Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

giovedì 23 luglio 2020

Lettere da Babilonia. La direttrice da tenere nella fede - Enrico Maria Radaelli

Nell'alveo del dibattito sul Concilio Vaticano II e le sue conseguenze, un nuovo intervento di Enrico Maria Radaelli che replica con la seguente “difesa” alle critiche scaturite specie su Chiesa e post-concilio nella discussione relativa al suo precedente articolo sulla maxi-spallata di Mons. Viganò a quello che ha chiamato il maxi-trappolone di Roncalli-Ratzinger.

La costituzione dogmatica Pastor æternus (v. Denz 3074), stabilisce che il vescovo di Roma, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani, definisce, in virtù della sua suprema autorità apostolica, che una dottrina in materia di fede o di morale deve essere ammessa da tutta la Chiesa, gode, per quella assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quella infallibilità di cui il divino Redentore ha voluto fosse dotata la sua Chiesa, quando definisce la dottrina riguardante la fede o la morale. Di conseguenza queste definizioni del Vescovo di Roma sono irreformabili per se stesse, e non in virtù del consenso della Chiesa.
In Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, monsignor Antonio Livi, già professore di Logica e Gnoseologia e decano per due mandati della facoltà di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense, dove mi chiamò a integrare per tre anni i suoi corsi con le mie lezioni di Gnoseologia formale, rileva due nozioni decisive, basilari per la fede. Eccole.

La prima: «Alla fede cristiana è essenziale la pretesa di verità al massimo grado» (p. 231).
La seconda: «Il carattere dogmatico non è un aspetto accidentale o una “sovrastruttura ideologica” del cristianesimo» (ibidem).

La contro-direttrice in vigore
In Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, il professor Roberto de Mattei rileva che «il Primate del Belgio – L. J. Suenens, Arcivescovo di Malines-Bruxelles, Cardinale e Moderatore del Concilio – lanciava… la parola d’ordine del “Concilio pastorale”: “Il Concilio sia, per eccellenza, un Concilio pastorale” (Léon-Joseph Suenens, Aux origines du Concile Vatican II, p. 8). Giovanni XXIII seguì la linea tracciata da Suenens nel discorso che tenne l’11 settembre 1962, un mese prima dell’apertura del Concilio» (p. 193): «La forma pastorale… diventava la forma del Magistero per eccellenza» (idem, p. 201).

Conclusione. Per la prima volta nella storia un Concilio ecumenico, il Concilio Vaticano II, non utilizza il «massimo grado» di Magistero con cui erano stati aperti i venti Concili precedenti presieduti da un Papa. In tal modo, per la prima volta nella storia, viene elusa la «pretesa di verità» richiesta dal «carattere dogmatico» della fede cristiana. La seconda: «Il carattere dogmatico non è un aspetto accidentale o una “sovrastruttura ideologica” del cristianesimo» (ibidem).

Ora, se c’è un nesso tra: 1) la pretesa di verità al massimo grado come essenziale alla fede; 2) la capacità data unicamente dal grado dogmatico di assolvere tale pretesa, e 3) «il fumo di Satana» che Papa Paolo VI, con gran struggimento, nel 1970 rilevò e denunciò essersi introdotto in gran quantità «nel tempio» di Dio che è la Chiesa, è una conclusione che lascio ai lettori.

Ha quasi annientato la Chiesa e reso orfano il mondo. Ma non è un maxi-trappolone. E allora cos’è?
Certo, la parole di padre Schillebeeckx lascerebbero perplessi: «Nous l’exprimons d’une façon diplomatique – ci rassicura il celebre domenicano olandese –, mais après le Concile nous tirerons les conclusions implicites» (Edward Schillebeeckx, De Bazuin n. 16, 1965), detto altrimenti: “Noi ci esprimiamo in modo doppio, ambiguo, diplomatico, ossia in modo che i concetti sembrino cattolici ai cattolici e contemporaneamente permettano a noi che ci siamo prefissi di raggiungere certe mete di avere la vaghezza necessaria, ma finito il Concilio tireremo le conclusioni implicite che ci aggradano e che appunto ci eravamo prefissi”.

Questo pensiero machiavellico fu raccolto e pubblicato da Romano Amerio nel 1984 (v. Iota unum, Ricciardi, p. 93). Il libro è stato venduto in migliaia di copie in tutto il mondo, e comunque non è stato certo il solo veicolo ad aver segnalato il turpe pensiero del padre domenicano, che infatti si era ben diffuso dal ’65 nei gangli della Chiesa a ogni livello.

Il magistero dogmatico
Le verità del Magistero dogmatico non hanno bisogno di essere interpretate. Anzi, per loro essenza – essendo il dogma indefettibile, ossia essendo privo di errori, e la non chiarezza o ambiguità o equivocità è un errore – le verità del Magistero dogmatico non vanno e non possono essere interpretate: esse sono espresse per natura in modo chiaro, univoco e valido in ogni tempo, luogo, condizione: sono verità eterne.

Il magistero pastorale
Le verità del Magistero pastorale invece di interpretazione ne hanno bisogno, ma con una necessaria precisazione: non stiamo parlando del Magistero pastorale utilizzato a partire dal Vaticano II, ma del Magistero pastorale in sé, che non ha niente a che fare col primo, poiché non è intaccato dalla tara modernista, come fra poco si vedrà.
Il Magistero pastorale, di per sé, è un Magistero assolutamente necessario alla Chiesa, e lo è tanto quanto il Magistero dogmatico da cui dipende: la Chiesa non può farne a meno. I due ambiti sono strettamente legati da una precisa relazione con una loro precisa gerarchia.

Come illustro ben più estesamente in Che cosa può cambiare e che cosa non può cambiare nella dottrina della Chiesa (in AA.VV., Dogma e Pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, Leonardo da Vinci, Roma 2015), il Magistero che chiamiamo “pastorale” si occupa di definire, indicare, insegnare e attuare nelle diverse pratiche quelle verità che, pur connesse al dogma, non ne possiedono però le note di infallibilità e di indefettibilità da credere de fide.

Esse si riscontrano nell’ambito di quattro categorie: 1) gli effetti teologici delle verità dogmatiche, p. es. il Catechismo della Chiesa cattolica; 2) le canonizzazioni stabilite in ottemperanza alle normative canoniche; 3) la legislazione liturgica e disciplinare obbligante la Chiesa universale, p. es. l’Institutio Generalis Missale Romanum e il Codex Iuris Canonici; 4) l’approvazione di ordini e congregazioni religiose.

Queste quattro categorie, per la loro intrinseca qualità, si sviluppano e si evolvono nella storia e dunque sono soggette per natura a modifiche, miglioramenti, precisazioni, sempre comunque in una sola precisa e rigorosa direzione, tenuta rigorosamente in tutti i duemila anni di storia del Magistero della Chiesa in stretta, puntigliosa e fedelissima connessione logica e teologica con le specifiche verità eterne da cui promanano, in modo tale che ogni eventuale dubbio, equivoco, interpretazione fuorviante venisse presto e sollecitamente risolta, chiarita, giudicata, eventualmente eliminata.

L’insuperabile Bernard Bartmann chiarisce bene il problema della irreformabilità delle “verità connesse” di fede ecclesiastica. La Chiesa – spiega – insegna in modo infallibile la morale cristiana, riconosce pure facilmente se le regole di un ordine religioso siano conformi ad essa o meno. Non è però infallibile nel giudicare l’opportunità esteriore di queste regole, sicché potrebbe in seguito formulare un altro giudizio. Così la Chiesa non può sbagliare nelle decisioni circa il culto, le devozioni, i libri liturgici, i doveri particolari di certi stati (celibato, breviario) come nelle prescrizioni disciplinari generali (digiuno, riposo festivo, istituzione e soppressione di giorni festivi).

Non è possibile che in questa materia ordini o approvi alcunché di contrario alla legge morale. Non è però infallibile il suo giudizio di queste formule (sensus) e una verità immutabile. Può darsi invece che la Chiesa in altro tempo crei formule migliori, più comprensive e più efficaci per esprimere le medesime verità definite. […] Si vedano le formule del Concilio di Calcedonia con quelle del Concilio di Efeso, il simbolo degli Apostoli con quello di Atanasio (Bernard Bartmann, Manuale di teologia dogmatica, Edizioni Paoline, Alba 1952, pp. 63-4).

Un classico della riformabilità e della contemporanea attenzione a che essa venga condotta con la più viva e rigorosa cura al grado massimo possibile di purezza, affinché la Chiesa nella sua più ampia universalità e la salvezza delle anime una per una ne ricevano le più ubertose grazie, è la riforma del Breviario permessa nel 1536 da Papa Paolo III, ripudiata con rescritto nel 1558 da Paolo IV e finalmente proscritta solo dieci anni dopo da san Pio V: con questo esempio si vuole mostrare come tali cose «sono la testimonianza più importante nella storia liturgica della priorità attribuita allo sviluppo organico della liturgia rispetto all’approvazione dell’autorità competente. Il giudizio prudenziale con cui Paolo III promulgò questa riforma nel 1536 fu un errore, finalmente corretto a distanza di cinque papi e di trentadue anni, in vista dell’evidente insoddisfazione dei fedeli e su richiesta degli studiosi» (Alcuin Reid, Lo sviluppo organico della Liturgia. I principi della riforma liturgica e il loro rapporto con il Movimento liturgico del XX secolo prima del Concilio Vaticano II, Prefazione di Joseph Ratzinger, Cantagalli, Siena 2013, p. 31). La direzione da tenere negli insegnamenti e negli atti “pastorali” delle verità connesse al dogma era stata abbandonata per non voluta imprudenza, ma recuperata finalmente per la virtù del consiglio di un Papa santo.

La direzione da tenere è indicata con esattezza dal monaco san Vincenzo di Lérins, tanto da essere ripresa nella costituzione dogmatica Dei Filius al termine del cap. 4, De fide et ratione: « Nos credimus solum] quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est [“(Noi crediamo solo a) ciò che sempre, in ogni luogo e da tutti è stato creduto”] » (Vincenzo di Lérins, Commonitorium primum, 23, n. 3, v. anche Denz 3020).

Le quattro categorie di verità saldamente connesse al dogma dalla parte divina e alla storia dalla parte umana, proprio per tale connessione al mondo non possono essere di per sé direttamente infallibili e indefettibili, ma tutti i Papi della Chiesa sotto il cui governo esse hanno trovato il degno modo di svilupparsi si sono impegnati a che esse osservassero, nel più rigoroso rapporto logico, razionale e teologico, un legame univoco, moralmente impegnato al massimo, supportato in ciò da una teologia fortemente e volutamente immersa nella sana atmosfera metafisica, atmosfera che, come insegnano gli ultimi grandi esponenti della Scuola romana, monsignor Gherardini e monsignor Livi, costituisce da sempre la più insuperabile barriera a ogni anche più piccola infiltrazione storicista, che è a dire modernista, cioè eretica.

Un’infiltrazione, questa, che costituisce oggi il più duro e impegnativo arci-nemico della dottrina cattolica, come dimostrano anche le recenti lezioncine tenute o da teologi improvvisati come i vari Francesco Arzillo o da cardinali ostinatamente novatori – dunque eretici – nascosti sotto finti panni “conservatori” come i tanti Walter Brandmüller.

Esposta in tal modo la direttrice tenuta e perseguita da sempre dalla Chiesa, passiamo ora a illustrare la contro-direttrice elaborata e perseguita dai modernisti a partire dal Concilio Vaticano II.

Il magistero pastorale dopo il Concilio Vaticano II
Tutt’altro atteggiamento abbiamo invece a partire dal Vaticano II: quello che sarebbe un oggettivo limite delle verità formulate e insegnate col Magistero pastorale diviene una breccia, un’occasione, una potenzialità che, pur essendo quelle verità connesse al dogma e dunque fortissimamante legate da quel vincolo morale tanto ben individuato dal Lerinense da essere persino raccolto in una costituzione dogmatica come la Dei Filius, in mano ai modernisti diventano il cavallo di Troia, lo stratagemma, il grimaldello insomma per entrare nella Torre del Mastio della Chiesa, nel Sancta Sanctorum dell’evangelica dottrina, così da potersene appropriare e, in tal modo subdolamente conquistata, ricostruirla pezzo per pezzo a proprio piacimento, ossia secondo le proprie subdole modernistiche intenzioni, senza però far capire a nessuno l’astutissima manovra.

Chi si accorgerà mai, infatti, di quelle schiere di solerti operai che, travestiti da vescovi, cardinali, prefetti e papi, ma poi anche da monsignori, accademici, parroci, teologi, semplici ma impegnatissimi fedeli, con i metodi più placidi, amichevoli, affettuosi, inclusivisti e coinvolgenti, alzeranno pietre di carta, sassi di plastica, travi di gomma, pilastri di bambagia in luogo delle giuste, solide e ben squadrate pietre scalpellate nella roccia tutt’intorno alla Pietra d’angolo di Ef 2,20?

Sguinzagliato dal conciliare “aggiornamento”, ogni dilettantismo vale, purché non proponga argomenti, non ragionamenti, non logiche deduzioni o induzioni, ma solo seduzioni appoggiate a evocativi argomenti d’autorità à la Nouvelle Théologie, rassicuranti obiettivi di pacificazione universale, come rilevano Amerio, de Mattei, Gherardini, Guarini, Livi, Mazza, Pasqualucci, Spadafora, Vassallo, ultimo il sottoscritto, in decine di libri, articoli, corsi, tavole rotonde, conferenze.
La fallibilità e possibile difettosità, permesse dall’impossibilità che tali gradi di verità possano essere enunciati al massimo grado di entelechia di Magistero dato unicamente da una papale locutio ex cathedra, nelle mani del cardinale Suenens, di Papa Roncalli e di tutti i neoterici che li seguirono fino a oggi, non sono più strumenti che richiedono il massimo impegno morale e intellettuale per far aderire in ogni punto gli insegnamenti e gli atti con cui di volta in volta la Chiesa pellegrina si tiene al passo coi popoli e con le nazioni, con i secoli e con i linguaggi, con la scienza e con la conoscenza, ma sono una folgorante, splendida, abbagliante fessura per realizzare quella “cultura dell’incontro”, quella “cultura del dialogo” che permetterà loro di realizzare finalmente il sogno di tutti i placidi, i pacifici e i miti della terra.

In altre parole, rinnegato il basico aut aut distintivo e abissale che da sempre divide la Rivelazione di nostro Signore Gesù Cristo come insegnata dalla Chiesa da ogni altra nozione e fantasia religiosa, compresi i due monoteismi dell’ebraismo talmudico e dell’islamismo e comprese le varie ereticalità protestanti, si persegue il fine di diventare amici di tutti e di cercare specialmente di non aver nemico nessuno, in un et et generale, morbido e senza salti, di un continuum di approssimazione verso Dio di cui la Chiesa sarebbe solo l’apice conclusivo.

Magistero, forma, linguaggio ed eresie
Il primo che si accorse dell’esistenza di un meccanismo che contraffaceva la dottrina nel modo subdolo descritto senza pudore da padre Scillebeecks fu Romano Amerio, che al § 14 di Iota unum definisce «la legge della conservazione storica della Chiesa», per la quale «la Chiesa non va perduta nel caso non pareggiasse la verità, ma nel caso perdesse la verità» e poi nei §§ 330-1 illustra i primi rudimenti del metodo utilizzato dai neoterici modernisti proprio servendosi di tale legge: spareggiamo pure il rapporto tra Chiesa e verità, così noi raggiungiamo i nostri fini e la Chiesa non si perde, non muore proprio del tutto.
Che ne è del comandamento del Signore, che ci dice: «Il vostro parlare sia sì sì no no, il resto viene dal maligno» (Mt 5,37)? I grandi ermeneuti all’Arzillo, Brandmüller, Ratzinger, O’Malley, Schillebeekx e via mal interpretando, l’hanno presente, questo comandamento? E l’hanno presente anche dove dà il motivo di tale imperativa necessità (divina) di esser secchi, chiari e netti: «il resto viene dal maligno»?

Dunque, come si capisce, la cosa è fondata sul linguaggio, e la disciplina su cui il professor Livi mi ha fatto tenere i miei corsi, Gnoseologia formale, permette come nessun’altra di avvicinarsi al cuore del losco marchingegno, come d’altronde fece con intenti opposti anche il gesuita padre John O’Malley affermando categoricamente: «Il Vaticano II è un evento linguistico» (John W. O’Malley, Che cosa è successo nel Vaticano II, Vita e pensiero, Milano 2010, p. 313).

Solo che il Gesuita fa del linguaggio del Concilio un’apoteosi teologica, e chi scrive invece, nel suo Il domani – terribile o radioso? – del Dogma (Aurea Domus, Milano 2013), ne mette in luce in duecentocinquanta pagine le infinite trappole e gherminelle dei novatori per riuscire a dire e non dire, ossia, come rileva Amerio, per nascondere sotto la veste di una verità generale quella non chiaramente detta di una contro-verità parziale. La cosa è illustrata ampiamente in quel mio saggio.

Qualcuno di coloro che si adombrano per le mie severe parole nei confronti dei Papi del Concilio l’ha mai letto? Ha mai soppesato e ha poi trovato argomenti capaci di dimostrare con netta chiarezza la fallacia dei miei, depositati in quelle mie pagine da sette anni, e poi ripresi e da me risegnalati nei lavori successivi, non uno escluso, che non enumero per non dare a qualcuno motivi ulteriori di irridere delle auto-citazioni cui il deserto che mi circonda mi costringe?

Ma se nessuno oltre al sottoscritto prende in considerazione – pro o contro che sia – l’orizzonte filosofico, metafisico e teologico attraverso cui giungo a denunciare il maxi-trappolone elaborato dai Papi sopraddetti, e per nessuno intendo dire nemmeno chi io si credeva più vicino nella fede, e non faccio nomi solo per carità di patria, cosa deve mai fare il più tapino dei fedeli cattolici per non citare il nulla e non solo restare però nella fede, ma anche cercar di allarmare i compagni, i lontani, i pastori, gli ereticanti stessi, possibilmente tutta la Chiesa?

Il linguaggio equivoco tanto ben illustrato da padre Schillebeeckx ha fatto entrare nella Chiesa, coi tanti oblii e le mille ambiguità, almeno sette gravi e profondi elementi ereticali, che chiamo così per non confonderli con le vere e proprie eresie manifeste e formali che proprio per lo scaltro marchingegno Suenens-Roncalli, poi raccolto e fatto proprio dai successivi Montini, Wojtyla e Ratzinger, ha saputo tanto finemente e nascostamente aggirare.

I sette elementi ereticali concernono sette ambiti cruciali della fede, uno più cardinale e decisivo dell’altro.

Il primo riguarda la regalità di Cristo sul mondo e il derivante diritto pubblico da riconoscere alla Chiesa cattolica, Mater et Magistra del mondo; il secondo riguarda i diritti pubblici della Chiesa cattolica, unica depositaria della Rivelazione del Dio uno e trino, eguagliati a quelli delle mille falsità; il terzo riguarda l’ecumenismo spurio che ne discende; il quarto riguarda la libertà religiosa; il quinto riguarda l’ecclesiologia; il sesto riguarda la morale matrimoniale e in generale sessuale e derivati; il settimo la nozione di Messa e gli atti liturgici che ne discendono.

In particolare, il secondo elemento ereticale non verrà appianato finché un Papa non fisserà con locutio ex cathedra il principio che «Dio, se non è trino, nemmeno è», come argomentato nel mio Il Mistero della Sinagoga bendata, prima ed. Effedieffe, Milano 2002; seconda ed. completamente rielaborata, pro manuscripto, Aurea Domus, Milano 2011.

A questi sette gravi campi di ereticità della Chiesa nati e ben fruttificati dal Concilio vanno poi aggiunti quelli la cui faconda espansione è stata permessa e dovuta dal Concilio stesso proprio a causa del fatale abbraccio compiuto dalla Chiesa conciliare con lo sciagurato e ateistico storicismo. Tra questi ritroviamo in prima fila le ereticalità emergenti nei libri di Joseph Ratzinger, in specie Introduzione al cristianesimo, e poi nelle encicliche del medesimo in qualità di pontefice romano, come rilevo in Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (in settembre in edizione completamente rielaborata).

Per far tornare il dogma, cioè riportare la Chiesa a Cristo
È necessario che tutte le persone che seguono in questo momento il dibattito in corso si rendano ben conto che di alti prelati che vogliano mettere in discussione il Concilio Vaticano II nei termini dovuti, ovvero sia nella sua interezza formale che in ciascuno degli elementi ereticali che lo infestano, che è a dire almeno nei sette punti qui segnalati, fino a oggi, da sessant’anni, non ce n’è stato nessuno, tranne notoriamente a suo tempo i vescovi Lefebvre e De Castro Mayer, che però non seppero raccogliere intorno a sé il consenso dovuto per rigettare in primo luogo proprio la forma con cui era stato aperto il Concilio, giacché all’epoca il problema formale non era stata nemmeno sfiorato.

Tutti, e sottolineo tutti i vescovi, i cardinali e i prefetti di Santa Romana Chiesa, proni alle direttive dei sopraddetti Papi, fino ad oggi non hanno né considerato i chiarissimi aspetti linguistici qui ancora una volta messi in luce nella loro più eclatante evidenza, né, specialmente, il grave monito sparato col lanciafiamme a suo tempo e per sempre da san Paolo: «Se anche noi stessi, o un Angelo del Cielo, venisse ad annunciarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato noi stessi, sia anàtema. Già l’abbiamo detto e ora lo ripeto: se qualcuno evangelizza contro l’annuncio che avete ricevuto, sia anàtema» (Gal 1,8-9).

Ora finalmente un coraggioso è sceso in campo, ma è necessario che siano ben chiari a tutti i veri termini della battaglia: chi sono i veri guerreggianti, intorno a cosa stanno guerreggiando, con quali armi e, per concludere, con quali fini. È la “Guerra delle Forme” o, in altri termini, è la carne contro lo Spirito, è il mondo contro il Cristo.

Basta col politichese, basta con gli infingimenti, basta con la navigazione sott’acqua. La partenza giusta l’ha data l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti, il 4 luglio scorso a John H. Westen, direttore di LifeSiteNews: una persona di buon senso vede già un’assurdità nel voler interpretare un Concilio, dal momento che esso è e deve essere norma chiara ed inequivocabile di fede e di morale.

In secondo luogo, se un atto magisteriale pone seri e motivati argomenti di coerenza dottrinale con quelli che lo hanno preceduto, è evidente che la condanna del singolo punto eterodosso scredita in ogni caso l’intero documento.

Se a ciò aggiungiamo che gli errori formulati o lasciati obliquamente intendere tra le righe non si limitano ad uno o due casi, e che agli errori affermati corrisponde una mole enorme di verità non ribadite, ci possiamo chiedere se sia doveroso espungere l’ultima assise dal catalogo dei Concili canonici.

La sentenza sarà emessa dalla Storia e dal sensus fidei del popolo cristiano ancor prima che da un documento ufficiale. E a tal proposito sarebbe ben provvidenziale una sensibilizzazione di tutti i cardinali e vescovi della Chiesa, a cominciare da fini e impegnati cardinali come il Brandmüller che, rettificando le diverse mende di monsignor Schneider riguardo alle correzioni dottrinali compiute dal Magistero nella storia, è tornato a mostrare quel che ci si aspettava da lui, ossia che la sua solidità di storico è fuori discussione.

Bene: sarebbe ben utile che a questo punto tutti i grandi prelati della Chiesa si facessero l’opinione che è arrivato il momento di correggere forma, linguaggio e dottrine fuorusciti dal Concilio Vaticano II e che se il Signore ha permesso di arrivare fin qui senza che avvenissero queste doverose correzioni è stato solo perché era necessario che tutti loro si rendessero conto, essendoci caduti dentro non volendolo vedere con i propri stessi occhi, ma amandolo con i propri stessi cuori, preparandolo con le proprie stesse mani e andandogli dentro con i propri stessi piedi, che quella elaborata e poi difesa da loro stessi con le unghie e con i denti non era altro che un’enorme, seducente, incantata malia, che nascondeva un gran buco da cui però più non si sarebbe usciti, se non fosse per somma misericordia di Dio.
Chiamatelo voi come volete. Io il suo nome lo saprei.

Propostina
Infine, per restare al Gran Vegliardo, vorrei dire di non intristire i dibattiti con strali tipo «Radaelli detesta Ratzinger», che non solo sviliscono i ragionamenti portandoli su un inesistente piano emotivo e bambinesco, ma dimenticano che «de internis neque Ecclesia iudicat», e neque Ecclesia vuol dire che giudicare i sentimenti presenti nel cuore di un uomo proprio non si può: non lo fa neanche un direttore spirituale, fosse pure il Papa, e ho detto tutto.

Sarebbe opportuno invece che i disputandi, invece di giudicare tanto avventatamente, mostrassero d’avere almeno un minimo di conoscenza dell’argomento, in questo caso dell’opera del sottoscritto intorno all’augusto Soggetto in questione, sicché mostrassero di aver letto almeno i paragrafi finali di Al cuore di Ratzinger, o per lo meno i titoli, non dico di più, o almeno i titoli dei quadernetti integrativi a quel saggio, il secondo dei quali va proprio al punto: Amare Ratzinger. Io lo salvo, voi lo uccidete. Non fatelo. Ma anzi: salviamolo tutti insieme.
Enrico Maria Radaelli
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Il libro Al cuore di Ratzinger. È lui il Papa, non l’altro, pro manuscripto, Aurea Domus, Milano 2020, dal prossimo settembre sarà disponibile nelle librerie Àncora (Milano e Roma), Coletti (Roma), Hoepli (Milano), Leoniana (Roma), San Paolo (Milano). Oppure potrà essere richiesto scrivendo al sito dell’autore: www.enricomariaradaelli.it.
Questi i cinque articoli scritti a integrazione del saggio su Ratzinger:
1) Il Ratzingerismo. Sfumature o reticenze? Cinque casi esemplari, pp. 40;
2) Amare Ratzinger: io lo salvo. Voi lo uccidete. Non fatelo. Ma anzi: salviamolo tutti insieme, pp. 32;
3) Scegli: ratzingeriano o cattolico?, pp. 36;
4) Qualcuno nella Chiesa si è accorto che nell’enciclica Spe salvi Papa Ratzinger ha cancellato l’Inferno con una molto eretica apocatastasi?, pp. 32;
5) La sorgente spiega alla foce come mai l’acqua del fiume è avvelenata. In margine agli “Appunti” del cardinale Ratzinger, pp. 36 in quadricromia.
I cinque libretti possono essere richiesti all’Autore, come indicato nel sito www.enricomariaradaelli.it. vedi

18 commenti:

Anonimo ha detto...

"... giudicare i sentimenti presenti nel cuore di un uomo proprio non si può: non lo fa neanche un direttore spirituale, fosse pure il Papa, e ho detto tutto..."

E' stato però da un lato il sentimento nella sua forma obsoleta di sentimentalismo uno dei motori del modernismo, come dall'altro lato la devozione di sentimentalismo ha intaccato non di rado le sue pratiche religiose.

Il modernismo fiorisce nell'epoca del decadentismo, decadentismo che a sua volta è una ulteriore torsione del romanticismo.

La devozione, attuazione del sentimento religioso, abbandono fiducioso, confidente nei fatti della propria vita al Signore nostro Gesù Cristo, quando la devozione si stacca interiormente e/o praticamente dagli atti, dai fatti, dalle opere, il sentimento ha rischiato e rischia di diventare sentimentalismo.

Quindi nell'esame di coscienza siamo chiamati a valutare se e fino a che punto i nostri sentimenti sono sani e se sane sono le opere che ne discendono, parimenti il confessore dalle opere, dai fatti, dalle azioni è in grado di capire non poco riguardo ai sentimenti e/o sentimentalismi da cui sgorgano.

Il modernista mediamente è uomo del suo tempo, uomo che percepisce se stesso alla luce e/o nelle tenebre del suo tempo, attento alle emozioni, alle reazioni che il suo tempo suscita nella sua interiorità, scambiandole per propri pensieri.

Il sentimento del modernista è molto facilmente sentimentalismo che, a sua volta, altro non è che "la sintesi" di tutte le sue emozioni, le sue reazioni, le sue percezioni di sé che danno origine ad azioni, fatti, opere più tese all'Io che non a Dio.

Fatte salve tutte miriadi di modi in cui possono presentarsi questi sentimentaliimi, cioè questi sentimenti scollati da "Ora et Labora"

I frutti del concilio ha detto...

Friburgo, Svizzera.

In quella famosa diocesi che ha recentemente nominato vicario episcopale per il clero una signora... è successo che il vescovo, dopo aver nominato nuovo parroco della Cattedrale un baldo giovane, ha scoperto, a clamor di stampa, che il soggetto era molto attivo su un sito d'incontri gay. Ragion per cui, il vescovo ha annullato 'tout de suite' la nomina ed ha mandato monsieur l'Abbè a meditare altrove.
Direte, sai che novità... il che è vero ma è oltremodo singolare che il suo predecessore nell'incarico, tale Abbè Frochaux (risum teneatis) fosse stato da poco rimosso dalla Cattedrale in quanto coinvolto in un'inchiesta giudiziaria per abusi asseritamente compiuti sul suo cappellano di colore.....

Ci sembra che Madame la Vicaria Episcopale avrà il suo bel da fare con siffatto presbiterio.....

https://www.cath.ch/newsf/fribourg-la-double-vie-dalain-chardonnens-secoue-le-diocese/

Ambrosius ha detto...

"I Pontefici infatti - essi vanno dicendo - non intendono dare un giudizio sulle questioni che sono oggetto di disputa tra i teologi; è quindi necessario ritornare alle fonti primitive, e con gli scritti degli antichi si devono spiegare le costituzioni e i decreti del Magistero". Humani Generis, Pio XII

Come afferma Papa Pio XII nella stessa Lettera Enciclica, era falso affermare che i Pontefici non volevano dare un giudizio sulle questioni disputate tra i teologi. Però, oggi è vero che i Pontefici post-conciliare non vogliono dare un giudizio sui problemi conciliari e sono loro stessi a chiedere a tutti di ritornare alla tradizione per spiegare i documenti del Concilio. Così facendo non abbiamo nel post-concilio una chiara applicazzione della Nouvelle Théologie come metodo comprensione del Concilio?

Ambrosius ha detto...

In ciò che dice rispetto al modernismo, credo che manca un lavoro che considere la sua classificazione prima e dopo il Concilio Vaticano II. Prima il modernismo era considerato la "sintese di tutte l'eresie". Dopo il Concilio le decisioni magisteriale nei suoi confrontti sono stati classificati come "disposizione provvisoria" e una "espressione di prudenza pastorale". Sembra un'applicazzione del princípio Ocariz (leggere il Concilio alla luce della tradizione e leggere la tradizione alla luce del Concilio) al magistero antimodernista. Questo può essere capito dall'intervento dell'allora cardinale Ratzinger sulla Donum Veritatis nel giornale L'Osservatore Romano, come se può leggere:

“[l’Istruzione “Donum Veritatis”] afferma - forse per la prima volta con questa chiarezza - che ci sono delle decisioni del magistero che non possono essere un’ultima parola sulla materia in quanto tale, ma sono in un ancoraggio sostanziale nel problema,innanzitutto anche un’espressione di prudenza pastorale, una specie di disposizione provvisoria. Il loro nocciolo resta valido, ma i singoli particolari sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche. Al riguardo si può pensare sia alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, come anche alle decisioni antimodernistiche dell’inizio del secolo”. (Osservatore Romano, 27 giugno 1990, p. 6 ).

Credo che se faccia necessario mostrare che il giudizio della Chiesa sul modernismo se è cambiato con il Concilio Vaticano II. Questo mostra anche una rottura, perchè una dottrina non può essere la peggiore eresia di tutti per 60 anni, e dopo non essere più che un semplice errore, nemmeno un'eresia.

Anonimo ha detto...

Concilio pastorale un piffero. Solo la prima parte, quella presieduta da Giovanni XXIII lo è. Ha ragione cavalcoli che ha scritto oggi sul sito di Valli.

Anonimo ha detto...

Da quello che ho capito fin qui 'la tradizione' a cui vogliono tornare i papi del post-concilio è quella senza la Chiesa, cioè quella dopo la morte del Signore quando tutti sono in fuga ed ognuno è smarrito.

In questo modo possono scegliere quel che a loro torna comodo, nel preciso momento in cui scelgono. Forse anche dalla Chiesa e dalla Tradizione potrebbero prendere qualcosa qui e là e parimenti anche dalle eresie e dagli eretici e dalle altre religioni, a loro estro personale. A piacere, di anno in anno.

Poi quando il vento cambierà faranno altre scelte. Aggiornate, naturalmente. Siamo in uno sprofondamento egoico. Davanti al pensiero dell'Onnisciente, questi sono certi di aver fatto, di stare facendo scoperte sensazionali.

Ora et labora, cioè prega e zappa l'orto, cura le bestie, lustra il convento, dipingi, canta lodi a Dio,Uno e Trino, stai nel confessionale, studia quello che devi per migliorare la tua missione. Tanti fumi mentali svaniranno. L'ozio inconcludente è il padre dei vizi.

mic ha detto...

Non ho il tempo di andare a leggere ora. Quel che conosco è il cerchiobottismo di Cavalcoli... e comunque verificherò.
Ma non riesco proprio a vedere la dogmaticità del Vaticano II, se non nel fatto che viene imposto in blocco come unico dogma indiscutibile dopo aver affermato la modernista e dissolutrice evoluzione dei dogmi...
Non ho il tempo di parlarne ora.... peraltro dopo averne scritto e discusso miriadi di volte.

Ambrosius ha detto...

P. Giovanni Cavalcoli ha scritto:

"Per quanto riguarda il problema dell’interpretazione delle dottrine del Vaticano II, non è il caso di vedervi tracce di modernismo, perché il modernismo è un’eresia e non è ammissibile che un Concilio ecumenico cada nell’eresia. Occorre invece confutare l’interpretazione dei rahneriani, come ho fatto in due miei libri: uno dedicato agli errori di Rahner (Il Concilio tradito, Edizioni Fede & Cultura,Verona 2009) e uno al vero significato del Concilio (Progresso nella continuità, Edizioni Fede & Cultura, Verona 2011)".

Tantissime neomodernisti hanno partecipato al Concilio come periti...

Allora quale il valore autoritativo dei libri di P. Cavalcoli?

L'interpretazioni sbagliate vanno condannati dal magistero e non da un semplice teologo!

Anonimo ha detto...

Anonimo delle 15,26 mi sembra di ricordare che Paolo VI, nell'allocuzione finale, abbia ribadito il carattere non definitorio del Concilio, dunque di cosa parla Cavalcoli?
Continui pure con le sue ermeneutiche del nulla, conosciamo bene il personaggio. Quelli come lui sono i peggiori e i più pericolosi.
Per quanto riguarda don Elia, certe critiche mi sembrano a dir poco ingenerose.
Il suo é semplicemente un accorato invito, in questi tempi difficili, di rimanere saldamente nella barca di Pietro, al di fuori della quale non c'è salvezza.
Il rischio di scivolare nel sedevacantistismo e/o seguire falsi profeti é molto grande e in alcuni commenti ha fatto capolino l'idea del fai da te.
È molto facile far rientrare dalla finestra quel soggettivismo cacciato dalla porta.
Sono state attribuite, inoltre, a don Elia cose che non ha detto.
Antonio

Anonimo ha detto...

La dogmatica è scritta a chiare lettere nell’incipit delle costituzioni dogmatiche, per l’appunto. Con Paolo VI il Concilio ha preso un’altra piega e di questo si deve tenere conto se non si vuole avere un’idea distorta o limitata del Concilio. Con Paolo VI la pastoralità passa in secondo piano o per lo meno il Concilio non è solo pastoralità da quel momento in poi.

Anonimo ha detto...

Condivido in toto la tesi di Radaelli che è cristallino,imperniato sul sì e no di Evangelica memoria, quanto mons.Viganò. Grazie e seppure posso essere solo di misero conforto vi sostengo col cuore : la Chiesa era ed è una nella preghiera, un solo Spirito, Santo. Il CVII sarà dichiarato conciliabolo, è certo.

anelante ha detto...

Dalle note leggo, Ratzinger è lui il papa, non l'altro. Ok, concordo, se uno dei due è Papa non può che essere Benedetto XVI. Si tratta di cassare il concilio per ciò che è di fatto, e giudicare questo strano mostro bicefalo anche.

Anonimo ha detto...


Il formalismo di P. Cavalcoli porta ad eidere arbitrariamente il problema

L'argomento di P. Cavalcoli (un concilio ecumenico non può affermare eresie) è puramente formale.
Non può dire eresie perché sempre assistito dallo Spirito Santo? Sì, assistito, se vuole esserlo. Ma se non vuole, come non ha voluto il VAticano II? Che si è dichiarato meramente pastorale perchè così volevano i Novatori, per poter infilare in modo ambiguo e più facilmente i loro errori nei documenti. Gli schemi preparatori della Curia, poi buttati a mare all'inizio del Concilio, prevedevano almeno quattro costituzioni dogmatiche,con tanto di condanne degli errori. Però furono stilati con un linguaggio già ammorbidito, nella forma, perché così voleva Giovanni XXIII.
Non ci fu un Concilio, a Costanza, che emanò un decreto, quello sul conciliarismo, mai riconosciuto dal Papa? Certo, conteneva o no un'eresia questo decreto? Eppure il concilio di Costanza non è stato cassato. Ne è stato cassato dal Papa un decreto. Il concilio di Costanza viene tuttora incluso nei concili ecumenici. O no?

Gederson Falcometa ha detto...

Aggiunto ai commenti precedenti:

Nell'estratto sopra menzionato da me, nel secondo commento, l'allora cardinale Ratzinger parla della Donum Veritatis e applicca al modernismo una sorta di magistero provvisorio, se le dichiariazioni antimoderniste sono una "disposizione provvisoria" e una "espressione di prudenza pastorale", possiamo affermare con la certezza che afferma il P. Cavalcoli, che il modernismo rimane ancora un'eresia per il magistero conciliare e post-conciliare?

Se rimane un'eresia come spiegare che i modernisti hanno partecipato al Concilio come cattolici e hanno continuato ad usare il buon nome di cattolico dopo il Concilio? In questo caso il problema non sarebbe solo la classificazione del modernismo prima, durante e dopo il Concilio ma il proprio concetto di eresia che se è cambiato con il Concilio? Come spiegare il fatto che prima delle eresie separavano i loro seguaci dalla Chiesa, durante il Concilio non ha separato nessuno e dopo il Concilio non si separano più?

L'allora cardinale Ratzinger afferma ancora nell'estratto sopra menzionato che "Il nocciolo [delle dichiarazioni sulla libertà religiosa e sul modernismo] resta valido, ma i singoli particolari sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche". Dove se trovano l'ulteriori rettifiche sulla libertà religiosa e sul modernismo?

Il Concilio Vaticano II è pieno di particolarità che lo rendono un Concilio sui generis nella storia della Chiesa. Tra queste particolarità si nota che gli eretici erano in grado di partecipare nelle loro sessione in modo positivo, come se nessuna eresia professasserò, come se non esistesse alcuna eresia da condannare. Infatti un Concilio assistito dallo Spirito Santo non può dire eresie, ma può lo Spirito Santo se omettere di fronte all'eresia? Può vedere i lupi e non gridare che sono lupi?

Anonimo ha detto...

Il CVII ha contraddetto il magistero infallibile precedente quindi, DOGMATICO O NON DOGMATICO, è ERRONEO.
Ha "messo bocca" su questioni già DEFINITIVAMENTE CHIUSE e CONDANNATE dalla Chiesa: NESSUN CONCILIO, DOGMATICO O MENO, e NESSUN PAPA, anche pronunciandosi dalla suprema Cattedra, ha il potere di contraddire un dogma.
I modernisti credono che ciò possa essere fatto, i cattolici sanno che la verità già infallibilmente definita non può più essere annullata.
La questione è semplice: la Pastor Aeternus, che definisce l'infallibilità papale, ci dice che le verità dogmatiche sono IRREFORMABILI: non ci dice che sono riformabili soltanto da un Concilio dogmatico o da una successiva dichiarazione ex cathedra, ci dice che sono IRREFORMABILI: questo significa che i Pontefici ed i Concili NON POSSONO contraddire ciò che era già stato definito e che ne sono eternamente vincolati.
E se un Concilio che pretendesse di essere dogmatico si pronunciasse in modo opposto ad una verità già infallibilmente definita?
In questo caso si deve dire che siamo in presenza di un CONCILIABOLO che ha osato riaprire e contraddire una questione già eternamente ed infallibilmente chiusa.

Antonio ha detto...

Maria, ti ribadisco il concetto: filtra i troll. Come puntualizzi tu, per caso si sono mai sforzati di leggere le tue tesi che li hanno già smontati pezzo per pezzo nei libri e negli articoli che scrivi da anni? O meglio, sicuramente lo sforzo l’hanno fatto ma o non ci hanno capito niente o fanno i finti tonti. Sono solo disturbi, quel bavoso del vigilante “Marosi” docet.

In nomine Jesu omne genu flectat cælestium et terrestrium et infernorum.

Ambrosius ha detto...

Se prendiamo in considerazione la Chiesa di oggi con l'eresia libera e tantissime eretici, possiamo accusare il Concilio Vaticano II di avere commesso un crimine di omissione(colposa o dolosa?) di non trattare dell'eresie, come il neomodernismo, nel Concilio Vaticano II.

Anonimo ha detto...

Da Non Perdere:

https://www.youtube.com/watch?v=6-Bs7YahK9I

L'ESERCITO DI GNOMI CHE DISTRUGGONO LA SCUOLA (e i nostri figli) - Elisabetta Frezza