È stato diffuso un documento (con data del protocollo in quella visionata), proveniente dalla Direzione Centrale degli Affari dei Culti del Ministero degli Interni avente ad oggetto: Quesiti in ordine alle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Esigenze determinate dall’esercizio del diritto alla libertà di culto.
Il documento si compone di quasi due cartelle, è firmato dal Prefetto Michele di Bari, Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione (nel quale quadro organico è inserita la soprarichiamata Direzione Centrale), esteso formalmente (si legge) dal Direttore Centrale, il Prefetto Giovanna Maria Rita Iurato, all’indirizzo di «Mons. Ivan Maffeis, Sottosegretario della Conferenza Episcopale Italiana».
Tanto il destinatario quanto l’oggetto del documento fanno ragionevolmente presumere che si tratti di una risposta a dei quesiti verbali proposti dalla Conferenza Episcopale Italiana mediante il Sottosegretariato; tra l’altro si noti che a principio si dice «Si forniscono i chiarimenti richiesti».
Venendo al contenuto, se ne denuncia sin d’ora l’intrinseca gravità lesiva dei diritti soggettivi dei cittadini di religione cattolica e del loro libero esercizio della libertà di culto.
Nel documento, pur confermando che salva «eventuale autonoma diversa disposizione» dell’autorità ecclesiastica «non è prevista la chiusura delle chiese» (3° par.) si sottolinea che in esse «l’accesso deve essere consentito solo a un numero limitato di fedeli… evitando qualsiasi forma di assembramento o raggruppamento di persone» (4° par.).
Tuttavia è giuridicamente aberrante (oltre che moralmente scandaloso) che si affermi poi «sulla base del parere appositamente richiesto al Dipartimento della Pubblica Sicurezza… è necessario che l’accesso alla chiesa avvenga solo in occasione di spostamenti determinati “da comprovate esigenze lavorative”, ovvero per “situazioni di necessità” e che la chiesa sia situata lungo il percorso, di modo che, in caso di controllo da parte della Forze di Polizia, possa esibirsi la prescritta autocertificazione o rendere dichiarazione in ordine alla sussistenza di tali specifici motivi».
Tale assunto è gravemente lesivo della libertà religiosa del singolo costituzionalmente garantita all’art. 19 della Cost., che non viene ritenuta più, di fatto, un diritto autonomo bensì accessorio (e subordinato!) della libertà di movimento (per andare a lavorare o, peggio, fare la spesa).
Ciò è inaccettabile anche solo giuridicamente parlando, poiché l’esercizio del culto – che la Repubblica si è impegnata a garantire anche in contingenze di ridotta libertà personale come la detenzione ex art. 11, 1 dell’Accordo vigente tra lo Stato e la Chiesa del 1984 – appare ridotto ad una mera possibilità che viene concessa dall’autorità di Polizia (perché su tale criterio si basa palesemente l’illustrazione della norma) solo e se unito all’esercizio della libertà di circolazione, peraltro a sua volta strettamente collegata allo svolgimento della sola attività lavorativa o d’una eventuale e altrettanto rara “grave necessità”. Il che – logicamente – comporterebbe, tra l’altro, che la domenica non vi sia possibilità alcuna di recarsi in chiesa, poiché di domenica, salvo rarissime eccezioni (come i medici o farmacisti o le forze dell’ordine, ad esempio), non sono previste attività lavorative… né certamente sarebbe supponibile che in caso di “grave necessità” un cittadino abbia tempo e modo per passare dalla chiesa.
Tutto ciò in aperto contrasto col la lettera degli Accordi vigenti tra Stato e Chiesa e vieppiù dei principi che la Costituzione e l’Ordinamento italiani garantiscono e tutelano, o come almeno è stato finora.
Quindi il Viminale (par. 6) affronta l’argomento delle «celebrazioni liturgiche»: sulla scorta dell’abuso d’autorità già perpetrato ultra vires in ordine all’interpretazione rigorosamente fornita di includere all’interno della categoria “cerimonie” (di cui al primo DPCM 8 marzo 2020, e del vigente d.l. 19/2020) anche le celebrazioni liturgiche (che però, è bene ricordare, non sono “cerimonie” bensì “riti”), la Direzione Centrale degli Affari dei Culti dichiara che «le norme – alla luce della ratio esclusiva di tutela della salute pubblica per cui sono emanate – sono da intendersi nel senso che le celebrazioni medesime non sono in sé vietate, ma possono continuare a svolgersi senza la partecipazione del popolo, proprio per evitare raggruppamenti che potrebbero diventare potenziali occasioni di contagio».
Così disponendo il Dipartimento, forse (?), non si rende conto di andare ben oltre le sue competenze, poiché non è pertinenza dello Stato normare la partecipazione e la regolazione dei riti all’interno dei luoghi di culto, né tantomeno disporre in via autonoma se il Rito debba o no svolgersi “con il popolo” o “senza il popolo”; tale diritto spetta solo all’Autorità Ecclesiastica, che esercita in via autonoma e libera la regolazione del culto (cfr. Accordo di Villa Madama, art. 2, 1), senza alcuna ingerenza del potere statale.
Oltretutto il Dipartimento si arroga il diritto di trattare le “celebrazioni liturgiche” senza avere lo Stato alcuna competenza sulla materia, poiché, come in altri casi, le norme dettate in materia religiosa trovano poi solo successiva “comprensione” alla luce del sistema interno ordinamentale della singola confessione, e non è lo Stato a poter stabilire “cosa” e “chi”, poiché semplicemente lo ignora.
Su questa linea, il contenuto della disposizione è da ritenersi illegittimo da parte dell’Autorità Ecclesiastica, che non può subire da parte del potere statale alcuna coazione né alcuna contrazione dei propri diritti nativi.
Allo stesso modo, quanto si dispone al paragrafo successivo (7°) circa le «celebrazioni liturgiche senza il concorso di fedeli e limitate ai soli celebranti e agli accoliti necessari per l’officiatura del rito»: si dice che esse «non rientrano nel divieto normativo» (ibid.), ma affermando ciò si lede il diritto della Chiesa a regolare in via autonoma la Liturgia (cfr. can. 838, §1 CIC), poiché implicitamente si ammette che sia stato il potere secolare a “vietare” le altre celebrazioni col popolo, e non che tale azione sia frutto di autonoma e libera decisione dell’Autorità Ecclesiastica che, ricordiamo, nel nostro sistema giuridico di coordinamento, dovrebbe necessariamente essere consultata previamente al fine di poter disporre da sé le misure ritenute opportune e proporzionate.
Vien da chiedersi con quale perizia (oltre a quale facoltà) il Viminale ritenga che i ministri all’altare (in spazi peraltro più compressi rispetto alla totalità della chiesa) «non rappresentino assembramenti» diversamente da un ipotetico e ridotto numero di fedeli contingentati, magari disposti a banchi alterni e distanziati secondo le norme preventive indicate.
All’8° par., nella seconda pagina, si legge che alla luce delle precedenti «considerazioni» (che a dire il vero tutto sembrano, fuorché tali) si ritiene che «il numero dei partecipanti ai riti della Settimana Santa ed alle celebrazioni similari» (viene da chiedersi quali siano tali “celebrazioni similari”) «non potrà che essere limitato ai celebranti, al diacono, al lettore, all’organista, al cantore ed agli operatori per la trasmissione».
Ancora una volta il documento della Direzione Centrale esorbita i margini di competenza statali e si attribuisce il diritto di disporre financo il numero quantitativo di persone che per ciascuna chiesa possa intervenire ai Riti della Settimana Santa.
Non è nella disponibilità dello Stato (non lo è già del Legislatore, figurarsi dell’Esecutivo) decidere “chi” debba essere presente al Rito, né “cosa occorra” per il Rito stesso; tale competenza è solo dell’autorità ecclesiastica (o religiosa in senso ampio), per cui tale disposizione è ancora una volta irricevibile e inapplicabile, perché priva di ogni fondamento giuridico e perché regola materia indisponibile, quale è – oggettivamente – quella liturgica, pretendendo di indicare financo il numero di persone ipoteticamente presenti.
Ma riteniamo ancor più grave il successivo paragrafo nel quale il documento cerca di sanare l’intrinseco palese conflitto insorgente tra il primo assunto (cioè l’impossibilità di giustificare di per sé la propria circolazione in ragione del diritto di libertà di culto) con quest’ultima disposizione che comunque importa un movimento di persone diverse dai ministri di culto.
E qui ci sarebbe da sottolineare come i ministri, in linea di principio, non siano esplicitamente esonerati da tale limitazione: per cui, ad esempio, un sacerdote che abita in un comune ed è parroco in un altro, sarebbe costretto a dichiarare cosa, atteso che il suo non è uno spostamento per cause di lavoro, come confermato dal nostro sistema ordinamentale e dalla interpretazione della Giurisprudenza e della dottrina?
Il Viminale ardisce a specificare che le sopracitate categorie dovrebbero indicare, nella autocertificazione prevista, di muoversi per «comprovate esigenze lavorative».
A parte la questione in sé che se devono essere “comprovate” ci chiediamo “come” potranno esserlo, visto che non è un impiego andare a suonare o a cantare in chiesa, ma più ancora riteniamo fortemente lesivo della libertà soggettiva di religione e di culto che lo Stato inviti a “mascherare” (e quindi a occultare) quello che è un diritto nativo della persona (cioè credere in Dio e dimostrarlo) con l’esercizio di un impiego.
Ciò è moralmente inaccettabile, e non ha alcun fondamento giuridico nel nostro sistema ordinamentale, che riconosce al sacerdote lo svolgimento di una missione e non l’esercizio di una attività professionale, a cui in nulla è assimilabile il ministero sacerdotale (vedasi, al riguardo, la disciplina in materia di contenziosi nell’ambito del Sostentamento del Clero).
Gravissimo, poi, il controllo che opererebbe la Forza pubblica in ordine all’esercizio della libertà religiosa e di culto, raccogliendo informazioni personali circa l’esplicazione dello stesso mediante formula dettagliata di autocertificazione; stando alle norme, infatti, l’agente accertatore potrebbe sindacare se il fedele cantore o accolito si rechi in una chiesa più lontana rispetto al suo domicilio piuttosto che in una più prossima o in una parrocchia diversa (atteso, tra l’altro, che la Forza pubblica non è tenuta a conoscere la ripartizione territoriale interna alle singole Diocesi).
Dunque lo Stato, mediante un regime poliziesco, regolerebbe pure la sensibilità religiosa del singolo che aderisce in modo stabile ad una comunità piuttosto che ad un’altra, e ciò è intollerabile.
In ultimo il documento si occupa di trattare la questione dei matrimoni che, premette, «non sono vietati in sé, in quanto la norma inibisce le cerimonie pubbliche, civili e religiose» ma sono contingentati: «ove il rito si svolga alla sola presenza del celebrante, dei nubendi e dei testimoni – e siano rispettate le prescrizioni sulle distante tra i partecipanti – esso non è da ritenersi tra le fattispecie inibite dall’emanazione dalle norme in materia di contenimento» (10° par.).
Da notare, per inciso, che così scrivendo il Ministero – ancorché involontariamente, è evidente – sottolinei ciò che è stato già sostenuto altrove (cfr.: https://www.dirittiregionali.it/2020/03/28/il-nuovo-decreto-legge-n-19-2020-un-suggerimento-ermeneutico-ecclesiasticistico/), e cioè che la locuzione “cerimonie civili e religiose” sia da intendersi come solo le cerimonie che importano la concorrenza di Stato e Chiesa.
In sintesi, dunque, tale documento è da ritenersi giuridicamente irricevibile da parte dell’Autorità Ecclesiastica competente per territorio perché confligge col sistema di coordinamento presente in Italia tra i due ordinamenti primari coinvolti ex art. 7 Cost., confligge con le norme concordatarie perché è unilaterale, e tracima i margini della competenza propria dello Stato in materia di esercizio della libertà di culto, che ha solo un limite: il buon costume (art. 19 Cost.).
Effettivamente qui di scostumato (come si direbbe a Napoli) c’è solo l’arroganza da parte dell’autorità civile di pretendere di normare tempi e modi di materie sulle quali non ha alcuna disponibilità, peraltro andando oltre lo stesso contenuto del nuovo d.l. 19/2020.
Una disposizione simile, difatti, è ultronea al dettato formale che costituisce la base legale dei futuri provvedimenti che prevede sì l’ipotetica assunzione di misure contenitive quali «le limitazioni di accesso ai luoghi di culto» (d.l. 19/2020, art. 1, co. 2, lett. h)), ma ne fissa anche il limite in un contesto ben specifico e discrezionale (in capo agli ordinari responsabili dei luoghi di culto) e in subordine a criteri di «adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente» (ibid.).
Il documento della Direzione Centrale degli Affari dei Culti è pertanto da ritenersi irricevibile da parte delle legittime Autorità preposte perché il suo contenuto confligge tanto con le norme sistemiche che regolano i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, quanto coi principi stessi dell’Ordinamento costituzionale, oltre che esorbitante e ultroneo allo stesso margine disposto dalla base legale di riferimento.
Spetta solo all’Autorità Ecclesiastica, nel pieno dell’esercizio del suo dovere primario di rendere culto a Dio, poter regolare la Liturgia all’interno dei luoghi sacri e ad essa sola spetta considerare l’opportunità, in base a criteri oggettivi, di attuare misure e cautele proporzionate, inquadrando la sua azione, notoriamente sollecita nella tutela di ogni forma di vita, in un sano dualismo alla luce del quale l’anima non è meno importante del corpo.
Leggendo tale disposizione sembra – a memoria storica – riecheggiare la legislazione liberale della seconda metà del XIX secolo con la quale in modo unilaterale e illegittimo lo Stato pretendeva di regolare la vita e l’attività della Chiesa Cattolica in Italia, ma anche la riviviscenza di un allarmante clima di neo-giurisdizionalismo col quale, nell’ambito già caotico d’uno stato d’eccezione emergenziale, si tenta di introdurre subdolamente pericolosi precedenti che domani potrebbero – quod Deus avertat – reiterarsi per le più svariate motivazioni, non escluse quelle esclusivamente politiche, soffocando la Chiesa in un sistema statalista.
Si reclama pertanto alle Autorità preposte di agire con fermezza nelle sedi opportune: si chiede con urgenza alla Nunziatura Apostolica in Italia e alla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana di rappresentare la propria contrarietà a questa ennesima intromissione esorbitante i margini di competenza statale concordati denunciando questa ulteriore lesione tanto dei diritti nativi della Chiesa Cattolica quanto dei diritti soggettivi dei cittadini italiani di religione cattolica, la cui identità risulta così essere assai gravemente compromessa, offesa e mutilata.
Avv. Fabio Adernò
10 commenti:
Giorni fa ho letto da qualche parte che i carabinieri sono entrati in una chiesa dove c'era una messa che stava andando in diretta online, interropendola, perché vi erano una ventina di fedeli ben distanziati. Ma le chiese formalmente non sono beni privati(ad es. di diocesi, confraternite...) ad uso pubblico? Quindi non servirebbe un mandato per entrare in una chiesa casa del Signore come in qualsiasi altra casa italiana? o il Signore vale meno di un italiano qualunque?
Non stupisce la situazione che si è creata. Sappiamo che la chiesa invaghitasi pazzamente del mondo verso di esso è andata sempre più velocemente. Lo stesso pontefice ha più una visione, una preparazione, un'inclinazione statale che non ecclesiale, inclinazione verso stato repubblicano socialista,meglio comunista. Quanto cara gli è Cuba e la Cina? La Cina dove il pontefice, per esempio, ha sottomesso la chiesa cattolica autentica allo stato. Non si confessa forse il pontefice con il suo amico Scalfari? La chiesa CVIIista è una chiesa di stato social/ comunista/ democratico. L'intreccio tra i due ormai scende verosimilmente nel connubio Caritas/Coopdem che lavorano spalla a spalla nel disbrigo dei migranti e delle emergenze, tutte sapientemente selezionate secondo il fine politico/ elettorale a cui possono essere piegate.Il fine della chiesa CVIIista non è più NSGC ma, un fine politico sinistro. In questa chiesa il Signore è usato come copertura dell'ateismo comunista creduto e praticato.
@ Anonimo 8:44: complimenti vivissimi, amico caro, lei sembra proprio ispirato dallo Spirito Santo. Ha tracciato sinteticamente ed efficiacemente un profilo realistico dell'attuale carrozzone bergogliano che meglio non si poteva. Preziosi poi i richiami al nefasto conciliabolo dove l clero ribelle modernista è riuscito ad imporre il suo verbo luciferino all'intero orbe cattolico, con l'aiuto determinante dei papi del Concilio, ovviamente, ai quali va la responsabilità di aver aperto le porte al Nemico che da tempo stava assediando la città santa (l'ultimo assalto di Satana contro Cristo e la Sua vera Chiesa)
Vietato l'ingresso in chiesa se non per motivi conclamati di .. lavoro o salute, attività urgenti che non si svolgerebbero specie domenica, così ci hanno rifregato anche 1 preghierina en passant per Pasqua.
Me li immagino assiepati sui sagrati a fare multe per far cassa
Ho organizzato per ora con una quindicina tra parenti ed amici d'andare a Pasqua a fare "spesa"(dato che i supermercati dovrebbero esser chiusi a Pasquetta) e come da ultima direttiva fermarci nel tragitto all'interno della chiesa parrocchiale che è di strada. Faremo ciò nell'orario della messa centrale. Io vorrei almeno che fossimo una quarantina: il programma è arrivare tutti alla spicciolata singolarmente con modulo compilato per andare a fare spesa. Vorrei vedere se il prete fa capolino in chiesa e se ci caccia. Noi 15 per ora siamo disposti a prenderci multa e, non staremo meno della durata della messa in chiesa, predisposti uno per banco a pregare in silenzio; quindi ci dovranno portare via di peso se a qualcuno non stará bene cio!
https://www.maurizioblondet.it/dietro-il-coronavirus-la-lotta-del-deep-state-contro-trump/
Dirtti fondamentali e stato di necessità
Certamente queste misure di polizia sembrano violare la libertà di culto garantita dai Patti Lateranensi e dalla Costituzione.
La libertà di culto per la verità non fu mai abolita in Italia, nemmeno durante il periodo della ostilità acuta della classe dirigente liberal-massonica nei confronti della Chiesa, per le note questioni. La gente andava a Messa come prima, le processioni si svolgevano affollate come prima.
Si deve comunque tener conto del fatto che le attuali sono misure temporanee dettate da uno stato di necessità molto grave, anche per via delle sue letali ripercussioni sull'intera economia. In casi del genere, c'è sempre la violazione di qualche diritto fondamentale, nel senso che il suo esercizio viene temporaneamente impedito ("sospeso") in nome del bene comune messo in serio pericolo.
Ora, cosa dovrebbe fare il Vaticano, per i tradizionalisti? Protestare con lo Stato italiano ed esigere che sia consentita la normale partecipazione alla Messa, con le opportune cautele, messe in opera dalla Chiesa stessa. E se poi, da una qualche Messa più o meno affollata di Pasqua esplodesse un bacino di contagi?
Il tradizionalista risponde: Dio non lo permetterà. Certamente, potrebbe non permetterlo. Ma si può escludere che lo permetta? Ha permesso questo e altro, se è per questo...
Qualcuno ha ricordato che secoli fa una grave pestilenza a Marsiglia finì dopo una grande processione collettiva, cui le autorità inizialmente si erano opposte; evento celebrato ancor oggi. Ma se rileggiamo I Promessi Sposi, le famose pagine sulla peste di Milano del 1630, scritte dal Manzoni sulla base di una rigorosa documentazione, apprendiamo che la grande processione a peste iniziata imposta al cardinale Federigo, che non la voleva fare, ebbe, secondo le testimonianza di tutte le cronache, effetti disastrosi, facendo subito innalzare in modo esponenziale il contagio. Il popolo diede però la colpa ai fantomatici "untori", la cui opera malvagia la processione avrebbe favorito, cominciando appunto la caccia all'untore, di sinistra memoria.
Il Vaticano ha fatto male a chiudere inizialmente le chiese; poi le ha riaperte. Le chiese devono restare aperte. Quanto alla celebrazione al loro interno del culto pubblico, la questione è delicata perché il rischio del contagio c'è.
Dall'inizio del Colonnato di S. Pietro, si inizia lo Stato della Chiesa. Lì il Papa può fare quello che vuole. Per Pasqua, potrebbe celebrare o far celebrare all'aperto i Riti della Settimana Santa, con un pubblico di chierici, opportunamente distanziati, ridotto al minimo, anche all'Altare, se possibile. Le cerimonie verrebbero trasmesse in tutto il mondo, i fedeli vi si unirebbero spiritualmente.
La nota dell'avvocato Adernò è totalmente condivisibile e formulato in punta di diritto. Qualche considerazione aggiuntiva:
1) che le disposizioni della "Direzione Centrale degli Affari dei Culti" del Ministero degli Interni siano una violazione della Costituzione e del Concordato è evidente e palese;
2) ci si chiede se tale "Direzione Centrale degli Affari dei culti" possegga la potestà, tra l'altro manifestata con un semplice documento indirizzato a un prelato, per rappresentare una fonte di diritto atta a normare un ambito così pregnante, da un punto costituzionale e dei diritti civili, come il diritto di culto;
3) lo "stato di emergenza" (comparabile, anche se non è la stessa cosa, allo schmittiano "stato di eccezione") è normato poco e male nel nostro ordinamento. E' un'eredità questa delle deliberazioni dei cosiddetti "Padri Costituenti" (pomposa e ridicola definizione della retorica antifascista) e della loro patologica idiosincrasia per i "rischi autoritari". Il Presidente Cossiga aveva sollevato il tema, anni orsono. Richiamarsi a un presunto "stato di emergenza" per giustificare le illegittime limitazioni al diritto di culto e all'ambito di competenza, esclusivo e inalienabile, della Chiesa è quindi semplicemente non pertinente;
4) più in generale, forti dubbi sono stati sollevati da diversi costituzionalisti e politologi (ad esempio il professor Becchi ed altri) sulla legittimità dell'uso dello strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (fonte normativa da considerarsi "minore" nella gerarchia delle fonti, adatta al massimo a normare, che so, i diritti di pesca) per limitare un diritto civile così importante come quello di movimento. Non per nulla la valenza penale della violazione è stata abolita dopo pochi giorni: troppo soggetta all'incostituzionalità.
L'avvocato Adernò conclude la sua nota pregando la Nunziatura Apostolica in Italia e la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana "di rappresentare la propria contrarietà a questa ennesima intromissione esorbitante i margini di competenza statale concordati denunciando questa ulteriore lesione tanto dei diritti nativi della Chiesa Cattolica quanto dei diritti soggettivi dei cittadini italiani di religione cattolica, la cui identità risulta così essere assai gravemente compromessa, offesa e mutilata.". Non succederà nulla. La "consonanza", vile e arrendevole, della Chiesa conciliare e della CEI con il regime salutista-comunista è totale. E' la prima volta nella storia che la Chiesa rinuncia, sua sponte, alla Santa Messa e ai riti pasquali. E' un segnale tremendo, dalla valenza apocalittica. Un segnale che, metafisicamente, non può essere sottovalutato.
Silente
Mi sbaglio o le alte cariche dello stato, dal presidente della Repubblica al capo del governo alla presidente della corte costituzionale, provengono dal mondo cattolico? Di cosa stupirsi!!! E la CEI continua a tacere. Pietro - Salerno
Dire che lo "stato di emergenza" sia al momento "presunto", non vedo come si possa.
La pandemia ha ormai assunto una portata mondiale, lo stato d'emergenza c'è in molti Paesi.
Ci difendiamo come nel Medio Evo, ha detto qualcuno: chiudendoci in casa. Bloccando tutto, alla faccia della superbia dellas società tecnologica.
Solo che l'economia attuale, integrata a livello mondiale con mille reti e marchingegni, in questo modo rischia di crollare.
Più valido il discorso sulla mancanza di uno strumento legislativo ad hoc previsto dalla Costituzione per governare lo stato di emergenza. Ma la riforma della Costituzione non l'ha mai voluta veramente nessuna forza politica. Le "riforme" messe a suo tempo in cantiere e in parte ottenute dai vari leghismi miravano semplicemente a strappare concessioni allo Stato centrale, a favore delle Regioni in nome della "autonomia", senza preoccuparsi della sua efficienza, senza preoccuparsi di riformare le evidenti lacune della Costituzione.
Adesso l'unico strumento per governare l'emergenza resta il decreto-legge.
Ci si arrangia, come al solito. (Comunque, le emergenze vere, gravi si governano a colpi di decreti, le leggi vengono dopo. L' antica costituzione repubblicana romana prevedeva la nomina di un dittatore per sei mesi).
Ma non hanno diritto di criticare quelli che non solo non hanno fatto nulla per riformare come si doveva la Costituzione ma l'hanno persino peggiorata, introducendo un regionalismo spinto fonte di continui contrasti fra Stato e regione, incapace di creare una vera, moderna struttura federale nello Stato.
Posta un commento