Peregrinatio Summorum Pontificum 2022

venerdì 6 maggio 2016

Gianni T. Battisti. La Legge Divina e la legge umana.

Il saggio che segue, ora ampliato e rivisto, era apparso in Gianni T Battisti, La pipa di padre Tomas – Scritti teologici If Press, Roma, 2016. [vedi]

La Legge Divina e la legge umana. 
Una riflessione teologica e giuridica sulla scia del grande insegnamento della Enciclica Veritatis Splendor di san Giovanni Paolo II e dell’ insegnamento morale di padre Tomas Tyn

   San Giovanni Paolo II ha scritto Lettere Encicliche davvero straordinarie. Un Magistero formidabile per quantità e qualità dei documenti. Un dono di Dio per noi. Tra le tante alte espressioni magisteriali del santo pontefice la Veritatis Splendor - enciclica del 6 agosto 1993, enciclica che porta la data della festa della Trasfigurazione del Signore Gesù Cristo sul Tabor - assume una grande rilevanza in quanto dedicata “ad alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa” e quindi, indubbiamente, risulta essere una lettera enciclica di stringente attualità.

   Evidente perciò come tale documento magisteriale rivesta per noi una notevole importanza rispetto al tema che vogliamo qui brevemente trattare quello cioè, fondamentale, del rapporto legge divina - legge umana e quindi anche diritto-morale.

    Don Oreste Benzi diceva che “per capire come sta l’uomo bisogna osservare di fronte a chi si inginocchia”. Di fronte a chi ci inginocchiamo oggi noi?  Ci inginocchiamo  di fronte agli idoli o “pieghiamo il ginocchio” - e Dio lo voglia davvero -  di fronte al Dio Vivo e Vero? Il cardinal Robert Sarah dice che l’uomo è davvero grande solo quando è in ginocchio davanti a Dio. Pensiamoci un attimo con intelligenza, con coraggio, franchezza e discernimento a ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi, al vento di follia che soffia impetuoso. Pensiamo, ma possibilmente con santo equilibrio - padre Tomas Tyn si definiva non a caso un “fanatico dell’equilibrio” - a ciò che sta accadendo nella nostra “favolosa” epoca così ricca di prospettive, così moderna ed “emancipata”. Ebbene eccola la nostra “grandiosa” epoca: tutto viene rimesso, al giorno d’oggi, alla scelta del singolo. Il singolo, l’individuo,  può scegliere anche le più gravi aberrazioni che, tanto, sono considerate,  dai più,  come un suo sacrosanto diritto. Dunque ogni voglia diventa un diritto al giorno d’oggi. E guai a farlo notare o a combattere per la verità dell’essere e dell’uomo, guai  a condurre la buona battaglia. Il buon senso sembra esser stato messo in soffitta nell’ora presente e quando ci si prova ad obbiettare,  a rilevare con intelligenza e coerenza, con decisione e coraggio, le follie che al giorno d’oggi si manifestano in ogni dove si viene subito definiti intolleranti, intransigenti, retrogradi, si viene accusati di attentare alla libertà dell’individuo. 
“Questo errore - ci ricorda padre Giovanni Cavalcoli - si è diffuso molto nell’età moderna. Suppone la convinzione che l’esistenza di Dio impedisca la libertà dell’uomo, in quanto comporterebbe un principio esterno all’uomo - appunto Dio - supposto Creatore e Legislatore della condotta umana, per cui verrebbe meno l’essenza stessa della libertà, la quale per definizione è un energia che scaturisce dall’intimo dell’uomo, per cui tale libertà escluderebbe l’obbedienza ad una legge esterna e richiederebbe l’autonomia nel senso forte ed etimologico del termine, che significa esser legge a se stesso…”. 
San Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor ci istruisce mirabilmente così: 
“…l’obbedienza a Dio non è, come taluni credono, un’eteronomia, come se la vita morale fosse sottomessa alla volontà di un’onnipotenza assoluta, esterna all’uomo e contraria alla affermazione della sua libertà. In realtà, se eteronomia della morale significasse negazione dell’autodeterminazione dell’uomo o imposizione di norme estranee al suo bene, essa sarebbe in contraddizione con la rivelazione dell’Alleanza e dell’Incarnazione redentrice. Una simile eteronomia non sarebbe che una forma di alienazione, contraria alla sapienza divina ed alla dignità della persona umana. Alcuni parlano, a giusto titolo, di teonomia o di teonomia partecipata, perché la libera obbedienza dell’uomo alla legge di Dio implica effettivamente la partecipazione della ragione e della volontà umane alla sapienza e alla provvidenza di Dio”. 
Mons. Antonio Livi ci ricorda che, da un punto di vista filosofico, una grossa responsabilità, anche in questo ambito, possiamo attribuirla al cd fallibilismo epistemologico di Popper che fonda pure diverse ideologie tra cui il liberalismo laicistico e il fideismo cattolico oltre a contribuire  all’ attuazione alla cd open society nella quale tutti criticano tutti.  San Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor chiarisce ancora, sempre da par suo, i termini della questione: “ Lo Splendore della Verità rifulge in tutte le opere del Creatore e in particolare nell’uomo creato a immagine e somiglianza con Dio… chiamati alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo luce vera che illumina ogni uomo (Gv 1,9), gli uomini diventano luce nel Signore e figli della luce (Ef 5,8) e si santificano con l’obbedienza alla verità (1Pt 1,22). 

Questa obbedienza non è sempre facile. In seguito a quel misterioso peccato d’origine, commesso per istigazione di Satana, che è menzognero e padre della menzogna (Gv 8,44), l’uomo è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (1Ts1,9), cambiando la verità di Dio con la menzogna (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la verità e la sua capacità di sottomettersi ad essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (Gv 18,38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità… nello stesso tempo, nell’ambito delle discussioni teologiche postconciliari si sono sviluppate alcune interpretazioni della morale cristiana che non sono compatibili con la sana dottrina ( 2 Tm 4,3)”. 

Dunque quale libertà nell’ora presente? San Giovanni Paolo II ci ricorda ancora che “il Concilio, di fronte ai nostri contemporanei che tanto tengono alla libertà e che la cercano ardentemente ma che spesso la coltivano in malo modo, quasi sia lecito tutto purchè piaccia, compreso il male, presenta la vera libertà: La vera libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo consiglio ( Sir 15,14), così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore, e giunga liberamente, con la adesione a lui, alla piena e beata perfezione. Se esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, esiste ancor prima l’obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta”. Ebbene al giorno d’oggi si dimentica, o si fa finta di non sapere o si contesta l’evidenza, che vi è una legge che ci è stata data da Dio e che dobbiamo osservare. Al giorno d’oggi si arriva a “negare la dipendenza della libertà dalla verità”. 

In realtà non posso stabilire io che cosa sia bene e che cosa sia male. Tutto ciò è riservato al nostro Creatore e Signore che, fino a prova contraria, direbbe il nostro padre Tomas Tyn, conosce meglio di noi ciò che è utile per la nostra salvezza e ciò che è dannoso. Veritatis Splendor sottolinea ancora come la Rivelazione insegna che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all’uomo, ma a Dio solo. Anche perché, in maniera molto consolante per noi, la Bibbia ci dice che “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati ed arrivino alla conoscenza  della verità” (1Tm 2, 4).  Il racconto di Genesi,  la caduta di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, questo cataclisma ontologico come ebbe a definire il peccato originale sempre Papa Giovanni Paolo II, è dunque la migliore catechesi in tal senso. Il santo pontefice così continua il suo mirabile insegnamento: “ …la Rivelazione insegna che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all’uomo, ma a Dio solo. 

L’uomo è certamente libero dal momento che può comprendere e  accogliere i comandi di Dio. Ed è in possesso di una libertà quanto mai ampia, perché può mangiare di tutti gli alberi del giardino. Ma questa libertà non è illimitata. Deve arrestarsi di fronte all’albero della conoscenza del bene e del male, essendo chiamata ad accettare la legge morale che Dio dà all’uomo. In realtà, proprio in questa accettazione la libertà dell’uomo trova la sua vera e piena realizzazione. Dio, che solo è buono, conosce perfettamente ciò che è buono per l’uomo, e in forza del suo stesso amore glielo propone nei comandamenti”. Così non stabilisco io ciò che è lecito fare e ciò che non lo è,  ma Colui che mi ha creato e che continua a mantenermi nell’essere - Se Tu togli il Tuo soffio muore ogni cosa recita il salmo 103 - lo ha stabilito da tutta l’Eternità. Questo ci dice la nostra fede. Ed ecco allora che la morale discende direttamente da Dio, Dio che è pertanto anche il Supremo Legislatore e fin dai tempi antichissimi il Decalogo è lì a testimoniarcelo. Anche Gesù è un legislatore forte. Detta legge! Lattanzio dice che Cristo è Viva Lex.

San Giovanni Paolo II sottolinea ancora come “la meditazione del dialogo tra Gesù e il giovane ricco ( Maestro che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?) (Mt 19,16) ci permette di raccogliere i contenuti essenziali della Rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento circa l’agire morale. Essi sono: la subordinazione dell’uomo e del suo agire a Dio cioè a Colui che solo è buono; il rapporto tra il bene morale degli atti umani e la vita eterna; la sequela di Cristo che apre all’uomo la prospettiva dell’amore perfetto, ed infine il dono dello Spirito Santo fonte e risorsa della vita morale della creatura nuova (2Cor 5,17)… 

La Sacra Scrittura rimane la sorgente viva e feconda della dottrina morale della Chiesa”. Come afferma il Concilio Vaticano II Dei Verbum 7: “Il Vangelo è fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale”. Come accennato, nel Discorso della Montagna -appunto Magna Charta della morale evangelica - Gesù dice: “ Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17). La Veritatis Splendor ci ricorda ancora che “Cristo è la chiave delle scritture: Voi scrutate le Scritture, esse parlano di me”(Gv 5,39). 

La legge morale fissata da Dio è dunque, evidentemente,  superiore alla legge positiva fissata dagli uomini, legge positiva che a volte, al contrario di quella divina, può sbagliare, per mille motivi può sbagliare (si pensi soltanto, tanto per fare un esempio agli interessi particolaristici ed alla pressione davvero forte di potenti lobbies che condizionano la stesura di una legge). Il legislatore terreno non potrà mai stabilire per legge che 2 più 2 fa 5!  Sopra sta la Verità, la Legge Eterna di Dio e sotto sta la legge umana. Sant’Agostino definisce la Legge di Dio come “ la ragione o la volontà di Dio che comanda di conservare l’ordine naturale e proibisce di turbarlo” e il Dottore Angelico san Tommaso d’Aquino parla di “ ragione della divina sapienza che muove tutto al fine dovuto”. La sapienza di Dio dice papa Giovanni Paolo II è provvidenza, amore che si prende cura. Ed è Dio stesso dunque che “ provvede agli uomini in modo diverso rispetto agli esseri che non sono persone: non dall’esterno, attraverso le leggi della natura fisica, ma dal di dentro, mediante la ragione che, conoscendo col lume naturale la legge eterna di Dio, è per ciò stesso in grado di indicare all’uomo la giusta direzione del suo libero agire”. Sant’Agostino si chiedeva dove fossero iscritte queste regole rispondendo: nel libro della luce che si chiama verità da cui è dettata ogni legge giusta “che si trasferisce retta nel cuore dell’uomo che opera la giustizia, non emigrando in lui, ma quasi imprimendosi in lui, come l’immagine passa dall’anello nella cera, ma senza abbandonare l’anello”. 

San Giovanni Paolo II può chiarire allora come “proprio grazie a questa verità la legge naturale implica l’universalità. Essa in quanto iscritta nella natura razionale della persona, si impone ad ogni essere dotato di ragione e vivente nella storia. Per perfezionarsi nel suo ordine specifico, la persona deve compiere il bene ed evitare il male, vegliare alla trasmissione e alla conservazione della vita, affinare e sviluppare le ricchezze del mondo sensibile, coltivare la vita sociale, cercare il vero, praticare il bene, contemplare la bellezza”. Andiamo allora un po’ più alla radice della questione morale che tanto ci preoccupa al giorno d’oggi.  In effetti, come accennato,  le deviazioni morali derivano dagli errori dottrinali. Il disprezzo della sana dottrina ha sempre causato disastri. Le cattive filosofie (idealismo, pragmatismo, relativismo, gnosticismo, esistenzialismo, ateismo,  modernismo - sintesi, quest’ultimo, di tutte le eresie come ebbe a definirlo San Pio X) coinvolgono tante anime che aderendo a tali false dottrine seminano poi il cattivo seme che genera comportamenti errati, laddove non delittuosi e comunque contrari al piano divino, conducendo, chi le abbraccia queste filosofie, alla morte.  

Tommaso Campanella, ai primi del seicento ne La città del sole invita a coltivare la vera religione e a ben filosofare:
“… si deve l’uomo molto dedicare alla vera religione, ed onorar l’autor suo; e questo non può ben fare chi non investiga l’opere sue e non attende a ben filosofare, e chi non osserva le sue leggi sante… se dai figli e dalle genti noi onor cercamo, alli quali poco damo, assai più dovemo noi a Dio, da cui tutto ricevemo, in tutto siamo e per tutto. Sia sempre lodato…”.
 Anche il  sommo Poeta Dante Alighieri ne La Divina Commedia al V canto del Paradiso, con insuperabile vena poetica, ci esortava, secoli prima di Tommaso Campanella, in questo modo: 
“Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. Avete il novo e l’vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte…”.
 Alla radice degli errori c’è dunque sempre la superbia umana,  il primo vizio capitale, quella mala cupidigia che  rende gli uomini pecore matte e che si sostanzia nella non accettazione del piano divino sotto il pretesto, come dicevamo poc’anzi,  di  una falsa “libertà” che  verrebbe, appunto, coartata. Ci ricorda in tal senso sempre p. Cavalcoli che “si è diffuso di recente un concetto spontaneistico della libertà, il quale dietro l’influsso di una certa psicologia quale quella freudiana, insiste in maniera esagerata sulle inclinazioni e sugli istinti” quasi fossero questi ultimi la misura del comportamento umano, mentre disse giustamente e oserei dire, profeticamente, il  p. Cordovani, che  il “disastro morale che incombe è causato dal disorientamento nel campo del pensiero e dal tradimento della rettitudine”. 

Ascoltiamo allora cosa ha da dirci ancora il Servo di Dio p. Tomas Tyn: 
“Notate che la gnosi è modernissima: tutti i nostri spontaneisti moderni che esaltano la libertà totale sono gnostici. È diabolica, sapete, adesso non voglio scatenarmi troppo, ma effettivamente sotto sotto, quella libertà totale, completa, sganciata dai valori morali è pura gnosi. Spacciata per spiritualità, questa libertà totale in fondo è satanismo”. 
Il grande Vescovo di Ippona Sant’Agostino ci insegna che “la prima libertà consiste nell’essere esenti da crimini” e - dice ancora Giovanni Paolo II - “solamente la libertà che si sottomette alla Verità conduce la persona umana al suo vero bene”. La nostra in sostanza “ è una libertà reale, ma finita: non ha il suo punto di partenza e incondizionato in se stessa, ma nell’esistenza dentro cui si trova e che rappresenta per essa, nello stesso tempo un limite ed una possibilità. È la libertà di una creatura, ossia una libertà donata, da accogliere come un germe e da far maturare con responsabilità... ragione ed esperienza dicono non solo la debolezza della libertà umana, ma anche il suo dramma. L’uomo scopre che la sua libertà è misteriosamente inclinata a tradire questa apertura al Vero e al Bene e che troppo spesso, di fatto, egli preferisce scegliere beni finiti, limitati ed effimeri”. 

Anche padre Tomas Tyn ci dona in tal senso un folgorante pensiero: «I difetti dell’uomo non sono propriamente offesa a Dio, e tuttavia sottraggono l’uomo al progetto di Dio e però non sono infiniti. Che cosa c’è allora nella colpa che fa sì che questo contrasto con Dio sia infinito anche dalla parte dell’uomo che pecca? È la nostra libertà. Vedete, noi siamo veramente dotati della libertà dell’arbitrio; la nostra sorte è nelle nostre mani, come dice la Scrittura. Infatti noi possiamo veramente decidere del nostro destino.
   È una cosa terribile. Adesso ci inoltriamo di nuovo su di un terreno difficile; comunque proviamo a dirlo con molta cautela spiegandolo. Possiamo dire che l’uomo non è creatore dell’essere.
   Certo, solo Dio può creare l’essere;  ma l’uomo è creatore del suo bene o male morale; è creatore della sua moralità, cioè l’uomo decide del suo essere buono o cattivo.
   È questa, una cosa importante; notate bene che questo è un mistero stupendo, come l’uomo, nell’interiorità e nella spiritualità delle sue facoltà, cioè nell’intelletto e nella volontà, che poi insieme sono la radice della libertà, come quindi soprattutto nella libertà l’uomo veramente è imago Dei, immagine di Dio, ovvero  Dio è creatore sul piano dell’essere fisico, mentre l’uomo è creatore sul piano dell’essere interiore del suo bene o male morale. Vedete che in questo senso veramente, ma solo in questo senso, l’uomo è capace dell’infinito.
   Siamo portatori non dell’infinito stesso, ma di una capacità protesa verso l’infinito e questo è vero; ma, ve lo dico tra parentesi, vedete, bisogna sempre notare dove stanno le radici di certi errori che spesso si divulgano al giorno d’oggi. Pensate per esempio all’esistenzialismo e all’ateismo di tipo esistenzialistico, come si manifesta soprattutto in Sartre o in Kant.
   Ecco, questo tipo di ateismo parte da un presupposto ovviamente non corretto, ma neanche del tutto privo di fondamento, cioè che l’uomo deve essere Dio e siccome però l’uomo non può esserlo, e pure questo è vero, si dichiara che l’uomo è assurdità, che l’uomo è vanità, che l’uomo è passione inutile, che l’uomo è fallimento.

   Dov’è la premessa falsa? La premessa falsa sta nel non distinguere questo duplice tipo di essere: la libertà, che crea per così dire l’essere morale; e l’essere reale, che invece può essere creato solo da Dio per cui noi non ne siamo padroni. Quindi siamo padroni della prima dimensione, non della seconda.
   Gli atei allora, badando alla padronanza cioè alla libertà che l’uomo ha su sé stesso, hanno detto che se le cose stanno così, se cioè l’uomo è padrone di sé vuol dire che l’uomo è Dio. Solo che poi constatando che in realtà l’uomo non è Dio, ecco che l’esistenza umana appare una assurdità. Da qui l’esistenzialismo ateo sartriano.”

  La libertà dunque, come dice il titolo di un bel libro di padre Giovanni Cavalcoli dedicato all’insegnamento morale di padre Tomas Tyn ai giovani, ha bisogno di essere liberata. E san Giovanni Paolo II ci ricorda che Cristo ne è il liberatore: avendoci Egli liberati perché restassimo liberi (Gal 5,1). Cristo rivela quindi che il riconoscimento onesto e aperto della verità è condizione di libertà: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi ( Gv 8,32). Essendo appunto “la verità che rende liberi davanti al potere e dà la forza del martirio”. Quello che ha fatto Gesù davanti a Pilato! “Così i veri adoratori di Dio devono adorarlo in spirito e verità ( Gv 4,23): in questa adorazione diventano liberi”. In tal modo la “contrapposizione anzi la radicale dissociazione tra libertà e verità è conseguenza, manifestazione e compimento di un’altra più grave e deleteria dicotomia, quella che separa la fede dalla morale. Questa separazione costituisce una delle più gravi preoccupazioni pastorali della Chiesa… urge allora che i cristiani riscoprano la novità della loro fede e la sua forza di giudizio di fronte alla cultura dominante e invadente: Se un tempo eravate tenebra ci ammonisce l’apostolo Paolo, ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente… ( Ef 5,8-11.15-16).

Una volta il conte Joseph de Maistre scrisse 
“… cominciamo con l’esaminare il male che è in noi e impallidiamo affondando uno sguardo coraggioso nel fondo di questo abisso perché è impossibile conoscere il numero delle nostre trasgressioni e non è neppure più facile sapere fino a che punto il tale o il talaltro atto colpevole abbia ferito l’ordine generale e contrariato il piano del Legislatore Eterno”.
   Grazie a Dio la Santa Madre Chiesa,  per mezzo del suo Magistero,  ci ammonisce e,  come  madre premurosa,  ci conduce sulla retta via, se solo lo vogliamo.
   “La Chiesa - dice Paolo VI nella Humanae Vitae - ha il mandato da Cristo - in ciò infallibilmente assistita da Lui - di insegnare al mondo sia la legge evangelica che la legge naturale… è infatti incontestabile, come hanno più volte dichiarato i nostri predecessori, che Gesù Cristo, comunicando a Pietro e agli Apostoli la Sua divina autorità ed inviandoli ad insegnare a tutte le genti i suoi comandamenti, li costituiva custodi ed interpreti autentici di tutta la legge morale, non solo cioè della legge evangelica, ma anche di quella naturale essendo essa pure espressione della volontà di Dio, l’adempimento fedele della quale è parimenti necessario alla salvezza”. Quindi, Cristo, che ha fondato la Sua Chiesa come “colonna e sostegno della Verità” (1Tm 3, 15) ha stabilito che “con l’assistenza dello Spirito Santo,  essa conserva incessantemente e trasmette senza errare le verità dell’ordine morale” (Dignitatis Humanae n.14). Dunque il Concilio Ecumenico Vaticano II asserisce esplicitamente l’infallibilità del Magistero in campo morale. E ci ricorda padre Giovanni Cavalcoli che “l’importanza fondamentale della legge morale naturale, come norma assoluta della condotta morale fondata sulla natura umana, è stata ricordata di recente anche da Papa Benedetto XVI” anche se padre Cavalcoli stesso, realisticamente, ci dice pure che “…è impossibile una convinta pratica morale nell’attuale clima di relativismo etico, se non la si fonda su salde e motivate convinzioni teoriche di ragione e di fede. Le esortazioni morali, anche più sagge ed illuminate, rischiano di essere inefficaci, quando non ci si impegna seriamente a confutare quegli errori e quelle eresie, i quali, tradotti nella prassi, producono logicamente una condotta opposta a quella predicata dall’Episcopato… bisogna in sostanza rendersi conto che gran parte della tanto sbandierata modernità in realtà è un ritorno alla barbarie”. L’esortazione e l’invito ai Vescovi ad un maggiore impegno in tal senso - da parte del  teologo domenicano - è dunque forte e chiaro.

   Tutto ciò non toglie evidentemente - e vogliamo senz`altro ribadirlo - che, comunque,  abbiamo sulla terra una guida  sicura stabilita da Dio stesso! La Santissima Vergine Maria, Sede della Sapienza e Mater Ecclesiae, intercede per noi perché possiamo sempre seguire gli insegnamenti, anche in campo morale, della Santa Chiesa Una, Cattolica, Apostolica, fondata, sostenuta e condotta per mano, nonostante le molte infedeltà umane, dal Suo Divin Figlio.

   Volendo comunque un po’ approfondire il rapporto fra diritto e morale, il rapporto  fra legge divina e legge umana non possiamo non essere tuttavia in sintonia  con i numerosissimi  teologi, filosofi, giuristi in  tutto il mondo che ne hanno sottolineato la grande importanza e delicatezza considerando da sempre queste problematiche, come uno degli snodi fondamentali e più problematici del pensiero umano.

   Dal Cielo il nostro padre Tomas Tyn  condividerà senz’altro anche  questa affermazione. Quante volte, del resto, padre Tomas Tyn si è confrontato con questa “alta” questione e quante perle preziose di sapienza ci ha lasciato in eredità!  Padre Tomas, come visto,  combatteva da par suo il “riduzionismo anti-sapienziale” che pretendeva stoltamente di negare “il carattere razionale e scientifico, nel senso non positivistico della parola, della teologia”. In tal senso l’amato domenicano ci ricorda come sia “compito del teologo, in particolare anche del moralista, quello di fornire delle dimostrazioni” pur raccomandando una “certa docilità” e pur consapevole come  “a livello morale non si possa pretendere una dimostrazione di un rigore assoluto, proprio perché la materia è contingente, trattandosi degli agibili dell’uomo”. La “docilità” raccomandata dal Servo di Dio è dunque d’obbligo, trattandosi, appunto, di  questioni “alte” quali son sempre quelle che pongono l’uomo dinanzi ad una scelta che deve incontrare il Divino. In tale prospettiva un altro grande pensatore come Romano Guardini giungeva addirittura a sottolineare, con una certa qual sofferenza, come i suoi pensieri ruotassero sempre intorno alla questione  “di come Dio voglia il finito” consapevole che “ogni valore è in se stesso chiaro, ma, non appena entra nella compagine della vita umana, si circonda quasi di un alone caliginoso di ingiustizie e deformazioni: di qui una profonda problematicità della dimensione morale, o meglio del volere, agire, esistere in senso morale…” anche in considerazione del fatto che “l’uomo è un fascio di contraddizioni”. Alessandro Manzoni ne I promessi sposi dice che il cuore dell’uomo è un guazzabuglio! Il pensiero di cui sopra sottolinea di nuovo  Guardini  “emerge molto presto nella storia dello spirito, vedi la dottrina aristotelica della mesòtes etica; cosicchè, l’autentico atteggiamento morale presuppone il sentimento della complessità della vita, un interiore senso della misura e un certo sollevarsi al di sopra…”. 

Sempre nella Veritatis Splendor san Giovanni Paolo II insegna ancora come: “la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l’uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose”. 

Ora, come visto, la morale cattolica si fonda sul buonsenso dogmatico. Sempre il Servo di Dio padre Tomas Tyn ad esempio aveva, come sottolineato in precedenza, orrore per  l’errore e l’eresia, ma aveva un grande amore per l’errante che cercava di correggere - mettendo con ciò in atto quell’opera di carità spirituale che tanto lo contraddistingueva - con la carità ed il rispetto che si addicono ad un santo pur consapevole che, come affermava il cardinal Giacomo Biffi: “… la storica saggezza della Chiesa non ha mai ridotto la condanna dell’errore a una pura e inefficace astrazione. Il popolo cristiano va messo in guardia e difeso da colui che di fatto semina l’errore, senza che per questo si cessi di cercare il suo vero bene e pur senza giudicare la responsabilità soggettiva di ciascuno che è nota solo a Dio”. Il filosofo Antonio Livi rileva, con la consueta acutezza, come: “… particolarmente  evidente è la crisi che lo scetticismo imperante ha prodotto nell’ambito della coscienza morale. Ma la crisi della morale non è la radice, ma uno dei rami di questo male che è lo scetticismo. È comunque un sintomo allarmante…” visto che, continua il filosofo e teologo del senso comune “il crollo delle certezze morali comporta la fine dell’uomo e della società, e poi anche della vera religione, quella cattolica”.

   Del resto, nei limiti del possibile, ci è richiesto anche su questa terra un sano discernimento tra bene e male e tutto sommato la giustizia umana cerca proprio di far questo. Quello che ci è proibito - e ci mancherebbe - è di sostituirci al giudizio divino. Dunque continua san Giovanni Paolo II “ le norme morali, e in primo luogo quelle negative che proibiscono il male, manifestano il loro significato e la loro forza insieme personale e sociale: proteggendo l’inviolabile dignità personale di ogni uomo, esse servono alla conservazione stessa del tessuto sociale umano e al suo retto e fecondo sviluppo”. Invece, dicevamo, al giorno d’oggi cosa accade? Accade che non esiste più la morale oggettiva nei nostri salotti radical chic, dove domina uno scetticismo “alla moda” che non ammette una verità che superi le mille e spesso bislacche opinioni umane, non esiste più la morale oggettiva tra i nostri famosi opinion leaders, che poi  mediante meccanismi ben collaudati - verrebbe da dire, facendo eco al cardinal Robert Sarah, da veri “strateghi del male” - influenzano l’intera società attraverso il cinema, le televisioni, l’internet, le radio, i libri, la stampa. È questa indubbiamente l’epoca del relativismo morale cosicché la morale oggettiva, dicevamo, è stata sostituita da una umbratile, incerta, vaga, fumosa, zuccherosa - sicuramente perniciosa - morale situazionale. San Giovanni Paolo II sottolinea ancora che “il rapporto che esiste tra la libertà dell’uomo e la legge di Dio ha la sua sede viva nel cuore della persona, ossia nella sua coscienza morale”. La grande dignità della coscienza morale è stata posta in risalto dal Concilio Vaticano II. In particolare  la Costituzione Gaudium et Spes al numero 16 insegna che: 
“Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre chiaramente dice alle orecchie del cuore:  fa questo, fuggi quest’altro.
   L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore; obbedire a questa legge è la dignità stessa dell’uomo e secondo essa egli sarà giudicato (Rm 2, 14-16). La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo…”.
  San Giovanni Paolo II ci dice allora che “ non si apprezzerà mai adeguatamente l’importanza di questo intimo dialogo dell’uomo con se stesso. Ma, in realtà, questo è il dialogo dell’uomo con Dio, autore della legge, primo modello e fine ultimo dell’uomo”. Ecco allora che il  Serafico Dottore san Bonaventura può stupendamente affermare che la coscienza “è come l’araldo di Dio e il messaggero, e ciò che dice non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama l’editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha la forza di obbligare”. “La coscienza morale - scrive ancora san Giovanni Paolo II - è dunque il luogo, lo spazio santo nel quale Dio parla all’uomo” essendo come un “riflesso della sapienza creatrice di Dio, che come una scintilla indistruttibile (scintilla animae), brilla nel cuore di ogni uomo. Mentre però - continua il santo pontefice – la legge naturale mette in luce le esigenze oggettive e universali del bene morale, la coscienza è l’applicazione della legge al caso particolare, la quale diventa così per l’uomo un interiore dettame, una chiamata a compiere nella concretezza della situazione il bene… mantenendo il giudizio della coscienza intatto il suo carattere imperativo: l’uomo deve agire in conformità ad esso… rivelandosi qui il vincolo della libertà con la verità”. San Paolo stesso dice che “ la coscienza fa da testimone” (Rm 2,15). 

Certamente è in tal senso fondamentale una coscienza rettamente formata, avere cioè una buona coscienza (1Tm1,5) poiché è tutt’altro che esente, quel giudizio, dalla frequente possibilità di errore dovendo quindi essere la coscienza illuminata dallo Spirito Santo e quindi pura (2Tm1,3). Potendo  errare la coscienza non è dunque un giudice infallibile e nondimeno “l’errore della coscienza può esser frutto di una ignoranza invincibile” dice ancora san Giovanni Paolo II ed in questo caso ove non colpevole essa “non perde la sua dignità perché pur orientandoci di fatto in modo difforme dall’ordine morale oggettivo, non cessa di parlare in nome di quella verità sul bene che il soggetto è chiamato a ricercare sinceramente”. 

Certo Giovanni Paolo II avverte come “prima di  sentirci facilmente giustificati in nome della nostra coscienza,  dovremmo meditare sulla parola del salmo: Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo (Sal 19,13). Ci sono colpe che non riusciamo a vedere e che nondimeno rimangono colpe perché ci siamo rifiutati di andare verso la luce (Gv 9,39-41). La coscienza, come giudizio ultimo concreto, compromette la sua dignità quando è colpevolmente erronea ossia quando l’uomo non si cura di cercare la verità e il bene e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all’abitudine al peccato”. 

Come dicevamo è dunque essenziale formare la coscienza. “In realtà -scrive ancora san Giovanni Paolo II in Veritatis Splendor - è il cuore convertito al Signore e all’amore del bene la sorgente dei giudizi veri della coscienza”. Fortunatamente comunque, in tutta l’aspra battaglia che è la vita umana - essendo i cristiani nel mondo seppur non essendo del mondo - ci viene in soccorso in primis la Regina del Cielo e della terra la Santissima Vergine Maria, Aiuto dei cristiani. Quindi ci vengono in soccorso gli angeli e i santi. I santi come ci ricorda il card. Carlo Caffarra, attualizzano mirabilmente la morale cristiana nei vari momenti storici. È questa una delle immense ricchezze del cristianesimo cattolico. Avere tanti “campioni” di fede e di morale che ci danno un luminoso esempio, che ci edificano spiritualmente, che ci attraggono con il loro esempio e la vera bontà. 

Lo scrittore cattolico Hernest Hello ha scritto pagine memorabili sui santi: “Il vero santo possiede la carità; ma è una carità terribile che brucia e divora; una carità che detesta il male, perché vuole la guarigione. Il santo che il mondo si figura, dovrebbe avere una carità dolciastra che benedicesse chiunque, che benedicesse qualunque cosa, che benedicesse in qualunque circostanza. Il santo che il mondo si figura dovrebbe sorridere all’errore, al peccato a tutto e a tutti. Dovrebbe essere senza indignazione,  senza profondità,  senza elevatezza…”.

   Ma continuiamo a parlare della legge divina. Il Concilio Vaticano II Dignitatis humanae 3 ci dice che “ norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con un disegno di sapienza e di amore ordina, dirige e governa tutto il mondo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l’uomo della sua legge, cosicché l’uomo, per soave disposizione della provvidenza divina, possa sempre più conoscere l’immutabile verità”.

   La Sacra Scrittura elogia  la legge di Dio. La Veritatis Splendor insegna che è nei salmi che incontriamo i sentimenti di lode, gratitudine e venerazione che il popolo eletto è chiamato a nutrire verso la legge di Dio, insieme all’esortazione a conoscerla, meditarla e tradurla nella vita: “ Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte” (Sal 1,1-2); “Beato l’uomo che cammina nella legge del Signore… non commette ingiustizie cammina per le Sue vie. Tu hai dato i Tuoi precetti perché siano osservati fedelmente…” (Sal 118); “La legge del Signore è perfetta rinfranca l’anima… i precetti del Signore sono retti fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido illumina gli occhi… i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti. Più preziosi dell’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante” (Sal 18);  “Le opere delle Sue mani sono verità e giustizia stabili sono tutti i Suoi comandi, immutabili nei secoli per sempre…” (Sal 111). 

Il giovane teologo dei Francescani dell’Immacolata p. Serafino Lanzetta evidenzia come “i principi morali naturali sono evidenze indimostrabili e essi stessi presupposti di una vera conoscenza… Alla ragione è immediatamente evidente la legge morale nel suo primissimo principio che implica il dover fare sempre il bene ed evitare il male”. P. Serafino ci ricorda in sostanza il principio primo della morale: bonum faciendum, malum vitandum principio messo da parte nell’attuale clima di nichilismo morale in cui l’uomo dimentica colpevolmente che a Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede (il credere) e pure quella dei comportamenti umani (l’agire, l’operare umano) (“Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” Gv 14, 15; “Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” Gv 15, 14). Condicio sine qua non dell’amore a Dio è dunque l’osservanza della Sua legge consapevoli, con il santo Apostolo, che “pieno compimento della Legge è l’amore” (Rm 13, 10) infatti “il termine della legge è Cristo” (Rm 10,4). 

Cristo è dunque anche pienezza, compimento, realizzazione della legge. Sant’Ambrogio dice che plenitudo legis in Christo est! I comandi del buon Dio, lungi dunque dall’essere costrizioni, sono ali per innalzarsi fino a Lui, manifestando essi in realtà l’amore e la paterna sollecitudine di Dio per l’uomo. San Giovanni Paolo II afferma in tal senso che “ la legge di Dio non attenua né tanto meno elimina la libertà dell’uomo, al contrario la garantisce e la promuove”. Il libro del Deuteronomio ci invita  a riflettere questa parola del Signore “Io ti comando di osservare i comandamenti perché tu viva e sia felice” (Dt 6,3; 30, 15 segg.). Possiamo dunque comprendere ancor meglio l’insegnamento della Veritatis Splendor in campo morale: “La moralità degli atti è definita dal rapporto della libertà dell’uomo col bene autentico… col fine ultimo dell’uomo che è Dio stesso. Tale bene è stabilito, come legge eterna, dalla Sapienza di Dio che ordina ogni essere al suo fine: questa legge eterna è conosciuta tanto attraverso la ragione naturale dell’uomo ( e così è legge naturale), quanto in modo integrale e perfetto attraverso la rivelazione soprannaturale di Dio (e così è chiamata legge divina). L’agire è moralmente buono quando le scelte della libertà sono conformi al vero bene dell’uomo ed esprimono così l’ordinazione volontaria della persona verso il suo fine ultimo, cioè Dio stesso: il bene supremo nel quale l’uomo trova la sua piena e perfetta felicità… la fede possiede anche un contenuto morale: origina ed esige un impegno coerente di vita, comporta e perfeziona l’accoglienza e l’osservanza dei comandamenti divini”.

   “La legge - ci ricorda S. Andrea di Creta Vescovo - fu vivificata dalla grazia e posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni… Tuttavia la legge che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà”. Il profeta Ezechiele al capitolo 18 versetti 1-9 ci comunica questa straordinaria “parola del Signore”: “… Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia… se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina,  divide il pane con l’affamato e copre di vesti l’ignudo, se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall’iniquità e pronunzia retto giudizio fra un uomo e un altro, se cammina nei miei decreti e osserva le mie leggi agendo con fedeltà, egli è giusto ed egli vivrà, parola del Signore Dio…”.  

Orbene  padre Tomas Tyn con la consueta forza espressiva, ci esorta, al contrario, ad avere “il coraggio di insorgere contro leggi umane nefande…”. Uno dei massimi giuristi del novecento, Francesco Carnelutti ci ricorda che noi possiamo senz’altro dire di una legge emanata dal legislatore umano che è una legge ingiusta. Così “… se anche una legge può essere ingiusta - dice Carnelutti - la conformità alla legge non è più un concetto idoneo a definire la giustizia. Come si supera dunque questa grande difficoltà? Non c’è altra via - chiarisce l’insigne giurista - che non sia quella di riflettere che altro sono le leggi fatte dagli uomini, altro sono le leggi fatte da Dio” e d’altra parte, sin dall’antichità, un grande dottore come san Girolamo enunciava l’assioma secondo cui aliae sunt leges Caesarum aliae Christi.

   “Le leggi fatte dagli uomini - continua Carnelutti - come tutte le loro opere, possono essere sbagliate. Le leggi fatte dagli uomini sono delle brutte copie delle leggi fatte da Dio; somigliano a queste ultime come un fantoccio meccanico può somigliare ad un uomo vivo. Ecco che, la più semplice indagine mette capo a questa verità; al di sopra delle leggi votate dai parlamenti o imposte dai dittatori ci sono altre leggi, fatte per gli uomini, ma non dagli uomini, che, se non si vedono scritte in un codice, sono dimostrate dalla ragione come è dimostrata dal calcolo degli astronomi l’esistenza di una quantità di stelle, che neppure il telescopio riesce a scoprire”. Francesco Carnelutti  non voleva naturalmente mettere in discussione l’opportunità di una “sana laicità” delle istituzioni umane, la sostanziale bontà delle leggi e della società civile, i tanti buoni e apprezzabili valori presenti nel mondo - e d’altra parte anche il Santo Apostolo Paolo nella prima lettera a Timoteo capitolo 1 versetto 8 ci dice: “Noi sappiamo che la legge è buona purché se ne faccia un uso legittimo”. Giovanni Paolo II ci ricorda in tal senso che il Concilio Vaticano II in Gaudium e Spes 36 dedica in effetti una speciale attenzione alla autonomia delle realtà terrene mettendo in evidenza, il Concilio, come “le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare”.  Il Concilio stesso tuttavia non manca di mettere in guardia invitando all’esercizio di una attenta vigilanza di fronte “ a un falso concetto dell’autonomia delle realtà terrene”, quello che si produce quando si ritiene che “ le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore” poiché tutto ciò conduce inevitabilmente ad una dimensione atea. “Anzi l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa”. Torniamo a Carnelutti. Il celebre giurista friulano traeva  le logiche conclusioni del  ragionamento di cui sopra: “… Così la giustizia si risolverebbe sempre nella conformità alla legge, purché s’intenda non legge fatta dagli uomini, ma fatta da Dio. Quando un atto è conforme a una legge fatta da Dio è giusto anche se non è conforme a una legge fatta dagli uomini; e viceversa. Perciò abbiamo udito il Vicario di Cristo insegnare ai giudici che quando una legge non è conforme al diritto naturale, in massima, non la debbono applicare. Poiché l’insieme delle cose fatte da Dio si chiama la natura, al complesso delle leggi fatte da Dio si è dato il nome, assai appropriato, di diritto naturale”.

   Ed in effetti l’insigne giurista aveva probabilmente nella mente e nel cuore il memorabile discorso del Venerabile Pontefice Pio XII al Tribunale della Sacra Romana Rota del 13 novembre 1949. In quella occasione il Papa ci regalò appunto un mirabile discorso, un discorso di stringente attualità, un discorso che occorre leggere con attenzione e sentimenti di gratitudine per il limpido e retto insegnamento del Venerabile Pontefice: 
“… È impossibile osservare con attenzione il mondo corporeo e spirituale, fisico e morale, senza essere colpiti d’ammirazione allo spettacolo dell’ordine e dell’armonia che regnano in tutti i gradi della scala dell’essere. Nell’uomo fino a quella linea di confine in cui si arresta la sua attività incosciente e comincia l’azione cosciente e libera, quell’ordine e quell’armonia vengono strettamente attuati secondo le leggi poste dal Creatore nell’essere esistente. Al di quà di quella linea vale ancora la volontà ordinatrice di Dio; tuttavia la sua attuazione e il suo svolgimento sono lasciati alla libera determinazione dell’uomo, la quale può essere conforme o in opposizione al volere divino…”. Orbene, continua Pio XII - “Il semplice fatto di essere dichiarato dal potere legislativo norma obbligatoria nello stato, preso solo e per sé, non basta a creare un vero diritto. Il criterio del semplice fatto vale soltanto per Colui che è l’Autore e la Regola Sovrana di ogni diritto, Iddio. Applicarlo al legislatore umano indistintamente e definitivamente come se la sua legge fosse la norma suprema del diritto, è l’errore del positivismo giuridico nel senso proprio e tecnico della parola; errore che è alla base dell’assolutismo di Stato e che equivale ad una deificazione dello Stato medesimo… Bisogna che l’ordine giuridico si senta di nuovo legato all’ordine morale senza permettersi di varcarne i confini. Ora l’ordine morale è essenzialmente fondato in Dio, nella Sua Volontà, nella Sua Santità, nel Suo Essere”. Così conclude il Venerabile Pontefice: “La scienza e la prassi del diritto Canonico non riconoscono evidentemente alcun diritto legale che non sia anche vero diritto; loro ufficio è di dirigere, nei limiti fissati dalla legge divina, il sistema giuridico ecclesiastico, sempre e interamente verso il fine della Chiesa stessa, che è la salute e il bene delle anime”.
La legge Divina non può essere accantonata a cuor leggero!
Il Signore è infatti infinitamente misericordioso, ma anche sommamente giusto. Affidiamoci dunque a Maria che “condivide la nostra condizione umana, ma in una totale trasparenza alla grazia di Dio” chiedendo con fiducia e devozione alla nostra mamma del Cielo la sua potente intercessione.  Maria Santissima ci ottenga l’aiuto Celeste necessario per rimanere in ginocchio davanti a Dio.  
Gianni T. Battisti

7 commenti:

irina ha detto...

Lezione, aperta a tutti gli sfaccendati,sindacalizzati, psicanalizzati, supportati, genderizzati, cocainati dell'orbe europeo, da non perdere: il nuovo sindaco di Londra.

Anonimo ha detto...

Allah save the queen

mic ha detto...

E i candidati sindaci (guarda caso per il PD) in diverse parti d'Italia?

gianlub ha detto...

Ecco che cose "miserevoli" stà scrivento ora Padre Cavalcoli: "San Paolo, con la sua famosa teoria del matrimonio come remedium concupiscentiae [cf. I Cor 7,9] ha evidentemente sott’occhio solo i bollori della gioventù e non la debolezza dell’anzianità. Si ha l’impressione che egli non consideri cosa buona l’atto sessuale, per cui diventa scusabile e tollerabile nel matrimonio: «è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non possono vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» [vv.8-9]. Ma tutto ciò sembra sottendere in Paolo una dissociazione per non dire una contrapposizione fra amore ed unione sessuale. Purtroppo non ci si è accorti per molti secoli che qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica, dove l’essere “una sola carne” è visto come qualcosa di buono, sia in se stesso [Gen 2], sia in rapporto alla procreazione [Gen 1]." Pur di sotenere Bergoglio scrive delle cose scandalose

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Anonimo ha detto...


@ Le strane ermeneutiche del P. Cavalcoli

Per tanti secoli il Magistero non si sarebbe accorto che S. Paolo non avrebbe capito bene ne' l'Antico Test. ne' il Vangelo? Ma il Padre Cavalcoli si rende conto di quello che dice? Cio' significherebbe che la Chiesa non ha saputo per tanti secoli interpretare le SCritture, se si e' sbagliata nel capire S. Paolo! E questo e' proprio quello che sostengono i protestanti eretici. E S. Paolo a sua volta si sarebbe sbagliato sul matrimonio. Ma durante la Messa NO, alla lettura di passi delle Lettere paoline, non conclude forse dicendo l'officiante: "Parola di Dio"? E che "Parola di Dio" sarebbe allora questa, se adesso si scopre che si e' sbagliata nell'intendere il Vangelo e l'AT?
Che poi nell'AT vi sia un apprezzamento separato dell'atto sessuale tra l'uomo e la donna, come atto in se' e come atto finalizzato alla procreazione, non vedo come lo si possa sostenere. Ricordiamoci che gli Apostoli dicevano sempre ai convertendi: "astenetevi dalla fornicazione", cioe' dall'atto sessuale in se stesso, come puro atto volto a conseguire il piacere. E lo dicevano proprio sulla base della loro formazione di ebrei religiosi, cresciuti nello spirito dell'AT. Inoltre, in Gen, 2, l'apprezzamento stupito e meravigliato che Adamo mostra alla vista di Eva non ha nulla di erotico. Fino ad allora era vissuto da solo circondato da animali, uccelli, piante, ruscelli...Svegliandosi e trovando una creatura simile a lui, della stessa sua carne, gli viene spontanea l'esclamazione riportata dalla Bibbia. L'eros non c'entra niente. E non puo' entrarci perche' lui e la donna vivevano ancora nell'innocenza originaria. Grazie a Dio (appunto) gli stimoli dell'eros ancora non esistevano. Vengono dopo, dopo la Caduta. A. R.

mic ha detto...

Effettivamente Gianni Battisti cita molto Cavalcoli, col quale so che ha un filo diretto, soprattutto nella comune vicinanza spirituale con padre Tomas Tyn. Ma so anche quanto Gianni sia capace di fare la dovuta cernita tra le affermazioni del padre domenicano, che purtroppo ondeggiano, in un intento "normalizzatore", che in realtà contribuisce a creare confusione.
La sua critica anti-Rahner è encomiabile. Ma non va preso per oro colato tutto quello che scrive...

gianlub ha detto...

Stà scrivendo delle cose incredibili direi addirittura eretiche in fatto di comunione ai divorziati risposati. l' "onda Bergogliana" lo ha reso una pastore molto pericoloso per la salvezza delle anime.