Ringrazio Fabio Adernò, noto per essere il più giovane avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana, per averci inviato questo suo testo sulla vexata questio delle confessioni amministrate dai sacerdoti FSSPX. Abbiamo dunque del materiale autorevolmente chiarificatore per i necessari approfondimenti.
CONFESSIONI VALIDE E LECITE.
IL PAPA E LA FRATERNITÀ S. PIO X:
SPIGOLATURE CANONISTICHE
Con lettera del 1° settembre 2015 inviata a Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, il Santo Padre Francesco ha disposto che nell’Anno Giubilare straordinario della Misericordia anche le confessioni amministrate dai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale S. Pio X, fondata da Mons. Marcel Lefebvre, siano non solo valide ma anche lecite.
Il Codex Iuris Canonici, al titolo IV, cap. II (De sacramenti poenitentiae ministro) del Libro IV (De Ecclesiae munere sanctificandi) tratta delle facoltà per conferire validamente l’assoluzione e, insieme a dichiarare che «Ministro del sacramento della penitenza è il solo sacerdote» (can. 965), specifica che occorre che lo stesso abbia la potestà di ordine ma che abbia anche la facoltà di esercitarla (cfr. can. 966, §1), ciò ipso iure o mediante concessione della competente autorità ecclesiastica (cioè l’Ordinario del luogo o il Superiore religioso, cfr. cann. 966, §2 e 969), fatto salvo il principio di diritto divino di cui al can. 976 che stabilisce che in pericolo di morte «ogni sacerdote, anche se privo della facoltà di ricevere le confessioni, assolve validamente e lecitamente […] anche quando sia presente un sacerdote approvato».
Questo il passaggio della lettera papale: «Un’ultima considerazione è rivolta a quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X. Questo Anno giubilare della Misericordia non esclude nessuno. Da diverse parti, alcuni confratelli Vescovi mi hanno riferito della loro buona fede e pratica sacramentale, unita però al disagio di vivere una condizione pastoralmente difficile. Confido che nel prossimo futuro si possano trovare le soluzioni per recuperare la piena comunione con i sacerdoti e i superiori della Fraternità. Nel frattempo, mosso dall’esigenza di corrispondere al bene di questi fedeli, per mia propria disposizione stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati».
Si tratta di un «gesto paterno» - per usare la felice espressione che si trova nel comunicato ufficiale della Casa Generalizia della Fraternità S. Pio X - che apre altresì una serie di riflessioni a ventaglio di ordine non solo pastorale ma anche giuridico-canonico.
La disposizione pontificia espressa da Papa Francesco con atto formale risulta essere un sostanzioso passo in avanti per le relazioni tra la Santa Sede e la Fraternità, affidate dal 1988 all’attività di una specifica Commissione dipendente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (la Pont. Commissione “Ecclesia Dei”), ed implicitamente fa trarre alcune conclusioni significative.
- La Fraternità S. Pio X non è considerata esterna alla Chiesa Cattolica. La tesi, da sempre sostenuta dai Superiori e dai Sacerdoti della comunità fondata da Mons. Lefebvre, trova nella paterna sollecitudine di Papa Francesco una ulteriore conferma, che segue all’atto di graziosa benevolenza di Papa Benedetto XVI che volle, con decreto della Congregazione per i Vescovi del 21 gennaio 2009, rimuovere la pena di scomunica inferta latae sententiae ai quattro Vescovi della Fraternità consacrati nel 1988 dagli oggi defunti mons. Lefebvre e da mons. De Castro Mayer. Il fatto che il Sommo Pontefice disponga motu proprio una norma a riguardo di una specifica comunità è espressione piena della sua giurisdizione immediata ed universale, considerandola nell’alveo della Chiesa Cattolica sub Petro. Non avrebbe avuto, infatti, alcun senso che il Papa avesse disposto di materia specifica presso destinatari che versassero in uno stato di esclusione dalla comunione ecclesiale o che fossero alieni alla giurisdizione ecclesiastica ordinaria. Il fatto che il Papa indirizzi ai Sacerdoti della Fraternità una disposizione specifica è chiaro indice del loro essere subiecti Pontifici. Del resto, scriveva già Benedetto XVI: «Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?» (Lettera ai Vescovi riguardo la remissione della scomunica ai quattro Vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009)
- Con la disposizione pontificia – quantunque ad tempus – viene meno, de facto, lo stato di irregolarità canonica in cui ha versato oggettivamente la Fraternità. Benedetto XVI, nella citata lettera ai Vescovi, così scriveva: «Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa». Oggi dunque, al di là dei traguardi di pacificazione dottrinale dei rapporti tra la Fraternità e la Santa Sede, appare evidente che il riconoscimento non solo della validità – canonicamente sempre extra controversiam, fuori discussione – ma anche della liceità dell’amministrazione del sacramento della penitenza si frappone come punto di non ritorno nella “questione lefebvriana”, poiché, guardando oltre la relaxatio disciplinae operata dalla disposizione pontificia «durante l’Anno della Misericordia», appare evidente che si siano già gettate le basi per un riconoscimento concreto di quella giurisdizione che la Fraternità ha sempre ritenuto di avere ratione status necessitatis a mente delle Normae Generales del Codice di Diritto Canonico e di principi fondamentali di teologia morale come «Lex positiva non obligat cum gravi incommodo»: in presenza, cioè, di un grave incomodo ogni legge puramente positiva (cioè umana, non la legge naturale o quella divina) cessa di obbligare. L’incomodo – secondo la linea della Fraternità – sarebbe l’adesione formale a determinati principi teologici e dottrinali considerati in contrasto con la Tradizione della Chiesa e pertanto non seguibili in coscienza. D’altronde, esistono incomodi di ordine spirituali che, a discrezione del singolo e della sua specifica sensibilità (sempre conformemente alla Legge divina), assumono connotati di impossibilità morale, in quei casi in cui l’azione o le azioni prescritte comportino per la persona occasioni di scandalo, di scrupoli o, comunque, occasione di tralasciare un bene maggiore: «Quanto prescriverebbe la legge canonica non potrebbe nel caso essere compiuto senza grave incomodo, in quanto l’obbedienza imporrebbe un carico materiale o spirituale senza proporzione ai valori promossi dalle legge in questione. L’equità canonica suggerisce che questo grave incomodo è causa scusante sufficiente per questa legge canonica» (FR. J. URRITIA, Les normes generales. Commentaire des canones 1-203, Paris 1994, p. 81, n. 215). Riprendendo l’insegnamento classico, per la Fraternità sussisterebbe uno stato di necessità inquadrabile in quello che nel Dictionarium morale et canonicum a cura del Card. Pietro Palazzini è così considerato: «la necessità grave comune corrisponde alla necessità estrema del singolo, in ragione della preminenza del bene comune sul bene privato»; e così argomenta un colto esponente della Fraternità in un suo scritto: «Questo punto ha due conseguenze che scaturiscono l’una dall’altra, la prima a livello dei doveri e la seconda riguardo ai poteri concessi in questa situazione. Secondo i precetti della carità, è un dovere grave soccorrere il prossimo nell’estrema necessità, e secondo quanto detto sopra lo è anche nella grave necessità comune. Palazzini dice esplicitamente che ogni sacerdote anche senza cura d’anime è tenuto ex caritate a soccorrere sub gravi il prossimo nell’estrema necessità spirituale dandogli i sacramenti, anche con pericolo di vita. E che lo stesso è tenuto a fare nella grave necessità generale. In poche parole, quando tutta una comunità è in difficoltà chiunque sia in grado deve dare una mano secondo le sue possibilità. Questo dovere di carità fonda anche le facoltà che la Chiesa dà ai sacerdoti in questi casi: in particolare tutti gli atti del potere d’ordine diventano leciti, e la giurisdizione per ascoltare le confessioni viene concessa a tutti i sacerdoti. Come è esplicitamente concesso dai canoni (c. 882; nc. 976), ogni sacerdote può lecitamente e validamente assolvere il fedele in punto di morte, cioè nell’estrema necessità; ma a quest’estrema necessità del singolo è appunto equiparata la grave necessità comune, non solo per i doveri ma evidentemente anche per le facoltà concesse onde poter adempiere a tali doveri; quindi attualmente ogni sacerdote può venire in soccorso al fedele che gli chiede l’assoluzione, ricevendo in quel preciso momento la giurisdizione necessaria per farlo a norma del diritto. Si prendano come esempi analoghi le situazioni di alcuni paesi di persecuzione, dove ogni sacerdote che può all’occasione prestare soccorso a dei fedeli lo può fare anche se questi non sono in punto di morte e non sono suoi sudditi» (M. TRANQUILLO, L’apostolato della FSSPX e lo “stato di necessità”, in Tradizione Cattolica, Anno XXI, n° 3 [76], 2010, pp. 18-24).
Queste le medesime ragioni (discutibili, come ogni argomento di dottrina, sulle quali qui naturalmente non si intende esprimere, citandole, alcun giudizio, sia esso negativo o positivo, attesi i colloqui in corso tra i Superiori della Fraternità e la S. Sede) che hanno sempre fondato le argomentazioni da parte della S. Pio X per sostenere anche la liceità delle consacrazioni episcopali del 1988 avvenute senza Mandato Pontificio: «Fermo restando che sarebbe contro il diritto divino pretendere di conferire la giurisdizione episcopale, cosa propria al Romano Pontefice, non lo è di per sé il consacrare dei Vescovi quanto all’Ordine senza il di lui consenso (e infatti tale atto era punito fino a Pio XII solo con la pena della sospensione, segno che si tratta di disposizioni disciplinari). Davanti quindi alla necessità grave per il bene generale di trasmettere il potere d’Ordine senza dover sottostare al grave incomodo (o meglio danno) di accettare un’ambigua professione di fede, venivano a cessare le leggi positive che obbligano a ottenere il consenso del Pontefice per consacrare dei Vescovi, e con esse le pene collegate a tale atto (come è esplicitamente previsto dal diritto stesso, che libera dalla pena chiunque abbia agito spinto dalla necessità: c. 2205 §2; nc. 1323)» (ibid.). - Nella lettera a Mons. Fisichella Papa Francesco auspica il ritorno alla piena comunione, ma di fatto con il suo gesto paterno si è già espresso a riguardo. Nell’ordinamento canonico è secolare la questione del rapporto tra potestà di ordine e potestà di giurisdizione, e di certo non è questa la sede opportuna per discettarne; pur tuttavia traspare con chiara evidenza che l’intentio Summi Pontificis di pacificazione – nel solco della continuità con la straordinaria opera di carità ecclesiale voluta ed attuata da Benedetto XVI – sia volta alla risoluzione del problema tanto canonico quanto dottrinale, e con la sua decisione si crei un precedente non da poco. Il riconoscimento della validità delle confessioni è, infatti, basato su due argomenti: il primo concerne la disposizione dei fedeli che devotamente frequentano le cappelle e le chiese della S. Pio X; il secondo è la potestà sacerdotale plene riconosciuta in capo ai preti della Fraternità. Non è da tralasciare un ulteriore dettaglio di ordine giuridico: mentre nel Codice Piano-Benedettino del 1917 (cfr. c. 872) si usava il termine «giurisdizione» («jurisdictio»), il nuovo Codice promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983 (can. 966) adopera il termine «facoltà» («facultas»), poiché l’assoluzione non sembra essere un atto di potestà di regime nel senso tecnico di cui al can. 129 (cfr. Communicationes 10, 1978, 56): siamo dell’avviso che in realtà la facultas presupponga un jus: la facoltà è, infatti, la legittimazione all’esercizio di un diritto che si dà come già esistente in capo al sacerdote; quindi, a fortiori, si tratta di un passo in più rispetto alla giurisdizione, perché è exercitium juris e non mere juris tantum titulum. Oltretutto, si viene anche a configurare una peculiarità: normalmente, com’è già stato notato, ogni sacerdote ipso iure ha la facoltà di confessare lecitamente, ma sono esclusi i casi dei delitti riservati alla Sede Apostolica (cfr. cann. 977, 1367, 1370, 1378, 1382, 1388), all’Ordinario del luogo (can. 1398) ed al Canonico Penitenziere (can. 508); considerato che il Santo Padre, nella stessa lettera, estende a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere lecitamente anche il delitto riservato dell’aborto di cui al can. 1398 (così scrive il Papa: «Anche per questo motivo ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono»), è logico considerare che in capo ai sacerdoti della Fraternità risieda altresì questa facoltà – che da speciale, dunque, per volontà pontificia «nonostante qualsiasi cosa in contrario» diventa abituale – e che, non essendo previsto alcun limite nella disposizione papale si possa anche supporre (quantunque di mera supposizione teorica trattasi: «Privilegia Summi Pontificis ipse solus interpretari potest et debet», G. DE OCKHAM, Opera politica, cap. II, IX) che quegli stessi sacerdoti possano anche godere delle più ampie facoltà di confessare qualsiasi fedele, e non a ragione di una delega da parte dell’Autorità che le detiene territorialmente, bensì in forza di una disposizione universale del Sommo Pontefice, cui è data la Potestas clavium.
Anche questo aspetto, dunque, sottolinea l’approccio diverso al problema dello status canonico della Fraternità, poiché si tratta la questione applicando principi generali come l’equitas (cioè la «Justitia dulcore misericordiae temperata» secondo la felice espressione di S. Cipriano, ripresa da Enrico da Susa noto come l’Ostiense, cfr. Summa, De dispens., § 1), a favore dei fedeli e della loro salute spirituale, non limitandosi ad una mera esecuzione della norma positiva, partendo da uno dei luoghi sacri dove misericordia e giustizia si uniscono: il foro interno. Del resto, l’equitas, notava un ignoto glossatore medievale, «Nihil aliud est quam Deus». Si può dunque serenamente affermare che la disposizione pontificia non conceda la giurisdizione in foro interno ma la presupponga, riconoscendo la libertà di esercizio della facoltà di confessare valite ac licite. D’altronde, è lo stesso già citato canone sulle confessioni in periculo mortis (can. 976: «Quilibet sacerdos, licet ad confessiones excipiendas facultate careat…») a dichiarare che la liceità (e non solo la validità) di dette confessioni prescinde anche dalla compresenza di un sacerdote «approvato»: detta previsione normativa conferma, dunque, che il possesso o meno della facoltà non sia talmente essenziale ai fini del sacramento da dover considerare l’esercizio del diritto come extrema ratio, bensì ne sia espressione naturale che conferma la titolarità di un diritto, che in casu è discendente dal conferimento e dalla legittima ricezione dell’Ordine Sacro. - Il Papa, infatti, scrive «mosso dall’esigenza di corrispondere al bene di questi fedeli, per mia propria disposizione stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati» (sottolineature ns.). Nel nostro caso, infatti, si tratta di una disposizione, per così dire, che “di riflesso” riguarda la Fraternità da un punto di vista istituzionale, perché «è rivolta a quei fedeli che per diversi motivi si sentono di frequentare le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X». Con questa espressione il Papa, saltem implicite, tratta l’argomento dello stato di necessità o comunque di difficoltà pastorale di un numero – per altro non indifferente – di fedeli cattolici che si sentono legati alla Tradizione e, segnatamente, alla Fraternità. Il Santo Padre si prende cura di loro, non li ritiene extra Ecclesiam, non li definisce né scomunicati né scismatici (come spesso sommariamente e incautamente qualcuno li definisce) ma piuttosto li rasserena spiritualmente assicurando la liceità delle loro confessioni, al fine di lucrare l’Indulgenza giubilare. Di riflesso - si diceva - i sacerdoti della Fraternità che amministrano il sacramento agiscono in modo non solo valido ma anche lecito, poiché in capo a loro si presuppone l’esistenza ontologica della potestà di giurisdizione e non solo di ordine (mai messa in discussione), che ora però vengono esercitate apertamente in modo congiunto col beneplacito del Romano Pontefice, teleologicamente ordinate al conseguimento della salus animarum, che nella Chiesa è suprema lex (cfr. can. 1752 CIC).
Esercitando a pieno il munus Petrinum, Papa Francesco, nel contesto peculiare dell’Anno giubilare della Misericordia, guarda con paterna sollecitudine alle diverse realtà che compongono il variegato mondo ecclesiale, applicando sapientemente il cantus firmus del suo pontificato a quella molteplicità di carismi che rendono peculiare il Popolo di Dio (cfr. Lumen gentium, 12; Apostolicam actuositatem, 3), non escludendo coloro i quali sono, per vari motivi, legati alle tradizioni.
La lettera papale conferma, dunque, la via di pacificazione sapientemente costruita e ampiamente solcata da Papa Benedetto XVI nel corso del suo Pontificato, ed attraverso modalità semplici e spontanee innesta nel cammino ecclesiale conseguenze non indifferenti per una conciliazione giuridica che tenga presente in modo equilibrato le necessità pastorali anche di quanti ritengono che non sia opportuno cedere ciecamente a quel percorso che vuole la conoscenza umana, l’evoluzione filosofica del pensiero, il cammino della spiritualità come geometricamente visualizzati come una semiretta che procede indefessamente verso l’avanti, senza mai farsi frenare dal dubbio che tale concezione a senso unico del progresso possa trarre in inganno, arrivando a non coincidere affatto col concetto di miglioramento, quando, al contrario, da un punto di vista strettamente logico, è forse molto più probabile pensare che l’errore si celi dietro l’aleatorietà di un’innovazione piuttosto che fra quelle pieghe che l’esperienza umana ha oramai acquisito come giuste e virtuose.
Confidiamo che i chicchi di questo Anno giubilare, se così opportunamente seminati, unendo la Misericordia alla virtù della Giustizia nell’adesione alla Verità, possano produrre robusti alberi che rinvigoriscano i polmoni della Chiesa, orientando l’anelito alla contemplazione della Bellezza trascendente di Dio, di cui è sublime Icona l’immacolata Sposa di Cristo che trova la sua epifania nel Pontificato romano.
Fabio ADERNÒ
23 commenti:
@ Ringraziamo l'autore di questo testo cristallino, che conferma, con grande chiarezza e competenza, l'opinione di tutti coloro che avevano avuto un'impressione positiva dal disposto del Papa a proposito della Fraternita'. Con argomentazione giuridicamente ineccepibile, l'autore dimostra che la famosa nota dell'"illiceita'" deve considerarsi eliminata. PP
È certamente una domanda un po' ingenua, ma alla luce di quello che dice San Paolo (lo Spirito vivifica, la lettera uccide) e basandosi sulla suprema legge della Chiesa (la salvezza delle anime, principio che la FSSPX giustamente invoca nel suo agire), non è forse un po'fuorviante andare a cercare troppi cavilli canonici, affrontando la cosa con una mentalità legalistica e giuridica che può confondere molti fedeli? Non è magari meglio accogliere senza troppi distinguo questi gesti certo un po'improvvisati, ormai comuni nel fare del VDR, e vedere quali effetti procureranno nella Chiesa? Spesso nella sua storia le vie apparentemente strane, poco "legali" e traverse hanno sortito risultati insperati.
Le confessioni della fsspx erano invalide e torneranno ad esserlo alla fine del giubileo.
Giovanni
Ha parlato l'"Oracolo di Delfo", apodittico e senza motivazioni.
Non meritava attenzione; ma è la summa di quanto purtroppo non solo viene riversato qui (a cui ovviamente non do' spazio a meno che non si tratti di considerazioni meritevoli di attenzione) ma anche circola sulla rete. Espressioni in cui si riscontra un'ostinata avversione 'viscerale' e direi, proprio per questo, sospetta di poca misericordia ma anche di scarsa giustizia, nei confronti della FSSPX e di tutto quanto la riguarda.
Grazie all'Autore e a Mic per questo chiarificante testo. Cristallino, come ben definito da PP. Rimane tuttavia aperto un tema importante: la lettera a monsignor Fisichella così recita: "... stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati"; ora, trattandosi di un atto ad tempus, limitato alla durata del Giubileo, ne dovrebbe conseguire che la liceità (visto che, come ben chiarito, sulla validità nulla quaestio), oggi non c'è, ci sarà durante il Giubileo, e cesserà di esserci al suo termine. Il che suonerebbe un po' bizzarro, quanto meno da un punto di vista logico, prima ancora che canonico.
Non è né una sottovalutazione della positività dell'atto di Bergoglio - che comunque va accolto con legittima prudenza, considerati i precedenti -, né cavillosità. Il rischio concreto, concretissimo, è che, salvo questa "misericordia" a tempo, il testo serva come "pezza d'appoggio" per chi sostiene l'illiceità dei Sacramenti amministrati dalla Fraternità.
Richiamo l'attenzione su questo punto, che risponde a un'altra delle domande del canonista americano pubblicate ieri e formula una precisazione in più riguardo ai sacerdoti della FSSPX:
"Oltretutto, si viene anche a configurare una peculiarità: normalmente, com’è già stato notato, ogni sacerdote ipso iure ha la facoltà di confessare lecitamente, ma sono esclusi i casi dei delitti riservati alla Sede Apostolica (cfr. cann. 977, 1367, 1370, 1378, 1382, 1388), all’Ordinario del luogo (can. 1398) ed al Canonico Penitenziere (can. 508); considerato che il Santo Padre, nella stessa lettera, estende a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere lecitamente anche il delitto riservato dell’aborto di cui al can. 1398 (così scrive il Papa: «Anche per questo motivo ho deciso, nonostante qualsiasi cosa in contrario, di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno Giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono»), è logico considerare che in capo ai sacerdoti della Fraternità risieda altresì questa facoltà – che da speciale, dunque, per volontà pontificia «nonostante qualsiasi cosa in contrario» diventa abituale – e che, non essendo previsto alcun limite nella disposizione papale si possa anche supporre (quantunque di mera supposizione teorica trattasi: «Privilegia Summi Pontificis ipse solus interpretari potest et debet», G. DE OCKHAM, Opera politica, cap. II, IX) che quegli stessi sacerdoti possano anche godere delle più ampie facoltà di confessare qualsiasi fedele, e non a ragione di una delega da parte dell’Autorità che le detiene territorialmente, bensì in forza di una disposizione universale del Sommo Pontefice, cui è data la Potestas clavium. "
Non è né una sottovalutazione della positività dell'atto di Bergoglio - che comunque va accolto con legittima prudenza, considerati i precedenti -, né cavillosità. Il rischio concreto, concretissimo, è che, salvo questa "misericordia" a tempo, il testo serva come "pezza d'appoggio" per chi sostiene l'illiceità dei Sacramenti amministrati dalla Fraternità.
Richiamo l'attenzione sulla precisazione che segue, tratta dal punto 2. dell'articolo, che va soppesato per intero in tutti i suoi passaggi:
...poiché, guardando oltre la relaxatio disciplinae operata dalla disposizione pontificia «durante l’Anno della Misericordia», appare evidente che si siano già gettate le basi per un riconoscimento concreto di quella giurisdizione che la Fraternità ha sempre ritenuto di avere ratione status necessitatis a mente delle Normae Generales del Codice di Diritto Canonico e di principi fondamentali di teologia morale come «Lex positiva non obligat cum gravi incommodo»: in presenza, cioè, di un grave incomodo ogni legge puramente positiva (cioè umana, non la legge naturale o quella divina) cessa di obbligare. L’incomodo – secondo la linea della Fraternità – sarebbe l’adesione formale a determinati principi teologici e dottrinali considerati in contrasto con la Tradizione della Chiesa e pertanto non seguibili in coscienza. D’altronde, esistono incomodi di ordine spirituali che, a discrezione del singolo e della sua specifica sensibilità (sempre conformemente alla Legge divina), assumono connotati di impossibilità morale, in quei casi in cui l’azione o le azioni prescritte comportino per la persona occasioni di scandalo, di scrupoli o, comunque, occasione di tralasciare un bene maggiore...
Non sono un teologo, ma mi sfugge perchè alla povera FSSPX vengono richiesti continui attestati di purezza teologica e dogmatica che poi non bastano mai, mentre contemporaneamente e alla luce del sole decine se non centinaia di prelati di ogni ordine e grado rilasciano tranquillamente in ogni continente e sede che va dalla comune omelia alle pagine dei giornali dichiarazioni su ogni aspetto dello scibile umano e divino apertamente in chiarissimo e matematico contrasto con le pagine dei Vangeli senza che alcuno in Vaticano o nelle varie Curie abbia alcunchè a ridire e nè a chiedere conto.
Parrebbe vi sia in tutto ciò qualcosa di profondamente pretestuoso e manipolatorio nonchè molto poco rassicurante sulla reale natura e carattere di ciò che chiamiamo Chiesa Cattolica.
Miles
Cara Mic
mi auguro anch'io che quanto adombrato da Fabio Adernò: "appare evidente che si siano già gettate le basi per un riconoscimento concreto di quella giurisdizione che la Fraternità ha sempre ritenuto di avere" trovi concreta attuazione. Per ora, si sono solo gettate le basi. Temporanee. Vedremo.
Francamente una cosa è o non è. Che senso avrebbe riconoscere legittime e valide le confessioni solo per l'anno giubilare?
Un conto sono le facoltà straprdinarie per il peccato di aborto, un altro conto è la questione lefebvriana. In questo caso anche un papa non può dichiarare valido ciò che non lo è o attribuire legittimità (sia pure temporanea) senza i presupposti richiesti. Se il criterio seguito, come dichiarato, è la salus animarum e se si riscontra che i sacerdoti FSSPX la garantiscono, che senso ha la temporaneità?
"...stabilisco che quanti durante l’Anno Santo della Misericordia si accosteranno per celebrare il Sacramento della Riconciliazione presso i sacerdoti della Fraternità San Pio X, riceveranno validamente e lecitamente l’assoluzione dei loro peccati».
Mic, anch'io mi domando che senso abbia la temporaneità, ma dalla formulazione del vdr purtroppo non risulta così. Ormai non rimane che attendere.
Il mio timore è che questa concessione sia come una versione demo gratuita a tempo limitato; per disporre poi della versione pro bisognerà pagare un tot.
Di quest’articolo mi convince una sola cosa: il titolo. E’ vero che vengono toccati e ribaditi due punti fondamentali del contendere e cioè che: 1) Tutti i sacramenti FSSPX sono validi e leciti (PER I FEDELI) 2) dall’8 dicembre 2015 all’8 dicembre 2016 i confessori FSSPX assolvono oltrechè validamente anche lecitamente. Tutto il resto però o si desume, “implicite”, “de facto” o lo si considera come evoluzione probabile. Certo tutte le interpretazioni e le ottimistiche prospettive a favore della FSSPX sono anche le mie. Eppure il bravo Silente, con garbo deduce “de facto” esattamente il contrario e cioè che l’atto di “misericordia” temporaneo avrà la CERTA conseguenza che il 9 dicembre 2016 scatterà inequivocabilmente l’illiceità. E degli implicite, de facto “si desume” ce ne faremo un baffo se entro l’anno non avremo sacrificato al Dio non cattolico. Ma, purtroppo. C’è di più! L’illiceità attuale colpisce i ministri, non i fedeli che ricevono comunque integralmente la Grazia Sacramentale. Il subdolo testo viene introdotto come atto di unilaterale misericordia di Bergoglio (interessante come lo chiama il giovane avvocato e cioè motu proprio) verso quei fedeli (bislacchi, strani e ritardati ndr) che non si sa bene perché vogliono confessarsi da questi mezzi preti. STOP. Anzi questi preti disobbedienti, CHE CELEBRANO E FANNO CELEBRARE SOLO VO ( proprio come P Manelli, pare siano stati accuratamente messi al riparo dalla misericordia del vdr. Le conclusioni consistono in aspirazioni speranze, e non sempre condivisibili opinioni. Sicuramente non condivisibile è quella della continuità fra l’azione intrapresa da BXVI e quella di Bergoglio. Provate a chiedere cosa pensa di BXVI la Fraternità dopo il “gancio” dei colloqui naufragati e con la nomina di Muller che intimava loro la consegna dei seminari. Poco convincente pare anche il pistolotto finale inneggiante al “paterno” gesto di un vescovo che non capisce neppure chi è per giudicare. Purtroppo è un articolo che parte giuridico e conclude politico, e accademicamente sarebbe da cassare, ma ai giovani si sa si deve perdonare molto. Mi ripeto: Mons Schneider chiese il riconoscimento completo subito. In risposta: PERDONO PER UN ANNO ai cattolici che si confessano dai sacerdoti FSSPX. Non c’è che dire. Un gran risultato! La BV illuminò Mons Felley quella sera di maggio, temo però che stavolta se la FSSPX si darà alla propaganda pro Bergoglio sarà per lei la fine. E purtroppo dovremo serenamente trovare un approdo di sicurezza diverso da quello che avevamo messo in conto. Staremo a vedere.
temo però che stavolta se la FSSPX si darà alla propaganda pro Bergoglio sarà per lei la fine. E purtroppo dovremo serenamente trovare un approdo di sicurezza diverso da quello che avevamo messo in conto. Staremo a vedere.
Non lo metterei in conto, a giudicare dal grato e cortese ma fermo comunicato di Fellay, se hai ben presente la seconda parte e la conclusione...
@ Come dice il proverbio: non bisogna fasciarsi la testa prima di averla rotta?
Mi sembra questo l'atteggiamento di tutti quelli che stanno gia' ad almanaccare su che cosa succedera' di qui ad un anno, alla fine del Giubileo. O sulle "vere" (e si intende diaboliche) intenzioni di Papa Bergoglio. E' assai probabile che cerchi di raggiungere la "piena comunione", come si dice oggi, con la Fraternita'. Obiettivo gia' perseguito invano da Benedetto XVI. E che al dunque chieda qualcosa in cambio nei confronti del Concilio. E' probabile ma non sicuro, data la personalita' particolare e indubbiamente sconcertante per vari aspetti di questo pontefice. Invece di agitarsi tanto, ringraziamo e portiamo a casa. E ringraziamo lo Spirito Santo con le opportune giaculatorie e novene. Poi si vedra'. Il riconoscimento resta importante. Possiamo dire che la caduta della nota della "illiceita'" siano una conseguenza logica della remissione delle scomuniche fatta da Ratzinger.
Dire poi che le confessioni amministrate dai sacerdoti della Fraternita' "erano invalide" significa parlare da ignoranti, da gente che non conosce il diritto canonico e nemmeno quello che diversi alti prelati hanno detto in passato sui Sacramenti amministrati dalla Fraternita': validi anche se illegittimi, da un punto di vista disciplinare (illegittimi per i preti non per i fedeli. Che poi queste confessioni dei "lefebvriani", alla fine del Giubileo, ridiventino automaticamente "valide ma illecite" a me sembra abnorme. Non so se la cosa sia possibile dal punto di vista del diritto canonico. Sembrerebbe di no, in base al chiaro articolo che abbiamo appena letto.
La definizione di "motu proprio" data dal "giovane avvocato" e' del tutto corretta dal punto di vista delle fonti del diritto della Chiesa. Si tratta di un'iniziativa personale del Papa, "di propria iniziativa", che agisce da solo in quanto titolare in modo immediato della somma potesta' di giurisdizione su tutta la Chiesa. Dopo la confusa collegialita' introdotta dal Concilio, iniziative del Papa "motu proprio" non piacciono ai vescovi, che vorrebbero vedere il Papa come semplice capo del loro collegio, agente sempre in qualita' di capo di questo "collegio". Invece il Papa e', per diritto divinio, capo di tutta la Chiesa e puo', per via della successione apostolica, decidere da solo per tutta la Chiesa in materia di fede (Giubileo) e costumi. PP
Nel comunicato ufficiale della FSSPX si fa riferimento alla giurisdizione straordinaria che i sacerdoti della San Pio X avrebbero usato e continuano ad usare nell'amministrazione dei Sacramenti. Questa è una vera e propria contraddizione in quanto la giurisdizione straordinaria si applica praticamente in due casi soltanto: quando il ricevente il sacramento è in stato di necessità o pericolo mortale e quando il ministro non ha la giurisdizione ordinaria per qualche grave motivo (fuori diocesi, sospensione, sede vacante, ecc.). Fino ad un certo numero di anni fa, dalla morte di Mons. Fefebvre in poi) la questione della Sede Vacante restava dubbia per mancanza di prove certe, ma non veniva esclusa in via ipotetica dalla Fraternità: in tale situazione l'appello alla giurisdizione straordinaria poteva avere un senso; tuttavia da qualche anno a questa parte (e massimamente in questa circostanza), Mons. Fellay fa aperta professione di riconoscere senza esitazione la legittimità del Pontefice romano. Anzi, il dubbio e la possibilità della Sede vacante ora sono tassativamente escluse e vietate dalla predicazione e dall'insegnamento della FSSPX. Ora, poiché la giurisdizione straordinaria esclude quella ordinaria e viceversa in situazioni come questa, cessa automaticamente lo stato di necessità per cui si invocava quella straordinaria. Non basta la scomodità di cercare un buon confessore per configurare uno stato di necessità. Dunque, con questa dichiarazione di riconoscimento della giurisdizione papale, la FSSPX: o si è data la zappa sul piede, obbligandosi per l'avvenire ad accettare in toto ciò che la Chiesa uscita dal Vaticano II impone, oppure scientemente, sotto larvata presunzione e finta protesta, accetta l'evoluzione de facto della situazione, guardandosi bene dal mettere per iscritto una qualsiasi professione di fede, che a nessuna delle due parti converrebbe, perché vincolante per entrambe. Al Papa attuale non converrebbe, in quanto attuatore di un magistero liquido che tende a smorzare ed annullare le differenze dottrinali con le altre confessioni cristiane, dimenticando di esplicitare lo specifico cattolico a favore di quanto unisce, anziché divide. Nemmeno a Fellay converrebbe mettere per iscritto una dichiarazione dogmatica che dovrebbe inevitabilmente includere il Vaticano II per fare la differenza e così ci perderebbe la faccia di fronte ai sacerdoti, ai propri fedeli e alla storia. Ne consegue (secondo me - e vorrei tanto sbagliarmi) che l'accordo procederà di fatto e non de iure a forza di donativi (anche non richiesti), riconoscimenti (vedi Argentina) e privilegi vari senza mai toccare il dogma. In un certo senso, se la strada implicitamente tracciata dal documento papale, volutamente informale,è proprio questa, si tratta di un astuto ricatto a cui la Fraternità sembra non volersi opporre.
Caro PP,
lei scrive: " Che poi queste confessioni dei "lefebvriani", alla fine del Giubileo, ridiventino automaticamente "valide ma illecite" a me sembra abnorme..
Anche a me. E' esattamente ciò che sostengo. Ma il testo della "lettera", o motu proprio, o in qualsiasi modo la si voglia chiamare (ma perché questo Papa non si attiene alla prassi canonica delle comunicazioni pontificie? Se è un motu proprio, perché non è stato definito come tale?) è chiarissima al proposito: "durante l’Anno Santo della Misericordia". Quindi, salvo pur sempre possibili novità, l' "indulto" (o qualunque cosa sia, vedi la nota di prima), è temporaneo. Inequivocabilmente. E, mi perdoni, l'affermazione "perché fasciarsi la testa prima di essersela rotta?" mi sembra, con tutto il rispetto, piuttosto superficiale e di scarsa lungimiranza. Non caratterizzata della usuale profondità del suo pensiero e dei suoi testi, che le ho sempre riconosciuto. La Chiesa e le sue leggi canoniche non possono "vivere alla giornata" ("oggi è così, domani vedremo"). Come giustamente affermava Mic qui sopra: "Francamente una cosa è o non è. Che senso avrebbe riconoscere legittime e valide le confessioni solo per l'anno giubilare?."
E tutto ciò, lo ribadisco ancora, senza nulla togliere al giudizio positivo, sia pure accompagnato dalla dovuta prudenza, sull'atto papale, qualsiasi sia la sua confusa e indeterminata natura, esemplarmente dimostrativo del "circiterismo", dottrinale e giuridico, del Regnante Pontefice.
Silente
@ Sedevacantisti, sempre a seminar confusione, quando vi rinsavirete?
1. Legare la "giurisdizione straordinaria" all'ipotetica "sede vacante" nel caso della Fraternita' e' un falso storico. Tale giurisdizione fu espressamente conferita da mons. Lefebvre quando consacro' (senza mandato pontificio) i quattro vescovi, dicendo che non avrebbero avuto la potesta' di giurisdizione ma solo quella d'ordine, una "giurisdizione supplita" simile a quella dei vescovi in terra di missione. Questo, proprio perche' non voleva creare una chiesa parallela, attuare uno scisma, non perche' considerasse vacante la sede apostolica. Tale conferimento si giustificava per lo stato di necessita', provocato dalla grave crisi della Chiesa, che imponeva ad un vescovo consapevole quale mons. Lefebvre di mantenere la Messa OV e il Seminario tradizionale per la formazione di preti autenticamente cattolici. Mons. Lefebvre non ha mai legato lo stato di necessita' e il conseguente conferimento di una giurisdizione supplita (solo potere d'ordine) ai suoi vescovi alla supposta vacanza della sede. Anzi, ha sempre detto che il sedevacantismo non era la soluzione dei problemi della Chiesa ed era da evitare in tutti i modi. Non riconosciamo autorita' alle dichiarazioni di mons. Lefebvre su questo punto?
2. La FSSPX non e' mai stata sedevacantista, ne' sul piano pratico ne' su quello teorico. Conseguentemente ha sempre pregato nella Messa per l'Ordinario locale e per il Pontefice regnante, riconoscendone ovviamente la giurisdizione. Non si e' data "nessuna zappa sui piedi", ne' ieri ne' oggi. Il comunicato di mons. Fellay, che ringrazia il Papa per il "gesto paterno" e' molto sobrio e non fa, ne' fa' presagire concessione alcuna sul piano dottrinale. Si limita a prendere atto di un dono sicuramente apprezzato e a ringraziare, come esige anche la buona educazione. Costruirci sopra romanzi e profezie apocalittiche sul futuro della Fraternita' e' pura perdita di tempo. PP
Ringrazio PP per la chiara e limpida puntualizzazione.
Dobbiamo solo attendere, come ho già detto molte volte, in fiduciosa (nel Signore) attesa; un'attesa vigile, però, come dimostra essere anche quella di mons. Fellay. Vedasi il suo corretto e ineccepibile comunicato.
E' chiaro, si sapeva che non c'era un riconoscimento canonico, ma si è sempre comunque parlato di stato di necessità. C'è ancora lo stato di necessità o no? Prima c'era, o no? In questi anni ci siamo ben confessati e le confessioni erano valide, lecite efficaci o no?
Perchè ora mi mettete in crisi.
La confusione a mio parere si fa sempre più fitta, nel senso che da una parte i sacramenti sono amministrati spesso male con delle carenze o degli abusi, ma sono ritenuti validi e leciti a causa del diritto canonico (la messa nuova è valida e lecita, valida ma non lecita, come possiamo definirla?), dall'altra abbiamo sacramenti amministrati come la tradizione e la dottrina insegna, sono validi, ma illeciti perchè non c'è un riconoscimento cattolico. Dunque un poveraccio che vuole rimanere cattolico ed ha esigenza di avere i sacramenti da che parte deve stare? andare dai modernisti che sono a posto con le leggi canoniche, ma spesso non si sa che imbrogliano, o andare dalla FSSPX che amministra i sacramenti come sempre ha fatto madre Chiesa, ma i sacramenti non sono dati lecitamente a causa di un non riconoscimento canonico? Caspiterina, c'è da diventare matti. Però se lo stato di necessità sussisteva e sussiste ancora (forse più di prima) non si deve essere sereni in tutti i modi sia prima, sia ora che c'è un amnistia di un anno, sia dopo se l'amnistia cessa? Cosa è cambiato, mi vien da chiedere,c'è un'aria nuova che aleggia? Non so cosa si sta dicendo ai fedeli della FSSPX sia da parte del Papa che da parte della FSSPX? E' cambiata la visione, la prospettiva? Non capisco se è un passo del pontefice verso il ritorno alla tradizione (ma da altri segni mi vien da pensare proprio di no) o se sta venendo meno la convinzione da parte della FSSPX che lo stato di necessità c'era e c'è e le anime avevano ed hanno bisogno ancora di buoni sacramenti e buona dottrina, non solo per un anno e non solo da ora, ma anche ieri e domani. Che ci sia un certo riconoscimento pubblico, capisco che è importante, così più anime possono avvicinarsi alla tradizione, ma non vedo veri cambiamenti a Roma, non vedo un ritorno alla tradizione e alla dottrina, comunque anche quando non c'era questo riconoscimento il lavoro si faceva per Dio e per le anime e ciò non incuteva timore di essere rifiutati dal mondo, di non essere benvoluti, persino di essere sacomunicati e ritenuti scismatici. Si sapeva che non si poteva essere scomunicati nè ritenuti scismatici per essere rimasti cattolici e non essere diventati apostati. Spero che la Chiesa oggi sfigurata, abbia sempre suplito, visto lo stato di necessità e spero di aver ricevuto sacramenti vivificanti non inutili in tutti questi anni, che Dio nonostante le leggi canoniche abbia considerato la nostra buona fede.
@ Mah chissà
Il diavolo è il divisore per antonomasia, crea confusione, scompiglio, insinua dubbi nelle cose certe, scrupoli per incrinare granitiche certezze, induce ad applicare il principio divide et impera, tutto ciò è segno della sua presenza.
Lei non si lasci coinvolgere in queste dinamiche. Certo è bene interrogarsi, ma soprattutto rimanere in orante vigilanza nell'osservare i segni dei tempi, ma senza assolutamente lasciarsi mettere in crisi su quello che Dio ci ha donato finora.
Questa concessione del vdr ti mette in crisi? Ignorala. Non è poi così importante.
Io mi sono avvicinato alla Tradizione, in questi mesi ho conosciuto meglio la SPX, pur senza farne parte, per le mie circostanze frequento la Chiesa "ordinaria".
Sono arrivato alla conclusione che per la nostra salvezza dobbiamo appellarci semplicemente alla Chiesa di sempre, il Corpo Mistico di Cristo, Chiesa Trionfante, Purgante, Militante.
Quest'ultima è in crisi? OK, ne soffriamo, ma sappiamo che non si esaurisce in se stessa. Stop. In nostro parlare sia SI SI NO NO senza lasciarsi coinvolgere esistenzialmente nei cosiddetti circiterismi.
Molti di quelli che hanno paura a vedere e ad affrontare la situazione ormai rispondono con la frase fatta del "non praevalebunt", Dio non abbandona la sua Chiesa. Ne sono convinto anch'io, ma noi non sappiamo quale sarà la conformazione della vera Chiesa di NSGC dopo la battaglia; Egli stesso si domandava se al Suo ritorno ci sarebbe ancora stata la fede nel mondo.
Perciò in definitiva dobbiamo solo rimanere stabili e vigilanti.
Ringrazio vivamente, pur con animo deluso, della censura totale del mio intervento. Poichè esso era per niente offensivo, ma chiarificatore e complementare alle altre voci (la verità, almeno presunta, offende?) adesso ho la prova provata, dopo altre esperienze, che lei, Signora Guarini non è persona aperta alla verità, benché abbastanza colta. Dispiace prima di tutto a me non avere trovate persone capaci e totalmente coraggiose da mettere in discussione le proprie teorie. Io credo d'averlo fatto durante questi lunghi anni a costo di perdere amici e conoscenti e sono sempre disposto a rimangiarmi i dati acquisiti ed elaborati qualora mi accorgessi (ed altri mi dimostrassero) che ho sbagliato. Purtroppo non ho trovato che pochissime persone disponibili a continuare la ricerca della verità costi quello che costi. Fortunatamente non dipendo da nessuno e sono libero di giocarmi la vita su queste cose. Capisco che è una grazia ricevuta da Dio questa totale libertà: è preziosa e non posso sprecarla: la mia coscienza non mi darebbe pace. Non ho altro da aggiungere, perché mi fido dei degnissimi sacerdoti che mi hanno riferito le cose nascoste e scomode su Mons. Lefebvre. Umanamente ed economicamente parlando, essi non hanno guadagnato nulla dalla rottura con la Fraternità, ma hanno rischiato la fame, la diffamazione, la solitudine ed altri mali. Ho la rara fortuna di avere ascoltato entrambe le campane ed osservato attentamente i comportamenti delle persone in questione. So a chi ho dato fiducia. Il tempo darà ragione a chi lo merita, sempre che ne resti per riparare le omissioni, gli inganni e la pusillanimità. Auguro nonostante tutto una buona crescita nella vita spirituale. Da ora non interverrò più su questo blog, qualunque cosa vogliate replicare.
Anonimo deluso,
Le cosiddette "verità scomode" per di più "presunte", diventano asserzioni che possono recare molto danno alla causa che dice di rappresentare (ricerca della verità). Ovviamente si riferisce alla verità storica sulla incresciosa vicenda di cui stiamo parlando, molto soggetta a manipolazioni da parte dei non pochi avversari della fraternità, specialmente in questo momento cruciale così delicato.
Per quale ragione dovrei dar spazio e credito a chi pretende dare testimonianza diretta senza almeno metterci la faccia? E senza neppur provare a farsi meglio conoscere dal contesto con cui vuole interagire?
Lasciamo perdere i nomi e cognomi fittizi che ogni tanto spuntano.... Ma poi lo stile e il tono sono sempre quelli...
Anonimo, non metto in dubbio la dignità dei sacerdoti che lei frequenta, come non metto in dubbio la dignità dei sacerdoti della FSSPX e quella di alcuni sacerdoti diocesani che vogliono con fatica rimanere fedeli ai loro doveri e al loro mandato. Il fatto è che quando viene meno il Pastore, cioè il Papa tutto diventa confusione il gregge si disperde e divide, certi cadono nei burroni, altri si immobilizzano terrorizzati , altri brancolano in giro rifugiandosi dove che ancora una fiammella, ma tutti siamo comunque siamo vulnerabili, tutti posiamo sbagliare e cadere, se è caduto il Papa per noi è ancora più facile. Pertanto la soluzione è rimanere saldi nella fede, nella dottrina, andare dove i sacramenti vengono dati bene e smetterla di farci la guerra, perhè innanzi tutto non serve nulla alle anime, ad esempio quei bollettini sedevacantisti che continuano a sparlare della FSSPX invece di insegnare la dottrina, il discernimento, la santità di vita, a cosa servono per la salvezza delle anime? Nessuno ha la formula per essere infallibile ed impeccabile, solo il Papa è infallibile e non sempre, dunque noi manteniamo il seme vivo, poi non starà nè ai "lefebvriani", nè ai sedevacantisti, nè ai sedevacanti non sedevacantisti (quelli che dicono che il Papa materialmente c'è, ma non spiritualmente)salvare la Chiesa, quello lo farà Dio e solo un Papa alla fine giudicherà chi era in questi decenni eretico, scismatico, scomunicato etcc...a noi il compito arduo di rimanere fedeli fino alla morte e possibilmente di dare a quelli che ci stanno attorno cose buone, discorsi retti e parole vere, oltre a testimonianza di vita santa (con la grazia di Dio) per il resto sono solo parole in più che vengono dal maligno. Se qualcuno poi tradirà la causa, diserterà la battaglia (speriamo di non essere noi stessi)ricordiamoci un detto che dice: strada lunga paglia pesa, nel senso che quando la strada è lunga e non si vede mai una risoluzione, anche la paglia diventa pesante e può farci cadere. Preghiamo di poterci sempre rialzare e che si rialzino anche coloro che sfiduciati, o stremati dalla lotta hanno ceduto le armi o vogliono cederle.
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