Pubblico due testi di Pietro de Marco. Il primo è un Appello, il secondo illustra l'evolversi della situazione. Noi ci uniamo partecipando con la firma, la preghiera, la denuncia e l'informazione che sensibilizzi e incrementi il fiume di 'resistenza' a questa e ad altre drammatiche e riprovevoli situazioni che, per l'improntitudine di molti, insieme alla nostra Fede, minacciano anche la nostra cultura e la nostra civiltà. Siamo in tempo di elezioni e le nostre voci DEVONO raggiungere i demolitori. E, comunque, Etia si omnes, ego non!!!
Sos San Marco. Un altro appello dai frati per salvare il convento
Pietro De Marco sul Corriere Fiorentino,
21 dicembre 2017
Da poche ore si può trovare online, su un sito dedicato www.change.org, il testo della nuova petizione al Maestro generale dell’Ordine domenicano, per «salvare San Marco». Come sappiamo la chiusura del Convento di San Marco è stata confermata da una recente (luglio 2017) nuova risoluzione del Capitolo della Provincia Romana dei padri domenicani, che include Centro Italia e Sardegna. Nella petizione si ripercorre la vicenda, si sottolineano una certa contraddittorietà delle disposizioni, i sicuri danni che l’evento procurerebbe alle realtà esistenti in nome dell’inesistente, una sorprendente noncuranza nel procedere ignorando l’accordo del 2015 tra il vertice dell’Ordine e il Vescovo della città, su cui tornerò; e molto altro.
La chiusura del Convento, già deliberata nel settembre del 2013, poi congelata, prevede ora anche la perdita di identità e funzioni della Biblioteca Levasti, unica a Firenze per le sue dotazioni librarie in scienze religiose (e centro di rapporti intellettuali) col rischio della sua chiusura, il ridimensionamento online della Rivista di Ascetica e Mistica (nata nel 1929), un incerto destino della storica Farmacia. Insomma pressoché una cancellazione, che ha lo strano sapore di una damnatio memoriae che si abbatte sulle ultime generazioni domenicane di San Marco. Può sfuggire infatti, a chi non conosca la storia recente della chiesa fiorentina e italiana, che in San Marco parve concentrarsi, nella seconda metà del ‘900, una resistenza di forte qualità intellettuale e spirituale, come di tagliente vis polemica e critica, alla piega presa nella chiesa cattolica dalla stagione del dopo-Concilio, a Firenze accentuatamente, ma un po’ ovunque. Una resistenza costituita, contemporaneamente, dalla continuità dello studio di san Tommaso e della metafisica tomista, e dalla storia rigorosa delle forme spirituali e mistiche. Per se stesse sarebbero ragioni più che sufficienti, nel clima attuale della Chiesa, a decretare l’estinzione del conventus (casa e comunità) di San Marco e la cancellazione di ogni sua memoria.
Nel 2014, fu necessario intervenire, in più persone e più volte, sul Corriere Fiorentino e in altre sedi, per cercare di allontanare le conseguenze indesiderabili di una soppressione canonica del convento (più precisamente «casa»), allora chiesta ma non ancora ratificata a Roma. Si parlò di Lorenzo de’ Medici, di Pico e di Savonarola, poi di La Pira; ovvero del convento nella vita storica di Firenze. Dicemmo anche che si coglieva nella decisione una fretta eccessiva e un’angustia di prospettive, non all’altezza di un grande ordine religioso quale il domenicano. Per quanto motivato dallo stato di necessità — dal collasso numerico, anzitutto, che da decenni ha colpito quasi tutti gli ordini religiosi — questo genere di provvedimenti rivolti a semplificare drasticamente, a liquidare, situazioni di lunga tradizione e autorevolezza, ha una portata oggettiva, all’esterno: genera ferite nello spazio pubblico. Si trattava, infine, di San Marco e di Firenze!
Il rinvio fu l’effetto di reazioni e istanze diverse che giunsero a Roma, di una petizione che ebbe largo seguito, infine di un ragionevole accordo tra il Padre Generale dei domenicani e il Cardinal Betori, tra luglio e settembre del 2015. L’Arcivescovo che, naturalmente, non ha autorità sulle decisioni di un ordine religioso, aveva ancora una volta interpretato e rappresentato la Città. Si spese l’argomento civile-religioso di San Marco come luogo della memoria di Giorgio La Pira e di una storia cittadina, il dopoguerra, segnata dalla sua eccezionale presenza. Si conveniva, così, di rinviare ogni decisione radicale (sperando nel frattempo di evitarla) al termine del processo di beatificazione del Sindaco.
Sono trascorsi oltre quattro anni dalle delibere e discussioni del 2013-2014. Per quanto su Wikipedia si legga che i «pochi frati superstiti» sono stati riuniti a quelli di S. Maria Novella, il convento è ancora abitato, le attività restano e i frati si possono occupare dello stato di conservazione dei beni artistici (come il restauro della Cappella di Sant’Antonino). Ma il Capitolo provinciale, organo di governo, ha nuovamente «ordinato» nella direzione della decisione primitiva. Per capire questa pertinacia, bisogna ricordare che la crisi degli ordini religiosi cattolici, in particolare la crisi di vocazioni, avviene non solo sotto le pressioni obiettive della tarda «secolarizzazione» (società intrise di agnosticismo, di realizzazione di sé tutta «mondana», di scetticismo e risentimento), ma come effetto di una tendenza, interna alla Chiesa a partire dagli anni del Concilio Vaticano II, volta a squalificare l’ideale della «vita regolare», la vita di perfezione condotta interamente (e in comunità) sotto la disciplina e la forza ispiratrice di una Regola e di più modelli di santità. Un tale processo ha colpito intimamente la vita religiosa. Altro preoccupa. Negli atti del Capitolo provinciale O.P. del luglio scorso leggiamo che le «ristrutturazioni» in corso mirano ad «una maggiore libertà della predicazione», a «vivere l’itineranza in modi concreti, con maggiore dinamismo delle comunità». Ma, senza vita spirituale cosciente e sistematica, che cosa un «uomo di Dio» porterà agli altri nelle «periferie esistenziali», così di moda? L’itineranza che caratterizzò le prime generazioni domenicane era retorica dell’Esodo e dell’andare verso l’Uomo, o destinata alla predicazione e alla lotta contro l’eresia? Compare nella decisione su San Marco (e altri conventi) un doppio argomento, quello dello stato di necessità e quello delle finalità nuove e più dinamiche, con cui le organizzazioni in genere motivano riduzioni e tagli alle proprie strutture. Tutti, d’altronde, adottiamo le motivazioni (gli scenari) di ripiego detti dell’uva acerba, proprio quelli della volpe di Esopo. Ma c’è un rischio: nel caso di San Marco la strategia dell’uva acerba («in fondo meglio così, faremo cose più importanti») impedisce di valutare adeguatamente le molte conseguenze e i danni, non solo «pastorali», dell’abbandono del convento. Su questo punto insiste la Petizione. Non resta che leggere con attenzione, riflettere e, eventualmente, firmare.
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«Non si vuole salvare San Marco? Risparmiateci almeno i pretesti»
Pietro De Marco sul Corriere Fiorentino, 27 Gen 2018
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Caro direttore, è un periodo molto spiacevole, doloroso, questo, che costringe (me ed altri) ad una polemica nei confronti di alcune autorità della Chiesa, polemica che non era mai stata mia, se non in anni giovanili e con tutt’altro segno. Ma proprio quel «ritorno all’ordine» che caratterizza la mia appartenenza cattolica da almeno una metà del cammino della vita, mi spinge oggi a dissentire, per coerenza, sia da stile e contenuti dell’attuale pontificato, sia da iniziative di minore momento, ma sempre infelici, come quella che minaccia a Firenze un ulteriore, mortale, depauperamento di San Marco. Non ripeto quello che ho già scritto sul Corriere Fiorentino del 21 dicembre scorso. Aggiungo solo che la petizione cui accennavo allora, su www.change.org, ha superato le 12.200 firme nel mondo.
Non solo, l’amico professor Marco Vannini ha varato una petizione ulteriore pro San Marco, che raccoglie firme «selezionate» di intellettuali di nome. Nonostante questa intensità di partecipazione, temo che le legittime, anzi doverose, rassicurazioni rinnovate dal Padre Provinciale, Aldo Tarquini, al Corriere Fiorentino finiscano col demotivare una attenzione che, invece, fa bene all’Ordine domenicano stesso. Temo, delle rassicurazioni, l’aspetto di plausibilità, e mi spiego. Se i membri del Capitolo della Provincia Romana di Santa Caterina che ha deciso la soppressione della comunità di San Marco, sono, come il padre Tarquini conclude, «i primi a voler garantire che [poi] in San Marco tutto funzioni» egualmente, la Provincia Romana avrebbe tutto l’interesse ad una soluzione diversa dalla chiusura, solo imposta dalla necessità. Come può, allora, a cuor leggero il padre Tarquini affermare, di fatto in vece del Padre Generale Cadoré, che il progetto di una supplenza dei domenicani americani per salvare (dico la cosa semplicemente) la funzione storica San Marco è «infondato»? Sappiamo tutti che le trattative per una soluzione di questo tipo sono complicate anche quando le parti abbiano la migliore volontà di realizzala. Ma difficoltà non è infondatezza. Se posso permettermi, sforziamoci di non coprire con pretesti l’eventuale mancanza di volontà o di convinzione da parte italiana! Lo stesso si dica per le altre vie d’uscita intraviste, una cautamente evocata dal cardinale Giuseppe Betori stesso: la funzionalità di San Marco posta a carico dell’intero Ordine domenicano, sotto la responsabilità del padre Generale, se non interpreto male; come avviene, certo eccezionalmente, in altri ordini religiosi per casi analoghi. Insomma, dovrà essere il Padre Generale a dichiarare, come gli compete, che si sono realmente tentate e sono risultate impraticabili altre soluzioni alla chiusura, e decretarla.
Inoltre, le obbligate rassicurazioni che tutto resterà come prima confliggono, il reverendo padre Tarquini lo sa, con la motivazione stessa del provvedimento, la penuria di forze in Firenze. In effetti Santa Maria Novella non sta meglio, anzi ha i suoi problemi. Inoltre, alcuni frati di San Marco sono stati destinati ad altre e lontane sedi. Quale sopravvivenza, dunque, considerando per di più che la Biblioteca Arrigo Levasti, come la Rivista di Ascetica e Mistica, hanno una loro personalità storica, un compito, che esigono di essere curati come si curano le cose viventi, e come si è fatto fino ad oggi? E quale immagine della Chiesa cattolica tutta, e di quella fiorentina in particolare, verrà da un’assistenza religiosa e da altre funzionalità, inclusa magari l’apertura materiale della chiesa, divenute per necessità saltuarie se non precarie, proprio nel centro cittadino? Dico per mero paradosso: si affiderà al personale del vicino Museo (che si è dichiarato con tanta delicatezza preoccupato dalla crisi del Convento) tutto quanto non è servizio liturgico?
Ho la sgradevole impressione che il declassamento della parte ancora di pertinenza ecclesiastica di San Marco piaccia a qualcuno a Firenze. Una conoscente, che si è presentata in una biblioteca comunale molto frequentata per raccogliere firme per la petizione, si è sentita dire bruscamente: «Qui non si raccolgono firme per San Marco!» frase poi, ma troppo tardi, corretta con un: «Qui non si raccolgono firme per nessuno». Qualche soggetto nell’area politico-amministrativa cittadina vede dunque di buon occhio, e favorisce copertamente, la chiusura di San Marco? Sperando, magari, che questo possa agevolare la conquista di altri spazi per l’attiguo museo ed altre istituzioni? Con in più, ad essere maliziosi, tutta la soddisfazione di un cèto anticlericale per il visibile declino storico della Chiesa cattolica? Ad ognuno fare la sua parte, naturalmente; anche se poche cose rivelano il destino della civiltà europea come la museificazione ad oltranza (di cui spesso sono corresponsabili le stesse autorità ecclesiastiche) di ciò che era parte della sua anima millenaria. E non temo la retorica di questa bella formula. Anzi, proprio una concezione più alta delle cose e l’evocazione stessa di La Pira (che, fosse meno rituale, ci ricondurrebbe al grande respiro della sua visione storica e teologica, non al santino del sindaco dei poveri o al contro-santino del democristiano cattocomunista), dovrebbero impedire a ecclesiastici e «laici» di volare così basso, in questa sorta di piccolo dramma che, per la verità, disturba appena la città sonnacchiosa.
15 commenti:
Vergogna. E' la culla del nostro Rinascimento!
Penso che se si verificasse la soppressione del convento di san Marco, ci sarebbe poi un effetto domino: nessuno si sdegnerebbe per la chiusura di altri prestigiosi conventi!
Se uno si domandasse come mai questi conventi fanno così gola a tutti, la risposta è semplice:
perchè rispondono ai requisiti di silenzio, sobrietà, concentrazione, spiritualità, ispirazione e tanto altro. Quando furono costruiti rispondevano alle esigenze dell'uomo, sia spirituali che materiali. Penso che studiosi più autorevoli abbiano già trattato l'argomento, io voreri solo far riflettere su cosa rappresenterebbe per l'Italia tutta, la soppressione del convento di san Marco a Firenze, il pericolo di diventare un grande albergo, trasformandoci in affittacamere e addetti alla somministrazione.
Gentile dot.ssa Guarini, grazie mille della visibilità che Lei concede sul Suo seguitissimo e assai prezioso blog a ciò che sta succedendo al Convento Domenicano di San Marco!!
Grazie per avere firmato e per avere invitato a firmare.
Grazie a chi -leggendo gli articoli scritti dal brillante Prof. De Marco- vorrà firmare.
Grazie dal cuore dot.ssa Guarini,
Fiorentino
E' da tempo, purtroppo, che la Fede si è ritirata da luoghi simili ed i risultati sono questi. Ed azzardo a dire che, anche per i Domenicani, la rincorsa al mondo, la rincorsa all'intellò di sinistra e d'oltralpe ha giocato brutti scherzi. Tutti abbiamo in qualche modo, più o meno, abboccato allo stesso amo.E la mente si prostituiva alle case editrici trendy. Se non si ritroveranno le radici, se non le si cureranno come si deve, finiranno, moriranno, e noi con loro. Ho firmato. Nulla sarebbe stata la mia firma se non avessi scritto quanto sopra. Purtroppo questo è il vero dramma della Chiesa Cattolica, aver smesso di nutrirsi del suo pane casareccio. Qui il pane casareccio è San Tommaso. Se nessuno ha studiato a dovere San Tommaso, nessuno ha potuto e può concimare il pensiero del mondo a lui intorno, se il pensiero di San Tommaso non torna vivo nella mente di chi lo studia, cioè se chi lo studia non è in grado di ridirlo con le sue parole, di farlo suo e quindi svilupparlo oltre, se questo non accade i risultati sono questi.Mi spiace ripetermi ma, proprio leggendo l'ultimo libro di Radaelli, questo ancora una volta mi si è ficcato nella zucca. E' vero che San Tommaso alla fine ebbe le visioni che lo portarono a dire che tutto quello che aveva scritto era paglia e poi non scrisse più.Ma, caspita, fu proprio quel lavoro di cesello, quella Fede, quell'Amor di Dio, di ogni ora della sua vita nutrita di devozione, di Sacra Scrittura,dei Padri, di Aristotele, che lo portò a vivere tra gli angeli, in terra, a studiare, ad insegnare ed infine a vedere ed a udire, per Grazia divina, quello che lui stesso non fu più in grado di ridire. Ora molti hanno studiato San Tommaso, ma molti, ho l'impressione, che l'abbiano tirato per la giacchetta là dove loro volevano andare. Non credo sia giusto, questo modo di procedere.Prima ci devono essere generazioni e generazioni che leggono e rileggono San Tommaso, lo assimilano, lo sanno ridire, senza sgarrare, con le loro parole, poi, quando e come, Dio vorrà da questa lenta assimilazione amorosa, nascerà quello che deve, diverso certamente dalla citazione virgolettata. Allora solo allora il grande albero San Tommaso tornerà a vivere e darà i frutti necessari a quell'allora.
Non c'è una comunità tradizionale domenicana che potrebbe farsi carico del Monastero di San Marco? Potrebbe essere una sfida unica ed irripetibile...
Ho firmato anch'io. Ma finché non saranno soffocati per sempre i mefitici fumi del Vaticano II, non solo il Convento di San Marco ma tutti gli altri 'monumenti' del Cattolicesimo europeo saranno in continuo pericolo di chiusura.
Januensis
perchè non fare appello ad altre comunità domenicane sparse per il mondo ? Credo che per la cattedrale di san Benedetto a Norcia sia stato fatto così. In mancanza di monaci benedettini locali si è chiesto a tutti i conventi dell'ordine di chiedere se avessero elementi disposti a far rifiorire il convento e, ovviamente a trasferirsi a Norcia. Alcuni anni fa i nuovi arrivati credo fossero una decina, al momento del secondo terremoto dello scorso anno ne erano rimasti tre, perchè dopo il primo terremoto gli altri erano stati rinviati alle loro comunità d'origine. I tre rimasti, intervistati da qualche TV, hanno detto di essere originari del'Ohio ! Curioso no ? ma bello.
Un pensiero particolare poi va alla biblioteca Arrigo Levasti, questo grande autodidatta, così innamorato della mistica cristiana e così ecumenista nei confronti dell'ebraismo, tanto da aver fondato , a Firenze, l'amicizia ebraico-cristiana. Se proprio un antisemitismo latente volesse far scomparire la biblioteca ?
Intanto metteteci anche i consacrati laici e non chiudete i conventi come fanno in questo tempo anche altri ordini feligiosi. Se chiudete le case di Dio vi si apriranno quelle dell' inferno perché queste cose cercano i responsabili.
Januensis hascritto " Credo che per la cattedrale di san Benedetto a Norcia sia stato fatto così. In mancanza di monaci benedettini locali si è chiesto a tutti i conventi dell'ordine di chiedere se avessero elementi disposti a far rifiorire il convento e, ovviamente a trasferirsi a Norcia. ..." Januensis non ha le idee chiare sulla fioritura monastica benedettina di Norcia. Innanziatutto la Basilica di San Benedetto di Norcia NON è la cattedrale cittadina. Poi non c'è stato mai nessun appello "tutti i conventi dell'ordine di chiedere se avessero elementi disposti a far rifiorire il convento e, ovviamente a trasferirsi a Norcia" perchè la comunità è stata fondata ex novo. Januensis potrà trovaare tutte le formazioni di cui ha obiettivamente bisogno del Monastero di Norcia su https://it.nursia.org/
Buona domenica
Desidero ringraziare la Redazione di Chiesa e post Concilio per la preziosa informazione della possibilità di firmare per salvare lo storico convento di San Marco, appello che ho ripreso (il copia-incolla è tanto utile) in un altro blog.
Grazie
Buona domenica
Andrea
appello che ho ripreso (il copia-incolla è tanto utile) in un altro blog.
Ben fatto! Domani pubblico la riapertura del Sacro Cuore a Tolentino :)
Oggi anche Sandro Magister.
Quello di San Marco a Firenze è il convento domenicano più famoso al mondo, affrescato dal Beato Angelico e per secoli faro di santità, di arte, di cultura, fino ai giorni nostri.
Eppure è ora sul punto di essere soppresso, proprio per volontà dell'ordine di san Domenico.
Il professor Pietro De Marco, fiorentino, che i lettori di Settimo Cielo da anni leggono e apprezzano, spiega perché tutto ciò accade e lancia un appello perché il convento sia salvato dalla chiusura.
Con un'annessa petizione, già sottoscritta da tanti che hanno a cuore la sopravvivenza non solo di questo luogo, ma della "civitas" di cui esso è l'anima.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/01/28/san-marco-non-deve-morire/
http://www.tg-news24.com/2018/01/26/in-pensione-con-solo-5-anni-di-contributi-vale-solo-per-gli-immigrati-ecco-cosa-e-scritto-nero-su-bianco-nel-sito-dellinps-2/
Cari magnati cattolici , se ci siete battete un colpo , acquistate il Convento di San Marco e donatelo a Preti come questo pensate ai meriti che avreste nel Libro della Vita . Pensateci !
“Mettete al muro lo Spirito Santo, invocatelo. Quello Spirito ha reso i cristiani lieti davanti ai leoni e non può fare questo? Può, ma bisogna consumarsi le ginocchia e tirare fuori le corone del Rosario che tenete nei borselli”.
http://www.lanuovabq.it/it/il-prete-che-mostra-a-centinaia-di-sposi-la-verita-sul-matrimonio
http://www.misterogrande.org/don-renzo/
La preghiera per crescere come sposi cristiani :
https://www.youtube.com/watch?v=_nKEwDXH38M
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