Nonostante le voci minacciose di "soluzione finale" (vedi), resistiamo e rafforziamo preghiera e riflessione sulla preziosa realtà della nostra Liturgia. Il testo ripreso di seguito è tratto da "La Messa cattolica. Passi per ripristinare la centralità di Dio nella liturgia" di Athanasius Schneider Capitolo IV "La Messa è un Sacrificio". Qui l'indice degli articoli sulle recenti progressive restrizioni e relative riflessioni.
La Messa è un sacrificio.
Da: "La Messa cattolica. Passi per ripristinare la centralità di Dio nella liturgia"
Athanasius Schneider
Papa Pio XII così spiegò questa verità:
Papa Pio XII sintetizzò mirabilmente questa verità con le seguenti parole:
San Tommaso d’Aquino dice:
(da "La Messa cattolica. Passi per ripristinare la centralità di Dio nella liturgia" di Athanasius Schneider Capitolo IV "La Messa è un Sacrificio")
La santa Messa è il Sacramentum Crucis, questa è la definizione essenziale della Messa.
Se la santa Messa è il Sacramentum Crucis, dobbiamo vedere cosa è il sacramento.
Il sacramento è un segno percepibile ai sensi che indica, e produce indicando, la realtà a cui si riferisce. In questo modo, le due specie separate, pane e vino, indicano la realtà della separazione del Corpo e del Sangue di Cristo sulla Croce, cioè indicano la realtà dell'atto del sacrificio della Croce. Indicando questa realtà, i segni sacramentali producono – come dicono i teologi – questa realtà in modo sacramentale.
La santa Messa è la forma sacramentale del sacrificio del Golgota. Possiamo anche dire che la santa Messa è la presenza reale del sacrificio del Golgota, la presenza reale del corpo immolato e del sangue versato di Cristo.
Questo atto di sacrificio è il più grande atto avvenuto e che mai avverrà nella storia umana. Il sacrificio, in senso biblico, è l'atto più grande di amore e questo atto è stato fatto non semplicemente da un uomo, ma dal Dio-uomo.
A causa dell'unione ipostatica, questo atto del sacrificio della Croce, un atto primariamente interiore, ma allo stesso tempo anche un atto visibile, è stato compiuto dalla seconda persona della Santissima Trinità, questo atto va ascritto alla persona e non alla natura, e quindi ascritto alla persona Divina di Gesù Cristo.
L’atto del sacrificio di Cristo sulla Croce è stato un atto divino e umano. Come insegna il Concilio di Calcedonia, le due nature in Cristo, la natura divina e umana sono unite senza confusione delle nature, senza la mutazione delle nature, senza la divisione delle nature e senza la separazione delle nature. L’atto di sacrificio sulla Croce è primariamente la più alta espressione dell'amore del Figlio di Dio incarnato, Cristo, al Padre e allo stesso tempo è la più alta espressione dell'amore di Cristo Redentore per noi uomini.
Si potrebbe dire che il sacrificio della Croce è una liturgia divina, come dice la Lettera agli Ebrei (9, 14): "Quanto più il sangue di Cristo, che per lo Spirito Santo offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?". In questo sacrificio, tutte e tre le persone della Santissima Trinità erano in qualche modo impegnate. La santa Messa è lo stesso sacrificio divino-umano di Cristo, coinvolgendo, però, la Chiesa “hic et nunc”, cioè in questo concreto luogo e tempo, per dare a tutti i membri del Corpo Mistico di Cristo la possibilità di partecipare in modo sacramentale, ma reale, e in questo unico, al sempre-attuale ed eterno atto di offerta d’amore sacrificale del Dio incarnato.
San Giovanni Crisostomo, il dottore eucaristico, ci lasciò questa spiegazione di profondo senso spirituale e teologico sull’identità tra il sacrificio della Croce e della santa Messa:
“Cristo si è offerto una volta e per sempre ... Ma non lo offriamo tutti i giorni? Sì, offriamo, ma per commemorare la morte di Cristo. È unico, non multiplo. In effetti, è stato offerto solo una volta. Il sommo sacerdote entrava nel Sancta Sanctorum una volta all'anno: lì c'è una figura, con ciò che le corrisponde. È la stessa vittima che offriamo sempre, non oggi una pecora e domani un'altra; ma sempre la stessa vittima. Ecco perché il sacrificio è uno. Se Cristo è offerto in più luoghi, significa che ci sono diversi Cristi? No, l'unico Cristo è ovunque, è intero qua e là, ha un corpo unico. E poiché quello offerto in più luoghi è un corpo e non più corpi, così il sacrificio è unico. Il nostro Pontefice ha offerto il sacrificio che ci purifica. E ora offriamo ancora lo stesso sacrificio che veniva offerto una volta e che non può essere distrutto. Lo facciamo in memoria di quanto è stato fatto. Non offriamo un altro sacrificio, come ha fatto il sommo sacerdote (dell’antica Legge), ma sempre lo stesso; o meglio, è una commemorazione del sacrificio che facciamo” (In Epist. ad Hebr., hom.17, 3).San Leonardo da Porto Maurizio diceva che la santa Messa
“non solo è copia, ma è l’originale medesimo del sacrificio della Croce: molto di più lo rivela l’aver per sacerdote un Dio fatto uomo. … Ecco il rilievo meraviglioso, che per tutte e tre queste considerazioni fa la santa Messa: il sacerdote che offre è un uomo Dio, Cristo Gesù; la vittima è la vita di un Dio; né ad altri si offre, che a Dio” (Il Tesoro nascosto. Ovvero pregi ed eccellenze della santa Messa con un modo pratico e devoto per ascoltarla con frutto, Frigento 2011, pp. 14-15).
San Tommaso d’Aquino ha formulato la verità del carattere sacrificale del sacramento eucaristico in modo preciso con queste parole:
“Essendo il sacramento della Passione del Signore, l’Eucaristia contiene in se stessa Cristo che ha sofferto. Questa è la ragione per cui l’effetto della Passione del Signore è anche l’effetto di questo sacramento. Questo sacramento non è altra cosa che l’applicazione della Passione del Signore per noi” (Commento al vangelo di san Giovanni 6, 52).
Il vescovo Bossuet, considerando le obiezioni dei Protestanti, ribadiva la verità dell’unicità e perfezione del sacrificio della Croce e della sua celebrazione sacramentale nella santa Messa, dicendo:
“Non è quindi qui, come vi hanno fatto credere i vostri ministri (Protestanti), un supplemento al sacrificio della Croce; non ne è una reiterazione, come se fosse imperfetta. Al contrario, supponendo che sia molto perfetto, è un'applicazione perpetua simile a quella che Gesù Cristo ne fa ogni giorno in cielo agli occhi del Padre, o meglio ne è una continua celebrazione: non stupitevi se lo chiamiamo in un certo senso sacrificio di redenzione, secondo questa preghiera che vi facciamo: concedici, o Signore, di celebrare questi misteri in santità; perché ogni volta che commemoriamo questa ostia, esercitiamo l'opera di redenzione (Secreta della nona domenica dopo la Pentecoste); vale a dire che applicandolo lo continuiamo e lo consumiamo” (Explication de quelques difficultéssur les prières de la Messea un nouveau catholique. Oeuvres de Bossuet. Tome XIII, Besançon 1841, p. 52).
Il Magistero della Chiesa ci insegna in modo chiaro e sicuro la verità sul carattere essenzialmente sacrificale della santa Messa e sull’identità tra il sacrificio della Croce e quello della santa Messa.
Il Concilio di Trento diceva:
“Si tratta infatti di una sola e identica vittima e lo stesso Gesù la offre ora per il ministero dei sacerdoti, egli che un giorno offrì se stesso sulla croce: diverso è solo il modo di offrirsi” (Sess. XXII, Doctrina de ss. Missae sacrificio, cap. 2).
La Messa è la viva rappresentazione del sacrificio della Croce, come diceva san Tommaso d’Aquino:
“Celebratio autem huius sacramenti . . . imago quaedam est repraesentativa passionis Christi quae est vera eius immmolatio” (S. th., III, q. 83, a. 1, ad 2).
Papa Pio XII spiega il significato corretto di ciò che significa la “commemorazione” del sacrificio della Croce nella Messa:
“L'augusto sacrificio dell'altare non è, dunque, una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla Croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima” (Enciclica Mediator Dei).
Nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia di papa Giovanni Paolo II leggiamo la seguente ammirabile spiegazione:
“La Chiesa vive continuamente del sacrificio redentore, e ad esso accede non soltanto per mezzo di un ricordo pieno di fede, ma anche in un contatto attuale, poiché questo sacrificio ritorna presente, perpetuandosi sacramentalmente, in ogni comunità che lo offre per mano del ministro consacrato. In questo modo l'Eucaristia applica agli uomini d'oggi la riconciliazione ottenuta una volta per tutte da Cristo per l'umanità di ogni tempo. In effetti, «il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell'Eucaristia sono un unico sacrificio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1367). Lo diceva efficacemente già san Giovanni Crisostomo: «Noi offriamo sempre il medesimo Agnello, e non oggi uno e domani un altro, ma sempre lo stesso. Per questa ragione il sacrificio è sempre uno solo. [...] Anche ora noi offriamo quella vittima, che allora fu offerta e che mai si consumerà» (Omelie sulla Lettera agli Ebrei, 17, 3). La Messa rende presente il sacrificiodella Croce, non vi si aggiunge e non lo moltiplica. Quello che si ripete è la celebrazione memoriale, l'«ostensione memoriale» (memorialis demonstratio: Pio XII, Lett. enc. Mediator Dei) di esso, per cui l'unico e definitivo sacrificio redentore di Cristo si rende sempre attuale nel tempo. La natura sacrificale del Mistero eucaristico non può essere, pertanto, intesa come qualcosa a sé stante, indipendentemente dalla Croce o con un riferimento solo indiretto al sacrificio del Calvario” (n. 12).
Il grande teologo Romano Mons. Antonio Piolanti ha riassunto la verità del carattere sacrificale della santa Messa con l’espressione “altare plenitudo Crucis”, spiegando:
“In un candido disco di pane azimo e in una gemma di vino è racchiuso il mistero della Croce. L’unico sacrificiodella Redenzione nel molteplice rito della Messa si dilata, ma non si moltiplica, si effonde, ma non si disperde, e a contatto con il multiplo non si disgrega, ma aggrega, reso coestensivo a tutti i tempi e a tutti i luoghi, li unifica. La Messa è il prolungamento, il pleroma della Croce: Altare plenitudo Crucis: è la Croce, che s’avanza nei secoli: Fulget crucis mysterium” (Il Mistero Eucaristico, Firenze 1955, p. 373).
L’essenza del Sacrificio della Messa sta nell’oblazione interna ed esterna del Corpo e del Sangue di Cristo, congiunta all’immolazione mistica, fatta a nome di Cristo dai suoi ministri, i sacerdoti.
Papa Pio XII così spiegò questa verità:
“Il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all'Eterno Padre” (Enciclica Mediator Dei).
Bossuet ci ha lasciato la seguente mirabile e precisa spiegazione:
“Hoc est corpus, quod pro vobis datur; in S. Luca conserva il tempo presente, affinché comprendessimo, non solamente che Gesù Cristo dicendo: Questo è il mio Corpo, intendeva parlare di quello stesso Corpo che egli era in procinto di dare per noi; ma altresì ch’egli intendeva di dire che quel medesimo Corpo, che stava per essere offerto e dato per noi, lo era già in anticipo della consacrazione eucaristica, e lo sarà ogni qualvolta verrà celebrato questo sacrificio. Crediamo dunque, non soltanto che il Corpo di Gesù Cristo doveva essere dato per noi sulla Croce, e lo è stato fatto; ma anche, che ogni qualvolta si pronunziano queste parole, in virtù di queste parole esso è dato attualmente per noi. (…) Gesù è morto una volta, e non ha potuto essere offerto che una sola volta in tal modo. Ma ciò che egli ha fatto una volta in tal modo, offrendosi, cioè, tutto insanguinato e tutto coperto di piaghe, e dando la sua Anima con tutto il suo Sangue, egli lo continua tutti i giorni in un modo nuovo nel cielo(…) e nella sua Chiesa, dove tutti i giorni egli si rende presente sotto le apparenze della morte(…) Eccolo là dunque; egli è presente; le parole hanno avuto il loro effetto; ecco Gesù ugualmente presente come lo è stato sulla Croce, dove egli apparve per noi con l’oblazione di se stesso, ugualmente presente com’è nel cielo, dove egli compare ancora per noi dinanzi al volto di Dio. Questa consacrazione, questa sacra cerimonia, questo culto pieno di Sangue, e tuttavia non sanguinoso, dove la morte è dappertutto, e dove nondimeno l’Ostia è vivente, è il vero culto dei cristiani, sensibile e spirituale, semplice ed augusto, umile e magnifico ad un tempo” (Méditations sur l´Evangile, Paris 1839, pp. 641-642).
Il sacrificio della Croce ci parla dell'amore più fecondo, i suoi frutti sono infiniti, perché compiuti da una Persona divina. Nella santa Messa Cristo è il principale attuale offerente, che continua ad offrirsi internamente con quel medesimo atto, col quale Egli si offrì sulla Croce, come lo spiegò R. Garrigou-Lagrange: “Questa volizione ed offerta, come la visione beatifica e l’amore beatifico, perdura in Cristo attuale senza interruzione, e perciò senza moltiplicazione di atti” (De Eucharistia, Roma 1943, p. 297).
Questi frutti del sacrificio della Croce si applicano per tutti i nostri bisogni, in primo luogo per la purificazione e santificazione della nostra anima. Il frutto, però, più bello è la sacra Comunione. Dall’albero della croce noi cogliamo il frutto più bello, più vivificante, il frutto eterno che è il Corpo immolato e il Sangue versato di Cristo, offerti a noi come nostro vero alimento spirituale e come medicina dell’immortalità, pegno della nostra risurrezione.
La sacra Comunione ci fa vedere la connessione intima tra sacrificio e banchetto. Tutti i fedeli sono chiamati ad unirsi all’atto di oblazione di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, il quale agisce per mezzo dei suoi sacerdoti.
Papa Pio XII sintetizzò mirabilmente questa verità con le seguenti parole:
“Gesù Cristo, infatti, volle che questa mirabile unione, mai abbastanza lodata, per la quale veniamo congiunti tra di noi e col divino nostro Capo, si manifestasse ai credenti in modo speciale per mezzo del Sacrificio Eucaristico. In esso, infatti, i ministri dei Sacramenti non solo rappresentano il Salvatore nostro, ma anche tutto il corpo mistico e i singoli fedeli; in esso i fedeli, uniti al sacerdote nei voti e nelle preghiere comuni, per le mani dello stesso sacerdote offrono all’Eterno Padre, quale ostia graditissima di lode e di propiziazione per i bisogni di tutta la Chiesa, l’Agnello immacolato, dalla voce del solo sacerdote reso presente sull’altare.E come il divin Redentore, morendo in Croce, offrì all’eterno Padre Se stesso quale Capo di tutto il genere umano, così "in questa oblazione pura" (Mal. I, 11), non offre quale Capo della Chiesa soltanto se stesso, ma in se stesso offre anche le sue mistiche membra, poiché egli nel suo Cuore amantissimo tutte le racchiude, anche se deboli e inferme” (Enciclica Mystici Corporis).
Molti si sorprendono sul fatto che Dio amore ha bisogno di un sacrificio per la nostra redenzione, un'idea che ad alcuni ai nostri tempi ripugna. La Sacra Scrittura dice: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3, 16). Dare qualcosa di sé è già un sacrificio e questa è una cosa buona. Uno che non da se stesso è un'egoista che è il contrario dell'amore autentico.
Quindi il sacrificio, l’auto-oblazione, è necessario per esprimere l'amore autentico. Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, come ci dice san Paolo: “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm. 8, 32). Dare qualcosa per un giusto è già buono, ma dare qualcosa per gli indegni, i peccatori è il più alto segno dell'amore disinteressato, come scrive san Paolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm. 5, 8).
San Tommaso d’Aquino dice:
“Che Cristo abbia patito volontariamente fu un bene così grande, che per codesto bene riscontrato nella natura umana Dio si è placato per tutte le offese ricevute dal genere umano, rispetto a quanti sono uniti al Cristo sofferente. (…) La Passione di Cristo ebbe maggiore efficacia nel riconciliare Dio con tutto il genere umano, di quanto l'ebbe nell'eccitarne lo sdegno” (S. th., III, 49, 4, c; ad 3). “Poiché il peccato commesso contro Dio acquista una certa infinità dalla infinità della maestà divina: l'offesa infatti è tanto più grande, quanto più grande è la persona verso cui si manca; era necessario per una soddisfazione adeguata che l'azione del riparatore avesse un'efficacia infinita, quale è appunto l'azione di un uomo-Dio” (S. th., III, 1, 2, ad 2).
Noi uomini, feriti dal peccato originale, siamo piagati dall'egoismo, che è alla radice di tutti i peccati. Per sanare questo, Dio ci ha rivelato che cosa è l'amore. Ha dato il massimo di ciò che poteva, il suo proprio Figlio. Lo stesso Signore ha detto: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 13). Queste parole divine ci spiegano cosa è l'amore. Da un punto di vista semplicemente naturale ci è difficile capire cosa è l'amore nella sua pienezza. A questo livello naturale avremmo sempre un concetto deficitario dell'amore, ecco perché abbiamo bisogno della rivelazione divina, che ci dimostra in che consiste l’amore autentico.
Poi c'è l'aspetto della misericordia. L'amore di Dio rivelato è essenzialmente un amore misericordioso. Nel suo amore misericordioso il Dio incarnato offre per noi la Sua vita umana, fino all'ultima goccia del Suo sangue. In questo sacrificio di amore, la natura umana di Cristo è pienamente coinvolta in modo che Egli anche con la Sua volontà umana consente amorosamente al sacrificio della Sua vita umana sulla Croce, come si vede nella Sua preghiera nell’orto di Getsemani. Con questo Suo amore misericordioso Cristo sana le ferite del nostro amor proprio. Egli ci ha fatto capaci di attingere alla nostra felicità più alta, tutta la nostra vita cristiana consiste in questo: raggiungere quell'amore che Dio stesso ci ha insegnato, perché nell'eternità la nostra partecipazione nell’amore Divino ci darà la felicità eterna, la beatitudine eterna, la visio beatifica, la visione e fruizione dell’amore Divino.
Facciamo un esempio: è accaduto che una mamma, durante il parto, dovendo scegliere tra la vita del figlio e la sua (per ragioni mediche), sceglie di morire per far vivere il figlio. Ecco, questo amore è uno degli esempi più alti dell'amore, dopo quello divino. L'amore materno ci dà già un esempio a livello naturale di questo grande amore Divino. Il profeta Isaia (49, 15) dice: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai". Quindi, l’umano amore materno ha la sua radice e il suo sublime esempio nell’amore che Dio ha per gli uomini.
Alcuni dicono che l'idea di sacrificio sembrerebbe essere stata messa in discussione intorno agli anni '60, per il suo rapporto con la violenza in epoca di pacifismo. In realtà, però, chi ha messo in discussione questa idea nella vita della Chiesa dopo il Concilio Vaticano Secondo sono stati i teologi liberali e modernisti, imbevuti dalle idee protestanti che fanno capo a Martin Lutero, che rigettava l’autentico significato del sacrificio.
Conosciamo le parole blasfeme che egli ha indirizzato a Dio sul sacrificio. Parlando sul sacrificio della Croce, Lutero dice: “Qui lotta Dio contro Dio. (…) Qui Dio era contro di Lui (Cristo), e Cristo è caduto in uno stato di impazienza contro Dio” (Weimarer Ausgabe 45, 370). Lutero ha persino osato a dire questa enormità: “Cristo è il massimo peccatore e l’unico peccatore e nessun altro” (Weimarer Ausgabe 40 III, 745). Secondo Lutero l’umanità di Cristo non ha contribuito per niente alla redenzione, ed è stata solamente un’esca per il diavolo (Weimarer Ausgabe 4, 406). Lutero continua dicendo, che sulla Croce Cristo “non è più quello che è nato dalla divinità e dalla Vergine, ma un peccatore” (Weimarer Ausgabe 40 I, 433).
La dottrina cattolica, invece, dice con papa Leone il Grande, che Cristo ha operato la salvezza nelle sue due nature, cioè come l’Unigenito Figlio di Dio e come il figlio dell’uomo, poiché l’uno senza l’altro non giova alla salvezza (cf. Sermo de transfiguratione Domini). Lutero fece una perversione del vero senso del sacrificio redentore di Cristo, dicendo che “Cristo per mezzo del suo peccato toglie il peccato del mondo. Non sarebbe meglio dire: la giustizia toglie il peccato e Cristo per mezzo della Sua giustizia ha tolto e condannato il peccato del mondo? No, perché? Perché il peccato e la punizione del mondo intero giace sulle spalle di Cristo” (Weimarer Ausgabe 23, 711). Quindi, secondo Lutero non la santità di Cristo ci ha redento, non la partecipazione nel Suo santo sacrificio della Croce ci dà la vita eterna, ma la lotta del peccato contro il peccato.
Secondo la dottrina cattolica, però, l’unione della natura divina e umana in Cristo è espressione dell’amore ineffabile di Dio che ha raggiunta la sua massima espressione nel sacrificio amoroso della Croce per tutta l’umanità, per la nostra salvezza. Per Lutero, invece, il sacrificio della Croce è una lotta di Cristo “fatto peccato” contro Dio.
Il significato della Messa come vero sacrificio rappresentava per Lutero la terza cattività babilonica, nella quale la Chiesa cattolica teneva l’Eucaristia (la prima cattività era la Comunione sotto una specie, la seconda era la dottrina della transustanziazione).
Per questa ragione Lutero dava al rito della Messa una nuova forma, senza le preghiere dell’offertorio tradizionale. Il carattere sacrificale dell’Eucaristia Lutero lo riduce alla pura memoria di Cristo, all’atto di ringraziamento e al momento del banchetto, cioè della ricezione del Corpo e Sangue di Cristo in memoria della Sua Passione, dicendo: “Io non faccio né dalla messa né dal sacramento un sacrificio, ma la memoria di Cristo (…) questo è un sacrificio ed è il sacrificio di ringraziamento. (…) Il sacramento stesso non deve essere un sacrificio, ma un dono che Dio ci dà, e il quale noi riceviamo con gratitudine” (Vermahnung zum Sacrament des Leibes und Blutes des Herrn).
Quei teologi e liturgisti cattolici che diluiscono il carattere sacrificale della santa Messa avevano come sorgente del loro pensiero, più che il pacifismo, il modernismo nella sua forma protestantizzante (per una discussione su questo punto, vedi Joseph Ratzinger, “The Theology of the Liturgy,” in Looking Again at the Question of the Liturgy with Cardinal Ratzinger, ed. Alcuin Reid (Farnborough: St. Michael’s Abbey Press, 2003), 18–31).
Questo modo di pensare, a sua volta, influenzò poi, durante e dopo il Concilio Vaticano II, parzialmente anche la riforma dell’ordine della santa Messa.
Durante il dibattito sulla liturgia nel Concilio Vaticano II Mons. Smiljan Franjo Čekada, vescovo di Skopje (Macedonia), riferendosi alla proposizione di un altro Padre conciliare che proponeva di riformare il rito della Messa nel senso ecumenico, ha pronunciato il seguente avvertimento, ciò che di fatto si è rivelato poi profetico. Egli diceva: “Ieri abbiamo, p.e. ascoltato la proposta, che l’intero odierno rito della liturgia latina sia completamente distrutto e al suo posto sia sostituito un nuovo rito “ecumenico”, composto secondo il modello dell’Ultima Cena dai periti di tutte le confessioni che in qualche modo confessano Cristo” (cf. Concilii Vaticani II Synopsis, op. cit., p. 828).
È un fatto palese che la dimensione del sacrificio è sminuita nel Novus Ordo Missae. Sappiamo che pastori protestanti erano consultori nell'elaborazione del Novus Ordo Missae.
Il filosofo francese Jean Guitton (+ 1999) ed amico personale di Papa Paolo VI ha fatto durante un dibattito pubblico organizzato da "Lumière 101" dalla “Radio-courtoisie”il 19 dicembre 1993 la seguente affermazione: “Credo di non sbagliare nell'affermare che l'intenzione di Paolo VI, e della nuova liturgia che porta il suo nome, è chiedere ai fedeli di partecipare di più alla Messa, di dare più spazio alla Scrittura e meno spazio a tutto ciò che c'è , alcuni dicono "di magia", altri "di consacrazione consustanziale", transustanziale, e che è la fede cattolica. In altre parole, c'è in Paolo VI un'intenzione ecumenica di cancellare - o almeno di correggere, o almeno di ammorbidire - ciò che è troppo "cattolico", nel senso tradizionale, nella Messa, e di avvicinare la Messa cattolica, ripeto, alla messa calvinista” (Yves Chiron, François-Georges Dreyfus, Jean Guitton, Entretien sur Paul VI. Niherne: Éditions Nivoit, 2011, 27–28).
Il fatto che il Novus Ordo Missae nel suo insieme si avvicini al pensiero dottrinale e liturgico dei protestanti, è illustrato dalla seguente impressionante dichiarazione del “Concistoro Superiore della chiesa della Confessione Augustana di Alsazia-Lorena”, fatta in un’assemblea a Strasburgo l'8 dicembre 1973, dove si diceva tra l’altro: “Data l'attuale forma della celebrazione eucaristica nella Chiesa cattolica e l'attuale consenso teologico, sembrano scomparire molti ostacoli che potrebbero impedire a un protestante di partecipare a una celebrazione eucaristica. Dovrebbe essere possibile per un protestante oggi riconoscere la Cena del Signore nella celebrazione eucaristica cattolica” (Derniere Nouvelles d’Alsace, n. 289, 14 décembre 1973). Questa dichiarazione dei Protestanti consta, con soddisfazione, il mutato aspetto sacrificale nelle preghiere del Novus Ordo Missae: “Vogliamo usare le nuove preghiere eucaristiche, nelle quali ci riconosciamo. Queste preghiere rendono per noi più facile lo scoprire in loro una teologia evangelica del sacrificio”.
Il Novus Ordo Missae indebolisce l'aspetto essenziale della Messa, che è quello sacrificale. Questo può essere visto in modo più evidente anche nelle nuove preghiere dell'offertorio, che sono sostanzialmente preghiere per la benedizione di un pasto, svuotate del senso propriamente sacrificale. Questo è pericoloso, perché nella tradizione della Chiesa l'offertorio era sempre considerato un piccolo canone. Tutte le liturgie orientali hanno,nella preparazione dei doni, preghiere e gesti espressivamente sacrificali.
La santa Messa rispetta il metodo della storia della salvezza, che è il modo dell'anticipazione di una realtà simbolica che poi verrà. Come l'Antico Testamento anticipa il Nuovo, ma esso era nascosto nell'Antico: "Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo" (Dei Verbum 16, che cita Sant'Agostino, Quaest. in Hept., 2, 73: PL 34, 623).
Il Sacramento eucaristico è un segno triplice, commemorativo, indicativo e prognostico, cioè commemora l’evento salvifico del passato, indica la sua presenza sacramentale nel presente e apre la visione alla realtà definitiva nella vita eterna, nella nuova Gerusalemme. Questa ottica della storia della salvezza deve essere rispettata nella liturgia. Le preghiere tradizionali dell’offertorio risalgono al nono secolo o anche prima (cf. Tirot, P., Histoire des prières d´offertoire dans la liturgie Romaine du VIIe au XVIe siècle, Roma 1984). L'offertorio ha il senso di indicare la Croce, quindi la Chiesa esprime in modo solenne e prolisso, la intentio, quello che intende fare, non un semplice pasto, ma la più grande azione, che è il sacrificio di Cristo. Ecco perché l'offertorio deve necessariamente esprimere il sacrificio che si andrà a compiere.
Nelle preghiere dell’offertorio del Novus Ordo Missae, però, la intentio esprime piuttosto l’aspetto di un pasto, di un banchetto. Per questa ragione, le nuove preghiere dell’offertorio sono dogmaticamente, dottrinalmente e spiritualmente difettose. Le nuove preghiere dell'offertorio dovrebbero essere rimpiazzate dalle antiche preghiere, che corrispondono allo spirito della Chiesa universale di tutti i tempi, ed in particolare allo spirito della liturgia di tutte le Chiese orientali (cf. Stéphane Wailliez, L’offertoire à la lumière des rits apostoliques d’Orient: Catholica, n. 77, automne 2003, p. 78-95).
Il principio dell’anticipazione, ossia della graduale espressione rituale e verbale dell’elemento sacrificale, essenza della Messa, è comune a tutte le liturgie più antiche della Chiesa, sia occidentali che orientali. Stéphane Wailliez lo esprime in queste termini: “È quindi ben confermata la gradazione della liturgia dal meno essenziale al più essenziale, fermo restando che in più occasioni gli elementi che esprimono l'essenza dell'azione si trovano anche al di fuori della loro propria collocazione, in quella delle cose meno essenziali. In termini meno astratti, il sacrificio propiziatorio, l'essenza della Messa, è presente in modo specifico alla consacrazione e nella seconda parte del canone ma, a volte, è già accennato prima, nelle parti non sacrificali della cerimonia” (ibid.). Nel Novus Ordo “c'è un grave difetto nel significato della causa finale, nel caso dell'offertorio. Le nuove preghiere sono chiamate "præparatio donorum". Ma tutta la preparazione è fatta in vista di un fine. Sopprimendo l'"anticipazione" del sacrificio redentore, la nuova liturgia sopprime anche il principio di comprensione dell'offertorio. Le nuove preghiere evocano solo la Comunione (“Ex quo nobis fiet panis vitæ … potus spiritualis”). Ora, a parte il fatto che l'essenza della Messa è il sacrificio propiziatorio e non la Comunione, quest'ultimo può essere inteso solo come partecipazione alla vittima del sacrificio” (Stéphane Wailliez, op.cit.).
Infatti, l’essenza della Messa e la sua causa finale consiste nel carattere sacrificale. Nel Novus Ordo, invece, le preghiere dell’offertorio esprimono come intenzione dell’offerta e della preparazione dei doni la ricezione del Corpo di Cristo e Sangue di Cristo, quindi l’aspetto del banchetto. Queste preghiere, esprimendo tale intenzione, hanno un carattere teologicamente ambiguo, dimenticando l’avvertenza espressa dal Concilio di Trento, che diceva: “Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema” (sess. 22, can. 1).
Un altro aspetto difettoso nel Novus Ordo Missae è la Seconda Preghiera Eucaristica, dove manca quasi interamente il senso del sacrificio. Fu detto dai protestanti che loro potevano in coscienza celebrare la liturgia del Novus Ordo Missae prendendo la Seconda Preghiera Eucaristica, insieme con le nuove preghiere d’offertorio. Questa testimonianza chiara dei protestanti dovrebbe svegliarci. Non si può continuare a fare la quadratura del cerchio, dicendo che il Novus Ordo Missae è un’espressione dell’ermeneutica della continuità con la precedente tradizione liturgica, come ha detto recentemente l’arcivescovo Arthur Roche in un articolo (cf. L’Osservatore Romano, 12 dicembre 2020), dove egli persino formula apoditticamente una palese contraddizione contro tutte le prove evidenti, non ammettendo prove contrarie: “Per certi versi vi figura un vocabolario più esplicito circa la dimensione sacrificale della messa. Le opinioni contrarie non sono fondate”.
Nessun protestante celebrerebbe l’Eucaristia con il Canone Romano e con le antiche preghiere d'offertorio. Nell’anno 1523 Lutero compose la “Formula missae et communionis pro ecclesia Vittembergensi”, un nuovo rito eucaristico, nel quale egli gettò via l'intero canone eucaristico, cioè il Canone Romano, e lo ridusse all’azione di benedizione e di grazie del prefazio e alle parole dell’Ultima Cena. Uno storico luterano così caratterizzò questa riforma liturgica di Lutero, dicendo che quella del canone “fu la più radicale delle riforme liturgiche di Lutero. Con un solo gesto ardito, su questo punto cambia completamente il carattere della liturgia. La santa Comunione diventa di nuovo un sacramento, o un dono di Dio, e non più un sacrificio fatto a Dio” (Reed. L.D., The Lutheran liturgy, Philadelphia 1947, pp. 340-341). Molte comunità anglicane usano esattamente la Seconda Preghiera Eucaristica del Novus Ordo Missae. Purtroppo, una grandissima parte dei sacerdoti cattolici usano esclusivamente la Seconda Preghiera Eucaristica. Se facciamo un'inchiesta tra il clero, potremmo essere sorpresi nell'apprendere che molti oramai considerano la Messa solo un banchetto. Questa tendenza protestantizzante è molto pericolosa e non possiamo negare questo.
Nel nuovo rito si dà troppo importanza all'aspetto colloquiale, che distrugge il senso ieratico. Già all'inizio, il sacerdote fa il segno della croce guardando i fedeli, indebolendo la teocentricità, e c'è anche il fatto di fare commenti vari. Questo indebolisce il senso sublime della celebrazione liturgica.
La diminuzione del carattere sacrificale è causata considerevolmente anche dalla forma della celebrazione versus populum. Oggi al 99% lo stile celebrativo è versus populum, ma questo già dal punto di vista visuale psicologico ci dà il senso di un raduno, intorno alla mensa, celebrando un banchetto. Se uno entra e magari non sa nulla della Messa, vedendo come si svolge la celebrazione della Messa direbbe che quello è un raduno intorno ad una mensa.
Sul rapporto tra il carattere sacrificale della Messa e la moderna forma della tavola rivolta ai fedeli, il grande liturgista tedesco Mons. Klaus Gamber ha fatto la seguente rilevante osservazione: “Oggigiorno si vorrebbe evitare di dare l’impressione che la “tavola santa” (come viene chiamato l’altare in Oriente) sia un altare per il sacrificio. Senza dubbio è la stessa ragione per la quale, quasi dappertutto, si pone sull’altare un mazzo di fiori (uno solo), come sulla tavola da pranzo di una famiglia in un giorno di festa, insieme a due o tre ceri: questi quasi sempre a sinistra, il vaso dal lato opposto. L’assenza di simmetria è voluta: non bisogna creare dei punti di riferimento centrali, come quando si mettevano i candelieri alla destra ed alla sinistra della croce che stava in mezzo; qui si tratta solo di una tavola da pranzo. Non ci si mette dietro l’altare del sacrificio, ci si mette davanti; già il sacrificatore pagano faceva così, il suo sguardo era diretto verso la raffigurazione della divinità a cui si offriva il sacrificio; anche nel Tempio di Gerusalemme si faceva così: il sacerdote incaricato di offrire la vittima stava davanti alla “tavola del Signore”, come si chiamava il grande altare dell’olocausto nel cuore del Tempio (cfr. Malachia 1, 12), e questa “tavola del Signore” era collocata di fronte al tempio interno ove era custodita l’Arca dell’Alleanza, il Santo dei Santi, il luogo in cui dimorava l’Altissimo (cfr. Salmi 16, 15). Un pranzo si consuma con il padre di famiglia che presiede, in seno alla cerchia famigliare; mentre invece, in tutte le religioni, esiste una apposita liturgia per il compimento del sacrificio, liturgia che prevede che il sacrificio si compia all’interno o davanti ad un santuario (che può essere anche un albero sacro): il liturgo è separato dalla folla, sta davanti ai presenti, di fronte all’altare, rivolto alla divinità. In tutti i tempi, gli uomini che hanno offerto un sacrificio si sono sempre rivolti verso colui al quale il sacrificio era diretto e non verso i partecipanti alla cerimonia. Nel suo commento al libro dei Numeri (10, 27), Origène si fa interprete della concezione della Chiesa delle origini: “Colui che si pone dinanzi all’altare dimostra con ciò di svolgere le funzioni sacerdotali. Ora, la funzione del prete consiste nell’intercedere per i peccati del popolo” (Tournés vers le Seigneur!, Le Barroux 1992, pp. 26-27). La Messa come sacrificio dimostra e proclama il coronamento supremo del culto della vera religione, che è il cristianesimo cattolico. Il predicatore domenicano J.L. Monsabré ci ha lasciato la seguente commovente formulazione di questa verità: “Una Messa! Essa è il compendio di tutti i sacrifici antichi, nei quali si divideva la corrente degli atti religiosi che univano l’umanità al suo Dio: sacrificio unico, in pari tempo olocausto, ostia pacifica e vittima per il peccato. Una Messa! È il sacrificio della Croce che viene avvicinato a noi, per risparmiare alla nostra fede un faticoso ripensamento d’un passato lontano e sforzi troppo facilmente paralizzati dalla nostra debolezza o dalla nostra negligenza. Una Messa! è l’immolazione d’un Dio che ci vien posta, in certo senso, nelle mani, affinché vi prendiamo la parte. (…) Una Messa! è un Dio che adora, un Dio che ringrazia, un Dio che placa, un Dio che implora. Una Messa! essa è il coronamento supremo del nostro culto religioso” (Esposizione del dogma cattolico. Conferenze. Vol. XII: Eucaristia, Torino 1950, p. 155).
La Messa come sacrificio è il vero sole del mondo, il parafulmine spirituale del mondo, il centro spirituale del mondo. La Messa cattolica è insopprimibile. Tante persecuzioni esterne durante duemila anni non la potevano distruggere. Ma anche alcuni persecuzioni fatte dentro della vita della Chiesa di oggi non potranno distruggere quella forma più antica, la forma costante, la forma liturgica più sicura e più espressivamente sacrificale della Messa.
Citiamo le seguenti parole di profonda fede e di fuoco d’ardente amore per il Sacrificio della santa Messa del servo di Dio l’arcivescovo Fulton Sheen: “La Messa è per noi il coronamento del culto cristiano. Un pulpito sul quale si ripetono le parole del nostro Signore non ci unisce a Lui; un coro in cui si cantano dolci sentimenti non ci avvicina alla sua croce, ma solamente alle sue vesti. Un tempio senza un altare del sacrificio è inesistente tra i popoli primitivi e non ha senso tra i cristiani. E così nella Chiesa cattolica l'altare, e non il pulpito o il coro o l'organo, è il centro del culto, poiché viene rievocato il memoriale della sua passione. Il suo valore non dipende da chi lo dice o da chi lo ascolta; dipende da Colui che è l'unico Sommo Sacerdote e Vittima, Gesù Cristo nostro Signore. Con Lui siamo uniti, nonostante il nostro nulla; in un certo senso, per il momento perdiamo la nostra individualità; uniamo il nostro intelletto e la nostra volontà, il nostro cuore e la nostra anima, il nostro corpo e il nostro sangue, così intimamente con Cristo, che il Padre Celeste non ci vede tanto con la nostra imperfezione, ma piuttosto ci vede in Lui, il Figlio diletto nel quale Egli si è compiaciuto. La Messa è per questo motivo il più grande evento nella storia dell'umanità; l'unico atto santo che trattiene l'ira di Dio da un mondo peccaminoso, perché tiene la Croce tra il cielo e la terra, rinnovando così quel momento decisivo in cui la nostra triste e tragica umanità si è avviata all'improvviso verso la pienezza della vita soprannaturale. Ciò che è importante, a questo punto, è che assumiamo il giusto atteggiamento mentale verso la Messa e ricordiamo questo fatto importante, che il sacrificio della Croce non è qualcosa che è accaduto millenovecento anni fa. Sta ancora succedendo. Non è qualcosa di passato come la firma della Dichiarazione di Indipendenza; è un dramma costante sul quale il sipario non è ancora calato. Non si creda che sia successo molto tempo fa, e quindi non ci riguarda più di qualsiasi altra cosa nel passato. Il Calvario appartiene a tutti i tempi ea tutti i luoghi. (…) Non eravamo consapevoli di essere presenti lì sul Calvario quel giorno, ma Lui era cosciente della nostra presenza. Oggi conosciamo il ruolo che abbiamo svolto nel teatro del Calvario, dal modo in cui viviamo e agiamo ora nel teatro del ventesimo secolo. Ecco perché il Calvario è reale; perché la Croce è la crisi; perché in un certo senso le cicatrici sono ancora aperte; perché il dolore è ancora divinizzato e perché il sangue come stelle cadenti sta ancora gocciolando sulle nostre anime. Non si può sfuggire alla Croce nemmeno negandola come facevano i farisei; nemmeno vendendo Cristo come fece Giuda; nemmeno crocifiggendolo come fecero i carnefici. Lo vediamo tutti, o per abbracciarlo nella salvezza, o per fuggire da esso nell'infelicità. Ma come si rende visibile? Dove troveremo il Calvario perpetuato? Troveremo il Calvario rinnovato, rievocato, ripresentato, come abbiamo visto, nella Messa. Il Calvario è uno con la Messa, e la Messa è uno con il Calvario, perché in entrambi c'è lo stesso Sacerdote e Vittima. Le sette ultime parole sono come le sette parti della Messa. E proprio come ci sono sette note nella musica che ammettono un'infinita varietà di armonie e combinazioni, così anche sulla Croce ci sono sette note divine, che il Cristo morente ha risuonato nel corso dei secoli, che si combinano per formare la bellissima armonia della redenzione del mondo. Ogni parola fa parte della Messa. La Prima Parola, "Perdona", è il Confiteor; la Seconda Parola, "Oggi tu sarai in paradiso", è l'Offertorio; la Terza Parola, "Ecco tua madre", è il Sanctus; la Quarta Parola, "Perché mi hai abbandonato", è la Consacrazione; la Quinta Parola, "Ho sete", è la Comunione; la Sesta Parola, "È finito", è l'Ite, Missa Est; la settima parola, "Padre, nelle tue mani", è l'ultimo Vangelo. Immaginate quindi il Sommo Sacerdote Cristo che lascia la sacrestia del cielo per l'altare del Calvario. Ha già rivestito la veste della nostra natura umana, il manipolo della nostra sofferenza, la stola del sacerdozio, la casula della Croce. Il Calvario è la sua cattedrale; la roccia del Calvario è la pietra dell'altare; il sole che diventa rosso è la lampada del santuario; Maria e Giovanni sono gli altari laterali viventi; l'ostia è il suo corpo; il vino è il suo sangue. È retto come sacerdote, ma è prostrato come vittima. La sua messa sta per iniziare” (Calvary and the Mass. A Missal Companion. New York 1936, pp. 5-7). - Fonte
(da "La Messa cattolica. Passi per ripristinare la centralità di Dio nella liturgia" di Athanasius Schneider Capitolo IV "La Messa è un Sacrificio")
1 commento:
Vietare la messa tradizionale non è certo una soluzione!
Forse sarebbe meglio farsi delle domande: come mai le chiese si svuotano? Forse perché si è perso il “senso” del sacro? Forse perché volendo accontentare “il mondo” ci si è allontanati da Dio?
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