il comandamento di Dio, andando verso una terra che non conosceva e praticando il suo culto, nonostante le difficoltà, e Dio lo ricompensò, anche in beni materiali.  “Ma innanzitutto Dio gli diede la ricompensa della pudicizia, che sapeva gradita alla moglie; infatti, poiché per lo zelo di attendere alla parola divina  Abramo aveva messo in pericolo persino il pudore della moglie, Dio tutelò la castità del suo matrimonio”[36].

Dal momento che l’errore del sola fide prese le mosse da un’interpretazione sbagliata del significato della fede grazie alla quale Abramo fu giustificato di fronte a Dio, come se essa potesse prescindere dalle opere dello stesso Abramo, mi è parso necessario soffermarmi in dettaglio sulla connessione strettissima tra fede e opere che compare nella vita di Abramo, secondo la testimonianza dei Sacri Testi e l’insegnamento dei Padri.   Dei Testi, è ovvio, correttamente intesi, secondo le traduzioni e le esegesi adottate dalla Chiesa perenne, unico vero baluardo contro le manipolazioni di eretici e miscredenti, miranti a screditare per partito preso le opere di Abramo e di riflesso tutta la nostra religione. 
Consideriamo ora l’eresia luterana del sola fide.
(continua)
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1. Roberto de Mattei, A quale Chiesa appartiene Papa Bergoglio?, articolo apparso sul sito: Corrispondenza Romana il 19 ottobre 2016. 
2. Testo ripreso dal sito Riscossa Cristiana, del 3 luglio 2016, p. 2 di 2; originariamente nel sito Corrispondenza Romana. Il testo riproduce il parlar colloquiale del Papa, nel suo spesso legnoso italiano, come riportato dalla stampa internazionale. Corsivi miei. 
3. Giuseppe Alberigo (a cura di), Decisioni dei Concili Ecumenici, tr. it. di Rodomonte Galligani, UTET, Torino, 1978, p. 553. 
4. Comunicato del 29 giugno 2016 del Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, mons. Bernard Fellay.
5. Rm 3, 20.  Testo originale secondo il Novum Testamentum Graece et Latine del Nestle-Aland, United Bible Societies, London, 196923.  Ho tenuto presenti anche l’edizione critica di Agostino Merk S.I., Novum Testamentum Graece et Latine, Romae, 1984 e, per il solo testo greco:The Greek New Testament, a cura di K. Aland, M. Black, C.M. Martini, B. M.Metzger, A. Wikgren, United Bible Societies, Stuttugart, 19833. Per le traduzioni italiane: La Sacra Bibbia delle Edizioni Paoline a cura della CEI, prima (1958) e dopo il Concilio (1974), e nell’edizione coordinata dall’abate Ricciotti, Salani, Firenze, 1954. Per il solo latino, la Vulgata-Clementina, B.A.C., Madrid, 1965. Per la versione in greco dell’Antico Testamento: Septuaginta, Id est Vetus Testamentum graece iuxta LXX interpretes edidit Alfred Rahlfs, Editio minor, Duo volumina in uno, Deutsche Bibelgesellschaft Stuttgart, 1935, 1979.  
6. Per la dottrina della giustificazione ho tenuto presenti: Bernard Bartmann, Précis de théologie dogmatique, tr. fr. dell’abbé Marcel Gautier, Éd. Salvator, Mulhouse, 1951, vol. II, p. 91 ss.; Louis Ott, Précis de théologie dogmatique, tr. fr. dell’abbé Marcel Grandclaudon, Éd. Salvator, Mulhouse-Casterman, Tournai, Paris, 1955, p. 354 ss.; Giuseppe Casali, Somma di teologia dommatica, Ed. Regnum Christi, Lucca, 1964, p. 522 ss. 
7. Rm 3, 21-31, per i due passi citati. Corsivo mio. L’inciso “[dico]” nel primo passo è nel testo, inserito dal traduttore, nell’edizione coordinata dall’abate Ricciotti. Ove non espressamente indicato, le parole tra parentesi quadre inserite nelle citazioni sono mie. 
8. Die Bibel oder die ganze Heilige Schrift des Alten und Neuen TestamentsNach der deutschen Űbersetzung Martin Luthers, Württembergische Bibelanstalt Stuttgart, 1964, p. 195 del Nuovo Testamento. Si tratta di Rm 3, 28.   Spaziatura mia.
9. Roland H. Bainton, Lutero, Prefazione di Delio Cantimori, tr. it. di Aldo Comba, Einaudi, Torino, 1960, pp. 293-294.
10. Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, www.vatican.va/roman_curia/pontifical etc., pp. 22.  Corsivi miei.
11. Decisioni dei Concili Ecumenici, cit., p. 554.
12. Battista Mondin, Introduzione alla teologia, Editrice Massimo, Milano, 19852, pp. 128-129.
13. Per questo commento chiarificatore, vedi: La Sacra Bibbia, ed. Ricciotti, cit., p. 1586, nota n. 25.
14. La Sacra Bibbia, ed. Paoline, 1958, pp. 1194-1195, nota al versetto n. 28. Questo commento manca del tutto nella medesima Sacra Bibbia post-conciliare, edizione minore. Ci si limita a dire che “Gli ebrei ritenevano di essere salvi grazie ai meriti acquistati con l’osservanza della legge di Mosè” (nota al v. 27) e che “Soltanto il credente, sostenuto dalla grazia, osserva perfettamente la legge:  cfr. Mt 5,17” (nota al v. 31). Il concetto del “compimento” della Legge mediante la fede in Cristo, resta in tal modo solamente sullo sfondo. 
15. Per lo sprezzante giudizio sull’Epistola di san Giacomo, vedi: Bainton, op. cit., p. 293.
16. Per questi dati vedi la breve introduzione alla Lettera di san Giacomo, nella Bibbia anteriore al Concilio, cit., p. 1283. La breve Prefazione nell’edizione post-conciliare mostra invece i guasti prodotti dal Concilio, perché oltre a non dir nulla sulla vita dell’Apostolo e sulla sua fine, afferma che “l’autore dello scritto sembra essere l’omonimo capo della comunità cristiana di Gerusalemme”. La Prefazione tenta anche di screditare l’autore affermando che la Lettera “comprende una serie di esortazioni senza ordine logico [sic], che sembrano ridursi [sic] all’idea fondamentale di una vita cristiana coerente e caritatevole.  Importante è il testo sull’unzione degli infermi”. Silenzio completo sulle fondamentali considerazioni concernenti il rapporto tra fede e opere (vedi: La Sacra Bibbia, cit., p. 1207).
17. La Sacra Bibbia, ed. preconciliare cit., p. 1285, note ai vv. 29 e 26 dell’Epistola di san Giacomo.
18. La Sacra Bibbia, ed. post-conciliare cit., p. 1208, nota al v. 14.
19. Ott, op. cit., p. 360.
20. La Sacra Bibbia, edizione coordinata dall’abate Ricciotti, nota a p. 1420, relativa a Mt 25, 31 ss. citato.
21. Sainte Therèse de Lisieux, Histoire d’une âme, Clovis, 1996, pp. 351-354.
22. La Sacra Bibbia, ed. anteriore al Concilio, pp. 27-28, nota al v. 15 del cap. 15.
23. Gn 12, 10-20.  Il nome di Sara era inizialmente Sarai. Dio lo mutò in Sara (Gn 17, 15-16). In entrambe le versioni significa: principessa (commento al versetto 15, ne La Sacra Bibbia nell’edizione anteriore al Concilio, p. 30). Dio cambiò anche il nome di Abramo, mutandolo in Abraamo (ab-hamon), quando confermò il patto con lui, “perché, disse, ti ho stabilito padre di molti popoli (Gn 17, 5-6). In italiano, si mantiene sempre la dizione “Abramo” (commento de La Sacra Bibbia nell’edizione coordinata dall’abate Ricciotti, p. 51, nota n. 5). Abramo era il nome accadico A-ba-ra-ma (abu = padre, ra-ma e ra-am = forma verbale di rāma = amare) attestato come nome di persona in Mesopotamia, all’epoca in vi nacque Abramo (vedi: Dizionario biblico, diretto da Francesco Spadafora, Studium, Roma 19633, voce Abramo, di mons. Spadafora).
24. Gn 20, 11-13.  L’inciso “[prendere]” è del traduttore.
25. Sul matrimonio nell’antico Egitto vedi:  il matrimonioSapere.it, p. 2/2. La poligamia, il concubinaggio e le unioni fra parenti stretti (per ragioni soprattutto politiche) erano praticate dall’aristocrazia egiziana (e di altre nazioni antiche) e in particolare dai Faraoni.   Il matrimonio con il fratellastro o la sorellastra, lecito nei paesi pagani dai quali proveniva Abramo, fu poi proibito dalla Legge mosaica (vedi nota ne La Sacra Bibbia, tr. it. anteriore al Concilio, cit., pp. 33-34).
26. Il riferimento al verbo dell’originale ebraico nell’imperfetto l’ho trovato su di un sito dei Testimoni di Geova, nel quale si discuteva della Discesa in Egitto di Abramo, rispondendo in modo documentato a interventi anche polemici dei lettori. La spiegazione sul verbo ebraico utilizzato in Gn 12, 19 la devo invece alla cortesia della dr.ssa Maria Guarini, che sentitamente ringrazio, la quale mi segnala anche questo interessante commento al passo in questione: “So I might have taken her to me to wife – The Hebrew is, and I took her to me to wife, that is, I took her with the intention of making her my wife [l’ho presa con l’intenzione di sposarla].  During the interval before the marriage Pharaoh and his household were visited with such marked troubles that he became alarmed, and possibly Sarai then revealed to him her true relationship to Abraham. http://biblehub.com/commentaries/genesis/12-19.htm. 
27. Vedi fonte citata (Sapere.it).
28. Simone Weil, Lettre à un religieux, Gallimard, Paris, 19513, p. 13.  Ma quali sarebbero “le cose atroci” imputabili ad Abramo, a parte l’inesistente lenocinio della moglie? L’aver obbedito a Dio al punto da accingersi a sacrificare il figlio Isacco? Dio volle mettere alla prova Abramo in questo modo e la mano di Abramo fu fermata da un Angelo (Gn 22). Dov’è qui “l’atrocità”? Nelle opere di Abramo testimoniate dalla Bibbia non si riscontra alcuna “atrocità”. Abramo vi compare come un uomo pio, devoto, misericordioso (pensiamo alla sua intercessione per Sodoma), attento ad esser sempre equanime e giusto nei rapporti con gli altri. Il resoconto della Bibbia (dell’autore ispirato, Mosè, secondo la tradizione) è onesto e obiettivo, non nasconde i momenti di relativa debolezza, come negli episodi di Sara con il Faraone e Abimelec.  
29 Op. cit., p. 11 ss.; pp. 38-39; p. 45 ss.
30. La tesi di fondo della Weil è che il vero cristianesimo esisteva già prima di Cristo, si ritroverebbe anticipato, in modo sparso, nelle religioni pagane, in una sapienza ad esso antecedente (tesi tipica del tradizionalismo esoterico).  In ogni caso, per lei Cristo era soprattutto un maestro di morale (vedi p. 52). Conseguentemente, essa respinge il concetto di dogma della fede, in quanto tale (p. 50).  E tralascio qui altri punti dello sconcertante libello dell’anarchica. 
31. Voltaire, Dictionnaire philosophique, Introduction, variantes et notes par Jules Benda, texte établi par Raymond Naves, Garnier, Paris, 1961, voce Abraham, pp. 2-6. Le citazioni da questa voce sono tutte da queste pagine.
32. Per la corretta informazione su Abramo vedi la voce Abramo in Dizionario Biblico, cit.
33. Nelle Questions sur L’Encyclopédie, del 1770, op. cit., p. 417: “Ainsi puisque vingt-cinq ans après elle eut un roi de Gérar pour amant…”. Voltaire sghignazza apertamente sulle età dei Patriarchi e delle loro mogli: Abramo che muore a 175 anni, dopo esser diventato padre di Isacco a 99 anni; la moglie che partorisce a 75 e muore a 127, per tacere di età ancor più venerande di altri Patriarchi (Gn 11). Se Dio nella sua onnipotenza ha voluto far vivere gli uomini e le donne di quelle età così a lungo e far accadere paternità e maternità che andavano temporalmente al di là delle leggi della natura conosciute, noi, semplici mortali, che cosa abbiamo da ridire? Comunque, un papiro dell’epoca più antica della monarchia egiziana, conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi, ci reca i precetti di condotta morale indirizzati ai giovani da un anziano funzionario di sangue reale, di nome Phtha-hotep, il quale conclude rivelandoci la sua età: “Io sono diventato uno dei più vecchi del paese, ho compiuto centodieci anni colla grazia del re e l’approvazione degli anziani, adempiendo il mio dovere verso il re in una carica di favore”(citato in: Philip Smith, Storia dell’Oriente antico (1870), rist. anast. della tr. it. di G. Carraro del 1882, Messaggerie Pontremolesi, 1989, pp. 55-56. Corsivo mio). 
34. Sant’Ambrogio, Abramo, in ID., Opere esegetiche II/II, introduzione, tr. it., note e indici di Franco Gori, Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova Editrice, Milano-Roma, 1984, pp. 39 e 41.Si tratta della versione critica, con testo latino a fronte, del trattato De Abraham, costituito da un corposo commento ai relativi capitoli della Genesi.
35. Op. cit., p. 43. Anche se il “matrimonio” con Sara non era stato consumato, c’era però una situazione adulterina.
36. Op. cit., p. 45. Per consimili riflessioni sull’episodio di Sara con Abimelec, che confermò esser Dio “protettore e custode del matrimonio”, vedi:  op. cit., pp. 93-99.

55 commenti:

Anonimo ha detto...

Il prof. Pasqualucci, il dottor de Mattei ed altri autorevoli e benemeriti laici, prima di tutto la nostra gentile padrona di casa, fanno benissimo ad esprimere il loro disappunto.
MA Mi domando, come mai, almeno in pubblico i chierici Tacciono? DOVE SONO I VESCOVI, INCLUSI QUELLI della FSSPX?
Almeno loro che non hanno nulla da perdere, potrebbero organizzare preghiere pubbliche di riparazione.

Il card. Burke non tace ha detto...

In occasione della presentazione dell'edizione croata del libro del card. Burke "Divino amore incarnato", domenica scorsa a Zagabria, al cardinale è stato chiesto un parere circa la richiesta dei protestanti di fare la comunione nella Messa di papa Francesco della prossima settimana in Svezia, il card. Burke ha risposto, senza nominare il Papa, e quindi esprimendosi in senso generale, che l'Eucaristia è la presenza reale di Gesù in Corpo, Sangue, Anime e Divinità. I luterani non credono nella presenza reale, per loro c'è solo una presenza spirituale, e alla fine della della cerimonia mettono i pezzi di pane - non a caso il cardinale ha usato l'espressione "pezzi di pane" - in un cassetto. Noi cattolici, invece, riponiamo le sacre specie nel tabernacolo, poiché Gesù è presente realmente e possiamo adorarlo, e possiamo dal tabernacolo, portare le ostie consacrate agli ammalati affinché possano fare la Comunione. Chi non crede in questo non può fare la Comunione, perché farebbe sacrilegio e metterebbe a rischio la salvezza della propria anima. Chi invece dà la Comunione a chi non crede nella presenza reale, commette un gravissimo peccato, anche perché mette a rischio la salvezza eterna dell'anima di chi la riceve.

mic ha detto...

https://www.lifesitenews.com/news/watch-cardinal-burke-denounces-intercommunion-ahead-of-popes-tribute-to-lut

Luisa ha detto...


http://www.ilgiornale.it/news/criticato-papa-replica-chi-condanna-lapertura-ai-luterani-1324682.html

"E sottolinea( Bergoglio) quanto sia importante "camminare insieme", per "non restare chiusi in prospettive rigide, perché in queste non c'è possibilità di riforma".

Ma che riforma vuole Jorge Bergoglio?
Quali sono le prospettive rigide che, nella sua onnipotenza, vuole far saltare?
Nel caso Jorge Bergoglio non fosse al corrente la riforma c`è già stata ed è stata un dramma, nella sua personalissima fede che non si sa se sia cattolica, catto-luterana o altro ancora, di quella riforma egli ne tesse le lodi, per lui è sata un dono, ma dove vuole arrivare?
E quando vescovi e cardinali di retta fede, a cominciare dal card. Müller si faranno coraggio per contrastare ad alta e intelligibile voce la direzione che il papa argentino sta facendo prendere ufficialmente alla Chiesa?

Luisa ha detto...


"LUTERO MON AMOUR. FEBBRE ECUMENICA, MA I CATTOLICI HANNO DOVUTO SUDARE PER AVERE LA MESSA COL PAPA."

http://www.marcotosatti.com/2016/10/28/lutero-mon-amour-febbre-ecumenica-ma-i-cattolici-hanno-dovuto-sudare-per-avere-la-messa-col-papa/

perplesso ha detto...



Il Pontefice dice:

“Non si può essere cattolici e settari. Bisogna tendere a stare insieme agli altri. ‘Cattolico’ e ‘settario’ sono due parole in contraddizione. Per questo all’inizio non prevedevo di celebrare una Messa per i cattolici in questo viaggio: volevo insistere su una testimonianza ecumenica. Poi ho riflettuto bene sul mio ruolo di pastore di un gregge cattolico che arriverà anche da altri Paesi vicini, come la Norvegia e la Danimarca. Allora, rispondendo alla fervida richiesta della comunità cattolica, ho deciso di celebrare una Messa, allungando il viaggio di un giorno.

Infatti volevo che la Messa fosse celebrata non nello stesso giorno e non nello stesso luogo dell’incontro ecumenico per evitare di confondere i piani. L’incontro ecumenico va preservato nel suo significato profondo secondo uno spirito di unità, che è il mio. Questo ha creato problemi organizzativi, lo so, perché sarò in Svezia anche nel giorno dei Santi, che qui a Roma è importante. Ma pur di evitare fraintendimenti, ho voluto che fosse così”.


Ma chi lo fermerà?

Josh ha detto...

"Non si può essere cattolici e settari."

di nuovo: i settari sono i luterani che sono usciti dalla Chiesa fondando una setta con un'altra teologia e quasi senza sacramenti e ora sono 2 gatti.

Il modo per loro per non essere più settari non è raggiungerli in Svezia nelle loro multiple eresie, introducendole da noi (ma metà sono già nella Messa NO e nel postConcilio), ma che loro facciano reditus alla vera fede.
Nel frattempo reditus alla vera fede dovrebbe farlo anche la Chiesa cattolica ufficiale luteranizzata, rahnerizzata, teilhardizzata, panikkarizzata, schillebeecxizzata e bultmannizzata. (ho certamente dimenticato qualcuna delle eresie proclamate negli ultimi 50 anni)

Situazione davvero inedita ed esplosiva. Chiedo scusa per i toni, ma a volte parti di me si augurano lo scisma, così smetteremmo di sentire fanfaluche urbi et orbi ogni quarto d'ora.

Josh ha detto...

ma lo sa poi che i luterani non credono alla carica del papa?

tralcio ha detto...

Caro Josh,
la tragica realtà è che anche i cattolici non ci credono più: basti pensare a come hanno trattato Benedetto XVI!

Infatti lo scisma reale è in atto da almeno un ventennio ed è esploso dopo il 2005... se non in Italia, certamente altrove, nord Europa in primis, ma evidentemente anche il sudamerica non scherzava.

Domanda: tutti ciechi negli alti dicasteri? Impossibile.
Dunque, se ci vedevano bene, molti erano d'accordo.

E così la "mafia di San Gallo" ha pianificato il necessario per arrivare a riscuotere.
Adesso siamo ai dividendi.
C'è chi è di casa in Vaticano e chi a S. Marta, affitta la Sistina e apre Castel Gandolfo.
Ma, ammonisce Gesù, un regno/casa diviso in se stesso non può reggere (Mc 33,24-25).
La divisione serpeggia perchè serpeggia il divisore.

Che si fa? Conversione, confessione, Santa Messa, Eucaristia, preghiera e digiuno.
Opere buone, di misericordia corporale e spirituale... Portare la croce. Nient'altro.
E se quelli che dovrebbero spronarci, ci deludono o ci demotivano, ricordiamoci che la vita eterna in gioco è la nostra, non la loro. Preghiamo anche per loro, ma non pensiamo di non fare anche il nostro interesse. Il Signore con il suo sangue ha salvato personalmente noi!

Luisa ha detto...

"Volevo insistere -> poi ho riflettuto bene -> ho deciso -> volevo ->
secondo uno spirito di unità, che è il mio -> ho voluto che fosse così”.

Non abbiamo un papa ma un generale, un dittatore, un autocrate, io, io e ancora io, io voglio, io decido e così sarà.

tralcio ha detto...

Moltissime grazie al Prof. Pasqualucci (e a Mic) per questo bellissimo testo.

In effetti sul tema della "giustificazione" c'è confusione.
In pochi ci si pone il problema di essere "fatti giusti" (in regola e non imputabili di colpe davanti a Dio!), avendo più in mente l'economia (una spesa fatta con ragione), l'estetica (una scrittura "pareggiata" elettronicamente premendo l'icona apposita) o la firma dei genitori (o di chi ne fa le veci...) sul diario per scusare un'assenza o l'impreparazione a scuola.

La giustificazione davanti a Dio è l'opera per eccellenza!
E si tratta della nostra opera, non di quella altrui a nostro beneficio.
Ed è un'opera che però non giudichiamo noi, perchè deve essere vista da chi la valuta!
Se nessuno si salva da solo, tanto meno nessuno si autogiustifica!

La giustificazione in altri termini non è primariamente "una scusa" (ciò che "sta dietro" un atto di palesemente negativo o che potrebbe rivelarsi tale agli occhi di chi giudica l'atto), ma la carta di identità, il nome, quello che "mettiamo davanti" al nostro essere.

Lutero, così stimato come appassionato e serio studioso della Sacra Scrittura, non esita ad introdurre una parolina a proprio uso e consumo (quella "sola", che a Roma sanno ben comprendere nella sua dirompenza), proprio per giustificare l'autogiustificazione.

La fede nel Verbo, l'opera essenziale del seguace di Cristo (Gv 6,26-34) ha il proprio centro nel pane supersostanziale, il pane vivo disceso dal cielo, l'offerta dell'agnello che si sacrifica versando il proprio sangue, mezzo e prezzo della redenzione.
La fede del cristiano si opera nella comunione al sacrificio che permette di rendere giusti i peccatori, nel sacerdozio di Cristo che è altare, sacerdote e vittima!

A "rendermi giusto" davanti a Dio non è "solo la mia fede", ritagliando dalla rivelazione consegnataci dalla Scrittura solo quel che mi piace... Non è "solo la mia fede", indipendentemente dalle mie opere... Non è "solo la mia fede" peccando ancor più di prima a motivo di una divina misericordia che da "Padre buono" giustifica tutto sul diario, facendo di me un discolo e un ignorante, ma con infinite pretese di fare carriera nei paradisi.

A "farci giusti" davanti a Dio è il sacrificio di Cristo, ma in quel sacrificio non basta dire di credere, bisogna immergersi! Non basta leggere e interpretare, bisogna fare la volontà di Dio. Non basta rivestire cariche importanti (anche ecclesiastiche) per comandare e permettersi di dire e di fare anche delle cose assurde, dicendo che è sempre lo Spirito santo ad agire, ritenendosene certamente abitati, dato che siamo giustificati dalla fede.

Anche il diavolo conosce la Scrittura e la cita a menadito. Persino a Gesù è stato detto di scendere dalla croce per essere creduto. E Gesù ha parlato di porta stretta (la croce), si è chiesto se al ritorno troverà fede sulla terra, ci ha lasciato la Santa Messa per unirci al solo sacrificio che espia il peccato, rendendo candide le vesti con il sangue dell'agnello (Ap 7,13-14) e la Sua Presenza nelle specie eucaristiche, non nei simboli di una circostanza comunitaria che ci vede riuniti a celebrare la nostra giustificazone, qualunque cosa ci passi per la testa. E' in effetti il diavolo a dirci: "sia fatta la tua volontà".

E così, per quegli strani segnali della storia, il 31 ottobre si è saldata la vicenda dell'abbaglio di Martin Lutero con le luci nelle zucche a festeggiare il macabro e l'occulto, il magico e il brutto, il buio e la morte, invece della luce e della bellezza dei santi che sono eternamente vivi nel Regno dei Cieli.

Anonimo ha detto...



Un papa che non s'era mai visto. Un po' protestante

L'idillio tra Francesco e i seguaci di Lutero. L'allarme di cardinali e vescovi contro la "protestantizzazione" della Chiesa cattolica. Ma anche la diffidenza di autorevoli teologi luterani

di Sandro Magister

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351342

Anonimo ha detto...

Come interpretate questo articolo di Socci?

http://www.antoniosocci.com/clamorose-dichiarazioni-del-card-muller-grandi-manovre-evitare-nuovi-deragliamenti-bergoglio-scongiurare-lo-scisma/#more-4860

Anonimo ha detto...

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-papa-e-lutero-unintervista-che-suscita-domande-17875.htm

mic ha detto...

Ciò che dice il card. Muller (riportato da Socci) fa il paio con quanto già affermato da mons. Ganswein. E, purtroppo il discorso è inopinatamente imperniato sul "papato allargato" e sulla "collegialità".
Non è un argomento liquidabile in poche battute. Ma una visione del genere, se conforta i Ratzingeriani, oltre a non risolvere la rivoluzionaria devastante deriva che stiamo subendo, non sta né in cielo né in terra sia dal punto di vista teologico che da quello canonistico. A meno di trovare ulteriori fumisterie e sofismi, oltre a quelli già introdotti dal card. Muller.

Può essere utile consultare questo articolo
http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2016/06/don-curzio-nitoglia-la-spinosa.html

Dovremo riparlarne...

Luisa ha detto...



"Lutero al rogo. No, sugli altari. La doppia visione del papa gesuita"

Ieri vedeva nella Riforma protestante la radice di tutti i mali. Oggi la festeggia come "medicina per la Chiesa". Ma non risulta che abbia rinnegato le sue critiche. Eccole parola per parola 

di Sandro Magister

http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351398

Anonimo ha detto...

@Mic

Che vuol dire "se conforta i Ratzingeriani"? guardi che se lei non si considera "ratzingeriana" stia certa che non si trova nella Chiesa Cattolica perchè essere "bergogliani", come mi sembra di capire lei si considera, significa essere fuori dalla Chiesa di CRisto.

mic ha detto...

L'introduzione del 'papa emerito', sia pure vista come "soluzione per gli Ultimissimi Tempi" invece che una possibile 'variazione' collegial-conciliarista del papato, potrebbe essere garanzia di ortodossia del papato e deterrente di uno scisma solo se Benedetto XVI desse segnali più espliciti di dissenso.
Se davvero, come sono in molti suoi sostenitori a dire, egli fosse impossibilitato a farlo, il silenzio e la preghiera sarebbero più eloquenti dei molti pubblici segnali di consenso...

mic ha detto...

Anonimo 10:54
perché mai bisogna essere per forza appartenenti ad una "tifoseria papista"? E cos'è che le fa pensare che si debba per forza essere ratzingeriani per non essere bergogliani?
Io sono cattolica e quindi amo e rispetto ogni papa e soprattutto difendo il Papato dalle insidie della temperie attuale... Il resto è fuffa provocatoria!

irina ha detto...

Il vero ecumenismo si fonda sul vero Cattolicesimo.I compromessi umani, il venirsi incontro, le interpretazioni, torte per comprendersi, non funzionano come non hanno mai funzionato. Se vogliamo che le pecore tornino all'ovile curiamo l'ovile e occupiamoci delle pecore rimaste affinchè siano sante.La loro santità le renderà une con il Lume da Lume e i dispersi potranno ritrovare la strada di casa. E si farà festa grande per il ritorno.

Anonimo ha detto...

Segnalo:
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351398

Anonimo ha detto...

Scenari che lasciano profondamente scossi e rattristati. Voci che si rincorrono e si scontrano, segnali divergenti, ombre che scivolano sullo sfondo. Che Chiesa è questa, che il pensiero dominante descrive come una trionfante e spensierata baldoria, mentre la sofferenza di tanti cattolici viene minimizzata e derisa? Se veramente Benedetto XVI è rimasto Papa emerito per arginare gli errori e le scorribande dottrinali di Bergoglio, ora più che mai è necessario affidarsi alla preghiera affinché le tenebre non abbiano il sopravvento.

bello ha detto...

http://www.iltimone.org/35255,News.html

Luisa ha detto...


"Il Papa e Lutero, un'intervista che suscita domande"
di Riccardo Cascioli

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-papa-e-lutero-unintervista-che-suscita-domande-17875.htm

Qui l`intervista:

http://www.laciviltacattolica.it/articoli_download/extra/Intervista_Francesco_in_Svezia.pdf

Leggo:
"La mia attesa è quella di riuscire a fare un passo di vicinanza, a essere più vicino ai miei fratelli e alle mie sorelle che vivono in Svezia".

Beh sembrerebbe che ci sono fratelli e fratelli, alcuni sono più fratelli e sorelle di altri, i cattolici svedesi ad esempio Bergoglio non aveva previsto di incontrarli e celebrare la Santa Messa per loro, hanno dovuto insistere per poterlo incontrare.

Ha ragione Caacioli, ma quale intervista di Jorge Bergoglio non pone problema?

Alessandro Mirabelli ha detto...

OT: leg gets cosa ha pubblicato oggi Tosatti sul duo sito stilum curse. Epurazione senza precedenti alla congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Fuori, fra gli altri, Burke e Malcom Ranjit Don

Anonimo ha detto...

Nonostante i rivoltatori di frittate per conto del Regime regime all'opera hanno ragione Lutero e Bergoglio OPPURE hanno ragione i Papi degli scorsi cinque secoli. Non certo tutti contemporaneamente come farebbe loro comodo.
Miles
PS: oggi vengono commemorati Martiri cattolici trucidati dai repubblicani (comunisti, anarchici) durante la Guerra Civile di Spagna. Per le emittenti cattoliche i suddetti Martiri sono stati uccisi "dalla" Guerra Civile spagnola guardandosi bene dal dire da CHI. Due o tre anni fa in occasione di una beatificazione di altri Martiri ricordo Radio Vaticana riportare analogamente la notizia omettendo accuratamente di dire CHI erano stati i carnefici ma lanciando strali contro "il regime di Franco", citato ben in chiaro, che ad ascoltare sembrava essere il colpevole del martirio.

Luisa ha detto...

Riporto senza commentare perchè se dicessi il fondo del mio pensiero sarei da censurare:

"PAPA: PURGA SENZA PRECEDENTI AL CULTO DIVINO. UN SILURO PER IL CARD. SARAH. E PER ALTRI…"

"E poi ci sono nomine che hanno il chiaro sapore di una revanche nei confronti di Benedetto XVI. C’è l’arcivescovo di Wellington, Dew, che si è fatto notare al Sinodo sulla famiglia per al sua richiesta di modificare la posizione della Chiesa che definisce gli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati”.

Ma soprattutto c’è l’arcivescovo Piero Marini, braccio destro di Annibale Bugnini, che era stato sostituito da mons. Guido Marini come capo dell’Ufficio Cerimonie di papa Ratzinger.

E inoltre: l’arcivescovo Aurelio Sorrentino, per due anni Segretario della Congregazione per il Culto Divino. All’epoca si parlò della sua rimozione e della sua nomina ad Assisi per contrasti con le visione liturgica di Benedetto XVI."

Anonimo ha detto...

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2016/october/documents/papa-francesco_20161027_pontificio-istituto-gpii.html

Dice il VdR:

"Questo compito chiede di essere radicato nella letizia della fede e nell’umiltà di un gioioso servizio alla Chiesa. Della Chiesa che c’è, non di una Chiesa pensata a propria immagine e somiglianza"

Non è forse quel che lui sta facendo, non sta forse imponendo una chiesa a sua immagine e somiglianza?

Josh ha detto...

@tralcio

grazie delle belle cose che scrivi come sempre.

Mi permetto di aggiungere una sola cosa a questo tuo passaggio

"Che si fa? Conversione, confessione, Santa Messa, Eucaristia, preghiera e digiuno.
Opere buone, di misericordia corporale e spirituale... Portare la croce. Nient'altro."

Certo. In più, si può anche chiedere potentemente, per i meriti di Gesù, per la potenza del Suo Santo Sacrificio, che ci liberi in fretta da questo flagello, che porta all'inferno milioni di anime.

Luisa ha detto...



"CARD. KOCH: PROTESTANTIZZAZIONE? NIENTE PAURA...IL PAPA E' CATTOLICO"...

http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-cardinali/639-card-koch-protestantizzazione-niente-paura-il-papa-e-cattolico.html

No comment, è meglio.

Anonimo ha detto...

Dunque, 2 piccole riflessioni, parto da Lutero su cui ho svolto una tesi universitaria, nessuno discute la sua cultura in quanto tale, il problema è tutto nella dottrina della giustificazione, il tipo era soggetto a crisi violente d'ira, pare fosse entrato in convento per sfuggire all'accusa di omicidio avvenuto in una rissa in osteria, tesi non comprovata del tutto, soffriva di allucinazioni e vedeva il diavolo nella sua cella ed era tormentato dall'obbligo alla castità, cosa che alla fine prese il sopravvento, per giustificare le incontenibili pulsioni sessuali, tolse tutti i peccati e disse che Dio salverà chi vuole e quindi niente preti, frati, men che meno il papa che adesso lo beatifica, l'ostia è solo un pezzo di pane, un biscotto, un qualcosa che poi si ripone in una scatola non prevedendo la teoria luterana l'ammisssione della reale presenza nelle Specie di NSGC, ma solo la Memoria dell'ultima cena. Il secondo enigma racchiuso in un mistero, i segnali, oltre a quelli lanciati tipo ballon d'essai da Gaenswein e Mueller, sono suffragati in modo meno eclatante da Gotti Tedeschi e Pera i quali, in 2 differenti interviste, hanno più o meno velatamente dichiarato che la Roccia su cui si posa la CCAR è ancora Ratzinger,anzi aggiungendo che l'enigma può essere sciolto solo ed esclusivamente da lui, GT ha detto che al momento NON può dire la verità, che in pochissimi sanno. Ciò detto non resta che attendere qualche passo falso del vdr per dichiarare urbi et orbi lo scisma devastante della CC, non so come, ma non c'è altro da aspettarsi, ormai è ineludibile, manca poco e sapremo, sicuramente sarà un terremoto forse peggiore di quello causato dal beneamato agostiniano di Erfurt......termino con le parole di Pera venuto qui tempo fa per un simposio 'Tolto lui verrà giù tutto'. Sibillino? Vedremo. Lupus et Agnus.

Rollone ha detto...

Malachia: "7 Infatti le labbra del sacerdote
devono custodire la scienza
e dalla sua bocca si ricerca l'istruzione,
perché egli è messaggero del Signore degli eserciti.
8 Voi invece vi siete allontanati dalla retta via
e siete stati d'inciampo a molti
con il vostro insegnamento;
avete rotto l'alleanza di Levi,
dice il Signore degli eserciti.
9 Perciò anch'io vi ho reso spregevoli
e abbietti davanti a tutto il popolo,
perché non avete osservato le mie disposizioni
e avete usato parzialità riguardo alla legge."

Anonimo ha detto...

Già Antonio Socci parla di "primo Papa non Cattolico" nella storia della Chiesa; il che equivale a dire che Bergoglio non è Papa. Ecco dimostrata, per quanti si ostinano a parlare di continuità tra Bergoglio ed i Pontefici, la non esistenza di tale continuità:
http://www.antoniosocci.com/parte-bergoglio-dallaltra-parte-tutti-papi-della-chiesa-cattolica-apostolica-romana/#more-4868

mic ha detto...

Sto continuando a non pubblicare una marea di interventi analoghi a quest'ultimo.
C'è chi, pur di sostenere che Bergoglio non è papa si ostina a negare la 'continuità' con i 'bachi' conciliari e le corrispondente storture avallate anche dai suoi predecessori. Basta ricordare il falso ecumenismo (arrivato a livelli stratosferici), il famigerato falsissimo "adoriamo lo stesso dio" riferito alle tre religioni monoteiste, le "alleanze parallele", l'islam religione di pace e compagnia cantante...
Non basta affermare che Bergoglio non è papa. Non siamo noi a poterlo dire...

irina ha detto...

Lo smarrimento di tutti è grande. Anche chi è sicurissimo della sua posizione chiede all'altro:"tu che ne pensi?" ; se gli autori,i personaggi e gli interpreti di questo teatrino,di quart'ordine, avessero una pallida nozione di quello che hanno combinato e stanno combinando, piangerebbero.

Anonimo ha detto...

Non c'è smarrimento quando si ha la certezza assoluta che il Papa è ancora e solo Benedetto XVI mentre Bergoglio è un antipapa. Si prende semplicemente atto di questa apocalittica situazione pregando Dio di sostenerci.

mic ha detto...

Non si riesce a capire su cosa basino la loro "certezza assoluta" quest'ultimo, come altri ostinati Anonimi.

E, se davvero il Papa fosse ancora e solo Benedetto XVI, ci saprebbe dire su cosa e come egli ci confermi nella fede?

Berni/Exodus ha detto...

Cara Mic., - Bergoglio oggi come oggi è il Papa; purtroppo dobbiamo tenere sempre conto che Dio certi Papi li dona, certi li ammette, e certi li infligge.
Però Gesù ci dice anche tramite gli Apostoli ed i Vangeli di stare attenti ai falsi profeti che si presentano sotto vesti di agnelli e dentro sono lupi rapaci.
Comunque Bergoglio è il Papa; è stato eletto da un regolare conclave dopo le dimissioni (un poco eccezionali) di Ratzingher, poi con tutta la possibile razionalità dobbiamo stare attenti a seguire solo quando dice cose che sono sempre state tramandate dalla Rivelazione e dalla Tradizione, attenti a ciò che hanno sempre detto 260 Papi e duemila anni di Cristianesimo e venti concilii ecumenici dogmatici.
Su un certo Papato è stato molto preciso Don Curzio Nitoglia in risposta al Papa eretico di Arnaldo Xavier da Silveira - basta rileggersi i testi pubblicati in questo blog e sorretti dalle tesi dei grandi Dottori della Chiesa - mi sembra che ci siano molte precisazioni in questo campo e che sono intervenuti i più grandi.
Poi quando Bergoglio va fuori dai binari parla da dottore privato e nessuno è abbligato dalla Chiesa a seguirlo.
Comunque più andiamo avanti, più ci troviamo in un caos tremendo in cui ci ha cacciato B.XVI con queste dimissioni e dicendo che un sempre è per sempre.
Dio deciderà. il prossimo anno noi festeggeremo i cento anni delle apparizioni della Beata Vergine di Fatima, in quanto ci sentiamo Cattolici e figli della Chiesa Cattolica - chi vuol fare altre cose ne terremo conto davanti a Dio ed ai Martiri.
Comunque la confusione è sempre in aumento e non sappiamo dove ci porterà.

Anonimo ha detto...

"C'è chi, pur di sostenere che Bergoglio non è papa si ostina a negare la 'continuità' con i 'bachi' conciliari e le corrispondente storture avallate anche dai suoi predecessori"

Credo sia comprensibile, perché consente di vedere la realtà un po' meno drammatica e anche più semplice da risolvere. Di GXII, PVI, GP II e BVI ce ne sono ancora in giro e uno di questi potrebbe essere il nuovo papa (morti BVI e FI). Continuerebbe con i mea culpa per la Santa Chiesa, continuerebbe col NO forma prote-cattolica ordinaria, continuerebbe con i pellegrinaggi alla altre "chiese", agli altri santuari del "diounico", continuerebbe ad occuparsi dei veri problemi dell'uomo (povertà, guerre, disoccupazione e disuguaglianze ecc), continuerebbe a democratizzare la Chiesa livellando verso il basso e collegializzando, continuerebbe ad elogiare i lumi dell'uomo, ad omaggiare i fratelli maggiori, a professare la nuova religione dell'olocausto, a baciare ill corano, ad abbracciare il mondo, a professare il nuovo umanesimo ecc ...

Però continuerebbe a dire qualcosa anche di cattolico, per es. in materia di morale. E comunque sarebbe in continuità con la "tradizione" della Chiesa, quella "vivente" dello stessosoggettociesa. Insomma continuerebbe a procedere all'aggiornamento della Chiesa gradualmente, senza fretta, rassicurando, mica come fa FI, così precipitevolissimevolmente .. che magari qualcuno si accorge persino che sta cambiando qualcosina ....


Anna

Anonimo ha detto...


# Quando sarebbe cominciato il caos nella Chiesa

Il caos non e' cominciato con le dimissioni di Benedetto XVI. E' cominciato con il Concilio Vaticano II. Basta studiarsi l'andamento del Concilio e prender nota dei "bachi", come li chiama Mic, introdottisi in svariati ed importanti testi. La "rivoluzione" nella Chiesa imposta dai testi del Concilio, quella non si e' mai fermata. Come in ogni processo rivoluzionario storico, ha avuto un andamento altalenante, con una lotta continua tra un elemento piu' moderato ed uno piu' estremista. Qualcuno ha detto: tra l'ala girondina (moderata) e quella giacobina (estremista e settaria), rifacendosi alla Rivoluzione Francese.
Ma il "moto" non si e' arrestato, l'erosione e' stata continua e progressiva. Con il presente pontefice, e' salito al Soglio un elemento giacobino, figlio della teologia della liberazione, forse la piu' settaria tra le pseudoteologie che si sono accavallate nella Chiesa dal Concilio in poi. Papa Bergoglio procede come un carro armato. Ma la benzina e le munizioni sono sempre quelle fabbricate dal pastorale Vaticano II, che ha permesso la penetrazione di noti errori ed eresie nei suoi testi. Ed uno dei facitori d'errore piu' ascoltato e' stato Karl Rahner SI, uno dei maestri del presente Pontefice.

Finche' non ci si vorra' render conto della devastazione prodotta dal Concilio, si continuera' secondo me a disperdere le forze dei difensori della fede in battaglie perse in partenza, come quelle sulla vacanza della Sede (chi la dichiara, Socci?) o sulla supposta irregolarita' dell'elezione di Bergoglio o sull'auspicato ritorno di colui che sarebbe rimasto il vero Papa, l'attuale Emerito, costruendone un'immagine che non trova assolutamente riscontro nella realta'. Infatti, come potrebbe rivelarsi lui adesso, a quasi 90 anni e dopo tre e mezzo passati in pensione, la roccia petrina della quale abbisogna la Chiesa, allorche' non e' riuscito ad esserlo quando era Pontefice regnante?

Quest'intervento, spero sia chiaro, non vuol esser polemico. Non e' contro Tizio o Caio. Mira solo a far riflettere il piu' possibile sulla necessita' di liberarsi di alcuni punti di vista (pur comprensibili, se vogliamo) per adottarne uno assai piu' vicino alla realta', sul quale un gran numero di fedeli possa (si spera) trovarsi d'accordo, in modo da creare un ampio e compatto fronte.
Ringrazio per i generosi apprezzamenti al mio articolo. PP

Anonimo ha detto...

Se Ettore Gotti Tedeschi dice... e siamo allo scisma con 2 papi uno per i tradizionalisti e uno per i modernisti siamo fuori dalla Chiesa Cattolica che è UNA, mai scismatica, siamo allora alivello di chiesa alta e chiesa bassa anglicana.

mic ha detto...

siamo fuori dalla Chiesa Cattolica che è UNA, mai scismatica, siamo allora alivello di chiesa alta e chiesa bassa anglicana.

Che il concilio V2 e il post-concilio abbiano prodotto analogie calzanti col processo che ha caratterizzato l'Anglicanesimo è vero.
Ma la Chiesa è sempre UNA Santa Cattolica e Apostolica. Noi non ci collochiamo né in una chiesa alta né in quella bassa.
Siamo nella e apparteniamo alla Chiesa, punto; custodendo quanto abbiamo ricevuto e pregando di mantenere lucidità ed equilibrio, cioè la fedeltà, che ci è data dalla grazia di discernere e rispondere senza rimanere invischiati
- né nelle categoriche argomentazioni di chi è convinto che ogni cambiamento equivalga ad una degenerazione e che il rimedio consisterebbe nella restaurazione di un sistema politico-ecclesiastico ideale che tuttavia storicamente non c'è mai stato e non è di questo mondo.
- né nell'attuale "riformismo" ad oltranza che ha trasformato l'insegnamento, la santificazione, la guida, in dialogo ad oltranza con connesso inclusivismo che provoca la dissoluzione della nostra identità sia religiosa che nazionale nonché socio-antropologica

Anonimo ha detto...


# Al momento lo scisma non c'e'

Non ho letto le dichiarazioni di Gotti Tedeschi, personalita' di notevole levatura. Se si vuole, comunque, sostenere che siamo gia' in regime di scisma perche' ci sono due Papi, questa tesi mi sembra del tutto insostenibile dal punto di vista tecnico-giuridico.
Infatti, il Papa Emerito non e' piu' Papa, come Papa ha abdicato, rinunciando alle sue mansioni di capo della Chiesa. Non per nulla fa la vita del professore in pensione, tanto per fare un paragone. Il Papa regnante e' uno solo, piaccia o meno: quindi, nessuno scisma. Il titolo di "emerito" Ratzinger se lo e' voluto attribuire forse per assonanza con la figura del "professore emerito", vigente nel mondo accademico. L'emerito e' un professore in pensione che gode del titolo di "emerito" in seguito ad una delibera (all'unanimita') del Consiglio di Facolta' della Facolta' dove ha insegnato il professore. Un titolo onorifico, di prestigio.Ma il professore "emerito" non insegna piu', e' a riposo, anche se puo' ovviamente continuare a studiare e a scrivere.

Guardiamo agli scismi storici. All'epoca del Grande Scisma d'Occidente, ad un certo punto vi furono ben tre Papi, vale a dire tre Papi che pretendevano di essere tutti e tre, ciascuno di essi, il vero Papa regnante. Ognuno considerava gli altri due due usurpatori. Questa e' una situazione di vero scisma. Per aversi un vero scisma, devono esserci almeno due Papi che pretendano di essere ciascuno il vero e unico, con esclusione dell'altro, magari scomunicandosi a vicenda. Uno dei tre di cui sopra, Baldassarre Cossa (Giovanni XXIII), eletto regolarmente Papa, personaggio molto discusso, fu deposto dal Concilio di Costanza, da lui convocato. Il Concilio, istigato dall'imperatore Sigismondo, lo sospese dalle sue funzioni e dopo ampio dibattito lo condanno' e depose, il 29 maggio 1415. Per simonia e condotta scandalosa. Le accuse di indegnita' erano pesantissime e molte di esse probabilmente false. Non tutte pero'. Il Cossa accetto' la sentenza e si fece tre anni di galera. Fu riscattato da Cosimo dei Medici nel 1418, che pago' una grossa somma, si sottomise al nuovo Papa Martino V, fu reintegrato nell'ordinamento e nominato cardinale vescovo di Tuscolo. Mori' nel 1419.
Il Concilio sara' stato anche eretico nel voler giudicare il Papa pero' la sua deposizione del Cossa all'epoca fu considerata valida. E come, se la deposizione mostrava il peccato di eresia? Questo mi sembra un punto interessante da chiarire. PP

marius ha detto...

Per la sera del 31
nella nostra zona
abbiamo organizzato via SMS

una VIA CRUCIS in riparazione

in un luogo dotato di cappelle delle stazioni all'aperto.

Una cosa fatta molto semplicemente da laici.
Proponibile con facilità e celerità senza necessità di permessi ecclesiastici.

... quasi come un flash mob

Anonimo ha detto...

Da incorniciare!
Ma se effettivamente fosse impedito?
E se impedito fosse addirittura il papato?

Anonimo ha detto...

mi pongo domanda banalissima (del tipo: quanto fa 2 + 2 ?):
un quivis ritenuto cattolico, anzi Vicario di Cristo, che loda e abbraccia (quasi venera, data la statua...) un grande eretico, anzi eresiarca, è egli cattolico, secondo logica elementare, o di altra credenza?
fa parte tal individuo della Comunione dei Santi, cfr. Catechismo di S. Pio X:
225. Chi sono quelli che si trovano fuori della vera Chiesa?

Si trovano fuori della vera Chiesa gli infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.
dunque, stante l'indirizzo ecumenicocv2ista sarebbe abolito questo art. di Dottrina?
....e siamo alla fatidica vigilia di Ognissanti e della storica visita "fraterna-egalitaria" di u n papa ai luterani, qui a porci queste inaudite domande, che forse mai il Gregge di Cristo si pose in 2 millenni (al tempo di Ario chissà.....)

Anonimo ha detto...

violentissima scossa di terremoto alle ore 7.41, molto più forte del 26 ott. sentita in Umbria Marche Abruzzo e fino a Roma.
Prime notizie sui tg, non precisato l'epicentro.

Anonimo ha detto...


@ Una risposta alla domanda apparentemente "banalissima"

La domanda e' giusta. Ma queste dichiarazioni e gesti del Papa, che mostra di condividere il punto di vista degli eretici, bastano a metterlo fuori della Comunione dei Santi? Non sarebbero sufficienti per almeno due motivi. Perche', trattandosi del Papa, la sua esclusione dovrebbe esser dichiarata da qualcuno, o da un organo, competente a farlo. Il che solleva i noti problemi. Perche' appartengono alla sua personale "pastorale", effettuata come se parlasse da dottore privato. Certo, anche come "dottore privato" un Papa puo' danneggiare la fede, se si esprime in modo poco o punto ortodosso, come quando elogia la dottrina luterana della giustificazione (una cosa inaudita). E qualche prelato di rango avrebbe anche il dovere di chiedergli pubblicamente di smentire o di rettificare un'affermazione cosi' grave.

Questi due motivi sembrano troppo "formali"? La situazione, a mio avviso, e' piu' complessa di quanto sembri. Ci si concentra giustamente soprattutto sulle dichiarazioni sconvolgenti di Papa Bergoglio e su certi suoi atteggiamenti. Ma essi si fondano a loro volta, nel caso dei luterani, su un documento come la famigerata "Dichiarazione congiunta" (di cui sopra). Ora, questo documento, approvato da tre Papi e da tutta la Gerarchia, a quanto se ne sa, contiene una impossibile quadratura del cerchio. Credo di aver dimostrato, dall'analisi del testo, che la dichiarazione congiunta (artt. 15, 17, 19, etc.) dove e' appunto congiunta sottoscrive l'eresia di Lutero. Il testo mostra chiaramente che si accetta insieme il principio della salvezza per sola fede, senza le opere. A differenze si accenna nelle successive dichiarazioni separate. Ma intanto resta il fatto che la "Dichiarazione Congiunta", presentata come un trionfo del principio del Dialogo, e' oggettivamente eretica perche' sottoscrive il principio del sola fide. Ed e' eretica dal 1999, da 17 anni e coinvolge la responsabilita' di GPII e Benedetto XVI. Ora abbiamo un pontefice che ne trae spavaldamente le conseguenze.
Il male e' dunque profondo e radicato, certe dichiarazioni e certi atteggiamenti di Papa Bergoglio sono l'espressione di una cancrena dottrinale diffusa da tempo e in profondita'. Della quale, molto probabilmente, molti nella Chiesa continuano a non rendersi conto, anche tra coloro che vorrebbero contrastare gli ultimi sviluppi. Questa mancanza di consapevolezza spiega, a mio avviso, perche' la situazione, nonostante tutto, non si sblocca.
Preghiamo dunque anche perche' lo Spirito Santo dia a chi di dovere il giusto "discernimento". Ma, se si sbloccasse, non ci sarebbe il pericolo di uno scisma? Potrebbe esserci ma non lo sappiamo. Di fronte ad una gagliarda opposizione dottrinale da parte di elementi validi della Gerarchia, il Papa potrebbe anche finalmente rendersi conto dei propri errori e cambiare impostazione. Non sta comunque a noi progettare il futuro. Il nostro compito e' quello di battersi per la difesa del dogma della fede, senza tentennamenti, affidandosi per il resto alla Provvidenza. PP
PP
Cio'

Anonimo ha detto...

Totalmente in sintonia con il Prof.Pasqualucci.

Ma intanto resta il fatto che la "Dichiarazione Congiunta", presentata come un trionfo del principio del Dialogo, e' oggettivamente eretica perche' sottoscrive il principio del sola fide. Ed e' eretica dal 1999, da 17 anni e coinvolge la responsabilita' di GPII e Benedetto XVI. Ora abbiamo un pontefice che ne trae spavaldamente le conseguenze.
Il male e' dunque profondo e radicato, certe dichiarazioni e certi atteggiamenti di Papa Bergoglio sono l'espressione di una cancrena dottrinale diffusa da tempo e in profondita'. Della quale, molto probabilmente,Ma intanto resta il fatto che la "Dichiarazione Congiunta", presentata come un trionfo del principio del Dialogo, e' oggettivamente eretica perche' sottoscrive il principio del sola fide. Ed e' eretica dal 1999, da 17 anni e coinvolge la responsabilita' di GPII e Benedetto XVI. Ora abbiamo un pontefice che ne trae spavaldamente le conseguenze.
Il male e' dunque profondo e radicato, certe dichiarazioni e certi atteggiamenti di Papa Bergoglio sono l'espressione di una cancrena dottrinale diffusa da tempo e in profondita'. Della quale, molto probabilmente, molti nella Chiesa continuano a non rendersi conto, anche tra coloro che vorrebbero contrastare gli ultimi sviluppi. Questa mancanza di consapevolezza spiega, a mio avviso, perche' la situazione, nonostante tutto, non si sblocca. Questa mancanza di consapevolezza spiega, a mio avviso, perche' la situazione, nonostante tutto, non si sblocca.

Sono cose che, nel mio piccolo, non avendo la statura del prof. Pasqualucci, vado dicendo da tempo.
Capisco la buona intenzione di voler essere "equilibrati", ma non è sempre detto che la verità stia nel mezzo.
Penso anch'io che "Questa mancanza di consapevolezza spiega, il perche' la situazione, nonostante tutto, non si sblocca."
E credo,anche,che qualche cardinale dovrebbe prendere posizione in maniera più netta e, diciamolo pure, coraggiosa.
Forse si chiede un po troppo ai fedeli.
Antonio (Napoli)

Anonimo ha detto...

ho posto io, da semplice fedele, la domanda banalissima, e ringrazio vivamente PP per il suo chiarimento, validissismo, acuto ed esauriente, insieme ai suoi ottimi approfondimenti di ieri. Ne avevo gran bisogno, nel caos odierno in cui i pastori quasi unanimemente tacciono (quando non approvano) le disastrose deviazioni.
C'è in questo grave oscuramento dei vertici e di tante illustri "teste" ecclesiali, risalente a vari decenni fa, molto da riflettere, studiare, ...e pregare che sorgano validi e coraggiosi testimoni della Fede, custodi della Tradizione bimillenaria e inalterabile, che obbediscano a Dio piuttosto che agli uomini accecati da false dottrine (cfr. S. Paolo: "non si sopporterà più la sana dottrina...").

(anonimo 7:21)

Gederson ha detto...

Prof. Paolo Pasqualucci,
L'autorità della Chiesa nel post-Concilio non compie delle buone opere (possiamo dire che non compie l'opere proprie dell'autorità). Ad esempio:

In ciò che dice rispetto ala interpretazione del proprio Concilio ha lasciato a tutti noi il compito di interpretalo alla luce della tradizione (alla luce della tradizione il magistero è l'interprete dei suoi propi atti e insegnamenti...);

In ciò che dice rispetto alla liturgia abbiamo degli abusi mai combattute di modo che non abbiamo più una liturgia degna nel post-Concilio;

In ciò che dice rispetto all'insegnamento questo è stato ridotto al dialogo con tutti e in ciò che dice rispetto all'ecumenismo e il dialogo inter-religioso non riconosciamo più l'identità e l'insegmanto della dottrina cattolica.

Osservato questi esempi, se non sbaglio, penso che esista differenza tra l’opere da essere praticata da noi semplici fedeli e quella che deve essere praticada dall’autorità per la salvezza. Come l’autorità dopo il Concilio non compie più il suo ruolo, non fa delle buone opere (che nè sono proprie), e se mostra favorevole alla dottrina luterana dalla giustificazione non possiamo vedere in tutto questo una rottura in ciò che dice rispetto alla propria dottrina cattolica della salvezza? Voglio dire che esiste in un certo modo (e grado) una certa identificazione tra la forma come i luterani capiscono l’esercizio dell’autorità (anche i primi riformatori potevano dire che nella reforma ha avuto "un'ermeneutica della continuità e un'altra della rottura) e come questa viene essendo esercitata nella Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Questo non è una semplice coincidenza! Esiste un parallelo perfetto tra la dottrina della Sola Scriptura e l’implementazione del Concilio. Questo in tal modo che solo nella “tradizione” protestante se può pensare nella “interpretazione del Concilio alla luce della tradizione”.

Se avesse continuità tra tradizione e il post-Concilio, in ciò che dice rispetto alla dottrina della salvezza, la Chiesa non sarebbe in crise. La testimonianza pubblica che abbiamo di Papa Francesco, più che i suoi predecessori, è che l’uomo è salvo solo per la fede, perchè opere buone per la salvezza questo Papa non sembra avere nessuna!

Sacerdos quidam ha detto...

Appoggio totalmente l'analisi del prof. Pasqualucci: il problema di Papa Bergoglio, come non mi stanco di ripetere, viene da lontano, da quel famigerato Vaticano II che molti 'conservatori' wojtyliani e ratzingeriani si ostinano a tenere in poco conto, come in poco o addirittura in nessun conto tengono le paurose deviazioni nella fede attuate dai Sommi Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le responsabilità dei Papi conciliari predecessori di Bergoglio sono enormi, e non solo ovviamente per l'eretica 'Dichiarazione congiunta sulla giustificazione' del '99: ne ho fatto un elenco appena abbozzato l'altro ieri.

Se non comprendono ora questo, saranno pronti ad acclamare il prossimo eventuale Papa 'ratzingeriano', 'moderato' e cultore del Vaticano II come il salvatore della Chiesa: e la Rivoluzione conciliare continuerà la sua inesorabile marcia verso l'abisso.


Anonimo ha detto...

Signore sia fatta non la nostra ma la Tua Volonta' !
Amen

mic ha detto...

http://www.corrispondenzaromana.it/il-papa-e-lutero-una-contraddizione-inaccettabile/

Josh ha detto...

d'accordo con sacerdos quidam