Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 5 gennaio 2018

Interessante replica di Mons. Antonio Livi

Replica di Mons. Livi alle polemiche di turiferari di vario genere suscitate dal suo testo L'eresia al potere [qui], che trae spunto dal testo di E.M. Radaelli "Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo". E, finalmente, (vedi punto 4.) riconosce apertis verbis la gestione deficitaria della marea montante del modernismo, con le sue eresie e il suo programma di riforme, da parte dei papi del Concilio e del post-concilio. Anche se continua a glissare sui punti controversi dei documenti conciliari, ai quali la detta gestione deficitaria è riconducibile. Eppure Romano Amerio ed altri studiosi li conosce bene....

Certamente, non intendo rispondere alle scomposte accuse che Massimo Introvigne rivolge a me (e ciò ha qualche appiglio di cronaca per le cose che ho scritto l’altro giorno sul sito di Sandro Magister) e anche alla Nuova Bussola Quotidiana (che invece non ha nulla a che vedere con quello che ho scritto io). La polemica è stata poi gonfiata da La Stampa [qui] e dal Giornale (che copia dalla Stampa). Mi dispiace che una mia iniziativa di carattere prettamente teologica sia stata maldestramente commentata da un sociologo come Introvigne (che, in quanto tale, ma anche per sue personali idiosincrasie non coglie l’importanza che nella fede cattolica ha la verità del dogma) e da altri pubblicisti come Tornielli (che, in quanto cronisti di eventi politici, hanno un certo interesse solo per le questioni legate al potere ecclesiastico) i quali, visto il modo con cui polemizzano nei miei confronti, evidentemente non hanno letto e studiato prima (e nemmeno dopo) i documenti ai quali mi riferisco. Essi parlano del mio scritto come se si trattasse della “Prefazione” al libro di Enrico Maria Radaelli: segno che non hanno letto il libro in questione ma solo ne deprecano il contenuto a priori (oggi si direbbe “a prescindere”), che non ha alcuna Presentazione di altri autori.

Nel segnalare l’uscita del libro di Radaelli Sandro Magister pubblica una mia riflessione storico-teologica nella quale prendo l’occasione per riproporre un tema a me caro, ossia l’evidente e documentata egemonia della teologia progressista (con il conseguente relativismo dogmatico) negli studi ecclesiastici e nel governo della Chiesa. Questa non è una tesi nuova: è la tesi che da anni cerco di esporre prudentemente e con tutto l’equilibrio necessario. Ne parlo nelle tre successive edizioni del mio trattato su Vera e falsa teologia (Leonardo da Vinci 2017), e poi anche nel volume Teologia e Magistero, oggi (Leonardo da Vinci 2017), nel quale tra l’altro ribadisco, contro Roberto de Mattei, che non è accettabile l’ipotesi di un papa eretico, mentre è possibile verificare che alcuni provvedimenti (attivi oppure omissivi) dei papi abbiano favorito l’estendersi dell’eresia.

I vostri lettori hanno imparato con gli anni a diffidare di quei giornalisti che stravolgono gli eventi della Chiesa cattolica commentandoli con le categorie della propaganda politica, dove vengono sempre bene le fake news e le estrapolazioni arbitrarie, condimento del sensazionalismo. E, siccome mi conoscono (anche se sono soltanto uno tra i tanti tuoi valenti collaboratori, e nemmeno il più assiduo), vi sarò grato se farete loro sapere che il mio pensiero sui papi del Concilio (Giovanni XXXII e Paolo VI) e del post-concilio (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) non corrisponde affatto alla caricatura grottesca che ne hanno fatto Introvigne e Torrielli ma si basa su questi precisi enunciati:
  1. La santità di un papa (presunta o riconosciuta canonicamente) non implica l’esaltazione acritica di ogni sua azione pastorale, soprattutto se una data azione pastorale di un papa è contraria a quella di altri papi altrettanto santi: ad esempio, san Giovanni XXIII, nel celebre discorso di inaugurazione dei lavori del Vaticano II (Gaudet Mater Ecclesia) dice il contrario di quello che diceva san Pio X riguardo alla condanna degli errori moderni in materia di fede e di morale. Ragioniamo: se san Pio X viene da oltre un secolo criticato e vituperato dai teologi progressisti (che lo dipingono come un despota ottuso che non ha capito le istanze della modernità), perché non si può formulare qualche rispettosa critica nei confronti di chi ora, da Papa, apre invece le porte al modernismo e non condanna, anzi esalta i suoi rappresentanti (Rahner, Kasper, Gutiérrez, Ravasi, Forte et ceteros quosdam)? So che a questa mia domanda retorica viene di solito opposta una risposta sfuggente, in chiave di mero storicismo dialettico, la quale però non regge alla critica storico-dogmatica, quella che io faccio servendomi della mia competenza in materia di logica aletica.
  2. La dottrina sulla fede nella Rivelazione è il punto in cui ci si gioca l’ortodossia o l’eterodossia. L’errore sul modo di intendere la fede, sia come ciò che bisogna credere per la salvezza («fides quae creditur») sia come l’atto di assenso dell’intelletto alla verità rivelata («fides quae creditur»), è l’errore di fondo, è all’origine di tutte le eresie. Il modernismo è la più grave minaccia alla fede cattolica proprio per questo errore iniziale. L’interpretazione modernistica della fede non è innocente e innocua, perché stravolge il senso della rivelazione divina e la verità del del dogma proposto dalla Chiesa, che non può essere interpretato con categorie logiche contrarie a quelle utilizzate dal Magistero fino al Vaticano I (1870). In questo senso, non è logico esaltare san Giovanni Paolo II quando favorisce l’indifferentismo religioso (dottrina già più volte condannata) con la riunione ecumenica di Assisi, e poi denigrarlo quando riporta all’attenzione dei teologi la dottrina sulla fede del Vaticano I, come fece con l’enciclica Fides et ratio (14 settembre 1998), enciclica che la Santa Sede, all’epoca di Benedetto XVI, considerò come un infortunio, una specie di “passo indietro” nel progressivo allontanamento dal dogma del Vaticano I. Per questo specifico motivo, l’autorità accademica della mia Università, la Lateranense (che ha il titolo di “Università del Papa”), decise di relegare nel dimenticatoio la Fides et ratio, impedendomi di illustrarla sistematicamente attraverso una cattedra apposita, al servizio degli studi di Filosofia e di Teologia.
  3. Per un motivo di fede in Cristo, il quale ha voluto istituire la sua Chiesa come «sacramento universale di salvezza», la devozione e l’obbedienza al Papa sono sempre dovute, chiunque sia colui che esercita tale funzione ecclesiale di grazia e di carità, nell’unità della fede. Ogni fedele ha necessariamente un atteggiamento di cordiale fiducia e di fattivo sostegno, anzitutto con la preghiera liturgica e personale, nei confronti di chiunque abbia ricevuto la potestà sacra di agire “in persona Christi Capitis”, fungendo da vicario di Cristo Maestro, Sacerdote e Re. Ma non può essere un’obbedienza preferenziale e selettiva, da riservarsi ad humanam personam, qualora serva ai propri interessi ideologici. Proprio per questo non accetto lezioni di fedeltà alla Chiesa da coloro che oggi si atteggiano a difensori dell’autorità pontificia, dopo che hanno passato una vita intera a criticare i più grandi papi del nostro tempo quando non sembravano del tutto uniformati alla loro ideologia… Costoro parlano trionfalmente di una immaginaria “Chiesa di Bergoglio”, che è un’espressione teologicamente insensata. Essi non difendono Francesco come Papa ma come il garante di una situazione di potere accademico, mediatico e curiale che costituisce il loro momentaneo successo personale come propagandisti della riforma della Chiesa, dalla quale devono essere eliminati il dogma (con le categorie metafisiche che gli sono intrinseche) e la morale (con le nozioni della legge naturale che il Vangelo non annulla bensì presuppone e perfeziona). Ma un giorno, forse presto, si renderanno conto che, tolto il dogma (ossia la verità rivelata da Dio che obbliga in coscienza a uniformare il proprio giudizio a quello del Magistero), nessuno è più tenuto in coscienza a credere che il papa sia il vicario di Cristo: resterà allora soltanto il consenso delle masse verso un personaggio mediaticamente rilevante, un leader dotato di un carisma sociologicamente trendy, un uomo che favorisce o almeno accetta il “culto della propria personalità”, destinato, in quanto tale, a uscire di scena, prima o poi, come sempre succede in politica. Chi invece vive di fede, prega per il papa regnante con la preghiera liturgica tradizionale, che è ricavata da un versetto dei Salmi di Davide e suona così: «Dominus conservet eum, et vivificet eum, et beatum faciat eum in terra, non tradat eum in manus inimicorum suorum». E poi, quando sembra opportuno, chi vive di fede arriva anche ad aiutare il Papa nel governo della Chiesa attraverso documenti di lavoro e persino pubblici avvertimenti o ammonimenti, come quello che fu correttamente intitolato “correctio filialis de haeresibus propagatis”.
  4. Questo è infatti il senso delle mie osservazioni critiche sul modo con il quale i papi del Concilio e del post-concilio hanno gestito la marea montante del modernismo, con le sue eresie e il suo programma di riforme: eresie e riforme che oggi, dopo un secolo di progressiva conquista del potere, si configurano sempre più chiaramente come una “luteranizzazione” della Chiesa cattolica. Anche se l’eresia al potere mi accusa di “attaccare il papa” o di “negare l’autorità del Concilio”, nessuno può documentare queste accuse citando i miei discorsi e i miei scritti. Io dico pubblicamente e scrivo tutto i contrario: dico che nessun Papa è finora incorso in eresia, e nessun documento conciliare contiene dottrine formalmente eretiche. Negli atti del Vaticano II e dei papi che si sono susseguito dal 1965 ad oggi ci sono molti insegnamenti di carattere dogmatico, anche se di intonazione pastorale: non sono nuovi dogmi ma sviluppano in modo omogeneo i dogmi del tempo pre-conciliare. Così anche nelle encicliche di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Ma tutto ciò non toglie che l’eresia dilagante non abbia trovato nei documenti del Concilio e negli atti pontifici successivi una sanzione esplicita e una condanna formale, ma anzi abbia trovato molta accondiscendenza nelle idee e nelle persone. Questo è indubbiamente vero, è documentato già abbondante mente e può esserlo ancora di più, e farlo umilmente notare a chi potrebbe fare qualcosa di più e di meglio non è offensivo né eversivo dell’ordine costituito nella Chiesa.
ANTONIO LIVI (4 gennaio 2018) - Fonte

22 commenti:

Anonimo ha detto...

Bah
Mentre è bene che si inizi a parlare del problema odierno partendo dal concilio e dai papi conciliari, quindi direi grazie Mons. Livi, dall'altra direi, il suo parlare Mons. Livi non mi sembra proprio conforme al detto evangelico "il vostro parlare sia si sì no no. Dice e non dice...dice che GXXIII dice il contrario di San Pio X e poi però dice che non è eretico....dice che i papi non possono cadere in eresia, in opposizione a Mattei, ma questo è già stato sconfessato dalla storia della Chiesa. Da queste affermazioni, Come dicevo altrove, a me pare lo dico con tutto rispetto, che queste uscite recentissime di Mons Livi, che comunque sono utili ad accendere un faro sul tema del modernismo nel concilio e nel post concilio, siano dettate più dalla esigenza/ desiderio di recuperare uno scivolone, dopo la firma del documento di correzione filiale a Bergoglio, tirando sulla barca della" eresia non formale" tutti e, facendo così di tutte le erbe un fascio. L affermazione poi che un papa non possa essere eretico qualcuno me la dovrebbe spiegare per favore perchè non la capisco.

Cesare Baronio ha detto...

Faccio un po' il pedante.

Errata: «...non tradat eum in manus inimicorum suorum»
Corrige: «et non tradat eum in manus inimicorum ejus»

Anonimo ha detto...

Intervista a mons. Schneider:

https://rorate-caeli.blogspot.com/2018/01/important-bishop-athanasius-schneider.html
https://www.lifesitenews.com/news/bishop-schneider-interview-catholics-must-not-become-victims-of-an-insane-p


RC: We have heard now, for over a year, that a formal correction coming from the cardinals is imminent, yet nothing has happened. What do you believe is the hold up?

BAS: In the face of the current temporal and partial eclipse of the function of the Papal Magisterium concerning concretely the defense and practical enforcement of the indissolubility the marriage, the members of the episcopal and of the cardinalitial colleges have to assist the Pope in this Magisterial duty through public professions of the immutable truths which the Ordinary and Universal Magisterium -- that means what all the Popes and the entire episcopate during all times - have taught concerning the doctrine and the sacramental practice of the marriage.

RC: If a formal correction is made by a number of cardinals, and Francis continues to officially approve of bishops’ conferences giving Holy Communion to some divorced and remarried, then what?

BAS: There exists the following principle of the traditional Catholic doctrine since the first centuries: “Prima sedes a nemine iudicatur”, i.e., the first episcopal chair in the Church (the chair of the Pope) cannot be judged by anybody. When bishops remind the Pope respectfully of the immutable truth and discipline of the church, they don’t judge hereby the first chair of the Church, instead they behave themselves as colleagues and brothers of the Pope. The attitude of the bishops towards the Pope has to be collegial, fraternal, not servile and always supernaturally respectful, as it stressed the Second Vatican Council (especially in the documents Lumen gentium and Christus Dominus). One has to continue to profess the immutable faith and pray still more for the Pope and, then, only God can intervene and He will do this unquestionably.

[...]
Third, the Pope cannot be the focal point of the daily life of the faith of a Catholic faithful. The focal point must instead be Christ. Otherwise, we become victims of an insane pope-centrism or of a kind of popalatry, an attitude which is alien to the tradition of the Apostles, of the Church Fathers and of the greater tradition of the Church. The so called “ultramontanism” of the 19th and 20th centuries reached its peak in our days and created an insane pope-centrism and popolatry. To mention just an example: There had been in Rome in the end of the 19th century a famous Monsignor who led different pilgrim groups to the Papal audiences. Before he let them enter to see and hear the Pope, he said to them: “Listen carefully to the infallible words which will come out of the mouth of the Vicar of Christ”. Surely such an attitude is a pure caricature of the Petrine ministry and contrary to the doctrine of the Church. Nevertheless, even in our days, not so few Catholics, priests and bishops show substantially the same caricatural attitude towards the sacred ministry of the successor of Peter.

Catholicus ha detto...

Allo spirito che permea l'interessante opera di mons. Livi ben si associa questo articolo di Giovanni Servodio, apparso su alcuni siti della rete, e che si riferisce alla "pace agli uomini di buona volontà"; si guardi bene, non "agli uomini che Dio ama", coe è stata manipolata e falsificata la frase pronunciata dagli angeli sulla grotta della Natività la notte di Natale. potenza delle manipolazioni moderniste delle sacre scritture! :
https://apostatisidiventa.blogspot.it/2018/01/la-pace-agli-uomini-di-buona-volonta.html
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV2287_Servodio_Anno_2018.html

Maurizio ha detto...

Condivido quanto detto da Anonimo delle 02:47 ed aggiungo che forse Mons. Livi non considera passibili di eresia le affermazioni che un papa possa fare oralmente, nei suoi discorsi... Affermare, come ha fatto Bergoglio a voce, che le Persone della Trinità si presentano in forma unitaria all'esterno, mentre al loro interno litigano a più non posso, non è eresia? Che deve fare, lo deve mettere per iscritto?
parliamo allora di atti messi nero su bianco. Se a breve venisse formalizzata la messa ecumenica (seppure nella forma straordinaria) con un cambiamento della liturgia eucaristica in senso protestante, ciò non avverrebbe forse con un atto formale? E allora questo costituirebbe un atto eretico oppure no?

Anonimo ha detto...

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/05/mistero-bergoglio-perche-il-generale-dei-gesuiti-non-lo-voleva-vescovo/

giuseppe schieppati ha detto...

Faccio il pedante anch'io (si parvus licet componere magno):
fides qua / fides quae

Giuseppe Schieppati

Anonimo ha detto...

Che deve fare, lo deve mettere per iscritto?

L'eresia non è sinonimo di errore, ma è - tra altre cose - un errore ripetuto. Per questo non ha senso citare una singola esternazione per scatenare automaticamente l'accusa. Visto che Radaelli è l'argomento di questi giorni, sul suo sito c'è un'interessante trattazione dell'argomento:

http://enricomariaradaelli.it/emr/aureadomus/attualita/articolo_19.html

Per la cronaca, Radaelli ritiene che sia impossibile che un Papa possa commettere delitto formale di eresia e siccome questi argomenti sono fuori dalla mia portata non lo cito perché voglio sostenere questa tesi (traparentesi, alcuni passaggi non sono ancora riuscito a comprenderli); ma perché l'articolo spiega chiaramente quanto siano complessi i passaggi che, a partire dai pronunciamenti, possano poi portare al delitto di eresia (cfr. paragrafo "Le quattro condizioni perché si compia un delitto o peccato d'eresia"). Interessante anche la seconda parte del pezzo, dove invece si discute di come sia possibile che le eresie si diffondano non per pronunciamenti positivi, ma per approssimazioni, detto e non detto, e caos (ovvero, proprio la situazione che stiamo vivendo).

Anonimo ha detto...


Sul Concilio mons. Livi si mantiene prudente, però non salva il Concilio né il magistero postconciliare dalle legittime critiche

Scrive che "nessun Papa è finora incorso in eresia e nessun documento conciliare contiene dottrine formalmenrte eretiche". Cioè: non si possono accusare i Papi conciliari e postconciliari di "eresia in senso formale". Sul che si può anche convenire. Ma circa l'accusa di "errore che sa di eresia" o "la favorisce", errore dottrinale o in fide che può condurre a oppure costituire "eresia in senso materiale", come risponderebbe mons. Livi?

Infatti, scrive, subito dopo: "Ma tutto ciò non toglie che l'eresia dilagante non abbia trovato nei documenti del Concilio e negli atti pontifici successivi una sanzione esplicita e una condanna formale, ma anzi abbia trovato molta accondiscendenza nelle idee e nelle persone. Questo è indubbiamente vero..."
Pertanto: bisogna ammettere che "l'eresia dilagante" non ha trovato nei documenti del Concilio e negli atti dei Papi successivi, "una sanzione esplicita e una condanna formale"; non solo: ha trovato "molta accondiscendenza nelle idee e nelle persone". L'accusa, a ben vedere, è pesantissima: l'eresia dilagante (foraggiata dalla nouvelle théologie) non ha trovato nel Concilio lo strumento che avrebbe istituzionalmente dovuto batterla in breccia. Al contrario, pur non potendosi formulare un'accusa di eresia in senso formale a Concilio e Papi, ha trovato "molta accondiscendenza". Detto in altri termini: ha trovato complicità e forme di assenso, il che significa che, da 50 anni e passa, ci vengono ammannite una dottrina e una pastorale inquinata dal compromesso con le "eresie dilaganti" penetrate ambiguamente nei documenti del Concilio.
In tal modo, se la mia ricostruzione è esatta, credo si sia legittimati (anche secondo mons. Livi) ad individuare in certi passaggi conciliari e nel magistero postconciliare la presenza di errori che favoriscono l'eresia o di vere e proprie eresie ma in senso materiale, non formale.

Mi sembrano, comunque, del tutto errati quegli interventi nel blog, che, con aria saputa, cercano sempre di penetrare le intenzioni degli autori, attribuendo loro quasi sempre scopi che nulla hanno a che vedere con il contenuto dell'intervento stesso che si sta criticando. Bisognerebbe attenersi ai fatti, al contenuto concreto di un testo, lasciando perdere il processo alle supposte intenzioni dell'autore, oggetto per di più di ricostruzioni spesso cervellotiche. Limitarsi alle intenzioni che risultino con chiarezza dal contenuto stesso del testo in questione.
PP

Anonimo ha detto...

Perfetto. Purtroppo Mons. Livi non vede l'ovvio: che i cretini utlizzano le critiche al giovane Ratzinger per legittimare il "Santo Padre" Bergoglio. "Sono tutti uguali". AArgh.

lister ha detto...

Bah!
Questa "replica" denota la capacità prettamente clericale di tenere il piede in due staffe, con la possibilità di rilevare tanti toni di grigio, tra il bianco ed il nero.

Nel frattempo, il Cardinale Burke afferma che l'omosessualità è "anormale". Altro che "chi sono io per giudicare"...

Anonimo ha detto...

Dopo l’articolo di mons. Livi, “L’eresia al potere”, i laudatores di papa Bergoglio e delle sue “aperture” cantano vittoria: sostenendo che il magistero del pontefice regnante sia nel giusto, perché viene attaccato anche quello dei suoi predecessori. Le cose, in realtà, non stanno così. Ciò che mons. Livi denuncia è che un magistero non dottrinale ma squisitamente pastorale come quello di papa Francesco è l’effetto, non la causa, del fatto che la Gerarchia della Chiesa, dal Vaticano II in poi, ha voluto abbandonare la metafisica tomista, lasciando campo libero all’ambiguità… Mons. Livi, il più grande tomista italiano, spiega che (come già fece in tempi non sospetti in questo libro) il magistero di Benedetto XVI, come quello di Giovanni Paolo II, sono assolutamente ortodossi, in quanto non contraddicono il dogma; tuttavia, non avendo potuto — o voluto — tornare alla prassi pastorale di condannare le espressioni della falsa teologia, che rifiuta le premesse razionali della fede e la legge morale naturale, è stato facile per i modernisti impossessarsi dei posti di potere nella Chiesa e da queste posizioni diffondere l’eresia in tutte le sue forme.

Anonimo ha detto...

San Roberto Bellarmino Dottore della Chiesa chiaramente afferma che dove il papa cadesse in eresia formale pubblica ovvero manifesta, decadrebbe ipso-facto dal papato, non sarebbe cioè giudicato da alcuna autorità sarebbe bensì lui stesso a mettersi nella condizione di decadere dal primato e tale decadenza ipso-facto impegnerebbe la coscienza di chiunque a prescindere dalla autorità del soggetto che viene a conoscenza della decadenza per eresia, ovvero della eresia in sé.

La eventuale dichiarazione pubblica di decadenza sarebbe un’altra cosa e dipenderebbe quella si dall’autorità preposta che in questo caso sarebbe la Congregazione per la Dottrina delle Fede e/o un Concistoro straordinario, o anche un apposito Sinodo, anche se in termini strettamente autoritari basterebbe la dichiarazione di un solo semplice Vescovo, almeno riguardo la giurisdizione specifica del medesimo.

Un papa non può essere eretico ed un eretico non può essere papa.

Anonimo ha detto...

Bergoglio ha reso omaggio ai Luterani a Roma. Confrontiamo la sua fede con la Cattolica.

Dice Bergoglio: «[Nel giorno del Giudizio] non ti sarà chiesto se sei andato a Messa […] ma se la tua vita l’avrai usata per fare muri o per servire […] Tutti noi battezzati, luterani e cattolici, siamo in questa scelta: il servizio, l’essere servo»
Da domani guai a chi mi dirà che non sono andato a Messa la domenica è ho fatto peccato mortale grave. È quai a dire che Bergoglio diffonde "l'errore"

Anonimo ha detto...


Non possiamo dire che il magistero dei Papi postconciliari sia "assolutamente ortodosso"

Il fatto che non possa esser accusato di "eresia in senso formale" non vuol dire di per
sé che tale magistero sia "assolutamente ortodosso". Se mons. Livi l'ha ritenuto in
passato tale, le sue affermazioni nell'articolo di cui sopra sembrano indicare il contrario, ossia che questo magistero non ha opposto all'Errore la barriera che avrebbe dovuto opporre (e se non l'ha opposta vuol dire che in certe sue proposizioni è ambiguo - e un magistero ambiguo su punti essenziali [ecumenismo, Novissimi p.e.] non può ritenersi "assolutamente ortodosso").
L'ortodossia dottrinale più completa la si ritrova nei documenti di un san Pio X o di un Pio XII, ma non certo nei documenti dei Papi conciliari e postconciliari.
Per le gravi amgibuità dottrinali presenti in Giovanni Paolo II bisognerebbe studiarsi i tre volumi che lo scomparso P. Doermann, teologo tedesco di spicco (del tutto indipendente dalla FSSPX, tanto per chiarire), ha dedicato alle sue tre Encicliche principali. Sono stati tradotti in francese e in italiano, a cura della FSSPX.
Ricordiamoci che cosa ha detto Nostro Signore dei cristiani tiepidi e quindi ambigui, che non hanno il coraggio di confessarlo ('riconoscerlo') di fronte al mondo nei termini che Lui stesso ha stabilito: il Giorno del Giudizio Egli "li rinnegherà" (Mt 10, 32-33)!
PP

Anonimo ha detto...

Con diplomazia (e quindi con intelligenza e furbizia) Livi non ha mancato di notare che i documenti conciliari per come formulati lasciano margine ad idee e comportamenti non propriamente cattolici. Più di così da prete che vuole restare prete e sa come funzionano certi meccanismi non poteva dire. Qualche errore di battitura c’è ma ha parlato chiaramente di luteranizzazione da Roncalli in poi.
Michele Durighello

Anonimo ha detto...

Viaggio di J. Ratzinger (in veste di B16) in Turchia, 28.11 – 01.12.2006. Dichiarazione comune con Bartolomeo I (clicca qui).

Dice J. Ratzinger: «Rendiamo grazie all’Autore di ogni bene, che ci permette ancora una volta, nella preghiera e nello scambio, d’esprimere la nostra gioia di sentirci fratelli e di rinnovare il nostro impegno in vista della piena comunione. Tale impegno ci proviene dalla volontà di nostro Signore e dalla nostra responsabilità di Pastori nella Chiesa di Cristo».

Come si nota, J. Ratzinger, parlando per sé al plurale, tuttavia estendendo il suo discorso a Bartolomeo I (“Patriarca” eretico, scismatico, etc…), acclude il secondo e sostiene che essi, tutti e due, sono «Pastori nella Chiesa di Cristo».

Ratzinger, quindi, sostiene che Bartolomeo I, eretico e scismatico, è un «Pastore nella Chiesa di Cristo», confermando, con pertinacia di fatto (o con ignoranza colpevole sic!), che secondo lui la “chiesa” ortodossa è parte della Chiesa di Cristo.

Abbiamo appreso da san Pio X, precedentemente citato, che non è affatto così. Ci troviamo, oggi come in tanti altri esempi già studiati, davanti ad un caso di evidente apostasia, di negazione esplicita della fede cattolica. Perché usare la forte parola apostasia analizzando questi insegnamenti di J. Ratzinger? Perché questi, sebbene delle volte ha espresso parole edificanti e devote, dimostra di non aderire a nessuno dei dogmi ai quali pretende di credere.

Perché? Egli dimostra di non aderire ai dogmi della Chiesa perché, nella sua opinione, queste sacre verità non escludono le opinioni contrarie e già esplicitamente condannate. Il Magistero, noi sappiamo, proclama invece verità e condanna errori. Secondo J. Ratzinger, ciò che contraddice la verità di fede rivelata e definita, non sarebbe falso. Egli, difatti, dicendo «nostra responsabilità di Pastori nella Chiesa di Cristo» dimostra di essere un ecumenista nella peggiore accezione del termine, ovvero un pancristiano irenista.

Egli è convinto che tutte le religioni contengano una parte di verità – talune di più, altre di meno – e che, di conseguenza, tutte possiedano un certo valore. Qui, come in altri documenti, si capisce che secondo J. Ratzinger la Chiesa è tutta l’umanità, come dice il “conciliabolo” Vaticano II nella Gaudium et Spes §22: « […] Con l’incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in certo modo con ogni uomo».

Gederson ha detto...

"...Detto in altri termini: ha trovato complicità e forme di assenso, il che significa che, da 50 anni e passa, ci vengono ammannite una dottrina e una pastorale inquinata dal compromesso con le "eresie dilaganti" penetrate ambiguamente nei documenti del Concilio".

Caro PP,

Questo me ricorda la vicenda del Papa Onorio, sulla quale se può leggere nel testo "Onorio I, e il P. Gratry", R.P. Valentino Steccanella S.J., La Civiltà Cattolica anno XXI, serie VII, vol. IX (fasc. 478, 8 Febbraro 1870) Roma 1870, pag. 431-458:

"Papa Onorio fu colpito di anatema insieme coi maestri del monotelismo da un Concilio ecumenico. — È vero: ma se egli fu condannato all'anatema insieme con essi, non fu condannato per la medesima colpa. Giacchè in quelli fu eresia, in lui no. La sua colpa fu di non aver condannato l'errore, come portava il suo uffizio di giudice supremo del domma; fu di avere seguitato mollemente il consiglio dell'eretico Sergio, imponendo il silenzio tanto a chi insegnava l'errore, quanto a chi insegnava la verità pel motivo addotto da Sergio, caritatevole in apparenza, di non mettere con una definizione ostacolo alla conversione degli eretici, e per non occasionare defezioni nei già convertiti. Esaminiamo i documenti, e prima quelli della sentenza di condanna". http://progettobarruel.hostfree.pw/novita/10/Papa_Onorio_I.html

Se legge che la mancanza di condanna all'errore è stata la ragione della condanna di Papa Onorio. Quindi, se ha condannato la pastorale di Onorio. In nostri tempi dal Discorso di appertura del Concilio fino ad oggi, se vuole dare la medicina della misericordia all'errore. Questa è stata la maggiore rottura operata dal Concilio Vaticano II!

Maurizio ha detto...

@ Fabrizio Giudici 10:24

Accetto la Sua correzione, mi ha convinto

@Mons. Livi ha detto...

Il Professor Introvigne è troppo intelligente per credere sul serio a ciò che scrive. Si tratta di note che mette nero su bianco, solo perchè si sente in dovere di operare una sorta di "copertura delle vergogne del padre".

Anonimo ha detto...

Affermare che GPII e Benedetto XVI siano assolutamente ortodossi e semplicemente assurdo,oltre che falso.
Forse l'anonimo ritiene ortodosse le dottrine conciliari, in materia di libertà religiosa, ecumenismo e rapporto con le altre religioni, accettate con convinzione e insegnate dai suddetti papi.
Capisco la libertà di opinione, ma c'è un limite a tutto, soprattutto alla menzogna.
Antonio

Anonimo ha detto...

Il termine "correzione" riferito al mio precedente intervento è certamente eccessivo. :-) Su questi temi, su cui arranco, non faccio altro che riportare fonti che intuisco sono significative per una migliore comprensione almeno della complessità delle cose.